Note dell’autrice:
Sono
molto affezionata a questa fiction, sebbene sia infinitamente più corta
rispetto a quelle che posto di solito.
Mi
sono commossa mentre la scrivevo, anche se rileggendo non mi è sembrata poi un
granché: avrei preferito tenerla per me e non è detto che non la cancellerò dal
mio account, data la delicatezza e le emozioni troppo personali di cui sono
pregne tutte le parole che state per leggere: forse vi potrà sembrare scontata,
banale e quant’altro, ma davvero io la amo con tutta me stessa – da considerare
inoltre il fatto che non ho curato come al solito il lessico e la grammatica.
Ero troppo presa dalle emozioni e avevo paura che, integrando il tutto, avrei
perso il sentimento che avevo provato stendendo questa shot-
Se
vedo che piacerà anche a voi e che condividerete i miei pensieri, la lascerò.
Buona
lettura.
La colonna sonora di questa
fiction è costituita da “Hikari”, di
Elisa (prima sigla di chiusura di Nabari), “Only time” e “Book of
Days” di Enya.
Dedico la fiction a me stessa (perché cavoli, avevo bisogno di qualcosa
scritto su Takanori) e a LadyWay,
malgrado non sia uno dei suoi Gaze preferiti (o almeno così mi è parso di
capire, dato che scrivi solo su Uruha ed Aoi. Perdonami cara e accontentati di
questa shot per il momento).
Con tutto il cuore.
~Icaro~
“In the end…
Nevicava
quella sera, anche se il mio corpo, ormai troppo stanco e provato dalle fatiche
di tutti i giorni, non riusciva a percepire i cristalli ghiacciati sciogliersi
al contatto con la mia pelle. Che ci fosse il sole, oppure la pioggia, per me
non faceva più alcuna differenza.
«Prendi la
sciarpa prima di uscire Taka-chan; non vorrei ti buscassi un raffreddore… »
La
voce calda ed affettuosa di Kai, un eco nella mia memoria così terribilmente
labile, mi trafisse senza pietà lì dove si suppone batta il cuore.
Continuai
a camminare dritto davanti a me, senza alzare lo sguardo dalle strade accalcate
di Tokyo. Il mondo aveva perso i suoi colori e tutto era diventato amorfo e privo
di consistenza, un inferno senza luci ed ombre: non c’erano più né il bianco né
il nero, improvvisamente ogni cosa si era tinta di grigio.
Nessun
odore.
Nessun
suono.
Mi
trovavo immerso nel vuoto assoluto.
« Ehi, ma dove stai
andando? Dovevi cucinare tu stasera, ricordi? »
No,
Reita, non ricordavo e neanche mi interessava farlo. Che scopo aveva
continuare ad alzarsi la mattina, mangiare e svolgere le mansioni di tutti i
giorni se alla fine della giornata vi era il nulla? Il buio totale? L’avvilente
consapevolezza di aver buttato in pasto ai cani tutto ciò in cui credevi, i
tuoi pilastri?
Che
senso aveva continuare a vivere senza i propri sogni?
«Esco a fare
quattro passi. Torno fra un po’… »
Non
avevo neanche guardato i miei amici per quella che sapevo sarebbe stata
l’ultima volta. Non mi era importato di leggere sui loro volti la
preoccupazione che, da un anno a questa parte, alzando lo sguardo su questi, vi
trovavo impressa sopra: ero scappato da casa indossando il cappotto che Uruha mi aveva regalato a Natale e i guanti ed il berretto di lana
donatomi da Aoi qualche giorno prima.
Buffo,
a pensarci bene: dopo anni di collaborazione e nottatacce trascorse a realizzare
nuove melodie, ridendo e scherzando sul nulla, solo ora mi rendevo conto di
quanto la loro presenza mi avesse aiutato a superare le varie difficoltà che, tempo addietro,
avevano sbarrato il nostro cammino.
Mi
affiancai al marciapiede, guardando distrattamente il traffico snodarsi sulle
vie della città e la folla ignorarmi come non aveva mai fatto: la vita mi era
scivolata tra le dita senza che le mie mani riuscissero ad afferrarla e
salvarla dalla distruzione totale. Accecato dai sogni di gloria avevo
rinunciato alla mia umanità, svuotando rapidamente il mio cuore di
tutti i valori che mi erano stati insegnati a tempo debito da quelli che
in genere ogni figlio chiama genitori.
