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Autore: sidphil    09/05/2022    1 recensioni
Mickey e Mandy hanno tutto quello che una persona potrebbe desiderare: tanti soldi, una bella villa, Mickey scaffali pieni di libri e una chitarra che ama alla follia, Mandy un migliore amico che le vuole bene, popolarità e orde di ragazzi ai suoi piedi. Tuttavia, entrambi portano il peso di numerosi segreti sulla loro vita e la loro famiglia. Ian, migliore amico di Mandy, è tenuto costantemente all'oscuro per essere protetto, anche se lui stesso deve convivere con amare sofferenze.
Una storia un po' diversa dal solito, dove vedremo una Mandy e un Mickey diversi ma in un certo senso sempre uguali a quelli che conosciamo e un Ian un po' perso che ha bisogno di trovare sè stesso e che ci riuscirà proprio grazie a loro, senza rendersi conto di quanto può offrire in cambio lungo la strada.
Questa storia è una TRADUZIONE, per cui ho ottenuto il permesso dall'autrice originale.
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era difficile concentrarsi sui compiti quando il battito della pioggia creava quel rilassante sottofondo. Ian continuava ad appisolarsi mentre scriveva e la cosa lo stava mettendo a dura prova. Non c’erano tuoni o lampi, solo il picchiettare della pioggia sul tetto e sulle finestre. 

Gli si chiusero gli occhi per la millesima volta e gli ciondolò la testa; la risollevò di scatto e si alzò. Una buona bibita lo avrebbe risvegliato. 

In cucina, aprì una lattina e la bevve tutta d'un sorso, senza fare caso a quanto gli pizzicasse la gola perché almeno il liquido lo stava riattivando, poi la buttò nella spazzatura. Fiona non aveva bisogno di altre preoccupazioni quando sarebbe tornata dal lavoro, quindi prese il sacco dell’immondizia e uscì sotto alla pioggia. Tirò su il cappuccio e attraversò un pezzo di strada per buttare il sacco nel bidone. 

La pioggia non era così fredda, anzi, era piacevole sentirla sul viso quando alzò lo sguardo verso il cielo cupo. Una coltre di nubi grigie si estendeva per chilometri, come una cortina di fumo che copriva la Terra. Quando riabbassò la testa, distinse una figura che si muoveva verso di lui. L’aria era brumosa e rendeva difficile vedere bene e il suo primo istinto fu quello di andare a chiudere a chiave la porta perché c’era la possibilità che fosse quell’ubriacone di suo padre. Era triste scambiare sempre il proprio padre per un ladro.

Tornò davanti a casa ma si bloccò con la mano sul pomello della porta quando riuscì a capire meglio chi fosse. – Mick? – chiamò Ian ma la sua voce si perse nella pioggia. Mickey indossava solo una canotta nera e dei jeans strappati e solo quando si fu avvicinato capì perché era a braccia scoperte. Teneva la giacca appallottolata e stretta al petto; Ian era ancora più confuso.

I passi di Mickey proseguirono sul marciapiede e lo portarono fino al cortile di casa Gallagher; quando arrivò ansimava pesantemente e alzò la testa. Ian non l’aveva mai visto così perso e disperato come in quel momento. Mickey non disse nulla e Ian si fece da parte per farlo entrare. Chiuse la porta e lo seguì in soggiorno. 

- Tienila – gli disse Mickey e gli passò con cautela la giacca, come se fosse fatta di vetro. Ian la guardò, perplesso. Quando la prese in mano sentì che in mezzo c’era qualcosa e vi trovò un gattino bagnato, raggomitolato su sé stesso con gli occhi chiusi. Aveva la schiena sporca di sangue e tremava violentemente. Quando Ian alzò di nuovo gli occhi, Mickey era sparito, ritornando poco dopo con un asciugamano. Riprese il gatto e lo liberò dalla giacca per asciugarlo gentilmente. Il gatto non emise un suono e tremò ancora di più sotto al suo tocco. Ian lo osservò passargli il panno sulle zone insanguinate per pulirle, senza mai togliere gli occhi di dosso all’animale. 

