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Autore: Kimando714    25/05/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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Prima di lasciarvi al nuovo capitolo, volevamo dirvi che abbiamo cercato di documentarci il più possibile su come avviene un parto, soprattutto sulle procedure seguite in ospedale, ma non avendolo mai vissuto in prima persona ovviamente non possiamo sapere quanto possa essere corretto ciò che abbiamo scritto. Speriamo solo di non essere cadute in troppe inesattezze 😂

 
CAPITOLO 21 - IL REGALO PIU' GRANDE




 
I believe in nothing
Not the end and not the start
I believe in nothing
Not the earth and not the stars
I believe in nothing
Not the day and not the dark
I believe in nothing
But the beating of our hearts
 
Faceva freddo durante quei primi giorni del nuovo anno. Il 2018 si era aperto con giornate adornate da un sole pallido, tra l’aria gelida e l’umidità imperante.
Lo spicchio di cielo che si intravedeva dalla finestra della cucina era di un insolito azzurro cristallino: sembrava essere tornato finalmente limpido, dopo che aveva piovuto sin dal primo giorno dell’anno.
Caterina si sistemò meglio sulla sedia, spostando lo sguardo lontano dalla finestra. Cercò di concentrarsi sulla figura di Nicola, impegnato a scolare la pasta per il pranzo, ma senza molti risultati. C’era un’inquietudine di fondo a renderla nervosa, distratta da tutto ciò che avveniva intorno a lei.
Si stava concentrando troppo sulle sensazioni che provenivano dal suo corpo, e sapeva che non avrebbe dovuto farlo: rischiava di scambiare dolori innocui per contrazioni, ed agitarsi per nulla.
Tirò un sospiro, sostenendo il capo con una mano; forse era la frustrazione di non aver ancora partorito a renderla così reattiva ad ogni minimo segnale. Stava entrando nella quarantesima settimana, e non si sentiva altro che gonfia all’inverosimile, stanca e pesante. Ma nessuna vera contrazione, ancora niente di niente. Solo falsi allarmi, sempre e solo falsi allarmi che avevano contribuito ad illuderla e a renderla più ansiosa.
-Ecco qua, il pranzo!- la voce di Nicola la distrasse, facendola quasi sobbalzare per la vicinanza. Caterina fece appena in tempo ad alzare gli occhi per notare il piatto di pasta che Nicola le aveva appena poggiato sul tavolo, davanti a lei.
Per quanto potesse risultare invitante, Caterina storse il naso: non aveva fame nemmeno quel giorno.
-Hai fame?-.
Alzando il viso, notò Nicola ricambiare il suo sguardo, con un sorriso incoraggiante stampato in faccia: non sembrava molto convinto nemmeno lui di poter ricevere una risposta positiva, ma perlomeno sembrava voler provare ad essere ottimista. Si sedette sulla sedia di fianco a quella di Caterina, afferrando la forchetta per iniziare a mangiare.
-Non molta, in realtà- sbuffò lei, seccata.
Nicola annuì pensieroso, prima di prendere una forchettata di pasta:
-Beh, devi mangiare comunque. Per tenerti in forza-.
Caterina roteò gli occhi verso l’alto, ancor più seccata di prima. In quegli ultimi giorni non vedeva molti motivi per cui avrebbe dovuto conservare energie: per sopportare quei piccoli dolori, che durante l’ora precedente erano aumentati, non doveva certo fare sforzi sovrumani.
-Tenermi in forza? Per cosa, per urlare di più quando finalmente tuo figlio deciderà di nascere?-.
-No, per avere più energie per far nascere nostro figlio- la corresse con tranquillità disarmante Nicola, come se la cosa fosse ovvia. Caterina lo guardò minacciosamente, sentendo già di essere vicina al perdere la calma che, invece, Nicola ostentava fin troppo.
Preferì non dire nulla, e si limitò a mettere sotto i denti un po’ di pasta a sua volta: era buona, ma non aveva alcuna voglia di mangiarla.
-Devi cercare di stare tranquilla- pur non guardando Nicola, era sicura che lui la stesse osservando con lo stesso sorriso addolcito di prima, mentre le lasciava una carezza sul braccio – Ormai manca poco, potrebbe essere questione di pochi giorni come di poche ore-.
Non sapeva se Nicola ci credesse davvero o no. Poteva averlo detto solo per farla sentire meno in ansia, per darle la parvenza che tutto stesse andando bene.
-Sulle poche ore avrei qualche dubbio. In ogni caso, non è detto che manchi così poco, come dici tu- sospirò Caterina, passandosi una mano sul viso. Aveva pensato al momento del parto come una cosa terrificante per tutta la gravidanza, fino alla fine dell’anno.
In quel momento, quando ormai non si sentiva altro che dolorante, gonfia ed isterica, non vedeva quasi l’ora che finalmente giungesse il giorno in cui suo figlio sarebbe venuto alla luce.
-Nascerà quando sarà il momento. Mal che vada ti indurranno il parto, come ti hanno detto- continuò Nicola, gli occhi azzurri che trasmettevano meno serenità di quella che invece lasciava trasparire la calma della sua voce.
-Oh, una passeggiata, vero?-.
Caterina ricordava bene le parole della sua ginecologa all’ultimo controllo, solo pochi giorni prima: se le contrazioni non si fossero presentate entro la quarantunesima settimana, ci avrebbero pensato in ospedale ad indurle. Per quanto potesse essere l’unica soluzione che le si prospettava, non riusciva ad entusiasmarsi all’idea di indurre il parto artificialmente.
Sospirò di nuovo, a fondo, lasciandosi andare con la schiena contro lo schienale della sedia, lo sguardo perso davanti a sé:
-Tutta questa attesa mi sta logorando-.
Si sentiva quasi patetica nel sentirsi così abbattuta, ma non ci poteva fare nulla: si sentiva stanca di aspettare, di illudersi che ogni giorno fosse quello giusto, o che le cose sarebbero andate come se le era sempre immaginate lei.
-Lo so- Nicola lasciò la forchetta sul tovagliolo, sporgendosi verso di lei per passarle un braccio attorno alle spalle. Negli ultimi mesi sembrava essere diventato quasi più protettivo, oltre che più dolce.
-Continui ancora a sentirti un po’ strana? Magari sono i primi segnali-.
Caterina sentì un’altra fitta attraversarle l’addome, più forte e prolungata della altre. Era sicura di non aver mai percepito un dolore simile prima di allora, ma cercò di non pensare subito alle contrazioni. Poteva essere l’ennesimo falso allarme, e non ci teneva a farsi aspettative troppo grandi per l’ennesima volta.
-Sì, ma ormai non mi faccio più illusioni. Non ne vale la pena-.
Non disse altro, limitandosi a prendere un altro boccone di pasta. Sperava solo che anche quella giornata, in cui di sicuro non sarebbe successo alcunché, passasse il più in fretta possibile.
 
