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Autore: Fiore di Giada    22/05/2022    3 recensioni
Ad un tratto, da una strada laterale , apparve un motociclista, in sella ad una Ducati rossa.
Genzo sbarrò gli occhi, sorpreso. Impallidì.
Poi, strinse le mani sul volante e premette il piede sul freno. No, doveva impedire una tragedia!
L’auto, tuttavia, non si fermò e investì la Ducati.
La moto cadde e il corpo del motociclista venne sbalzato a diversi metri di distanza.
L’energia dell’impatto piegò il metallo del paraurti e il parabrezza, con un forte scricchiolio, si infranse.
Il braccio destro del giovane si piegò in un angolo innaturale e l’osso squarciò la pelle.
Poco dopo, l’atleta nipponico si accasciò sul volante, quasi privo di conoscenza. Era dunque finita?
Sarebbero morti insieme?
La BMW, con un lungo, fastidioso stridio, si fermò, lasciando lunghi solchi sull'asfalto, simili a nere ferite.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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L'aereo si dirigeva verso Stoccarda, lasciando dietro di sé una coda di condensa.
Genzo, seduto vicino al finestrino, fissava il cielo. Quattro lunghi, terribili mesi erano trascorsi da quell'incidente.
Poteva riprendere a giocare a calcio.
Eppure, non era completamente sereno.
Il suo corpo era tornato in piena efficienza?
Non devo pensarci. Il mio unico pensiero deve essere la partita., si disse. Era uscito da un infortunio e doveva affrontare lo Stoccarda in una importante competizione.
I suoi pensieri e le sue energie dovevano focalizzarsi sui loro avversari.
Eppure, perché quel senso d'angoscia non si allontanava?
Con un sospiro, aprì la borsa prese Guerra e pace e lo aprì.

‒ Non fingere di leggere! Anche un cieco capisce che in questo momento hai la testa da tutt'altra parte! ‒esclamò Hermann.
Karl si tolse le cuffie dalle orecchie e lanciò al compagno uno sguardo perplesso.
Poi, guardò gli altri giocatori, che abbassarono lo sguardo, imbarazzati.
Hermann ringhiò e scosse la testa.
‒ Karl, scendi sul pianeta Terra! Non ti sei accorto che il nostro collega è distratto? ‒ domandò il mediano.
‒ Ti sembra il caso di urlarlo così? Hai la discrezione di un elefante in una cristalleria. ‒ obiettò il centravanti.
Genzo sospirò e abbandonò le mani in grembo.
‒ Non fa niente. Non si può negare la realtà. ‒ dichiarò.
Con gesti delicati, cominciò a sfiorare la copertina del libro, come un padrone affettuoso accarezza un gatto.
‒ Che cosa ti succede? Non sei felice di ricominciare a giocare? ‒ chiese, lo sguardo crucciato.
Il portiere, per alcuni istanti, rimase silenzioso. Cosa avrebbe potuto dire ai suoi compagni?
Non voleva preoccuparli con la sua angoscia, di cui non capiva l'origine.
O forse non voleva capire?

‒ Voglio essere sincero con voi: ho paura. Ho paura di non essere al massimo della forma e di danneggiare la squadra. ‒ confessò. Non voleva gravare su di loro un ulteriore peso.
Tuttavia, poteva svelare una parte della verità.
I due tedeschi corrugarono la fronte, perplessi. Non erano del tutto convinti delle sue parole, ma non desideravano forzarlo.
‒ Tutto qui? Non farti problemi che non esistono. ‒ affermò Karl.
‒ Ti ricordo che è una partita importante. ‒ replicò Genzo.
‒ E' vero, ma non possiamo pretendere la luna da te. Ti sei appena ripreso. ‒ esclamò Hermann.
‒ Ti sei dato alla filosofia? ‒ domandò il centravanti, un sorriso ironico sulle labbra sottili.
‒ No, ho detto solo la verità. E non servono i libri per dire cose così scontate. ‒ replicò il mediano, sarcastico.
Un mezzo sorriso sollevò le labbra dell'asiatico.

Diverso tempo dopo, l'aereo atterrò all'aereoporto Manfred Rommell.
Le porte si aprirono e i giocatori sciamarono all'esterno.
Le nuvole, ad un tratto, coprirono il cielo e, qualche istante dopo, la pioggia cadde, impetuosa, sull'intera struttura.
‒ Fantastico, abbiamo portato la pioggia qui? ‒ esclamò Hermann, irritato.
‒ Non perdiamo tempo e andiamo a recuperare i nostri bagagli. ‒ dichiarò Karl.

Il pullman, diverso tempo dopo, uscì dall'aereoporto e si diresse verso l'hotel Royal.
Genzo, a differenza dei suoi compagni di squadra, che ridevano e scherzavano, leggeva. Era riuscito a recuperare un po' di concentrazione.
Karl ed Hermann, con le loro rassicurazioni, lo avevano liberato di una parte del peso che, da tanto, troppo tempo, opprimeva il suo cuore.
Gli chiedevano il suo solito, forte impegno nella competizione.
E non gli pareva una impresa impossibile.

‒ Porca puttana, ma non hanno altro da fare? ‒ imprecò Hermann.
Tutti interruppero le loro attività e guardarono diritto.
Attorno all'albergo, si erano radunate decine di persone di ogni età, sesso e ceto sociale.
Nelle mani, stringevano dei grandi cartelli, su cui risaltavano, in carattere nero, scritte quali “Morte al mostro asiatico”, “Fuori i complici del mostro”, “Stoccarda non è una galera a cielo aperto”, “Giustizia per un figlio della Germania”.
Un lungo brivido attraversò la schiena di Genzo e le sue mani tremarono. Quelle persone erano lì per lui.
Contestavano la sua presenza.
Vedevano in lui un mostro.
Si strinse la testa tra le mani. Il suo errore stava coinvolgendo i suoi compagni di squadra.
Su di loro, come massi, cadevano accuse crudeli.