Mi
ero venduto al diavolo.
«Taka-chan,
venerdì festeggiamo il Natale tutti insieme. Tuo fratello Mitsuno si sposa il
giorno dopo, ricordi? »
« Mi spiace mamma
ma sono occupato col lavoro, davvero non riesco a liberarmi. »
La
consapevolezza di aver sacrificato tutto, a partire dalla famiglia, per seguire
il più grande desiderio che avessi mai ambito a coronare, non mi aveva mai
sfiorato più di quel tanto durante questi anni: alla fine ce l’avevo fatta, i GazettE
avevano sfondato nel mondo della musica e si erano creati un nome ben guardato
ed amato dalla folla. Titoli come “Cassis” o “Chizuru” ci avevano elevato lì
dove nessuno era mai arrivato, permettendoci di assaporare appieno il
gusto dell’immortalità e della gloria.
Quello
era il mio sogno, o meglio fu.
« Takanori la
mamma sta male, ieri sera è stata portata all’ospedale: riesci a raggiungerci?
»
« Dammi solo il
tempo di revisionare gli ultimi arrangiamenti a una canzone, papà. »
Non riuscii ad arrivare in
tempo.
Al posto del sorriso dolce di
quest’ultima, trovai ad attendermi una tomba nera e fredda, il ricordo di colei
che mi aveva dato alla luce e che negli ultimi tempi avevo ignorato e
trascurato come fosse un'estranea o, peggio, un peso.
La raggiunsi due mesi dopo la
sua morte.
Non
avevo pianto, ci aveva pensato il cielo a farlo: troppo preso dal lavoro
e dal bramare sempre più, avevo dimenticato cosa
significasse essere un uomo, avere dei legami e voler bene a qualcuno.
Come
in quell’antico mito greco, come quel ragazzo di nome Icaro, accecato dalla
fama mi ero spinto sempre più in alto in cerca della luce che solo i palchi e
il flash delle macchine fotografiche erano in grado di darmi.
Insofferente
ed avido, mi ero gettato a capofitto nella notorietà, cominciando ad
ignorare e snobbare persino i miei compagni di band: nel grande mondo delle
luci e della ribalta esistevo solo io, non c’era spazio per gli altri e mai ce
ne sarebbe stato.
Egoista
Continuai
a passeggiare apaticamente fissando il vuoto innanzi a me, non prestando la
benché minima attenzione alle urla o alle risa che mi schernivano di tanto in
tanto, quando qualcuno effettivamente riconosceva la mia figura tra le altre.
Mi
meritavo davvero tutto questo?
Scossi
la testa permettendo a una lacrima di sfuggire al mio controllo: quante ne
avevo versate da quando quell’incubo era cominciato?
Quante,
invece, ne avevo fatte versare a coloro che, malgrado tutto, mi amavano
ancora?
« Takanori è nata
tua nipote Chidori. Mitsuno e Rose stanno aspettando una tua visita… »
Sbuffai annoiato
all'udire una notizia così semplicemente inutile.
« Non adesso
papà, sta per uscire il nuovo CD e, tra una cosa e
l’altra, non riesco neanche ad andarmene dagli studi di registrazione.»
L’uomo sospirò
dall’altra parte della cornetta: praticamente, quello era l’unico mezzo
attraverso il quale riuscivo ad avere notizie dei miei cari, dato che non li
vedevo più da.. uhmmm, esattamente quanto tempo?
« Non puoi o non
vuoi? »
« Non
ricominciare, non ho alcuna voglia di litigare. » ribattei distrattamente
continuando a laccarmi le unghie di nero: che spreco di tempo quella conversazione.
« Non sei
riuscito a raggiungerci neancheper il funerale di tua madre... »
« Mi dispiace.» borbottai
soffiando sullo smalto fresco: tra meno di un’ora avrei avuto un servizio
fotografico, seguito subito dopo dall’ennesima intervista. Dovevo pensare a
qualcosa di elettrizzante da dire, una di quelle cose sulla quale ogni fangirl ci
avrebbe sospirato sopra per mesi e mesi.
«Mi chiedo se sia
vero… »
« Cosa vuoi dire?