*
 
Era la prima volta che poteva definirsi contenta di essersi sbagliata – anche se immaginava che, di lì a qualche ora, era sicura avrebbe preferito di nuovo avere ragione.
I dolori non se ne erano andati, e con il passare delle ore si erano fatti più intensi e presenti. Se inizialmente poteva percepire una fitta ad ogni ora, nel pomeriggio erano aumentate progressivamente, con regolarità.
Si sentiva strana a poter affermare, finalmente, di avere le prime contrazioni. In fin dei conti non le stavano impedendo di fare le solite cose – pulire la casa, stirare gli ultimi vestiti che avrebbe dovuto portare in ospedale-, non faticava nemmeno a rimanere in piedi per troppo tempo. Si sentiva insolitamente piena di energie, euforica e spaventata allo stesso tempo. Si era immaginata a lungo come sarebbe stato vivere l’inizio delle contrazioni, ma la verità era che le cose stavano andando molto diversamente da come aveva sempre pensato.
Era sempre stata sicura che si sarebbe agitata come non mai. In quel momento, invece, dopo che erano passate ormai cinque ore dai primi dolori, manteneva una calma che non si sarebbe mai aspettata. Cominciavano a farsi più dolorose e fastidiose, ma resisteva stoicamente anche a quella sensazione.
Era l’originaria calma di Nicola che, invece, si era dissipata mano a mano. Caterina stava ben attenta a non dare a vedere come il dolore delle prime contrazioni aumentasse inesorabilmente, ma anche così si ritrovava ad essere fissata da lui con aria a tratti terrorizzata. Le teneva gli occhi addosso da quando lo aveva avvertito che le fitte cominciavano a farsi regolari – seppur ancora a distanza di lungo tempo-, e anche se erano passate diverse ore in cui non c’erano stati problemi, il viso di Nicola appariva sempre più pallido e tirato.
Caterina si era trattenuta diverse volte dal vendicarsi dicendogli che doveva “cercare di stare tranquillo”. Infierire su di lui in quel momento sarebbe stato come sparare sulla croce rossa.
Erano da poco passate le sette di sera, quando Caterina si era avviata verso la stanza da letto, dopo essersi fatta una doccia calda veloce: l’acqua tiepida aveva alleviato un po’ il dolore delle fitte, che ormai si ripetevano ogni mezz’ora. Aveva tutta l’intenzione di prendersi tutto il tempo possibile per mettere ordinatamente nella valigia i vestiti puliti e stirati che avrebbe dovuto portare con sé in ospedale, e per controllare i documenti da presentare per il ricovero.
La valigia era già aperta sul pavimento, ed una pila di vestiti ripiegati sopra al materasso attendevano solo di esservi infilati. Fece per piegarsi per prenderli in mano, ma si bloccò per alcuni secondi: era passata mezz’ora dall’ultima contrazione, e puntuale ne era sopraggiunta un’altra.
Si lasciò sfuggire un gemito di dolore a bassa voce, mentre si teneva una mano sulla schiena dolorante e l’altra sul pancione. Si mise una mano sulla bocca per non farsi scappare altri lamenti: sentiva i passi di Nicola avvicinarsi alla camera, e non aveva la minima intenzione di farlo andare ancor più nel panico.
Dopo nemmeno un minuto la figura di Nicola comparve sulla soglia. Non l’aveva praticamente mai lasciata da sola per tutta la giornata, seguendola come un’ombra silenziosa, a tratti inquietante. A Caterina un po’ faceva ridere quell’immagine di Nicola, così tanto apprensivo da riuscire a lasciarla in pace solo per i dieci minuti di una doccia veloce.
-Stai bene? Le contrazioni ti fanno troppo male? Dobbiamo andare in ospedale?- Nicola, compiendo ancora qualche passo verso di lei, la tartassò di domande. Doveva averla tradita la smorfia contratta del viso, che doveva senz’altro aver lasciato intuire come le fitte si erano fatte più intense e durature.
-È  ancora presto- liquidò velocemente la questione Caterina, tirando un lungo sospiro – Ti ricordo che al corso preparto hanno detto che, se non ci sono problemi, si può andare in ospedale quando le contrazioni sono ogni dieci minuti-.
-Lo ricordo- replicò Nicola, portandosi le mani sui fianchi, con cipiglio severo – Ma ricordo anche che hanno detto che, volendo, si può anche andare prima-.
-Per morire di noia e di ansia tutte insieme?- Caterina scosse la testa, chinandosi lentamente verso la pila di vestiti e prendendoli in mano – Sto molto meglio a casa mia, se permetti. E poi se andassimo là troppo presto ci direbbero di tornarcene indietro, stanne sicuro-.
Nicola sembrò voler dire qualcosa, ma si ritrovò ad aprire e richiudere la bocca senza aver proferito parola. Sembrava aver rinunciato a ribattere già in partenza, e Caterina si compiacque con sé stessa per averlo messo a tacere almeno su quella questione.
-Dammi una mano a sistemare la valigia, piuttosto- Caterina gli passò i vestiti, facendogli un cenno con il capo per indicargli dove posarli – Almeno in due ci metteremo molto meno-.
-Sono pur sempre più agile di te, ultimamente- rispose lui, chinandosi a terra e riponendoli in un angolo della parte interna della valigia.
Ci misero relativamente poco a riempirla con tutto il necessario, e Caterina rilesse più volte il lungo elenco che si era scritta per controllare che tutto fosse lì dentro.  Sembrava esserci tutto, e potevano dire di aver concluso anche quella questione aperta in poco tempo.
-Hai ricontrollato i documenti? Sono tutti a posto?- chiese infine Nicola, rialzandosi dopo aver chiuso la valigia.
-È tutto ok-.
Caterina andò a sedersi sul bordo del letto, lanciando un’occhiata al display della sveglia sul comodino: mancavano ipoteticamente dieci minuti circa alla successiva contrazione.
Si sentiva più stanca rispetto a prima: forse cominciava ad accusare un po’ la pressione psicologica, o forse era tutto dovuto solo alle contrazioni che sembravano dover giungere un po’ in anticipo rispetto alla tabella di marcia.
Rimase seduta per alcuni minuti, prima di spalancare gli occhi d’un tratto, portando lo sguardo verso il basso e le mano sulla zona bassa del pancione, in un gesto automatico.
Sembrò recuperare tutto il panico che non l’aveva assalita fino a quel momento tutto di colpo, non appena una sgradevole sensazione di bagnato la assalì.
-Che succede?- Nicola le si avvicinò curioso, dopo aver notato il suo cambio d’espressione e quei gesti allarmati.
Caterina non riuscì a far altro che alzare gli occhi verso di lui solo dopo alcuni momenti, che le erano serviti per rendersi conto sul serio cosa poteva essere successo.
-Credo mi si siano appena rotte le acque-.
Nicola ricambiò lo sguardo, e si ritrovò a parlare in maniera così calma che Caterina intuì subito che doveva sentirsi talmente terrorizzato da non aver nemmeno il coraggio di urlare dall’agitazione:
-Dobbiamo andare in ospedale?-.
Caterina si lasciò sfuggire un singulto rassegnato.
-Dobbiamo andare, sì-.
 
