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Autore: sasdavvero    24/05/2022    0 recensioni
Si era abituato ai pensieri.
[...]
Quella sensazione dolorosa ogni volta che era vicino a lui, il rossore sulle sue guance che mai tardava ogni volta che pensava a lui, l’impossibilità a sostenere il suo sguardo.
Lo odiava.
Odiava ogni secondo di quella esperienza.
Una costante testimonianza di ciò che non avrebbe potuto avere.

TW: riferimenti all'autol*sionismo/su*cidio
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Dabi, Hawks
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'DabiHawks Possession AU'
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NOTA: questa storia è in un AU che non ho ancora pubblicato, bella raga, è anche su AO3 (stesso nome) nada, prima storia qua so be kind :>

 

 

Si era abituato ai pensieri.

 

Lui.

 

Lui.

 

Lui.

 

Dio mio.

 

Dio mio.

 

Dio mio, lui.

 

Quella sensazione dolorosa ogni volta che era vicino a lui, il rossore sulle sue guance che mai tardava ogni volta che pensava a lui, l’impossibilità a sostenere il suo sguardo.

 

Lo odiava.

 

Odiava ogni secondo di quella esperienza.

 

Una costante testimonianza di ciò che non avrebbe potuto avere.

 

Non per qualche stonzata da amore non corrisposto, no.

 

No.

 

No, dio, sarebbe stato meglio, se non fosse stato corrisposto.

 

O almeno, era questo quello che si ripeteva in testa.

 

Ma lo poteva vedere, lui, lui, lui, quando teneva lo sguardo sulle sue labbra un po’ troppo a lungo, a guardare queste e guardare suoi occhi, prima di distogliere troppo velocemente lo sguardo, ogni volta, ogni volta che pensava non lo vedesse.

 

Oh, quanto avrebbe voluto non vedere.

 

E poteva sentirlo, lui, lui, lui, accarezzare dolcemente la sua pelle, dita che si soffermavano su quei punti più sensibili che ormai conosceva troppo bene, soffiare aria fredda sul suo collo, esitante, esitante, prima di mordere delicatamente la sua pelle, con così tanta cautela, lui, lui, lui, gli baciava il petto e succhiava i suoi capezzoli mentre lo fotteva forte, con così tanta forza, aveva sempre avuto paura di quanto gli piacesse quando faceva così, quando lo rendeva incapace di fare altro se non sospirare e gemere, labbra socchiuse, vista appannata, solo, immerso in lui, lui.

 

Lui.

 

A volte, Hawks avrebbe voluto non averlo mai conosciuto.

 

Avrebbe voluto non averlo mai trovato quella seconda volta, avrebbe voluto non essere rimasto in contatto, avrebbe voluto non fosse mai iniziato tutto questo.

 

Qualunque cosa fosse.

 

Avrebbe voluto che non gli mancasse ogni volta che si svegliava da solo, che il petto non gli facesse male ogni volta che era lontano da lui, avrebbe voluto, avrebbe voluto, avrebbe voluto—

 

Avrebbe voluto non averlo mai incontrato.

 

Avrebbe voluto non aver mai iniziato a provare tutto questo.

 

Avrebbe voluto non essersi abituato ai pensieri.

 

Avrebbe voluto non fossero mai arrivati, proprio, mai iniziati, mai si fossero rintanati nella sua testa, aspettando il momento giusto per uscire.

 

Mai.

 

Mai.

 

Mai.

 

Ma non desiderava tutto questo sempre.

 

A volte, quando poteva sentire il suo soffice, forzato respiro di fianco a sé, quando poteva sentire il suo braccio gelido attorno alla sua vita, a volte, solo in quei momenti, era felice di averlo incontrato, era felice che gli avesse insegnato come provare questi sentimenti, era felice che ci fossero i pensieri, il dolore, il desiderio, era felice che fosse iniziato tutto.

 

Era felice, così felice, di sapere che anche lui, poteva amare.

 

Amare.

 

Amare.

 

Amore.

 

Era sempre stato indifferente a quella parola, cos’era l’amore, quando non aveva mai avuto nessuno, quando le prime persone che avrebbero dovuto mostrargli amore l’avevano ignorato e manipolato, gli avevano fatto del male e l’avevano venduto ad un’organizzazione che non lasciava spazio a nessun tipo di sentimento?

