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Autore: kagsvibes    21/05/2022    3 recensioni
[BakuDeku] Angst. One-shot. Quirkless! AU.
Un cuore spezzato e una pagina di Word vuota.
Tratto dalla storia:
Mi aveva detto che l'amore vero era un sentimento che non finiva mai.
Me ne aveva parlato come se fosse qualcosa che non poteva essere visto o toccato a mani nude, e mentre me lo disse sembrava smarrita nelle sue parole, eppure sembrava felice. Solo dopo capii che parlava di papà.
All'epoca mi ero fidato di mamma. Questo è quello che fanno i bambini di cinque anni al giorno d'oggi – fidarsi ciecamente dei propri genitori, qualunque cosa essi dicano – ed è proprio quello che feci io.
Così, mi rimboccai le maniche e mi misi alla ricerca del mio vero amore.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Love, love, love


«L'amore non è altro che dolore.
Il dolore rende debole.
E io odio essere debole.»


Che cos'è l'amore?
Una stronzata. Ecco cos'è.
E non lo dico solo perché non so che risposta dare.
Dico che l'amore è una stronzata perché alla fine ci rimani solo deluso. Deluso da te stesso, dalla persona con cui eri nella relazione, da quello che hai promesso e non hai mantenuto, dalle parole non dette, dai gesti non compiuti.
Quando ho chiesto per la prima volta a mia madre cosa fosse l'amore avevo cinque anni.
Avevo sentito ragazzini più grandi parlarne all'intervallo, e ricordo che quando uno di loro aveva annunciato di essersi innamorato di una ragazza di un'altra classe, i suoi compagni si misero a ridere.
Io non ci avevo trovato nulla di divertente, sinceramente, non capendo il significato di quella parola così misteriosa e difficile da pronunciare per un moccioso.
Comunque, mi ero messo in testa di dover chiedere a mia madre come ci si sentisse ad essere innamorati, e con quell'obiettivo in testa continuai normalmente la mia giornata.
Papà mi era venuto a prendere quel giorno, accogliendomi nell'auto con un dolce sorriso e un bacio scoccato sulla mia guancia. La pulii subito, e lui rise.
«Com'è andata?» mi chiese lui, facendo ripartire la macchina, avviandola verso casa.
«Era okay», risposi guardando fuori dal finestrino, osservando la luce del giorno con il sole come protagonista alto nel cielo, mentre sentii la mano di mio padre insinuarsi nei miei capelli biondi, accarezzandoli, una risata in accompagnamento.
Mio padre rideva sempre.
Io non ridevo – e non rido – molto frequentemente, anzi, a dirla tutta rido davvero per poche cose, e la maggior parte delle volte è perché qualcuno si fa male.
Quel qualcuno lo intravidi attraversare la porta di casa mano nella mano con la madre, i riccioli verdi spettinati come mai e lo zaino che gli pendeva dalle spalle, la donna dai capelli verdi che gli sorrideva e gli lasciava la mano per prendere dalla borsetta le chiavi di casa.
Ecco, quello non mi faceva ridere. Rimasi con il broncio per il resto del viaggio.
Una volta rientrato a casa, levai subito le scarpe e buttai da qualche parte del corridoio lo zaino che conteneva soltanto dei pastelli colorati all'interno dell'astuccio, e per poco non inciampai sulle scale per tutta la fretta che stavo avendo.
Intravidi dei ciuffi biondi dietro il bancone della cucina: mia madre stava cucinando ed era la mia occasione per porle la domanda che mi frullava in testa da quella mattina.
«Mamma!» esclamai prima di raggiungerla, tirandola dal grembiule rosato che aveva.
Si voltò subito e mi sorrise, si accovacciò e mi prese da sotto le ascelle, alzandomi e facendomi sedere sul bancone in marmo.
«Katsuki! Com'è andata a s–»
«Che cos'è l'amore?» la interruppi, non riuscendo più ad aspettare.
Lei mi guardò stupita per un attimo, ma poi si sciolse e il suo sorriso tornò, «Sei innamorato, piccolo?»