*
 
L’arrivo in ospedale non era stato troppo problematico. L'idro-ambulanza non ci aveva messo troppo a giungere al canale più vicino al loro palazzo, né ci aveva impiegato troppo tempo ad arrivare all’Ospedale civile.
Caterina cominciava a sentirsi in agitazione. Non aveva idea di che sarebbe successo da quel momento in avanti, se quelle perdite che stava avendo fossero davvero quel che pensava. Non sapeva nemmeno se stava andando davvero tutto bene, e non aveva smesso di chiederselo per tutto il tempo, fino a quando non aveva varcato la soglia dell’ospedale.
Aveva presentato i documenti alla reception, e non appena raccontato ciò che era successo, l’avevano finalmente ricoverata in vista del parto.
In camera si era infilata il camicie d’ospedale, cercando di contenere i tremiti e di non pensare al dolore delle contrazioni, che cominciavano a farsi più forti e durature, e a distanza di meno tempo.
Nicola le era stato accanto per tutto il tempo, anche durante la visita da parte dell’ostetrica. Caterina l’aveva ascoltata parlare per tutta la visita, cercando di rilassarsi a mano a mano che questa controllava i valori suoi e del piccolo – già cefalico-, tutti in regola. Alla notizia che la dilatazione era già iniziata, si era sentita come investire da una doccia fredda: cominciava ad avere idea di quali dolori sarebbero stati quelli del parto, e già si pentiva di aver sperato così tanto che arrivassero il prima possibile.
L’ostetrica che la stava seguendo le sembrava gentile e disponibile, sempre con il sorriso stampato in faccia ed incoraggiante; Caterina non sapeva se definirlo più rassicurante o irritante, ed alla fine aveva rinunciato a capirlo.
Le ore stavano passando più lentamente di quanto non fosse mai successo durante la sua vita, e non sapeva quanto ancora sarebbe durata quella situazione di stallo. Tempo prima aveva letto che al primo parto il travaglio poteva durare anche dodici ore: per quel che la riguardava, si immaginava mezza svenuta già anche solo dopo sei ore. I controlli dell’ostetrica avvenivano periodicamente, piuttosto spesso, ed ogni volta era per Caterina una piccola ansia: riusciva a sentirsi vagamente tranquilla solo quando si sentiva dire che stava andando tutto alla perfezione, come doveva andare.
Erano da poco passate le dieci quando, finalmente, Caterina poté tirare un sospiro di sollievo: l’epidurale era una vera e propria manna dal cielo. Le contrazioni avvenivano ormai ogni cinque minuti, e il dolore era intenso come non l’aveva mai sentito prima di quel momento.
La consueta visita dell’ostetrica era finita da non più di mezz’ora, e Caterina si sentiva la testa girare e le membra stanche ed indolenzite. Non aveva più mangiato dall’ora di pranzo, e nonostante i dolori tremendi, cominciava a percepire un languore all’altezza dello stomaco.
Le sembrava perfino incredibile anche solo l’idea di poter aver fame in quel momento, ma non vedeva l’ora di poter mettere sotto i denti anche la cosa più insignificante possibile.
Si voltò verso Nicola, in piedi accanto a lei: ad un primo sguardo esterno sembrava in grado di mantenere la calma, ma sotto quell’apparenza distaccata, Caterina era sicura che fosse agitato tanto quanto lei. Cercava solo di non darlo a vedere per non darle ulteriori motivi di preoccupazione.
-Che ore sono?- Caterina cercò di reprimere un gemito di dolore, al sopraggiungere di una nuova contrazione. Aveva l’impressione che ormai il tempo tra una fitta e l’altra fosse calato già a quattro minuti.
-Quasi le dieci e mezza- mormorò Nicola, controllando velocemente il display del cellulare, prima di rimetterlo in tasca – Ti senti meglio con l’epidurale?-.
Caterina si ritrovò ad annuire, passandosi una mano sul viso leggermente sudato. Le sembrava quasi incredibile sudare così quando fuori c’era il gelo invernale di gennaio.
-Mi faresti un favore?- continuò lei, tenendo gli occhi puntati su Nicola, che si avvicinò ulteriormente al letto – Non è che andresti a prendermi qualcosa al bar dell’ospedale?-.
-Hai fame?- Nicola aggrottò la fronte, guardandola come se avesse appena detto una pazzia.
-Sono un sacco di ore che non mangio praticamente nulla- si lamentò Caterina, che in quelle condizioni non aveva nessuna voglia di mettersi a discutere di una cosa del genere – E poi l’ostetrica ha detto che posso ancora mangiare qualcosa, se ho fame-.
Era vero: le aveva dato l’ok per mangiare qualcosa di leggero – uno yogurt o un frutto- se i morsi della fame si fossero presentati durante quella fase del travaglio. E in quel momento di fame ne aveva anche troppa.
-Sei sicura di farcela?-.
Di fronte allo sguardo ancor più perplesso di Nicola, Caterina dovette sforzarsi per non urlare:
-Ho bisogno di energie per farlo nascere, e se non mangio di energie non ne avrò manco mezza!-.
Nicola la guardò con occhi sgranati per diversi secondi, durante i quali Caterina si chiese se avrebbe insistito ancora con quell’assurda opposizione, o se si sarebbe fiondato a cercarle qualcosa da sgranocchiare per evitare altre sfuriate ben peggiori.
-Ok, calma- sospirò, e si guardò intorno ancora un po’ indeciso – Vado a vedere che hanno al bar, intesi? Farò il prima possibile. Se ti senti male, o se … -.
-Nicola- Caterina sibilò il suo nome nella maniera più minacciosa possibile – Sto già male abbastanza ogni quattro dannati minuti, e starò anche peggio se tu non ti muovi e vai a prendermi qualcosa-.
Quell’ultima frase, a malapena udibile ma altrettanto intimidatoria, sembrò convincerlo definitivamente. Lanciò un ultimo sguardo poco convinto a Caterina, prima di abbassare il viso e sospirare:
-Cercherò di metterci il meno possibile-.
