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Autore: Darty    22/05/2022    14 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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You promised me
the ending would be clear
You’d let me know
when the time was now
Don’t let me know
when you’re opening the door
Stab me in the dark,
let me disappear

(David Bowie, Bring me the Disco King)

https://www.youtube.com/watch?v=h3PHnLR_LWk

 

 

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting / “Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore! /Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken! / Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door! /Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”

Quoth the Raven “Nevermore.”

(Edgar Allan Poe, The Raven)


 

Non è nulla André” disse Oscar, mentre lui sollecito tamponava con un fazzoletto i graffi degli artigli. “Perderò qualcosa di importante?”, si interrogò in silenzio, il cuore trafitto da un doloroso presentimento.

Salutarono Lazzaro e Domenico, diretti a Pera, ospiti del bailo veneziano a Costantinopoli. I due studiosi avrebbero alloggiato nel Palazzo della Repubblica di Venezia, sul fianco orientale della collina di Pera, l'antico quartiere un tempo fondato dai genovesi, dove gli occidentali in gran parte risiedevano.

Lì avrebbero potuto sempre trovarli, si raccomandò Lazzaro. Che non esitassero a rivolgersi a loro in caso di necessità, qualunque fossero gli affari che li portavano a Costantinopoli.

Non avete voluto rivelarceli, ma posso capire il vostro riserbo” aveva continuato Lazzaro, mentre salutava André, con una pacca sulla spalla. “Ordini segretissimi della famiglia reale di Francia, scommetto...”, gli aveva sussurrato nell'orecchio, palesando un'insolita complicità.

Non era poi tanto lontano dalla verità, pensò amaramente André.

Non credo che avranno bisogno di noi, Lazzaro”, intervenne Domenico. “I nostri amici sono francesi, non dimenticarlo. E qui i francesi comandano”. “Tuttavia ...”, aggiunse fissando intensamente Oscar “Se questo per voi non valesse, cercateci. Sono buon amico dell'ambasciatore britannico Sir Robert Ainslie. Voi ci avete salvato la vita, Mademoiselle”, disse accennando un inchino: “io questo non lo dimenticherò. Mai!

Quando Lazzaro e Domenico sbarcarono, restarono soli.

La loro destinazione in città era diversa. Stamboul, la città antica, dall'altro lato del Corno d'Oro. In mano André stringeva una lettera consegnata da Monsieur Fabre a Candia, che indicava il loro asilo in quella terra straniera.

Una seconda lettera di raccomandazione avrebbe loro consentito di accedere al Palazzo del Sultano. L'ultima lettera, ancora chiusa e sigillata con una ceralacca nera, li avrebbe fatti ammettere alla corte di Rabi'a Semi Sultana. La Valide Sultan, la madre del sultano.

Monsieur Fabre li indirizzava in un quartiere sorto dentro le mura erette dall'Imperatore Costantino ed affacciato sul mare, il quartiere greco di Phanári, dove avrebbero trovato asilo presso Gerasimos Zervas, un mercante originario dell'isola di Citéra, con il quale era in affari da anni.

La casa era signorile, un palazzotto in pietra che all'interno custodiva un ampio giardino quadrato, ma era circondato da strette viuzze e case in legno, molte delle quali mostravano ancora traccia di incendi recenti.

Poco distante, lungo la salita che dal Corno d'oro portava alla loro destinazione, avevano scorto una chiesa bizantina, Santa Maria dei Mongoli, ancora dedicata al culto cristiano ortodosso, gli avrebbe spiegato il giorno dopo il padrone di casa. I turchi la chiamavano Kanlı Kilise "Chiesa sanguinante”.

Era ormai notte fonda quando arrivarono. Il loro ospite, Gerasimos Zervas, parlava correntemente francese. Avrebbe fornito loro vitto ed alloggio; non avrebbe dovuto chiedere o dire nulla di più. Questi erano gli accordi.

I servitori del mercante li avevano accompagnati nelle loro stanze. Avevano preparato per loro la sala da bagno, apparecchiato un frugale pasto, lasciato vesti pulite e poi si erano congedati. Altri servitori sarebbero andati a ritirare i loro bagagli, che avevano lasciato in deposito nei pressi della Porta Phari.

Finalmente sulla terra ferma, in una casa vera, dopo settimane di navigazione, di sale e di mare, così vicini alla loro insidiosa meta, ma ancora apparentemente al sicuro, Oscar e André, si abbandonarono a loro stessi.

Parve loro di essere tornati a Palazzo Jarjayes. Non per gli arredi e l'architettura, troppo diversi. Ma per la calma quiete che nella notte li aveva avvolti, nella luce tremolante delle candele.

In silenzio e con religioso rispetto André aveva spogliato la sua Oscar, sollevando vesti e sciogliendo fasce. Porgendole la mano l'aveva condotta alla vasca, colma d'acqua tiepida.

Con un pezzo di sapone, dal profumo sconosciuto, l'aveva ricoperta di morbida schiuma e le aveva lavato con delicatezza i corti capelli biondi.

Allora Oscar aveva proteso le sue braccia verso di lui. Altre vesti erano cadute sulle piastrelle di ceramica bianca e blu di İznik.