»
« Voglio dire che
tu non hai più bisogno della tua famiglia mentre lei… –si interruppe per qualche
secondo, prima di riprendere con voce commossa -…lei
ha ancora bisogno di te. »
Quella
fu l’ultima volta che sentii la voce del vecchio ed ebbi nuove su mio
fratello, sua moglie o mia nipote, che tra l’altro non riuscii mai a vedere: la
musica era diventato tutto per me, ben più importante dei miei familiari ed
amici. Loro avrebbero potuto aspettare, già… proprio come mia madre.
Non
avrei rinunciato a quell’universo di luci al neon che tanto adoravo e veneravo,
malgrado fossi consapevole degli errori
che stavo commettendo.
La
mia coscienza era putrefatta ma non me ne curavo. Ero soddisfatto.
«A quanto pare,
l’ultimo singolo che abbiamo lanciato sul mercato non ha avuto molto successo…
» constatò Aoi guardando i dati registrati sul computer.
Fu l’inizio della fine
Come
uno zombie, proseguii la mia marcia senza sapere esattamente dove i miei piedi
o il mio subconscio mi stessero guidando: ben presto abbandonai le vie
illuminate di Tokyo per incamminarmi verso la baia della metropoli, incurante
del vento che solleticava i radi ciuffi sfuggiti alla morsa della cuffia di
lana.
Il
giorno in cui i GazettE caddero definitivamente, sentii il peso dei miei sogni
e dei miei sbagli gravarmi sulle spalle come macigni.
Quel
giorno, sentii chiaramente qualcosa rompersi dentro di me e lasciare questo
mondo per sempre.
« Takanori
andiamo via di qui. »
Kai mi porse la
mano amichevolmente, reggendo nell’altra un enorme scatolone contenente vecchi
testi di canzoni ed altri nuovi che la band avrebbe dovuto lanciare a breve sul
mercato multimediale.
« No, non è
ancora finita! » esclamai disperatamente afferrando un foglio di carta e una
penna: l’inchiostro bluastro macchiò la pagina disegnando nuove e tremolanti
note senza capo né coda, un susseguirsi di sbagli che non avrebbero dato vita a
niente di buono.
Proprio come la
mia esistenza.
« Non può essere!
» urlai appallottolando lo scritto e osservando i miei amici, tutti davanti a
me, pronti per abbandonare la sede della PS Company.
Definitivamente.
« Andiamo a casa
Takanori. » mi disse Uruha con un sorriso falso dipinto sulle labbra.
«No. Non è vero.
Non può essere finita. Non può! »
« ADESSO BASTA
RUKI! »
La voce di Reita
mi raggiunse gelida e crudele, venendo a stanarmi nell’angolo freddo e umido
nel quale mi ero nascosto per sfuggire alla realtà.
« I GazettE sono
morti e sepolti, fattene una ragione e datti una mossa: dobbiamo andarcene
da qui il prima possibile! »
Sgranai gli occhi
mettendomi le mani tra i capelli e cominciando a tirarli fino a strapparmene via a ciuffi.
«Perché? PERCHE’?!?
» strillai con tutto il fiato che avevo in gola.
Aoi scrollò le
le mani eloquentemente issandosi alla meglio la chitarra elettrica sulle spalle.
«Non ha alcun
senso chiederselo ora, no? »
Ancora una volta,
Kai si protese in mia direzione asciugandomi l’unica lacrima che era sfuggita al mio
controllo.
« Andiamo
Takanori. Ricominciamo insieme. »
...
…
…
Ricominciare?
Mi
ero chiesto più volte come e quando avessimo sbagliato, sempre giungendo alla
medesima conclusione: era stata solo ed unicamente colpa mia, colpa dei miei
desideri e dei miei sogni troppo luminosi per un essere umano.
Come
Icaro, una volta avvicinatomi troppo al sole, le mie ali si erano sciolte facendomi planare in un baratro profondo dal quale non sarei più stato in grado di
riemergere. Dopo essermi librato in aria per troppo tempo ed aver osservato il
resto del mondo dall’alto, avevo imparato a dimenticare cosa significasse
camminare in mezzo agli altri, confondermi tra la folla ed essere additato come
una persona “normale”, dopo aver avuto la presunzione di credermi forse un
nuovo Dio di questo mondo.
Avevo
sognato per troppo tempo e alla fine ero stato inghiottito e ucciso dei miei stessi
sogni, dalla luce che avevo tanto amato e dalle effimere illusioni che avevo
costruito intorno a me come castelli di sabbia.
Ricominciare,
aveva detto Kai: dopo aver sacrificato la mia famiglia, i miei amici e la mia
umanità, come poteva anche solo pensare che sarei riuscito a rifarmi una vita?
