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Autore: Jeremymarsh    12/05/2022    2 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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 Ritorno

 

Quando scesero dal dirigibile, Ofelia fu attaccata da una corrente d’aria fredda che subito le fece lacrimare gli occhi dietro le lenti; si aggrappò immediatamente al braccio di Thorn che, nel frattempo, la teneva per la vita, vicinissima a sé. A terra era così scivoloso che voleva evitare di cadere e farsi male. Intanto la sciarpa, influenzata dallo stato d’animo più cauto dei due, si era stretta attorno ad entrambi per precauzione. I lampioni erano già accesi, ma la luce — anche quell’artificiale — era così poca che per un attimo la donna mise in dubbio il fatto che fosse ancora giorno, nonostante l’orologio da taschino del marito le avesse detto il contrario. 

Giunsero al riparo con estrema fatica perché Ofelia rischiò più di una volta di essere portata via o di inciampare, ma neanche quel benvenuto gelido poté smorzare il fuoco che si era acceso nei loro animi nel constatare che erano davvero tornati. Anche Thorn, che esternava i suoi sentimenti sempre con un po’ di difficoltà, aveva sviluppato una serie di tic che tradivano il suo nervosismo. Era contento di essere a casa e, soprattutto, attendeva impaziente il momento in cui si sarebbe riunito al resto della famiglia.

Scorsero per prima la figura più colorata e meno scomposta di Roseline, la quale sembrava avere qualche problema a restare ferma. Non appena li notò, corse verso di loro invadendo del tutto il loro campo visivo. Senza esitare, cominciò a far scorrere, frenetica, le sue mani lungo il corpo della nipote, tastandola e infilzandola, fino a che non le strinse il viso e ne incrociò gli occhi ancora lacrimanti. A quel punto, Ofelia poté notare la sua espressione felice, lo sguardo pieno di sollievo e tutta la paura che aveva covato dentro di sé da che si erano separate. L’abbracciò forte non curandosi di ciò e chi le stava intorno e, sebbene non fosse mai stata imponente o forte come la sorella, la stritolò tanto era il suo entusiasmo. Infine, quando si riprese, non parlò come tutti si erano aspettati. Si schiarì la gola e quello fu l’unico avvertimento che Thorn ricevette prima di essere vittima dello stesso trattamento. Tanto fu lo shock che le valigie che ancora teneva in mano gli caddero andando a creare un frastuono che si diffuse per il locale e ogni suo muscolo si irrigidì, mentre le braccia gli cadevano penzoloni lungo il corpo. Lì accanto, Ofelia se ne stava a bocca aperta, pensando solo a quanto fossero fortunati perché gli Artigli di Thorn non erano più instabili a causa del suo animismo.

Solo quando Roseline lo ebbe liberato dalla sua morsa si decise a parlare. “Ofelia, Thorn,” esclamò mentre si soffiava rumorosamente il naso, “che sollievo rivedervi finalmente sani e salvi! Non ci ho creduto, non ci ho creduto fino a questo momento che sareste tornati!” Abbracciò ancora la nipote, tastandola un po’ di più e, infine, aggiunse: “Certo, ti vedo un po’ dimagrita, mia cara, ma non ti preoccupare, ci penserò io a mettere un po’ di carne su queste ossa,” la rassicurò, pur essendo lei la più gracilina tra le due. Fece per continuare il suo discorso quando fu interrotta da qualche colpo di tosse dietro di lei.

Berenilde, Archibald e Vittoria, finora rimasti in disparte ad osservare la scena, si erano fatti avanti e, tra i tre, l’uomo sembra quello più smanioso di intromettersi con quel suo scintillio pazzo negli occhi e il sorriso abbagliante. Ofelia notò subito gli indumenti come sempre smessi, ma anche il fisico più deperito dall’ultima volta che si erano visti.

La signora, invece, teneva per mano la figlia, che sorrideva sia al cugino che alla madrina e non sembrava aver per nulla intenzione di distogliere il proprio sguardo da quello di Thorn. I due si stavano lanciando occhiate intense, probabilmente scambiandosi chissà quali parole e sentimenti e sarebbe stato un peccato interrompere il momento.