Corrucciai le sopracciglia e mi sentii anche un po' offeso, «Ma se ti ho appena chiesto cosa significa...» Poi ghignai soddisfatto nel realizzare una cosa, «Non mi rispondi perché non sai nemmeno tu cos'è l'amore, vero?»
Lei rise e basta, e quando parlò, le mie mani presero a tremare, la mascella penzolava e gli occhi brillavano dalla curiosità mentre mia madre mi dava una nuova informazione.
Mi aveva detto che l'amore vero era un sentimento che non finiva mai.
Me ne aveva parlato come se fosse qualcosa che non poteva essere visto o toccato a mani nude, e mentre me lo disse sembrava smarrita nelle sue parole, eppure sembrava felice. Solo dopo capii che parlava di papà.
All'epoca mi ero fidato di mamma. Questo è quello che fanno i bambini di cinque anni al giorno d'oggi – fidarsi ciecamente dei propri genitori, qualunque cosa essi dicano – ed è proprio quello che feci io.
Così, mi rimboccai le maniche e mi misi alla ricerca del mio vero amore.
Lo cercavo nel giardino di casa e nel cortile di scuola, nel parco dietro l'angolo dove andavo a giocare con i miei amici – se così potevano chiamarsi –, dentro i tronchi degli alberi vuoti, dentro le tasche, le scarpe.
Non lo trovai.
Ero così dannatamente arrabbiato con me stesso. Ero – e sono – il migliore, perché diamine non riuscivo a trovare qualcosa di così piccolo e stupido come l'amore?
Non stai facendo abbastanza, mi dicevo. Prova più duramente, continuavo a dire a me stesso ancora e ancora, fino a che un giorno non scoppiai.
Cazzo, come dimenticarsela la notte del mio ottavo compleanno.
Avevo festeggiato con quel paio di marmocchi che consideravo amici e i miei genitori, i parenti vennero a salutare più tardi, e una volta che tutti se ne andarono, stavo finendo di sistemare gli ultimi regali nella mia stanza, quando sentii un bussare alla finestra.
Mi voltai, pensando di essermelo immaginato, e scossi la testa, tornando a posizionare i nuovi vestiti all'interno dell'armadio.
Bussarono un'altra volta.
Spazientito – più per non dire spaventato – mi diressi verso la finestra e subito sentii il fruscio delle foglie alzarsi nel silenzio della notte, seguito dal rumore di leggeri passi che correvano via.
Aprii la finestra e guardai in basso.
Oh. Era l'unica cosa che mi veniva da dire.
Presi i pezzi di carta tra le mani, me li strinsi al petto dopo averli letti e guardati per bene, e mi resi conto di essere il più grande degli idioti.
Avevo cercato l'amore per così, così tanto, mi ero incasinato la testa e avevo messo a soqquadro la camera, e l'amore ce l'avevo avuto davanti agli occhi per tutto il tempo.
La verità era che avevo paura di non meritarlo, quel sentimento tanto prezioso che precedentemente chiamavo insignificante. Non era l'unica cosa che chiamavo insignificante.
C'era un ragazzo – un bambino – che mi aveva fatto perdere la testa dalla prima volta in cui ci eravamo visti. Era così piccolo in confronto a me, così insignificante, così... così adorabile.
Così adorabile e delicato che avevo paura che io fossi l'unica cosa da cui non potevo proteggerlo. E allora lo spingevo. Lo insultavo. Lo istigavo. Maltrattavo pesantemente una cosa così dolce e indifesa che non mi rendevo nemmeno conto che il mio cuore piangeva ad ogni pugno.
Lui, con quelle sue guance paffute ricoperte dalla più bella delle costellazioni.
Lui, con quegli occhi verdi che se ti catturavano non ti lasciavano più andare.
Lui, con quelle mani soffici e calde che avrei sempre voluto stringere.
Izuku, che quella notte bussò alla mia finestra portandomi il regalo del compleanno perché non lo avevo invitato alla festa.
C'erano esattamente tre foglietti sul davanzale.