Caterina lo osservò andarsene dalla stanza, ancora parecchio esitante nel volerla lasciare da sola. Riusciva a comprendere, almeno in parte, il suo non voler andarsene: forse era il senso di protezione e sicurezza che voleva darle restandole accanto a non volerle far mancare. E doveva aver paura che qualcosa potesse succedere in sua assenza a bloccarlo più di ogni altra cosa.
Caterina sbuffò tra sé e sé. Di certo, se qualcosa sarebbe dovuto andar storto, ci sarebbe andato anche se fosse rimasto lì ogni singolo secondo.
La verità era che, inevitabilmente, si sarebbe sentita – si sarebbero sentiti entrambi- più tranquilli solo quando tutto quello sarebbe finito, quando avrebbero varcato la soglia dell’ospedale per uscire, qualche giorno dopo, con il loro piccolo in braccio.
E forse nemmeno in quel momento si sarebbero sentiti totalmente sicuri: a Caterina spaventava anche solo l’idea di dover tornare a casa con un neonato a cui badare, fragile e totalmente dipendente da lei e Nicola.
Forse la sensazione di insicurezza non sarebbe mai davvero svanita, e avrebbero solo dovuto farsene una ragione.
Avrebbe avuto sempre il timore che potesse succedergli qualcosa, a quel figlio inizialmente nemmeno voluto. Avrebbe sempre temuto di perderlo, di vederlo soffrire, di non potergli dare un aiuto – ed era una paura che aveva in quel momento quando ancora non era venuto al mondo, e sarebbe stato lo stesso anche tra vent’anni, quando sarebbe stato un uomo fatto e finito.
Strizzò gli occhi in automatico, quando una nuova contrazione sopraggiunse, più forte delle precedenti. Erano davvero dolori lancinanti, e cominciava davvero a capire come mai il dolore del parto fosse considerato il più fastidioso che potesse esistere. Le si era mozzato il fiato per qualche secondo, poi aveva cercato di tornare a respirare a fondo e regolarmente, come le avevano insegnato al corso preparto.
La stanchezza cominciava a farsi sentire. Non era sicura di riuscire a mantenere la stessa lucidità per tutte le ore che la attendevano prima di giungere al parto vero e proprio: non sapeva nemmeno quando sarebbe successo davvero, e quella sensazione di ignoto non la incoraggiava per niente.
Passò quasi un minuto prima che i postumi della fitta diminuissero. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, sulla quale le si erano appiccicate alcune ciocche di capelli.
Probabilmente ci avrebbe dovuto fare il callo, a quell’ignoto che le si presentava davanti.
Si guardò intorno come spaesata: anche quelle pareti bianche e azzurre, asettiche e indifferenti, le davano la stessa sensazione di incertezza. Era come aver di fronte la vita che l’aspettava: ancora immacolata, intimidatoria e piena di dubbi, ma pronta ad essere ridipinta con colori più caldi e sicuri.
Le venne automatico sfiorare il pancione con una mano, delicatamente. C’erano così pochi centimetri di pelle, carne e muscoli a separarla da ciò che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, che l’avrebbe trasformata in una persona diversa.
Da lì in avanti non sarebbe più stato lo stesso. Era lo spartiacque della sua vita, quel momento, il centro che cambiava tutto, ciò per cui avrebbe visto e vissuto tutto in una prospettiva infinitamente diversa.
Forse avrebbe sentito la mancanza della sua vita precedente. Sicuramente le sarebbero mancate tante cose, moltissime, che forse non sarebbe più stata in grado di rifare allo stesso modo. Non sarebbe stata più solo una donna, con la sua indipendenza, la sua spensieratezza da ragazza; sarebbe stata una donna e anche una madre.
Era una strana consapevolezza, quella, che aveva sempre cercato di far passare in secondo piano in quegli ultimi mesi, ma che in quel momento tornava evidente con tutta la sua forza straniante.
Sembrava quasi un dolore fisico, il doversi staccare definitivamente da tutto ciò che era stata e divenuta fino a quel giorno. Era straziante e potente allo stesso tempo, pensare che non avrebbe più riavuto indietro la sua vecchia vita, che non sarebbe mai potuta tornare indietro.
Si chiese come sarebbe stato se nulla di tutto ciò non fosse mai accaduto. Quel che era certo era che non si sarebbe mai ritrovata lì, in preda alle contrazioni, a contare le ore che la separavano dalla nascita di suo figlio su un lettino d’ospedale, in balia delle sue paure più grandi.
E avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché probabilmente suo figlio non si meritava una madre troppo giovane e troppo inesperta come lei, che aveva appena cominciato a saper badare a se stessa, ma che da quel momento in poi avrebbe dovuto badare soprattutto ad un’altra persona.
Avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché ancora aveva troppe cose da fare, troppe cose ancora da vivere, prima di mettere al mondo un bambino che avrebbe avuto bisogno di lei in continuazione.
Continuò ad accarezzare il pancione, mentre una lacrima silenziosa le solcava la guancia, il momento di panico che pian piano si dissipava.
Era vero, non era riuscita a vivere tante cose che avrebbe voluto, ma forse la vita le aveva riservato un futuro diverso e non per forza peggiore. Sarebbe stato difficile, lo sapeva. Ma difficile non era mai stato sinonimo di meno bello. 
La mano si fermò sul basso ventre, nel punto dove probabilmente se ne stava la testa di suo figlio, pronto per nascere e venire a sconvolgerle la vita. E al diavolo il passato, non ci poteva fare niente: era quello il suo presente e il suo futuro.
Non sarebbe più stato lo stesso, ma un nuovo mondo le si apriva davanti agli occhi. L’unica cosa che contava davvero era cercare di esserne all’altezza. Non per solo sé, ma anche per suo figlio.
 