Tuttavia, Archibald aveva atteso abbastanza e sembrava aver altri piani. “Che meraviglia rivederla, moglie di Thorn!” esclamò a gran voce e avvicinandosi senza esitazione alla giovane. Era a un passo dall’abbracciarla quando trovò la propria strada spiazzata dal marito che per un attimo aveva dimenticato del tutto la zia. Gli dedicò uno sguardo che lo penetrò e passò oltre, lo scosse e lo rese per un attimo instabile sui piedi; sembrava che i suoi occhi da rapace volessero dilaniarlo come se fosse una bestia, anche se in realtà si limitarono ad attaccargli semplicemente il sistema nervoso. Alla fine, Thorn strinse la mascella e i pugni ancora vuoti e si costrinse a lasciar andare Archibald, conscio anche del suo stato di salute; se non fosse stato per quello, probabilmente avrebbe fatto di più.

Chiunque a quel punto avrebbe cominciato a tremare dalla paura, ma non Archibald. No, lui scoppiò a ridere fragorosamente. “Signor Thorn, che piacere, che piacere rivedere anche voi!”

“Archibald,” rispose l’altro con un’inflessione dura e irrigidendosi ancora di più, non scostandosi.

“Ebbene? Non mi date la possibilità di accogliere anche la vostra bellissima moglie?” gli chiese come se nulla fosse e sfoggiando un sorriso malizioso. In risposta, si sentirono i denti di Thorn digrignare.

“Fareste bene a controllarvi ora che siamo di ritorno, Archibald, e a restare al caldo quanto il più possibile. Nessuno vorrebbe che la vostra salute deteriorasse,” lo consigliò. Infine, si spostò, portandosi di nuovo accanto alla moglie ma facendo intendere all’ex ambasciatore che quel suo benvenuto era più che abbastanza.

Archibald sbuffò, togliendosi il cilindro e agitando la mano libera. “Suvvia, non mi dite nient’altro? Mi aspettavo ben altro da voi, ex intendente.” Il bagliore nei suoi occhi rese noto a tutti che lo stava semplicemente provocando, ma a Thorn non importò molto e non esitò a sferrare di nuovo gli Artigli, se pur solo per causare un’emicrania.

“Ora basta,” annunciò Roseline che cominciava ad averne abbastanza di quel teatrino. “Prima che cominci a battere i denti come la dentiera del mio prozio, gradirei tornare a casa. Questi due giovani sono reduci da un viaggio, non credete anche voi che sia il caso di condurli al caldo e al riposo?” si rivolse direttamente ad Archibald per fargli capire che lo riteneva il solo responsabile del loro ritardo.

Archibald le fece un leggero inchino, prima di rimettersi il cappello e offrirle il braccio. “Ha assolutamente ragione, madama; permettete che vi scorti alla nostra carrozza.” E così, dopo aver fatto segno ad alcuni facchini di sistemare tutte le valigie, i due si avviarono verso il mezzo di trasporto, lasciando gli altri da soli.

“Thorn,” disse infine Berenilde, riuscendo a prendere parola. “Ti trovo molto bene.” Sorrise e Ofelia giurò di aver visto una lacrima nascondersi agli angoli dei suoi occhi. Poi la donna si voltò verso di lei con lo stesso sorriso sulle labbra. “Anche tu, Ofelia, stai meravigliosamente. Ti vedo più in forma dell’ultima volta che ci siamo incontrate. Sono molto contenta della cosa.”

Ofelia annuì, ricambiando il gesto, prima di rivolgersi a Vittoria e osservarla. La bambina, che doveva avere all’incirca sette anni se i suoi calcoli erano corretti, emanava serenità e contentezza; le sue guance erano colorate da un sano rossore ed incorniciate dai lunghi capelli bianchi tenuti a bada dalla sciarpa e il cappello. Allungò silenziosamente la mano verso di lei e Vittoria la afferrò senza esitazione, abbandonando quella della madre e avviandosi con la madrina fuori dall’aerostazione, cosicché Berenilde e Thorn potessero restare soli.