 

Più avanti aveva iniziato ad essere curioso, amore, che cos’era, era per caso l’esitazione in un tocco, una persona che ti fa sorridere, il tuo cuore all’impazzata quando ti guardava, ti sorrideva, le sue dita fredde che accarezzavano i tuoi capelli, il suo sorrisetto sarcastico ogni volta che facevi una battuta, i suoi cambi d’umore repentini che sempre tentavi di arginare e il cibo che cucinava per te?

 

Aveva imparato ad odiare la parola amore quando si rese conto di cosa fosse veramente.

 

Quando si rese conto di amare quella parola.

 

Di amare lui.

 

L’amore era dolore, l’amore era vuoto e pienezza di qualcosa di indescrivibile, qualcosa che ti fa pensare e pensare, troppo, troppo, troppo, finché non sei troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa.

 

L’amore crebbe lentamente nel suo cuore, nella sua testa, finché non poté più tenere bloccata la porta che conduceva a sé, finché non fu costretto a lasciarlo scorrere, inondare ogni parte di sé, ormai troppo stanco da continuare a scappare da lui.

 

Troppo stanco, troppo stanco.

 

Amare Dabi era stancante.

 

Era stancante perché Dabi era Dabi, e non l’aveva mai davvero capito, lui, come sé stesso, come i suoi pensieri che mai era in grado di decifrare, le sue azioni contraddittorie, le sue urla e i suoi pianti, la sua voce gentile e le sue risate.

 

Dabi era una persona talmente complicata, Hawks pensava non sarebbe mai davvero stato in grado di capirlo del tutto.

 

Non gli dava troppo fastidio, questa cosa.

 

Ma amare Dabi lo faceva anche sentire completo.

 

Completo in uno modo così… sopraffacente, Voglio darti ogni singola parte di me, voglio scoprire ogni piccola parte di te, te, te, te.

 

Amare Dabi faceva urlare al suo cuore solo una cosa:

 

Amami, ti prego, ti prego, amami come ti amo.

 

Amami come ti amo.

 

Se non mi ami tu, chi lo farà?

 

Chi lo farà?

 

Amare Dabi era spaventoso.

 

Hawks pensava che amare chiunque sarebbe stato spaventoso, per lui.

 

Amare Dabi era spaventoso perché lo faceva dubitare di sé, gli faceva pensare che non poteva amarlo davvero.

 

Per colpa di chi era.

 

Per colpa di quanto sangue era sulle sue mani.

 

Per colpa di quegli incubi che ancora lo facevano svegliare urlando.

 

E come poteva amarlo, quando era così, quando non riusciva a tenere a bada le sue emozioni, i suoi impulsi, quando, quando, quando.

 

Tutte scuse.

 

Tutte scuse.

 

Aveva solo paura.

 

Aveva solo paura.

 

Perché lo amava, lo amava, dillo, dillo, dillo, lo amava anche se tentava di convincersi che non poteva, lo amava anche ora, anche ora, nel mezzo di tutto, anche ora il suo cuore batteva forte, forte, faceva male, quando lo vedeva.

 

Perché lo odiava.

 

Perché lo amava.

 

Lo odiava, odiava lui e la sua testardaggine, Voglio aiutati, e non accetterò un no come risposta, lo odiava.

 

Lo odiava.

 

Dabi restava.

 

Dabi restava e ogni fottuta volta che provava ad ammazzarsi lui lo fermava ed era così frustrante, così frustrante, dover vivere con la rabbia che arrivava per le sue azioni, con tutti quei pensieri che non riusciva ad ignorare e il suo bisogno di stare con lui.

 

Odiava essere così.

 

Odiava lui.

 

Non pensava nemmeno fosse una qualche falsa emozione che si costringeva a provare, credeva davvero che Dabi fosse la persona peggiore sulla terra perché gli impediva di farsi del male.

 

Hawks si era abituato ai pensieri.

 

Ma a volte, avrebbe voluto non tornassero ogni volta che stava contando un po' troppi sonniferi.

 

A volte, era felice che tornassero proprio in quei momenti.

 

Perché era in grado di guardarlo negli occhi e dirgli Non ho fatto niente senza mentire, anche se il suo cuore si spezzava quando controllava comunque, era così sollevato nel vedere i suoi occhi farsi un po’ più gentili, quando lo guardava.

 

Così sollevato nel vedere che c’era ancora amore in quegli occhi.

 

C’era sempre stato, indipendentemente dal fatto che mentisse o meno.

 

Ed era così felice.

 

Così felice.

 

Così felice.

   
 
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