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Autore: The_Storyteller    25/05/2022    1 recensioni
Anche se è stato nominato Maestro Assassino, la vita di Arno Dorian non è cambiata molto: scoprire i piani dei Templari, eliminare bersagli, cercare informazioni. La solita routine, come le sue visite alla tomba di Élise.
Se non fosse che, una mattina d’inverno, uno strano incontro annuncerà un nuovo capitolo della sua vita.
Madeleine Caradec è una semplice ragazza bretone, un po’ ingenua ma di buon cuore.
Ciò che non sa, tuttavia, è che si trova in un gioco più grande di lei, pedina nell’eterna lotta fra Assassini e Templari. Cosa sarà più forte: una lealtà che dura da anni o i sentimenti nati da un nuovo incontro? Chi è il diavolo e chi l’angelo?
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Arno Dorian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quel giorno non assomigliava per niente a una mattina primaverile. Il cielo, se nei giorni precedenti presentava qualche nuvola sparsa, ora era di un grigio uniforme che preannunciava pioggia. Eppure la quantità di gente nelle strade era assai cospicua, desiderosa di svago e relax in quel giorno di riposo.
Ma in quelle strade si aggirava qualcuno dall'animo teso.
Madeleine raggiunse la piazza del mercato, sempre piena di cittadini intenti a fare compere, e si diresse verso l'edificio che fungeva da base templare. Bussò alla porta e poco dopo si ritrovò davanti la vecchia serva di madame Beauchesne.
-Buongiorno, Geneviève- salutò la giovane, ma la donna rispose solo con un cenno del capo e le fece segno di seguirla lungo una rampa di scale.
La bretone osservò di sfuggita l'espressione arcigna della serva, la sua schiena dritta e il passo deciso. Se fosse stata un uomo sarebbe stato un ottimo soldato, pensò nella sua mente. 
Non che provasse antipatia nei suoi confronti: fin dal primo giorno in cui era entrata a servizio dalla Beauchesne, Geneviève l’aveva trattata con fredda cortesia, parlando giusto il necessario e senza mai instaurare un rapporto che andasse al di là del lavoro. Da parte sua lei aveva sempre offerto aiuto, aveva tentato di scambiare qualche chiacchiera, eppure la vecchia serva era sempre rimasta sulle sue.
Salirono dunque i gradini che portavano al piano superiore, oltrepassarono un paio di stanze e infine si fermarono davanti a una porta. Geneviève l’aprì per far entrare la ragazza, richiudendola subito dopo.
Madeleine si ritrovò nella stessa stanza dove l’aveva condotta madame Beauchesne quasi dieci giorni prima. Riconobbe il divanetto e le poltroncine abbinate, il grande tavolo in mogano appena scentrato e i muri decorati con lo stucco. Tuttavia c’erano un paio di differenze rispetto alla prima volta: stavolta sul tavolo c’erano numerosi fogli, mentre la sua padrona era in compagnia di Gauthier Marchand. Rimase sorpresa da quella presenza, anche se sapeva benissimo che l’uomo era un “caro amico” della signora. Era sicuramente un uomo affascinante, ma dietro la voce melliflua e lo sguardo suadente si nascondeva una mente razionale e calcolatrice.
Un lieve colpo di tosse riportò la giovane alla realtà. Thérèse Beauchesne la guardava con uno sguardo accigliato, mentre si avvicinava a lei: -Allora, Madeleine. Hai trovato qualcosa di utile?-
La bretone annuì, nonostante il nervosismo. Estrasse il foglio con gli appunti rubati e lo consegnò alla sua padrona. Quest’ultima lo osservò con attenzione, ma presto il suo volto assunse un’espressione confusa; girò il foglio un paio di volte, come se dovesse apparire magicamente qualche altra parola, e si adombrò ulteriormente.
-Tutto qui?- chiese con una punta di fastidio. Gettò il pezzo di carta per terra, con disprezzo, e si rivolse alla giovane: -Cosa credi che me ne faccia di uno stupido pezzo di carta! Possibile che tu non abbia trovato altro?- esclamò con rabbia.