E così era entrato anche André, in quel giaciglio d'acqua, mentre Oscar arrossiva e distoglieva lo sguardo.

Seduto davanti a lei, le aveva accarezzato e sollevato il mento ed aveva iniziato a baciarla, lentamente, senza urgenza, senza foga.

Oscar stringeva le sue gambe snelle, cingendo i fianchi muscolosi di André, socchiudendo gli occhi, reclinando la testa indietro, abbandonata al piacere lento che André le donava, affondando sempre di più nella sua carne.

Di certo quello a palazzo Jarjayes non era mai accaduto, e forse mai sarebbe potuto accadere.

Ma poi, proprio come usavano fare a palazzo Jarjayes si erano seduti vicini, l'uno di fronte all'altro, a sorseggiare una bevanda calda.

Solo che non erano vestiti, ma sommariamente avvolti in teli di lino grezzo.

Lui come sempre la guardava, un po' di sottecchi.

Quante volte mi hai guardato di nascosto, André, cercando di celare l'amore che provavi per me?” si domandò Oscar.

A cosa stai pensando Oscar?

Cosa avresti fatto, André, se … ecco ...”, non ebbe il coraggio di concludere la frase.

Sorrise André. Che la domanda inespressa l'aveva intuita benissimo. “Quello che ho sempre fatto. Avrei continuato a stare al tuo fianco Oscar, appena un passo indietro … anche se tu non mi avessi amato.”

Si soffre molto ad amare senza essere riamati.”

Sì, si soffre immensamente Oscar. E anche tu lo sai... Ma ogni cicatrice rende più forte.”

Le afferrò piano il polso esile e con due dita percorse lieve la cicatrice bianca che sfregiava appena il suo braccio sinistro.

E l'amore vero resiste, lo sai, anche quando tace”, le aveva sussurrato all'orecchio, cingendola fra le sue braccia.

I teli di lino erano caduti. Una nuova danza era iniziata. Ed ogni volta era come la prima volta.

Tra loro ogni volta era una nuova scoperta.

* * *

Il giorno successivo, di buon'ora, si erano diretti al Palazzo del Sultano. Erano ripassati nei pressi della chiesa ortodossa, ma ora ne conoscevano la storia.

Il padrone di casa, a colazione, gli aveva raccontato che il 29 maggio 1453, il giorno della caduta di Costantinopoli, nei dintorni di quella chiesa si era combattuta l'ultima disperata resistenza dei Greci contro gli ottomani invasori. Quel ricordo le dava quel triste soprannome di Kanlı Kilise "Chiesa sanguinante”.

E la strada che conduceva da lì al mare era ancora chiamata dai turchi la Salita dell'Alfiere, in memoria dei soldati ottomani che, anche loro, vi avevano trovato la morte combattendo.

In lei bruciava il fuoco della battaglia, ed il coraggio non le sarebbe mai mancato, questo l'aveva sempre saputo, André.

Ma sapeva anche che quella storia di guerra e di sangue l'aveva resa inquieta.

E che Oscar non aveva nessuna voglia di perseguitare un ignaro e sconosciuto conte, solo perché inviso al Duca d'Orleans.

Perciò, mentre lo sguardo di Oscar indugiava su quella chiesa e sulla piccola cupola centrale racchiusa da una torre, che svettava verso il cielo, aveva mormorato piano: “Ti ricordi Oscar, Giulio Cesare, quando varcò il Rubicone?

Vuoi forse dirmi che il dado è tratto, André? Lo so …

Scosse la testa André: “Già, ma non abbiamo cercato noi tutto questo. 'Andiamo dove ci chiamano i segnali degli dei e l'iniquità dei nostri nemici.'1

Annuì, Oscar. Ma pensando a Giulio Cesare, in cuor suo, temeva piuttosto le Idi di marzo. Temeva il ritorno in patria. Temeva il Senato ed i suoi senatori. La seconda condizione.

Gli aveva ripetuto che lo amava. Ma lo aveva dimostrato abbastanza? Lo amava con tutto il cuore, davvero, il suo André. Se fosse morta, lui almeno l'avrebbe saputo, di essere stato amato così tanto?

Se fosse morto lui invece..., ed il solo pensiero la straziava, lei lo avrebbe seguito dall'altra parte.

Dissimulò il suo dolore, anche lei era brava a celare i suoi sentimenti. E rispose risoluta. “Affrettiamoci André!”

Ma gli occhi non mentivano ed André se ne avvide. Immancabilmente.

Il sole era alto quando dopo un lungo percorso attraverso la città, varcarono i cancelli del Palazzo del Saray-ı Cedîd-i Âmire. Il Serraglio del Sultano, a nord est della moschea di Aya Sofya.

Non sapevano esattamente cosa aspettarsi, ma non furono delusi.

Non era una reggia splendente di palazzi, marmi lucenti e viali fioriti, come Versailles.

Era un insieme disarmonico di padiglioni, cortili, passaggi, fontane, chioschi, alberi e colonnati, affascinante come certe creature dei bestiari medioevali.