L’uomo seguì per un attimo le due con lo sguardo e fu soddisfatto di notare che si fermarono sulla soglia, non uscendo dal locale né avvicinandosi ad Archibald, poi riportò gli occhi sulla zia che non aveva smesso per un attimo di controllare il suo aspetto. “Anch’io vi trovo bene,” le disse infine. “E sono lieto di rivedervi.” Il modo in cui restava fermo ma maneggiava il suo fedele orologio da taschino denotava un nervosismo che durante l’alterco con Archibald era mancato. Era evidente che Thorn non riuscisse a capire come comportarsi dopo tutto quel tempo o anche solo esternare le proprie emozioni. Nonostante avesse fatto passi da gigante con Ofelia, gli costava fatica riuscirci con la zia con la quale, nonostante l’ammirazione e l’affetto sincero che aveva sempre serbato, aveva sempre intrattenuto una relazione basata su determinati parametri. A  essa era legata tanta insicurezza e sebbene si sentisse diverso dal bambino che era stato, in quell’istante era come trovarsi davanti a un’impasse con la paura di fare la prima mossa.

Dopo tutto ciò che era accaduto, gli anni passati lontani, qual era la cosa giusta da fare? L’atteggiamento più consono?

Fu Berenilde a toglierlo dall’impaccio. Senza più esitare e spinta dalla gioia di averlo di nuovo di fronte a sé a seguito del dolore causato dalla sua perdita — che le aveva portato alla mente anche quella dei figli — la donna lo strinse in un abbraccio. Thorn rimase immobile per un attimo, tentando di ricordare l’ultima volta che aveva avuto quel tipo di contatto con lei. Poi lentamente, e sempre un po’ impacciato, la imprigionò tra le sue braccia.

Non durò a lungo, ma per loro fu abbastanza. Quando si staccarono, Berenilde si tamponò le poche lacrime scese con un fazzoletto ricamato e poi si ricompose. “Spero che stavolta resterai,” gli disse. “Sei mancato molto a Vittoria; non vede l’ora di conoscere meglio il cugino.”

Thorn non la contraddisse, pur leggendo nelle sue parole ciò che non aveva detto esplicitamente — cioè che era stata lei, per prima, a sentire la sua mancanza — e si limitò ad annuire. Per un attimo, tornò quel bambino che era stato e percepì come qualcosa di molto lontano il desiderio sempre irrealizzabile di riuscire in qualunque cosa solo per essere benvoluto dalla zia. Gli sembrava così strano analizzarlo adesso perché comprendeva che, in realtà, anche se a modo suo, lei lo aveva sempre amato ma loro due non erano mai riusciti a comunicare. Vedeva che non c’era alcun ostacolo reale alla relazione chi era stata la sua unica madre. Con quella nuova consapevolezza, le porse il braccio e, infine, si avviarono dove gli altri li stavano aspettando.

Raggiunta Ofelia, notò che aveva un sorriso ancora più largo sulle labbra mentre ascoltava tranquilla Vittoria che le parlava e fu sicuro che la moglie avesse assistito alla loro riunione. Poi, una volta nella carrozza e partiti in direzione del maniero di Berenilde, Ofelia gli strinse la mano e incrociò il suo sguardo; le sue lenti erano particolarmente colorate e limpide, nonostante il freddo che li appannava. Gli occhi dietro di esse gli lanciarono un messaggio altrettanto chiaro: siamo a casa.

Thorn non poté essere più che d’accordo.

 

***

 

Il viaggio durò molto di più di quanto Thorn ricordasse e ben presto l’uomo arcuò un sopracciglio e volse un’occhiata interrogativa alla zia che stava osservando Roseline spogliare Vittoria ora che erano al riparo. Berenilde gli rimandò indietro uno sguardo identico, conscia di ciò che il nipote gli stava implicitamente chiedendo. Agitò il polso e poi sorrise. “Non preoccuparti, caro. Abbiamo organizzato una piccola sorpresa per voi due non appena abbiamo saputo che sareste tornati.”

Ofelia cominciò ad agitarsi e Thorn, percependolo e condividendo in parte l’emozione, le prese la mano e poi controllò l’orologio prima di riprendere il discorso. “Avrei preferito che ci consultasse prima.” Le sorprese non erano esattamente delle cose a cui i due reagivano bene, soprattutto dopo tutte le traversie degli ultimi anni.