- È ferito? – chiese Ian esitante, timoroso di interromperlo ma incapace di trattenersi. Mickey finì di pulirlo e poi lo riavvolse con cura in un secondo asciugamano pulito che teneva sottobraccio. Il modo in cui lo coprì, con fare protettivo e ordinato, gli suggerì che probabilmente non era la prima volta che si occupava di questo genere di cose. 

- Il sangue è mio – rispose semplicemente Mickey, atono. Ian ricordò improvvisamente che Mickey aveva menzionato di avere un gatto a casa una volta; doveva essere quello. Avrebbe voluto chiedere cos’era successo ma invece chiese altro. 

- Ti sei fatto male? –

Mickey cullò il gatto in silenzio per alcuni minuti; Ian non lo aveva mai visto guardare qualcosa in quel modo. Nemmeno lui, nemmeno la sua chitarra. Non aveva mai mostrato così tanta passione e devozione come in quel momento. 

Non ci voleva un genio a capire che a casa sua doveva essere successo qualcosa di terribile, altrimenti non si sarebbe presentato lì da lui con quella preziosa parte della sua vita. Ian avvertì un’improvvisa tristezza. Era solo un altro ombroso angolo del cuore di Mickey che non gli sarebbe mai stato permesso di toccare e il pensiero era troppo da sopportare. Mickey non avrebbe mai ammesso di soffrire. Non si sarebbe mai aperto o ammesso che dentro di lui era in corso una tempesta. No, sarebbe semplicemente rimasto in silenzio e l’avrebbe affrontata da solo. 

Ian lo lasciò in soggiorno, usando delle scuse per convincersi a non tornare al piano di sotto.  Si lavò i denti, il viso e riordinò la stanza; sapeva che non sarebbe riuscito a concentrarsi sullo studio. Dopo un paio di minuti di necessario respiro, tornò in soggiorno come se il suo corpo si muovesse in automatico. Finalmente, Mickey spostò lo sguardo dal fagotto tra le sue braccia e guardò Ian. - Hai bisogno di qualcosa? – gli chiese lui lentamente, incerto se insistere o meno. Non avrebbe nemmeno dovuto preoccuparsi di una domanda come quella, ma con Mickey non era così semplice. Temeva che se si fosse avvicinato troppo sarebbero rimasti scottati entrambi e quindi rimase immobile sull’ultimo gradino, la mano saldamente ancorata al corrimano per essere pronto a scappare. 

Il dolore che Ian aveva visto poco prima nei suoi occhi lasciò posto a qualcosa di più duro e deciso, che Ian era più abituato a vedere. Era quello sguardo pungente che gli faceva dimenticare tutte le cose belle che aveva fatto. - Posso dormire qui? – chiese Mickey, il tono di pietra. Ian annuì senza sapere cos’altro dire. I suoi occhi scesero sulla pelle nuda di Mickey e vide il sangue sulle sue nocche, la pelle squarciata sulla mano, i tagli sulle braccia. Chissà se era stato suo padre; probabilmente sì a giudicare dai segni. Quelli più lunghi sembravano opera del gatto ma quest’ultimo non sembrava ferito, solo raffreddato e bagnato. 

Non cercò di occuparsi di Mickey come lui si stava occupando del gatto. Non gli chiese se aveva bisogno di una coperta o se voleva medicare le ferite; non gli chiese se voleva dei vestiti asciutti o qualcosa per asciugarsi perché sapeva già quale sarebbe stata la risposta. Ritornò nella sua stanza, sapendo che Mickey sarebbe rimasto sul divano, chiuse la porta e si infilò a letto. Era in momenti come quello che ringraziava che nell’ultimo periodo Carl non fosse mai a casa. La pioggia non lo confortata più. Aveva lo stesso suono, cadeva fitta come poco prima, ma era un suono aspro, come se da un momento all’altro potesse scavare una breccia nel muro. 