I believe in nothing
One hundred suns until we part
I believe in nothing
Not in satan, not in God
I believe in nothing
Not in peace and not in war
I believe in nothing
But the truth of who we are [1]
 
*
 
Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
 
-Cerca di respirare! Così, brava!-.
I ciuffi di capelli scuri le si erano appiccicati alla fronte sudata, e Nicola aveva quasi rinunciato a spostarglieli, ormai ben più preoccupato per i gemiti di dolore che Caterina cercava inutilmente di soffocare.
Erano passate diverse ore da quando erano arrivati in ospedale, e sebbene fossero le due e mezza passate di mattina, Nicola non riusciva a provare alcuna stanchezza.
Se ne stava accanto al letto d’ospedale, piegato sul viso di Caterina, contratto ormai costantemente da smorfie di sofferenza. Le contrazioni ormai avvenivano a distanza di pochissimo, e Nicola immaginava fosse come un dolore continuo.
Si sentiva estremamente impotente, in quel momento: vedeva Caterina soffrire, e lui non era in grado di darle alcun conforto che potesse darle sollievo anche solo per qualche minuto. Nel guardarla gli sembrava quasi di sentire lui stesso le fitte che doveva provare lei.
-La dilatazione è completa-.
La voce dell’ostetrica lo distrasse per un attimo, spingendolo a staccare lo sguardo da Caterina. Aveva appena finito di fare il consueto tracciato, e a quanto pareva il momento doveva essere giunto.
-E ora che succede?- chiese Nicola, ingenuamente. In realtà credeva di sapere bene quale risposta aspettarsi, ma ormai l’agitazione era tale da non riuscire bene a parlare del tutto lucidamente.
Caterina, invece, non rispose nemmeno. Spostava solo gli occhi lucidi da Nicola all’ostetrica, in preda a quello che Nicola avrebbe definito puro panico.
-Ora la porteremo in sala parto e la prepareremo- spiegò l’ostetrica, con lo stesso tono di voce calmo e disponibile che aveva mantenuto per tutta la nottata – E poi … Beh, seguiremo il corso degli eventi-.
Nicola annuì, senza troppo entusiasmo. Era dolorosa l’idea di doversi separare da Caterina, e forse avrebbe voluto rimandare ancora un po’ il momento del parto. Forse non si sentiva del tutto pronto, ma allo stesso tempo dubitava anche che lo sarebbe stato mai del tutto.
-Vado ad avvisare la ginecologa e l’altra ostetrica- riprese a parlare la donna, rivolgendosi direttamente a Nicola – Ci metterò un attimo. Vi lascio da soli, nel frattempo-.
Nicola la sentì camminare verso la porta della sala, e richiuderla dietro di sé. Non aveva sperato in una simile occasione – un ultimo attimo da solo con Caterina-, e gli sembrava perfino irreale ritrovarsi a viverla sul serio.
-Io tra poco dovrò andare- si avvicinò ulteriormente a lei, carezzandole piano i capelli scompigliati, cercando di trasmetterle più forza possibile – Andrà tutto bene, lo sai?-.
Caterina lo fissò per lunghi attimi; una lacrima le scivolò lungo la guancia, ma non si curò nemmeno di asciugarla.
-Ho paura- mormorò flebilmente, e con una tale sincerità che a Nicola si strinse il cuore. Si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, in quel momento riusciva a capire benissimo come doveva sentirsi.
-Anche io- le baciò piano la fronte sudata, rimanendo con le labbra poggiate sulla pelle accaldata per un tempo imprecisato – Anche io-.