“Che sciocchezze,” si intromise Roseline ora che Vittoria era un po’ più libera. “In quel caso non sarebbe più stata una sorpresa, no?”

“L’idea è stata vostra, zia?” chiese Ofelia aggiustandosi gli occhiali, incredula.

“Figurarsi!” rispose al suo posto Berenilde. Avevano per caso sviluppato l’abitudine di parlare al posto dell’altro? “Conosci bene tua zia e me. Sono stata ovviamente io la prima a pensarlo, ma Roseline si è subito detta d’accordo quando le ho esposto i vantaggi della mia proposta. D’altronde, era la più naturale.” Sulle labbra aveva un sorrisino malizioso che fece deglutire Ofelia più di una volta e insospettì Thorn che assottigliò lo sguardo.

“Ciò non toglie che, soprattutto dati gli ultimi eventi, sarebbe stato appropriato informarci,” ribadì.

“Suvvia, siamo quasi arrivati; non ti preoccupare troppo.” E come se il cocchiere avesse aspettato solo un segnale, la carrozza si fermò e Archibald balzò immediatamente fuori, facendo quasi urlare Roseline perché lasciò la portiera aperta. Il ventò li colpì tutti inevitabilmente, scompigliando capelli e vestiti, ma l’Animista si preoccupò piuttosto di coprire la piccola Vittoria che non aveva ancora rindossato il suo capottino.

Archibald non parve accorgersi di tutto ciò e mandò solo un sorriso birichino in direzione dei due coniugi. “Ex-intendente, moglie di Thorn, eccoci arrivati nella vostra nuova dimora. Sono sicuro che due giovani sposi come voi avranno modo di approfittare dello spazio e della privacy.” E detto ciò, scomparve prima ancora che qualcuno avesse potuto contraddirlo e si avviò verso l’edificio dove venne fatto entrare come se fosse il padrone di casa. Dietro di lui, lasciò due animiste con i volti scarlatti e due Draghi arrabbiati; Berenilde perché non aveva potuto annunciare la sorpresa come avrebbe voluto e Thorn perché l’uomo aveva avuto l’ardire di fare riferimento alla vita privata sua e di Ofelia.

Bisognava proprio dire che Archibald non stava sprecando nemmeno un secondo; per lui ogni occasione era buona per divertirsi.

 

***

 

Ofelia rimase a bocca aperta nell’osservare i lunghi corridori e gli alti soffitti, le enormi finestre e i colori caldi. Il castello non sembrava eccessivamente grande — la cosa la rincuorava — e appariva piuttosto accogliente. Era diverso da qualsiasi abitazione che aveva visto finora al Polo e, per come era decorato, sembrava si confacesse più a New Babel.

Se Berenilde aveva voluto sorprenderli, ci era sicuramente riuscita.

Accanto a lei, Thorn osservava tutto e confrontava ciò che aveva davanti agli occhi con ciò che ricordava: nulla era come era stato e non sapeva se essere arrabbiato per il fatto che la zia avesse apportato quei cambiamenti senza consultarlo o grato per avergli fatto trovare una dimora che fosse più congeniale a coloro che lui e sua moglie erano ora.

“Mi sono presa la briga di sistemare il maniero più vicino al nostro,” esordì Berenilde. “Sebbene sia certa che avrete bisogno dei vostri spazi e tempi,” altro sorrisino malizioso, “così potrete godere della nostra compagnia ogni qualvolta vorrete; spero spesso. Thorn non avrà più tanti castelli come una volta — una delle tante nuove leggi ci ha imposto di riorganizzare i nostri beni a favore dei tanti che ancora abitavano ai margini della società; avremo modo di parlarne —, ma per fortuna i migliori sono ancora a sua disposizione. Oltre questa, ho avuto l’occasione di sistemare un’altra dimora che potremmo utilizzare tutti per le vacanze, quando opportuno, o se avrete mai bisogno di respirare un po’ di aria fresca. Sappiamo tutti com’è la vita qui, no?” Cominciò a fare un tour delle sale, indicando i vari cambiamenti e illustrando a Ofelia i vari spazi.