Finalmente
alzai lo sguardo realizzando dove mi trovassi: un ponte. I miei piedi mi
avevano condotto sino a un ponte.
Inclinai
la testa svogliatamente, avvicinandomi alla ringhiera e guardando al di
sotto: il mare scorreva elegantemente tra i pali, si increspava quando le
onde, dopo essersi rincorse tra loro, si incrociavano combattendo arduamente
per sopraffare l’altra.
Una
battaglia persa e priva di significato, esattamente come la mia vita.
Lentamente,
mi arrampicai sul corrimano e mi sporsi verso il vuoto anzi a me: l’aria fredda
mi accarezzò il volto, perfida tentatrice.
Scrutai
l’orizzonte sconfinato, pronto per aprire le braccia ed abbandonarmi alla
redenzione dei peccati. Solo ora che avevo perso il controllo della mia vita mi
rendevo conto di quante cose avrei voluto fare nel corso di
questa: creare nuove canzoni, trovarmi
una moglie, costruirmi una famiglia, farmi perdonare dalla mia, imparare a
suonare il basso, riconquistare la fiducia dei miei amici, capire come dire “ti
voglio bene”, parlare meglio l’inglese, fronteggiare Reita e il suo odio, andare in Italia a mangiare gli spaghetti e tornare a sorridere come ormai non ero
più in grado di fare da troppo tempo.
« Sono un po’
preoccupato per Takanori ragazzi, voi non credete che si stia comportando in
modo un po’ troppo strano? »
Mia madre mi
aveva insegnato che era maleducazione origliare i discorsi altrui ma a volte il
caso, mischiato alla pazzia di un uomo ormai ridotto solo all’ombra del Dio che
fu, poteva far commettere delle pazzie a chiunque.
Deglutii
acquattandomi meglio e tendendo l’orecchio.
« Dagli un altro
po’ di tempo e vedrai che si riprenderà completamente, Kai: non è facile per
lui accettare che ormai i Gaze siano un capitolo chiuso; vedrai che alla fine
si riprenderà del tutto. » rispose Aoi continuando a sfogliare apaticamente una
rivista di musica e studiando i volti che questa quel giorno offriva.
La nuova scuola,
per così dire, quel branco di incompetenti che aveva attirato l’attenzione su
di sé rubandoci tutti i riflettori e la corrente.
« Non so, non
sono convinto… »
« Tu ti preoccupi
troppo. » intervenne Reita con voce annoiata. « Dopotutto stiamo parlando di
Ruki, no? Il pezzo di ghiaccio che non si scioglie neanche se lo metti nel
forno. »
Soffocai un
groppo in gola perdendo completamente il controllo del mio corpo: le mani
cominciarono a tremare senza ritegno mentre calde ed dense lacrime scendevano
lungo le mie guance offuscandomi la vista.
Era così che i
miei amici mi vedevano?
« Non so, non ne
sono convinto: ormai va avanti da troppo tempo per poter essere considerato
“normale”… » ribatté il batterista lasciandosi cadere su una poltrona.
« E se lo portassimo
da uno psicologo? » propose Uruha di punto in bianco intervenendo nella
discussione.
Sgranai gli occhi
scuotendo la testa sconvolto: no, no, NO! Come potevano pensare una cosa del
genere?
« Sì, potrebbe
essere un’idea… » decretò il moro con una certa
tranquillità, appoggiato subito dopo anche dall’ex bassista.
No, no, NO!
« Takanori non
accetterà mai e voi lo sapete meglio di me… » rispose Yutaka amareggiato.
Smisi di
singhiozzare come un bambino ed attesi la risposta degli altri, tremando
terrorizzato al pensiero di come si stessero rivolgendo a me, colui che un
tempo li aveva trascinati sotto la luce della ribalta e della celebrità.
I GazettE erano
nati per merito mio! MIO! Come potevano trattarmi così? Come una bambola o un
peso morto divenuto troppo fastidioso?