 
Non si era mai sentito così tanto un pesce fuor d’acqua come in quel momento. Nella sala d’attesa dell’ospedale, raggiunta dopo aver attraversato il lungo corridoio del reparto, vigeva un’insolita calma quasi irreale.
Immaginava di non essere l’unico, lì presente, ad aspettare notizie di una nascita imminente: c’erano almeno altri due uomini che se ne stavano seduti su quelle sedie dall’aria tutt’altro che comoda, continuando a picchiettare i piedi a terra, o guardandosi intorno con aria spaesata. C’erano anche alcune persone anziane che dovevano essere parenti di qualche partoriente: parlavano tra di loro con voci alte ed euforiche, concitate come non mai.
Lui, invece, nel trovarsi lì da solo, non aveva comunque voglia di parlare con nessuno. Non negava che forse scambiare qualche parola con qualcuno gli avrebbe fatto bene, ma non aveva la concentrazione necessaria – né la voglia e nemmeno la volontà- per farlo.
Andò a sedersi su una delle sedie più isolate, torturandosi le mani. Aveva mille pensieri che gli occupavano la mente, e che lo rendevano estremamente nervoso come non lo era stato mai.
Pensava a Caterina, e sperava ardentemente che la sua agonia durasse poco. Aveva osservato il suo volto contratto dal dolore delle contrazioni per tutte quelle ore, e non aveva potuto fare a meno di sentirsi estremamente impotente nel rendersi conto di non poter fare nulla per farla stare meglio.
Sperava che il parto andasse bene, che non ci fossero complicanze. Non credeva sarebbe riuscito a sopportare la sofferenza di sapere che Caterina o il piccolo avessero avuto problemi di qualsiasi genere.
Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, per entrambi, ma la verità era che a lui non rimaneva altro che starsene lì, in attesa, con la sola speranza che quella notte – la più lunga che si stava ritrovando a vivere- portasse infine solo buone notizie.
Si alzò di scatto, troppo agitato per riuscire a starsene seduto. Incrociò le braccia contro il petto, mentre si avvicinava con passi lenti alla finestra della sala d’attesa.
Erano quasi le tre di notte, e fuori faceva buio pesto. Non riusciva nemmeno a scorgere le stelle o la luna, a causa delle nuvole che solcavano il cielo e che rendevano la notte ancora più oscura.
Si ricordò che avrebbe dovuto avvisare i suoi genitori e quelli di Caterina. Forse avrebbe anche dovuto farlo prima, ma si era concentrato talmente tanto solo su di lei che non gli era passata nemmeno per la mente l’idea di chiamare qualcun altro per informare che il parto stava per avvenire. Probabilmente l’avrebbe fatto dopo la nascita, quando si sarebbe tranquillizzato nel sapere che era andato tutto bene.
Cercò di lottare contro l’istinto di guardare l’ora sul display del telefono, perché sapeva che controllare in continuazione i minuti che passavano non avrebbe fatto altro che aumentare la sua ansia. L’infermiera che l’aveva congedato da Caterina gli aveva spiegato che, senza complicanze particolari, il tempo passato in sala parto non avrebbe superato i venti minuti. Non sapeva esattamente quanto tempo fosse già passato, e a quel punto, forse era meglio non pensarci proprio.
Se ne rimase lì per quelli che gli sembrarono almeno dieci minuti. Il tempo sembrava scorrere immensamente lento, in quelle situazioni: gli sembrava tutto statico, immobile. Ogni secondo che passava era eternamente simile al precedente, intriso allo stesso modo da una paura irrazionale e da quella cieca euforia che cominciava a pervaderlo.
Non aveva nemmeno idea di come sarebbe stato rimanere in sala parto, assistere Caterina in quell’evento. L’aveva assecondata nel suo voler rimanere da sola, e in fondo non se ne pentiva: forse sarebbe stato ancor più sotto pressione rispetto al rimanere lì, in sala d’aspetto.
Fece qualche passo verso l’altro lato dell’area, indeciso sul da farsi: l’agitazione lo aiutava nell’ignorare la stanchezza ed il sonno, e non aveva certo bisogno di un caffè, in quel momento, per riuscire a tenersi in piedi. Sentiva però la gola e la bocca asciutte, e bere un sorso d’acqua era forse l’unica cosa che gli andasse. Si guardò intorno, voltandosi prima in una direzione e poi nell’altra, finendo per individuare un distributore automatico poco distante. Faceva decisamente al caso suo: non si sarebbe dovuto allontanare molto da lì, e avrebbe potuto comprare una bottiglietta per dissetarsi.
Fu proprio quando accennò a compiere il primo passo, che con la coda dell’occhio intravide l’ostetrica che per tutta la sera aveva seguito Caterina, avanzare dalla zona delle sale parto alla sala d’aspetto.
Si bloccò subito, il cuore che aveva ripreso improvvisamente a battere a mille. Rimase deluso, però, quando si accorse che non era diretta verso di lui, ma verso uno dei due uomini che avevano atteso lì fino a quel momento. Li vide parlare insieme, sottovoce, il volto dell’uomo che si apriva sempre più in un sorriso radioso, e l’ostetrica che lo ricambiava con un’espressione dolce e incoraggiante.
Dopo qualche minuto sembrarono sul punto di andarsene entrambi, verso le sale parto, e fu in quell’istante che le gambe di Nicola si mossero automaticamente: arrivò a ridosso dei due con qualche passo veloce, ignorando completamente il fatto di poter sembrare invadente.
-Mi scusi- Nicola cercò di parlare senza concitazione nella voce, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione su di sé. L’ostetrica si girò verso di lui, e sembrò riconoscerlo non appena lo guardò in viso. Dette delle indicazioni veloci all’altro uomo su dove andare, dicendogli che l’avrebbe raggiunto subito, prima di tornare su Nicola, con i suoi occhi gentili e contornati dalle rughe:
-Ha bisogno di qualcosa?-
-Ha qualche notizia della mia compagna? Sta andando tutto bene?- Nicola non specificò che si trattava di Caterina, e sperò con tutto il cuore che lei l’avesse davvero riconosciuto, e che la sua non fosse stata solo un’impressione.
-Non posso trattenermi qui a lungo, ma appena saprò qualcosa glielo verrò a riferire-.
Temeva quella risposta così vaga; Nicola si sentì completamente scoraggiato, nel rendersi conto che anche quel tentativo di sapere qualcosa fosse andato in fumo.
-Stia tranquillo- l’ostetrica doveva essersi accorta del suo cambio d’espressione, perché gli sorrise più affabilmente, portando una mano sulla sua spalla – Ci vuole sempre un po’ di tempo, prima di poter dare il lieto annuncio ai parenti che si trovano qui in sala d’aspetto, e questo non implica comunque che sia andato storto qualcosa. E so che portare pazienza in queste situazioni è quanto di più difficile possa esserci, ma mi creda, la sua attesa verrà ben ripagata-.
Lo lasciò con un ultimo sorriso, e Nicola non poté fare altro che rimanersene lì, con la stessa paura di prima. Era facile sentirsi dire di stare tranquillo, ma farlo gli sembrava totalmente impossibile. Sospirò a fondo, lasciandosi sfuggire uno sbuffo, passandosi poi le mani sul viso con gesti lenti e stanchi.
Tornò a passi veloci verso la fila di sedie, lasciandosi crollare malamente su una di esse. Quella sarebbe stata davvero la notte più lunga della sua intera vita.
 