 

 

Aprì gli occhi di scatto. Non si era reso conto di essersi addormentato. Fuori diluviava ancora ma non era così buio come prima. Fissava il muro e dava le spalle alla porta, che si aprì piano piano, e udì deboli passi entrare e poi la porta richiudersi. 

Ian non si mosse né si girò dall’altra parte mentre ascoltava il sommesso respiro di Mickey. Era difficile dire cosa stesse succedendo ma poco dopo calò il silenzio. Ian si girò quel tanto che bastava a distinguere la sua figura rannicchiata sul pavimento. Il sangue sulle mani e sulle braccia si era seccato e anche se i suoi vestiti erano ancora umidi non era più fradicio. Il gattino si era addormentato sulla sua pancia, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro di Mickey. Mickey lo accarezzava con gli occhi semi aperti che fissavano il letto vuoto di Carl. 

La luce aumentò sempre di più e Ian continuò a fissare il muro, incapace di riaddormentarsi. Non sapeva se Mickey fosse ancora sveglio o no, ma un fruscio proveniente dalla sua direzione fu una chiara riposta. 

Ecco, quello era il momento in cui Mickey sgattaiolava via. Se ne andava senza salutare, sempre mentre lui dormiva. Una parte di Ian avrebbe voluto che lo svegliasse almeno, o che gli sussurrasse qualcosa prima di andarsene. Ma non lo faceva mai. Richiese gli occhi quando sentì scricchiolare il pavimento e capì che Mickey se n’era andato. 

Accadde all’improvviso, Ian non se lo aspettava, ma un gemito gli risalì la gola e fuoriuscì dalle labbra. Poi un altro e anche se cercò di trattenere il respiro, un altro ancora. Gli era stato insegnato che piangere era normale, mentre a Mickey probabilmente no. Le cose stavano così e basta, lo sapeva. Ma perché faceva così male guardare nei suoi occhi travagliato e sapere che le lacrime non li avrebbero mai bagnati? Mickey soffriva ma non piangeva e non ne parlava, non permetteva a nessuno di prendersi cura di lui. Faceva terribilmente male. 

Le lacrime gli rigarono il viso. Tirò su col naso e sussultò quando sentì il materasso infossarsi dietro di lui. 

- Stai zitto, okay? – disse sottovoce Mickey. Non sembrava arrabbiato, bensì preoccupato, premuroso. Ian non si voltò nemmeno quando sentì il calore di Mickey mescolarsi con il suo e capì che era sdraiato a pochi millimetri da lui. Continuò a non voltarsi quando le dita di Mickey si infilarono tra i suoi capelli, tracciarono il retro del suo collo e lungo la sua schiena. Durò pochi secondi, Ian non era nemmeno sicuro che fosse successo. Le lacrime smisero di cadere quando Mickey intrecciò la mano nella sua maglia, stringendo per un momento per poi allentare la presa, ma senza ritirare la mano questa volta. 

La striscia di luce che entrava dalla finestra si allungò sempre di più nella stanza e Ian sentì qualcosa di piccolo e caldo rannicchiarsi contro alla sua schiena dove riposava la mano di Mickey, per poi udire un flebile mormorio di fusa. Il gatto sembrava stare bene e non molto dopo anche il respiro di Mickey si era fatto più regolare. Probabilmente stava anche bagnando le coperte ma a Ian non importava. Sapeva che Mickey non voleva parlare di niente, non per il momento almeno. Magari stare vicino ad Ian gli dava già abbastanza conforto. Come il gattino che prima si era accoccolato a Mickey perché era ciò di cui aveva più bisogno. 

Sentendosi più coraggioso, Ian si girò appena per avere uno scorcio del suo viso. Il suo braccio era disteso quanto bastava pe afferrare la maglia di Ian e le ciglia erano dolcemente adagiate sulle sue guance. Sul suo viso piegato leggermente verso il cuscino non c’era traccia di rabbia o frustrazione. La gattina dormiva contro alla sua mano, premuta contro alla schiena di Ian. Sorrise affettuosamente, guardandoli entrambi. 

Era la prima volta che vedeva Mickey addormentato. 
   
 
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