« Hai in mente
qualche altra idea Kai? Se sei così preoccupato, perché non te ne occupi tu? Francamente io mi sono rotto i coglioni di tenergli la
manina per accompagnarlo al bagno. » sostenne astiosamente Ryo. « In fondo, non puoi
certamente dire che sia sempre stato corretto nei nostri confronti: perché noi
adesso dovremmo esserlo? Ma sì, schiaffalo
dallo psicologo e chiudiamo qui la faccenda. »
Il mondo mi
crollò addosso mentre mi rialzavo e mi allontanavo privo di forze risalendo le
scale del nostro nuovo e squattrinato appartamento: non potevo dargli torto,
sapevo di essermi comportato male in più di qualche occasione, screditando il
nome dei miei band-mates a favore del mio e minacciandoli con la scusa della
carriera da solista.
La fama mi aveva
trasformato in un mostro, vero, ma non per questo avrei accettato di piegarmi all'umiliazione dello strizzacervelli.
No.
Udii per caso le
ultime parole di Kai, il quale cedette innanzi alle motivazioni, seppur mal
esposte, dell’amico.
« Va bene, avete
vinto. Proveremo a introdurgli la cosa dopo cena, tanto stasera tocca a lui
cucinare, no? »
L’ennesima
lacrima solcò il mio volto pallido e stanco, mentre le mie mani frugavano
inconsciamente nelle tasche della giacca estraendone il vecchio cellulare che
avevo ricevuto in dono da mia madre qualche anno fa, prima della sua morte e
della nascita della band.
Non
mi chiesi cosa stessi facendo, né il motivo per cui lo stessi facendo: digitai
il numero di casa -se così potevo ancora permettermi di chiamarla- attendendo
una risposta da uno qualsiasi dei miei coinquilini.
Forse
tentavo solo di illudermi, credere che nonostante tutto domani sarebbe stato un
bel giorno, che il sole mi avrebbe bagnato nuovamente il corpo strappandomi un
sorriso. Desideravo ingannarmi e sprofondare nella menzogna che, malgrado
tutto, avessi ancora degli amici e qualcosa da fare nella vita.
Volevo
sperare.
Improvvisamente,
ricominciai a sentire freddo.
«
Pronto? »
Sorrisi
tristemente tirando su col naso.
«
Ciao Kai, sono io. »
«
Takanori? Dio santissimo, ci hai fatto preoccupare! Ma dove ti sei cacciato? La
cena è pronta da un’ora ormai! » esclamò sollevato.
Mi
dondolai sul posto rimanendo in equilibrio sulla ringhiera sottile e guardando
il vuoto davanti a me: il mare mi stava chiamando, ciononostante provai a
ignorarlo tergiversando e concentrandomi sulla voce calda e rassicurante del
batterista.
«
Kai, cosa faremo domani? »
Silenzio.
«
Non lo so, quello che vuoi tu… » rispose infine ridendo allegramente: ormai ero
abituato a sentirmi dare anche il contentino, Yutaka era troppo buono per
negarmelo.
«
Allora giocheremo a palle di neve davanti alle scuole superiori, poi andremo a
mangiare un gelato ed infine torneremo agli studi della PS Company per comporre
una nuova canzone... »
Ancora
silenzio.
«
…poi andremo a comprare un cane, gli insegnerò a recuperare il bastone, infine
mi spiegherai come cucinare il dolce alle fragole che piace tanto a Reita,
così magari riuscirò a farmi perdonare da lui... »
Kai attese che avessi terminato il mio sproloquio prima di azzardarsi a dire qualcosa: probabilmente doveva considerarmi uno squilibrato o qualcosa dedi simile,
vista la pazienza immane che ci metteva nel cercare di farmi ragionare o
trattarmi alla pari degli altri.
«
…Takanori c’è una cosa di cui ti dovrei parlare… »
Oh,
ti stavi riferendo allo psicologo Kai? Allora avresti potuto risparmiarti la
fatica: sapevo già tutto.
Respirai
affannosamente portandomi una mano alla gola e soffocando il desiderio di
scoppiare a piangere o urlare.
«
Yutaka tu credi che gli uomini possano volare? » gli domandai all’improvviso
tornando a guardare lo strapiombo a un passo da me: il canto delle sirene,
celato tra le onde dell’oceano, mi chiamava.
Lui
non rispose immediatamente, forse cercando di capire dove sarei andato a
parare.
«
No. L’uomo non è Dio, Taka. »
Mi
lasciai sfuggire un sorriso per nulla divertito.
Bugiardo.
Io, te e gli altri lo eravamo diventati prima di perdere il controllo e venire
sopraffatti dal corso degli eventi.
« Credi… credi che domani ci sarà il sole? » chiesi infine
chiudendo gli occhi e abbandonandomi alla brezza marina.