Varcata la prima soglia, attraverso la Saltanat Kapısı, il Cancello dell'Imperatore, la lettera di raccomandazione consegnata da Monsieur Fabre aveva consentito loro di accedere al Primo cortile, il Cortile delle parate, cinto da alte mura, con un parco digradante verso il mare, dove i giannizzeri marciavano compatti in alta uniforme.

Erano stati accompagnati da due baltacılar, alabardieri della guardia di palazzo, attraverso l'Orta Kapı, il Cancello di Mezzo, una tozza struttura fortificata, racchiusa da due torrioni ottagonali, accedendo al Secondo cortile, la Divan Meydanı, la Piazza del Consiglio, che ospitava il cuore dell'apparato burocratico della Sublime Porta.

Solo allora, alla presenza di un dragomanno, con un secco colpo di lama, era stata aperta la lettera sigillata con la ceralacca nera. Il testo era vergato in turco. Il dragomanno non aveva avuto cura di tradurla per i latori che presumeva dovessero conoscerne il contenuto.

Ma Oscar e André ne erano all'oscuro.

Un messo era stato inviato.

Il cuore batteva accelerato, lo sentiva in gola, Oscar.

Mentre André nervosamente osservava le espressioni del dragomanno e delle guardie intorno a loro, cercando di intuirne pensieri ed intenzioni.

Dopo una interminabile mezz'ora, due eunuchi neri erano arrivati. Il dragomanno aveva tradotto in francese: il Kızlar Ağası, il "Maestro delle Fanciulle", l'Eunuco a capo dell'Harem, agli ordini diretti della Sultana, li avrebbe ricevuti immediatamente.

Fu così che, scortati dai due eunuchi, dalla pelle straordinariamente lucida e nera, enormi ed alti poco meno di André, furono condotti lungo una galleria, fino ad una specie di chiostro coperto, rinfrescato da una fontana zampillante.

Il Kızlar Ağası li attendeva, mollemente seduto, sorretto da morbidi cuscini, su un lungo divano, basso e rettangolare, foderato di seta del colore dei fiori di senape. Con un gesto aveva congedato gli eunuchi.

Era sontuosamente abbigliato con una lunga tunica rossa, un mantello nero foderato di bianco ed un turbante rosso, cinto di un serico bianco che spiccava sulla carnagione più nera della notte.

Li aveva scrutati a lungo. Talora abbassava lo sguardo, per rileggere la lettera e poi alzava nuovamente gli occhi, osservandoli obliquamente, come un gatto con la sua preda. E la sua preda preferita sembrava Oscar.

Oscar pensava e ripensava al suo aspetto. Un lungo caffettano di damasco blu, accollato fino al mento, che celava qualunque forma. Un tricorno, per non nascondere le sue origini europee, i capelli biondi, ma corti.

Il suo inganno era stato forse smascherato?

Infine, in un incerto francese, guardandoli da sotto in su, senza consentir loro di sedersi, il Kızlar Ağası, rivolse loro la parola.

Conte de Saint e Monsieur Preux. Questa lettera vi introduce a Corte. Ma ovviamente non potrete accedere al Serraglio. Dunque, per conto della mia Sultana devo chiedervi: cosa vi porta qui?

Era stato André a rispondere, battendo sul tempo Oscar, preoccupato che il timbro della voce di Oscar non potesse beffare l'eunuco.

Dobbiamo conferire con Leopoldo Giorgio Rákóczi.

Non sfuggì ad Oscar l'espressione di puro odio, che quel nome aveva suscitato.

Per conto di Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona”, aggiunse ancora André.

* * *

Domani.” Così aveva sentenziato l'Eunuco a capo dell'Harem. L'indomani, se la Valide Sultan avesse acconsentito, avrebbero potuto incontrare in quello stesso chiostro Leopoldo Rákóczi.

Ma, come d'uso, avrebbero dovuto dismettere le loro vesti. Indossarne di nuove. Che non si poteva portare armi o arrecare nocumento ai consiglieri della Sublime Porta.

E così Oscar e André erano tornati in fretta a Phanári, trattenendosi a stento dal litigare in pubblico.

Perché quello che, con noncuranza, aveva detto l'eunuco, cambiava tutto. Oscar non poteva entrare a palazzo e spogliarsi delle sue vesti, senza tradirsi. Ma per Oscar era inaccettabile separarsi da André.

Perché André doveva tornare da solo per incontrare Rákóczi.

E su questo contava il Kızlar Ağası.

Lascivamente adagiato sui cuscini di seta, ripensava agli occhi azzurri come il mare del francese che, per non farsi scoprire, non aveva proferito verbo. Ma che presto avrebbe arricchito la collezione di fanciulle dell'harem del sultano.

Sciocchi, come pensavano di ingannarmi? Di ingannare me!”, si disse, sogghignando. Poi battendo le mani convocò uno schiavo.

Avverti il Capo dei baltacılar: che i suoi uomini seguano e sorveglino di nascosto i due francesi che stanno lasciando il Palazzo. Ed attendano nuovi ordini!

 

E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l'ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo

(Eugenio Montale, Prima del viaggio)

 

1Svetonio, Vita dei Cesari

 
  
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