“È davvero ben tenuta. Sono decisamente sorpresa e grata della vostra considerazione, Berenilde. Non avremmo voluto causare alcun disordine nella vostra routine o intrometterci. Di certo le vostre abitudini saranno cambiate, soprattutto con una bambina nel pieno del suo sviluppo,” commentò Ofelia tentando anche di dimostrare quanto fosse veramente contenta di quella soluzione. Sarebbe stato duro anche per lei ritornare improvvisamente a vivere con le due dame, le quali talvolta sapevano essere più che invadenti. Ma, immaginava, ormai non avevano più bisogno di comportarsi in quel modo dato che lei e Thorn erano sposati. Si chiese, per un secondo, come avrebbe reagito la zia Roseline quando... scosse la testa e tornò a guardare ciò che Berenilde stava segnalando, lasciando certi argomenti per i giorni seguenti.

“Oh, Ofelia, non dirlo nemmeno. Non avrei voluto nemmeno avere una coppia di neo sposi in giro per casa.” Roseline coprì le orecchie di Vittoria capendo subito dove Berenilde si stava dirigendo con quel discorso. “So benissimo cosa significa essere giovani e, visto che i primi anni di matrimonio vi sono stati preclusi, ora dovete approfittarne.” Parlò come se non avesse detto nulla di particolare, ma non nascose la scintilla negli occhi mentre osservava Ofelia diventare tutta rossa fino al collo, continuando fin dove i vestiti la coprivano, e il nipote tossicchiare nervoso.

Caso volle che arrivarono davanti alla camera padronale proprio in quell’istante. “Siete stati tranquilli quando vivevate a New Babel e scommetto che non avete sprecato il vostro tempo,” continuò non curante, non potendo sapere che Thorn e Ofelia non erano decisamente saltati a letto appena il primo era stato ritrovato. “Ma ora che siete a casa potreste anche cominciare a farvi una famiglia; Thorn è l’ultimo discendente dei Draghi in età fertile ed è vostro dovere ripopolare il nostro clan. Sono sicura che tra i suoi poteri e i tuoi, Ofelia, presto lo riporteremo in auge. Ovviamente, quando Vittoria sarà abbastanza grande, mi occuperò io stessa di sceglierle il candidato adeguato cosicché anche lei possa adempiere al suo compito.” Aprì la porta della stanza e mostrò loro com’era stata ammobiliata. Così concentrata era nel descrivere le tende che avrebbero evitato di svegliarli troppo presto la mattina o il comodo letto scelto per le loro attività che non si accorse che i due ragazzi si erano bloccati sulla soglia e non avevano ascoltato nemmeno una delle sue ultime parole.

Ofelia era sbiancata e stava cercando a fatica di ingoiare il groppo che le era salito in gola e Thorn non sapeva se lanciare occhiate piene di odio alla zia per aver introdotto l’argomento o consolare la moglie. Alla fine, scelse la seconda.

Afferrò la mano di lei e gliela strinse forte, tentando di trasmetterle tutto ciò che non poteva a parole — non dovevano, d’altronde, far capire alle due donne impiccione cosa li aveva disturbati — e sperando, di nuovo, di poter fare di più. Quell’incidente era un altro ricordo di ciò che gli era impossibile dare alla moglie e della sua incapacità.

Ma nessuno si accorse dei loro turbamenti interiori. Quando Roseline, che aveva notato per prima quanto fossero rimasti indietro, si voltò pronta a riprenderli. Vide il pallore della nipote e pensò fosse dovuto in qualche modo all’imbarazzo o a una vecchia paura. “Insomma, Ofelia, non ti sembra il caso di iniziare a comportarti un po’ da adulta? Sei una donna sposata, perdindirindina! Non hai più bisogno di me per certe cose e, anzi, sei più che spronata a lasciarti ad andare a certi atteggiamenti — quando non c’è nessuno presente!” puntualizzò. Poi, siccome nessuno le rispondeva e restavano, anzi, bloccati nella stessa posizione, sembrò ripensarci. Gonfiò le guance e strabuzzò gli occhi. “Non mi direte che non avete ancora consumato il matrimonio!” Si aggrappò al mobile più vicino e cominciò a sventolarsi il viso con la mano mentre, finalmente, Berenilde si voltava verso di loro.