«
Sì, lo hanno detto anche alle previsioni meteo. Perché? »
«
Perché sarebbe bello uscire tutti e cinque insieme e andare da qualche parte a
divertirci… »
Mi
immaginai il volto del castano contratto in una smorfia di puro stupore e
felicità.
«
Sì, sarebbe bello. Allora domani usciamo, va bene? »
Annuii
soddisfatto.
«
Va bene. »
«
Ora però torna a casa, ok? »
Deglutii
amaramente.
«
Va bene. Arrivo subito… »
“Addio…”
Chiusi
la chiamata e allungai la mano verso il vuoto, lasciando cadere il telefono che
andò a inabissarsi sul fondo del mare.
Mi
sarebbe piaciuto arrivare al domani, Kai, vedere se effettivamente ci sarebbe
stato il sole ed andare a mangiare il gelato nella caffetteria all’angolo,
ignorando il freddo pungente e il venticello fresco che avrebbe accarezzato i
nostri volti.
Avrei
desiderato rivedere un’ultima volta i miei compagni e farmi perdonare per il
terribile anno che vi avevo fatto passare, ma sapevo bene che la mia coscienza
e il mio orgoglio me lo avrebbero impedito.
“Ma adesso rimedierò finalmente a tutti i miei sbagli.”
Alzai
le braccia al cielo e spiegai le ali di cera, esattamente come fece Icaro prima
di spiccare il volo e planare verso l’infinto. L’orizzonte nebuloso mi restituì
lo sguardo e, finalmente, mossi il passo decisivo che avrebbe dimostrato a Kai
che gli uomini erano in grado di volare.
Forse
domani ci sarebbe stato davvero bel tempo: già, perché la scomparsa di
Takanori Matsumoto avrebbe reso il mondo un posto migliore.
“Perdonatemi…”
Takanori Matsumoto saltò nel vuoto sorridendo felice per la prima volta dopo troppo
tempo.
Si sentì un Dio mentre sprofondava nelle acque gelide e moriva di secondo in
secondo, trafitto e soffocato dai suoi stessi sogni.
Le sue ali si spezzarono, incapaci di reggere il peso della sua presunzione,
tuttavia, qualcuno riuscì a piangere la sua scomparsa il giorno seguente.
Un freddo e nevoso primo di Febbraio.
…he flew like an human”
Conclusione:
Non
trovo le parole per esprimermi o chiudere questa shot, ma ci provo lo stesso
lasciandovi qualche chiarimento: la frase finale “…he flew like an human”,
si ricollega a quella iniziale citata sotto il titolo, ovvero “In the end…”
Alla
fine egli volò come un umano. Credo che questa frase riassuma perfettamente il
contenuto della storia: come detto da Yutaka, gli uomini NON possono volare e
questo sottolinea il fatto che Takanori, pur sentendosi superiore agli altri,
un angelo o forse Dio, alla fine non ha spiccato alcun volo divino, ma si è
semplicemente buttato da un ponte.
Mi
sento in vena di drammaticità, ne avevo terribilmente bisogno dal momento che
ultimamente sto scrivendo troppe cose allegre.
Ringrazio
vivamente chi commenterà questa shot e mi darà un parere sincero su cosa ne
pensa: io non sono letteralmente in grado di sbilanciarmi (oltretutto è la mia
primissima rating verde!).
A
già: dato che non ero soddisfatta della tragicità raggiunta fino alla fine, ho
messo che morte di Taka è avvenuta a cavallo tra il 31 di gennaio e il giorno
del suo compleanno, ovvero il primo di febbraio.
Grazie
e a presto.
Mya parla (e piange): io davvero non so che dire.
Sto
piangendo come una povera idiota e Shin, mi spiace di rovinare il finale di questa…
Hide. Oddio no, non so cosa scrivere.
Sapevo
che se tu ti eri sconvolta tanto
scrivendola io ci sarei rimasta letteralmente di sale. Porca troia, quel nano
che dice che vuole preparare il dessert con le fragole per farsi perdonare da lui…
mi hai distrutto Shin. E nessuno fin ora vantava di questo primato.
Tu
mi hai distrutto. Definitivamente.
E
non ti lamentare se per il resto della serata sarò un ammasso brodoloso di
lacrime e sentimenti.
Non
so cos’altro aggiungere.
Adesso
mi rimetto a piangere.
Grazie