*
 
Vorrei mi facessi un regalo
Un sogno inespresso
Donarmelo adesso

Di quelli che non so aprire
Di fronte ad altra gente
Perché il regalo più grande
È solo nostro per sempre
 
Aveva controllato da poco l’ora sul suo cellulare, constatando che ormai erano le tre e mezza del mattino. Era ancora seduto mollemente sulla sedia della sala d’attesa, in quel momento più silenziosa rispetto a prima; forse fu proprio grazie a quel silenzio che riuscì a distinguere piuttosto in fretta il rimbombo di passi lungo il corridoio.
Alzò il viso proprio mentre sopraggiungeva di nuovo l’ostetrica. Di nuovo sentì il fiato accorciarsi, e il cuore gli sembrò quasi pronto a saltargli fuori dal petto, quando si accorse che, stavolta, la donna stava puntando proprio lui. Si rimise in piedi in un batter d’occhio, avanzando di qualche passo. Cercò di mantenere un’apparenza calma, ma la verità era che si sentiva ad un passo dal crollo nervoso.
L’ostetrica gli si fermò di fronte qualche secondo dopo, osservandolo con quello che a Nicola parve un sorriso ancor più aperto:
-Come si sente? È riuscito a calmarsi un po’?- gli chiese subito, nonostante dovesse aver già intuito quale sarebbe stata la risposta.
-Più o meno- ribatté Nicola, a bassa voce. In realtà non si era calmato affatto: aveva passato l’ultima mezz’ora più agitato di prima, vagliando tutte le ipotesi su quello che poteva star avvenendo nella sala parto dove c’era Caterina. Si era odiato profondamente per la sua totale incapacità di distrarsi anche solo minimamente.
-La sua compagna sta bene- Nicola si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo non appena la donna ebbe pronunciato quelle parole – Stanca, ma in salute. È prassi tenere le partorienti per un paio d’ore nella saletta accanto alla sala parto, ma non è nulla per cui allarmarsi. La vedrà tra un po’-.
Quella era senz’altro una delle buone notizie che voleva sentire.
-E il bambino?- azzardò Nicola, ancor più curioso e ancora non del tutto tranquillo.
L’ostetrica lo osservò affabilmente, prima di ammiccargli e dire:
-Venga con me. C’è qualcuno che desidererebbe conoscerla-.
Nicola non riuscì nemmeno a rispondere. Sentiva il cuore in gola come non mai, e il respiro farsi ancor più accelerato. Dubitava perfino di riuscire a camminare, ma non appena vide l’ostetrica voltarsi e incamminarsi lungo il corridoio, la seguì all’istante.
Quel tragitto gli sembrò quanto di più surreale avesse mai vissuto. L’ostetrica continuava a spiegargli come era andato il parto e le prime visite che erano state fatte al piccolo – a Nicola, in fondo, interessava solo sapere che era andato tutto bene, al momento i dettagli non gli importavano-, ma la ascoltava come se la sua fosse una voce distante, proveniente da un altro mondo.
Non sapeva bene cosa aspettarsi o come si sarebbe dovuto comportare di lì a poco: quella era una di quelle cose che non venivano mai spiegate, che nessuno raccontava mai. Si sentiva totalmente impreparato, e in fondo dubitava altamente esistesse un qualche tipo di preparazione al primo incontro con un figlio appena nato.
Quel tragitto lungo quel corridoio dall’aria asettica, grigia e impersonale, fu probabilmente quello che lo fece sentire più strano in tutta la sua vita. Era un semplice camminare per gli spazi dell’ospedale, ma sospettava che quei momenti sarebbero rimasti incisi nella sua memoria per tutti gli anni a venire. Era come andare incontro ad un destino già conosciuto e totalmente ignoto allo stesso tempo. Una contraddizione che lo faceva vibrare nel corpo, di paura e felicità contemporaneamente.
Era una sensazione che non aveva mai provato.
L’ostetrica oltrepassò alcune porte chiuse, prima di fermarsi ad una collocata a metà corridoio – bianca e anonima esattamente come le precedenti-; fece per aprirla, ma prima di spingere in basso la maniglia si voltò un’ultima volta verso di lui. Aveva un’espressione comprensiva, e gli occhi dolci e rassicuranti cercavano quelli di Nicola come quelli di una madre che cerca di far sentire protetto il proprio figlio:
-Qui è dove avviene il primo bagnetto- gli spiegò, con la consueta calma che Nicola aveva imparato ad associarle – Probabilmente lo troveremo già bello profumato e vestito-.
Nicola annuì, incapace di parlare. Sentiva la gola secca più che mai e il cuore in gola, e la voce sembrava essere sparita. Non riusciva a spiccicare parola, ma quel breve cenno sembrò bastare alla donna:
-Sia naturale. Non deve andare in una determinata maniera, ma solo in quella in cui riuscirete a trovarvi bene entrambi- parlò con una delicatezza che fece sentire Nicola ancor più colpito – Si ricorderà di questo momento per tutta la vita-.