Il primo, una figurina di edizione limitata di All Might, che solo Dio sa quanto l'avessi cercata.
Il secondo, un piccolo bigliettino con scritto in brutta calligrafia: Tanti auguri, Kacchan!
E il terzo. Una fotografia mia e sua, all'età di quattro anni, mano nella mano, sorridenti e spensierati.
Ero innamorato di Izuku sin quando mi era possibile ricordare. E lo sono ancora.
Mamma mi disse che l'amore vero non finiva, e aveva detto la verità.
Ma con il passare del tempo, ho imparato anche un altro paio di cose.
L'amore è come una magia. Viene, ti colpisce e tu ne rimani incantato e intrappolato per diverso tempo, ma non sempre ne esci, e se ne esci, allora dovresti ritenerti fortunato. Perché se l'amore è come una magia e la magia è tutta un'illusione, allora anche il cosiddetto amore lo è.
Forse era la tua risata, o i tuoi occhi, o il tuo sorriso, o forse erano i tuoi capelli, o la tua voce, o la tua personalità, o il tuo intero fottuto essere, non lo so, qualunque cosa fosse mi ha fatto innamorare veramente, veramente tanto.
Lo sai, Izuku, credo di averti amato così tanto che non ero nemmeno arrabbiato con te quando mi hai frantumato l'anima, ho solo provato a guardare dal tuo punto di vista ed ho cercato di essere d'accordo con te.
Perché avevo bisogno di te.
Così, quando ti ho visto baciare Todoroki sotto la pioggia al primo anno, mi sono chiesto: che cos'ha lui che io non ho?
La domanda che dovevo farmi è cosa ti ho fatto io che lui non ha fatto?
La sappiamo già la risposta a questa domanda. La sai tu, la so io. Per quanto ne so potrebbe saperla anche il bastardo a metà ormai.
Alla fine mi hai insegnato che non avevo bisogno di nessuno.
Mi hai insegnato a vivere da solo perché nessuno rimane per sempre.
Qualche giorno dopo mi hai detto che eri al settimo cielo con Todoroki. Avrei dovuto essere felice per te, e ti giuro che mi sento in colpa per non averti dato altro che un annuire della testa.
Passò un mese. Poi due. E poi tre. Non riuscivo a dimenticarti.
Non riuscivo a levarti dalla mia cazzo di testa, e quando hai bussato contro la mia porta del dormitorio in lacrime dicendomi che Todoroki aveva rotto con te per via di Yaoyorozu, per un momento non ci vidi più dalla rabbia. E poi,
E poi, oh. Mi sono reso conto.
Se un tuo amico rompe o litiga con il suo partner cosa fai?
Lo porti a bere.
O lo distrai.
Scelsi la seconda opzione, e mentre tu continuavi a blaterare che lo odiavi da morire, con un sorriso poco rassicurante ti mormorai all'orecchio, «Parli troppo», mi guardasti negli occhi e le tue pupille si dilatarono, «Saprei ben io come usare quella bocca.»
Quella notte ti presi come se ti avessi aspettato da tutta la vita, e a pensarci è vero.
Quando finimmo mi guardasti dentro l'anima, e senza dire niente, i tuoi occhi parlarono per te.
Grazie.
Dico che l'amore è una stronzata perché il giorno dopo in classe ti ritrovai mano nella mano con Todoroki. Come se non fosse successo niente. Come se non mi avessi detto niente. Come se io fossi niente.
E allora capii che quando per me il tuo nome era il titolo del libro, per te il mio era solo una parola nei tanti capitoli.
Non ci parliamo da quattro anni, Izuku. Mi manchi. Ma questo non devi saperlo.
Ti amo ancora. Non c'è bisogno che tu sappia di questo nemmeno.
E dopo questo monologo interiore, la pagina di Word per un lavoro da consegnare all'università è ancora vuota, e quella riga che continua a lampeggiare mi sta dando sui nervi.
Dimentica ciò che ho detto fino ad ora. Ti odio, stupido Deku.

   
 
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