“Thorn! Spero che sia solo un altro dei vaneggi di Roseline!” esclamò, ugualmente scandalizzata.

Il nipote tentò di incenerirla con lo sguardo e trattenne a fatica gli Artigli che mai avrebbe pensato di utilizzare su di lei. “Non che siano affari vostri, zia,” sibilò gelido facendo rabbrividire anche Ofelia, “ma se non avessimo consumato il matrimonio la nostra unione sarebbe già stata considerata nulla. Ora, vorrei che questa fosse l’ultima volta che venga fatto alcun riferimento alla nostra intimità poiché è un argomento destinato a noi due e nessun altro.”

Roseline sembrò riprendersi dopo quest’ultime parole. “Oh, meno male. Ofelia, non aveva un quasi mancamento del genere da quando siamo giunti per la prima volta al Polo in seguito al tuo fidanzamento. Ti sembra il causo di farmi quasi morire di crepacuore a causa di un po’ di imbarazzo?” lanciò un’occhiata severa alla figlioccia che, però, era troppo occupata a trattenere le lacrime per poterle dare una risposta.

“Insomma, cara, dovrai abituarti. L’intimità di una coppia e i figli che ne seguono sono le tematiche più gettonate nei fumoir; le dame amano impicciarsi delle vite altrui. Thorn ricorderà ancora tutte le voci che si diffondevano ogni volta che Irina, la moglie di Godefroy, aveva un aborto spontaneo.” Scosse la testa, quasi incredula. “Se vuoi essere ben accetta in questa società, soprattutto dopo che il titolo nobiliare di Thorn verrà confermato, dovrai frequentarli ed essere parte attiva delle nostre conversazioni.”

“Vorrà dire che Ofelia non parteciperà; non è comunque qualcosa a cui è mai stata interessata,” tagliò corto Thorn che stava seriamente cominciando a scocciarsi. Voleva restare quanto prima solo con Ofelia e liberarsi delle due donne che stavano solo peggiorando la situazione. “Avete detto voi stessa che la società è cambiata e che certe cose non hanno più importanza — non che ne avessero davvero prima —, dubito che sentiranno la mancanza di mia moglie.”

Berenilde trattenne il fiato. “Non vorrai dire sul serio, Thorn. C’è tanto di cui dobbiamo occuparci ora e-”

“Avete ragione, c’è tanto da fare e sapete bene quanto non mi piaccia sprecare tempo in inutili chiacchiere. Mi sembra di averlo fatto già abbastanza per oggi. Vi ringrazio per il piccolo tour, ma ora io e Ofelia vorremmo riposare prima di essere richiamati per la cena. Vi chiederei di lasciarci da soli per darci modo di rinfrescarci prima del pasto. Grazie,” concluse con finalità e continuando a lanciare occhiatacce minacciose alla zia.

Vittoria ridacchiò nel sentire il cugino così serio, per nulla spaventata, e poi prese per mano sia la madre che Roseline, strattonandole e spingendole verso l’uscita. Entrambe sbuffarono impettite e sconvolte. “Sono contenta di notare che non sei poi cambiato così tanto,” proclamò Berenilde che era infastidita da quell’atteggiamento, “ma immagino che il lungo viaggio e il cambiamento abbia influenzato i vostri nervi e il vostro umore. Dimenticherò, dunque, questa piccola discussione e vi lascerò il tempo per riprendervi prima della cena. Farò sì che una domestica venga a chiamarvi quando tutto sarà pronto.” E detto ciò si lasciò portare via dalla figlia.

Era chiaramente un’altra di quelle discussioni in cui zia e nipote non volevano darla vinta all’altro. Era un peccato, pensò Thorn, perché questa volta Berenilde avrebbe difficilmente ottenuto ciò che pretendeva.