Nicola non annuì nemmeno, ben conscio che sì, quell’esatto momento se lo sarebbe ricordato fino alla fine dei suoi giorni.
Quando la porta venne aperta, si ritrovò catapultato in un mondo che, fino a quel momento, gli era rimasto sconosciuto. Spostava velocemente gli occhi da una parte all’altra, notando prima una piccola vaschetta ancora piena d’acqua in un angolo, sopra ad un tavolo; vide lì accanto un fasciatoio, e lì vicino quella che doveva essere un’altra ostetrica che stava sistemando alcuni asciugamani.
E poi vide lui.
Si bloccò in automatico, il respiro che sembrava essersi fatto di colpo calmo, talmente tanto che non gli sembrava nemmeno di avere più aria nei polmoni tra un respiro e l’altro.
-Ecco qui il nuovo arrivato. Lo vuoi conoscere il tuo papà?- la seconda ostetrica lanciò un’occhiata e un sorriso allegri verso Nicola, rivolgendosi a quello che a prima vista sarebbe potuto sembrare un piccolo fagotto di vestiti minuscoli, prima di prenderlo delicatamente tra le braccia.
Nicola la osservò avvinarsi piano, senza staccare un attimo lo sguardo. Quando gli si rivolse la prima ostetrica, la più anziana, a Nicola parve di riuscire a sentirla a stento:
-Dopo tutte queste ore di attesa, qualcuno qui desidera fare la sua conoscenza-.
Nei minuti successivi Nicola non riuscì a capire molto. Sentiva la testa completamente in pallone, il mondo attorno che sembrava non contare più niente. Non sapeva nemmeno come si doveva tenere un neonato in braccio, e fu solo grazie all’aiuto e al pronto intervento delle ostetriche se, finalmente, riuscì a sentirsi abbastanza sicuro per potere tenere tra le braccia, per la prima volta, quello che era suo figlio.
Lo teneva stretto a sé, osservandone il piccolo viso paffuto e gli occhi ancora chiusi, accarezzando delicatamente i pochi capelli chiari.
Era la prima volta che lo teneva così vicino, ma gli parve di conoscerlo da sempre. Riconosceva in lui un po’ di Caterina e un po’ di se stesso, senza nemmeno spiegarsi come fosse possibile.
Ne osservava il volto sereno e addormentato, e si sentì pervadere a sua volta dalla stessa serenità.
Non aveva mai creduto possibile sentirsi così tanto nel posto giusto al momento giusto come in quell’attimo, e non aveva mai nemmeno creduto che potesse esistere una felicità così sconfinata.
Forse si era sentito  vagamente così solo quando era bambino, quando i suoi genitori gli facevano il regalo tanto atteso e tanto desiderato dopo molto tempo. In quel momento, però, quella gioia era di una potenza ben più grande, quasi indescrivibile.
-Ciao, piccolo-.
Quello era un regalo diverso da tutti gli altri che aveva ricevuto e che avrebbe ricevuto mai in tutto il resto della sua vita. Era un regalo che sapeva di Caterina, e che sapeva di sé.
Non sarebbe più stato lo stesso, non dopo aver conosciuto il loro Francesco.
 
Amore grande come il tempo che non si è arreso
Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte
Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu
Il regalo mio più grande [2]



 


 
[1] Thirty Seconds to Mars - "100 Suns"
[2] Tiziano Ferro - "Il regalo più grande"
*il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente ai rispettivi cantanti e ai loro autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
E finalmente è natooooo! 👶
Alla fine il parto è andato bene e senza complicazioni, e Nicola ha potuto già vedere il pargolo ... Che ha lo stesso nome del nonno materno, vero, anche se non per forza in suo onore 😂
Ma andiamo con ordine: forse avrete capito, rileggendo un certo pezzo di questo capitolo, che il secondo flashforward del prologo proviene proprio da qui. È, infatti, nel momento del travaglio ormai avviato, e in un momento di solitudine in ospedale, che Caterina viene travolta dal panico e dai pensieri su questo momento spartiacque della sua vita... Momento di terrore che poi pian piano rientra (anche se solo per poco, visto il parto imminente 😂)
Panico e terrore che investono anche Nicola, ovviamente. Non sapere cosa sta succedendo deve essere non poco frustrante … Anche se poi alla fine è andato tutto come previsto.
Il primo incontro tra padre e figlio neonato, poi, è stato di certo molto emozionante, un po' come lo è stato scriverlo per noi autrici e speriamo anche per voi lettori ... Ormai questi ragazzi ne hanno fatta di strada!
Nel prossimo capitolo potremmo vedere come se la passa Caterina post parto, ma chissà... Potrebbero anche esserci delle sorprese!
Ci rivediamo in questi stessi lidi mercoledì 8 giugno con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 
   
 
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