Con un gesto deciso, Karl si alzò e, a passo rapido e deciso, si avvicinò al conducente.
‒ Che cosa c'è? ‒ chiese quest'ultimo.
‒ Puoi aspettare qualche minuto? Devo fare una cosa. ‒ gli domandò.
Con un cenno della testa, l'uomo annuì.
Il giovane, poi, si girò verso i suoi compagni di squadra e li guardò.
‒ Cosa vuoi fare, Karl? ‒ chiese Hermann, stupito.
‒ Mi sembra ovvio: chiamare la polizia. Qui rischia di andare di mezzo l'incolumità di tutti noi. ‒ rispose il Kaiser, fermo.
Prese il cellulare e compose il numero della polizia.

Diverso tempo dopo, i ragazzi tornarono in albergo.
Salirono sugli ascensori e, a passo rapido, si diressero verso le loro stanze.
‒ Per fortuna, si è concluso tutto bene. Hai avuto fegato, Karl. ‒ si complimentò Hermann.
‒ Niente di così difficile, Hermann. Ma possiamo essere sicuri che continui così? ‒ si domandò il giovane centravanti.
Un brivido sgradevole percorse la schiena di Genzo. Le parole del compagno erano veritiere, per quanto dolorose.
I suoi compagni, per una sua colpa, avevano corso rischi elevati.
E non era giusto.

Vedendo l'espressione malinconica dell'asiatico, lo sguardo di Karl si addolcì.
‒ Non sentirti in colpa. Tu non hai potere sul cervello degli stupidi. ‒ dichiarò il giocatore tedesco.
‒ Perché? Hanno un cervello? ‒ intervenne Hermann.
Karl ridacchiò, mentre sulle labbra dell'asiatico si sollevarono in un debole sorriso. Per pochi, dolci istanti gli era parso che quell'orribile disgrazia non fosse accaduta.
Ed era una sensazione meravigliosa, che non avvertiva da tanto, troppo tempo.
Tuttavia, una domanda angosciante non svaniva dalla sua mente.
Cosa sarebbe successo?
‒ Andiamo a disfare le valigie. Non dobbiamo fare tardi agli allenamenti. ‒ dichiarò poi Karl.
I tre giovani si separarono e raggiunsero le loro stanze.

Alla sera, provati dalla stanchezza, ritornarono nell'albergo.
‒ Finalmente, è finita. Non me ne volete, ma vado a dormire. La mia stanza mi attende. ‒ dichiarò Hermann.
‒ Buonanotte. ‒ lo salutò Genzo.
‒ Vedi di metterti del ghiaccio sul ginocchio. Ce l'hai gonfio, dopo quel contrasto. ‒ dichiarò Karl.
Un mezzo sorriso sorriso sollevò le labbra del mediano.
‒ Come desidera, dottore. ‒ dichiarò, ironico.
Poi, si diresse verso la sua stanza.

Poco dopo, Genzo e Karl entrarono nella loro camera.
L'ambiente, di dimensioni assai ampie e di forma rettangolare, era illuminata dalla luce di una lampada a neon rotonda, appesa al soffitto.
Alla parete lunga di sinistra erano addossati i letti e, sul pavimento, coperto da una moquette a scacchi bianchi e verdi, erano poggiate le valigie semiaperte dei due giovani.
Davanti al letto, era collocata una scrivania, ingombra di libri, e una finestra, coperta da una tenda bianca, si apriva sulla parete di destra.
Sulla scrivania, era collocato un televisore, incastrato in un supporto nero, mentre, a poca distanza dalla scrivania, era una porta, su cui era collocata una targhetta con la scritta “BAGNO”.
Con un sospiro, Genzo si lasciò cadere sul suo letto, le braccia aperte come un crocifisso e lo sguardo fisso sul soffitto.
‒ Ti senti bene? ‒ domandò il tedesco, perplesso.
‒ Vengo da un lungo periodo di inattività, te lo sei dimenticato? ‒ replicò il giapponese.
Per alcuni istanti tacque e rifletté. Prepotente, era ritornata la preoccupazione.
Karl, senza alcuna esitazione, aveva denunciato le persone che si erano radunate davanti al loro albergo, con quei cartelli minacciosi.
E questo atto crudele non era stato gradito.
Quali potevano essere le conseguenze?
‒ Hai avuto coraggio a denunciarli. ‒ mormorò, ad un tratto.
Il giovane centravanti teutonico, che stava controllando la sua valigia, alzò la testa. Come aveva immaginato, la stanchezza del suo compagno non era solo fisica, ma morale.
‒ Ho fatto quello che dovevo. Niente di più, niente di meno. ‒ si limitò a rispondere, tranquillo.
Poi, il suo sguardo si addolcì.
‒ Non pensiamoci più. Piuttosto, ti va di vedere un film con me e di farmi compagnia? Ho portato il mio computer. Non mi fido della televisione dell'albergo. ‒ dichiarò.
‒ Va bene. Ma non ti stupire se mi addormento presto. ‒ annuì.
Si alzò dal letto ed entrò nel bagno, mentre Karl cominciò a cercare il suo computer.

Ciao a tutti.
Sono ritornata dopo una settimana complicata (sono andata a Milano a trovare mio fratello, ho preso una simpatica tosse allergica, il mio pc è andato) e sono tornata con questo capitolo. Ho fatto un po' di fatica, spero vi piaccia.
Sto cercando di dare a Kaltz un linguaggio meno forbito. Cosa ne pensate?



   
 
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