Quando le porte si chiusero dietro di loro e i passi non furono più udibili da dentro la stanza, Ofelia si accasciò sul letto e portò le mani alle labbra, esibendo due occhi colmi di lacrime che rifiutavano di cadere. Thorn l’affiancò immediatamente e la strinse in abbraccio, rimanendo in silenzio fino a che lei non fu pronta a parlare. I singhiozzi silenziosi di Ofelia riempirono per un po’ la stanza mentre la gioia che i due avevano provato nel tornare a casa si affievoliva e i dubbi che avevano a lungo lottato riaffioravano. Senza saperlo, entrambi stavano riflettendo sulla propria incapacità di dare all’altro ciò che pensavano desiderasse, abbattuti all’idea di non essere davvero abbastanza.

“Io-” cominciò Ofelia, “Io mi ero dimenticata che le nostre zie avrebbero potuto presto riportare a luce questo particolare. Sono stata troppo presa da questa bolla in cui abbiamo vissuto finora, un’ingenua. Era ovvio che non tutto sarebbe stato così perfetto. Non volevo metterti subito di fronte a questa eventualità e ricordare che io non posso-” Ingoiò il resto della frase, incapace di terminarla e chiuse gli occhi, tentando di non farsi prendere dal panico.

Nel sentirla, Thorn si irrigidì. Cosa voleva davvero dire? Intendeva che non aveva mai creduto di poter essere davvero felice con lui? “Mi stai dicendo che tutto ciò è accaduto e abbiamo affrontato finora è stato una bugia?” le chiese subito, diretto.

Ofelia sussultò in risposta. “No, io... no!” riaprì gli occhi e sollevò il viso per incrociare quelli del marito. “Solo che... mentre eravamo presi da altri problemi, questo è passato in secondo piano. Ma ora dobbiamo riprendere la nostra vita, crearci una quotidianità e io non posso nemmeno darti ciò che dovrebbe essere normale, scontato!” esclamò arrabbiata con sé e non riuscendo più a trattenere le lacrime mentre un tremito la scuoteva tutta. Thorn la strinse di nuovo tra le braccia per controllarlo.

“Mi sembra di aver ripetuto più volte, prima e poi dello scontro con l’Altro, che ho a cuore una sola cosa: te, Ofelia. Non ho mai...” si schiarì la gola e cercò di ricomparsi per evitare che le emozioni potessero interrompere quel discorso. “Non ti ho mai dato modo di pensare che non fossi abbastanza per com’eri. Ho fatto di tutto per rendermi indispensabile e darti ciò che mi era possibile; ti ho promesso, prima di partire, che questo sarebbe stato il mio obiettivo. Non mi importa di ciò che non puoi darmi — perché non è l’essere in grado di avere figli ciò che mi ha fatto innamorare di te o a dirmi che sei la persona che voglio accanto. Ma quando crolli così, davanti a me, credendo di sapere cosa io davvero desideri o che io possa ritenerti colpevole per una cosa del genere mi ferisci, Ofelia. Il solo chiedermi scusa mi ferisce. Pensavo avessimo stabilito che siamo abbastanza l’uno per l’altro così come siamo e di affrontare ciò che la vita ci manda insieme per non replicare gli errori del passato.” Era così serio mentre parlava che se non lo avesse conosciuto così bene Ofelia non avrebbe potuto riconoscere il dolore che nascondeva nei suoi occhi chiari.

E senza nemmeno volerlo, nel tentativo di scusarsi per qualcosa che, in fondo, sapeva non era colpa sua, Ofelia lo aveva ferito e aveva anche smentito promesse che si erano fatte. Alzò le braccia più che poteva e con le mani gli prese a coppa il viso, costringendo lui ad abbassare il suo così che fossero ancora più vicini. “No, no, perché dobbiamo sempre fraintenderci quando ciò che vogliamo è sempre la stessa cosa? Mi dispiace aver dimenticato qualcosa del genere e averne date per scontate altre. È solo che il discorso di tua zia mi ha preso in contropiede e mi ha destabilizzata. Ma io voglio solo renderti felice, Thorn.”

Lui strinse la presa sui suoi fianchi e la guardò intensamente. “È ciò che più desidero anch’io; più di qualsiasi altra cosa. Non mi interessa altro.”

“Non lascerò che i bisogni degli altri interferiscano con i nostri. Ma, ti prego, semmai qualcosa non ti andrà bene, se avessi bisogno di altro... io voglio saperlo.” Un’ultima lacrima solitaria le solcò la guancia, ma avendo le mani occupate, Ofelia non se ne curò.

Thorn annuì. “E tu? Lo farai? Me lo dirai quando il desiderio di essere madre ti renderà triste o fingerai che non sia nulla solo per paura di ferirmi?” I suoi occhi le diedero l’impressione di scrutarle direttamente nell’anima.

Trattenne il fiato. “Non succederà,” assicurò.

Lui la guardò serio, infastidito dalla sua testardaggine. “Promettilo.”

“Io-”

“Ofelia,” ripeté suonando più severo che mai.

Infine, lei annuì. “Io sto bene con te, Thorn; non ho bisogno di altro.” L’uomo prese un grande respiro, tentando, allo stesso tempo, di lasciar perdere qualsiasi insicurezza avesse a riguardo e poi replicò il cenno del capo. “Ma questa conversazione oggi, tra me e te, ci ha ricordato che non sempre tutto andrò bene e che vecchie paure riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo. Grazie, Thorn, grazie per aver capito subito ciò di cui avevo bisogno.” Si avvicinò ancora — quanto più poteva senza diventare un tutt’uno — e lo baciò, lasciando che gli incubi si dissolvessero mentre entrambi avevano gli occhi chiusi.

“L’ho fatto,” disse lui, più a sé che a Ofelia.

“Spero solo che la nostra famiglia reagisca bene a questa notizia quando saremo pronti a rivelarla.” Si mordicchiò il labbro, contemplativa, sapendo già che era una battaglia persa in partenza.

“Impareranno,” commentò duro Thorn, il quale non aveva ancora superato la rabbia data dall’intromissione della zia. “Questa è una cosa che riguarda me e te, non un clan ormai morto che non mi ha mai accettato. Ora, non lasciamo che l’argomento ci rovini il resto di questa giornata e non sprechiamo altro tempo in questioni che non siamo pronti ad affrontare.” Le passò il pollice sulla guancia bagnata, asciugandola, e poi la lasciò andare, alzandosi un secondo dopo. Raddrizzò la lunga schiena dorsale e poi si diresse verso le loro valigie non ancora disfatte. “Sarà presto ora di cena e vorrei aver tempo di fare anche ciò che ho detto avremmo fatto,” le ricordò, pratico, mentre le porgeva una borsa.

E Ofelia sorrise, nonostante la tristezza data da ciò che avevano appena discusso aleggiasse ancora un po’ nell’aria. Entrambi avevano imparato a essere percettivi dell‘altro, attenti ai propri umori e bisogni. Aveva detto bene: ci sarebbero stati giorni più tristi e altri in cui avrebbero dubitato di se stessi. Tuttavia, adesso avevano a disposizione i dadi giusti per ribaltare la partita e assicurarsi il risultato desiderato.



 


N/A: Buon giovedì!
Vi chiederete come mai oggi abbia tardato, ma vi dirò che inizialmente mi ero dimenticata di dover aggiornare 🤣 poi tra mancanza di sonno e mal di testa ho impiegato una vita a fare l'ultima revisione, visto anche che continuavo a cambiare cose. Spero di non essermi lasciata refusi per la strada; tornerò a controllare, ma nel frattempo, chiedo venia.
Tornando al contenuto del capitolo, non tutto è andato liscio come l'olio e nemmeno io mi aspettavo alcune cose che sono accadute, ma ricordiamoci che Thorn e Ofelia pur avendo fatto molto, sono sempre umani con un passato alla spalle, passato che può sempre tornare a tormentarli quindi l'ultima scena è da considerarsi normale. Detto questo, ci sono ancora un po' di cose che devono accadere e, ovviamente, non riuscirò più a finire tutto entro due capitoli come mi ero prefissata; per il momento posso assicurarvi almeno cinque capitoli.

Vi abbraccio come sempre per essere arrivati fin qua e per l'affetto che lasciate dietro. A prestissimo! 💖

   
 
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