Madeleine tentò di giustificarsi: -Ho cercato ovunque, madame. È l’unica cosa che ho trovato, lo giuro! Il signor Dorian non tiene mai al Café informazioni sulla Confraternita, e...-
-Balle!- la interruppe brutalmente la Beauchesne. Le andò incontro con un dito puntato all’altezza degli occhi, sempre più arrabbiata: -Sei stata in quel posto per quasi cinque mesi, e l’unica cosa che riesci a trovare è un inutile foglietto! Mi prendi in giro?-
-No, madame! L-Lo giuro, vi prego!- balbettò la ragazza. Mai aveva visto la sua padrona così furiosa. Vide con orrore che la donna aveva allontanato la mano per tirarle uno schiaffo, ma Gauthier Marchand gliela afferrò prima che potesse colpirla.
-Basta così, Thérèse- disse in tono calmo, sorprendendo entrambe le donne.
La Templare lo guardò incredula, quasi risentita per averla fermata. L’uomo rassicurò Madeleine, chiedendole con gentilezza se potesse aspettare qualche minuto, quindi accompagnò Thérèse dall’altra parte della stanza per poter conversare in privato.
 
Nonostante fosse ancora scossa per la reazione della Templare, Madeleine studiò con attenzione la coppia nel tentativo di capire cosa stessero confabulando; fu inutile, visto che entrambi sussurravano appena, quindi dovette accontentarsi delle loro espressioni: vide il sorriso vittorioso di Marchand e il volto della Beauchesne che, man mano che l'uomo parlava, era passato dalla furia di poco prima all'incredulità, alla sorpresa e infine alla soddisfazione.
I due parlarono ancora per qualche minuto, poi Thérèse si avvicinò un'altra volta alla ragazza e le sorrise: -Brava, Madeleine. Ottimo lavoro- disse compiaciuta.
La bretone si sentiva confusa da quel cambio repentino di atteggiamento. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma la sua padrona la fermò subito: -Prepara i bagagli, domani partirai per Lione- ordinò.
-Cosa? Perché?- chiese allibita.
La Templare si avvicinò ulteriormente alla ragazza, tanto da trovarsi di fronte.
-Mia piccola Madeleine– disse con tono mellifluo, appoggiandole una mano sulla spalla –Non devi preoccuparti, è soltanto per qualche giorno. O dubiti di me?- chiese dolcemente, conficcandole però le unghie nella spalla.
La bretone strinse i denti per sopportare il dolore, stupita da quel gesto. Guardò la donna in faccia, notando come il suo sorriso gentile contrastava con lo sguardo duro.
-No, madame. Io... vado subito- rispose. Thérèse sorrise ancora di più, trionfante, e accompagnò la ragazza fuori dalla stanza, richiudendo la porta dietro di lei.
 
Madeleine aveva un terribile presentimento. Ripensò alle parole della sua padrona a Versailles, quando le aveva promesso che una volta compiuta la missione sarebbe potuta restare al Café. Ora invece le aveva appena ordinato di lasciare la città per chissà quanto tempo, dopo aver cospirato chissà cosa con Marchand. Un senso di inquietudine la pervase, ed ebbe la sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere.
Si avvicinò alla porta e appoggiò l'orecchio nel tentativo di sentire qualcosa, ma solo in quel momento si accorse che Geneviève la stava osservando.
-Geneviève, posso spiegare...- sussurrò spaventata, nel timore che la serva potesse riferire alla Templare. Prima che potesse aggiungere altro, la donna l'afferrò per il polso e le fece segno di tacere. La trascinò per un paio di metri lungo il corridoio fino a fermarsi davanti a una colonnina con alcuni decori floreali, toccò un punto preciso della guarnizione e fece scattare un meccanismo: davanti agli occhi stupiti di Madeleine si era appena rivelata una porta segreta.
-Entra e sta zitta, ti verrò a prendere dopo- borbottò la vecchia dandole una lieve spinta alla schiena.
La bretone, pur volendo chiederle spiegazioni, entrò nel passaggio poco illuminato e la porticina si richiuse subito dietro di lei. Tese l'orecchio, sentendo delle voci poco chiare provenire da un punto preciso, e proseguì nel corridoio fino a trovare una nicchia nel muro. Notò una specie di sportellino di legno di fronte a sé, lo spostò di lato e scoprì due piccoli fori nel muro. Avvicinò gli occhi e vide che quello spioncino segreto si trovava nella stessa stanza dove era stata poco prima, proprio dal lato del tavolo pieno di fogli. Madeleine tese le orecchie, restando il più silente possibile, e origliò la conversazione in corso tra i due.
-Ne sei proprio sicuro?- stava dicendo Thérèse.
Gauthier annuì con decisione: -Me lo aveva già riferito un mio agente, ma questa è la conferma che aspettavo! Cos’altro potrebbero significare queste lettere, altrimenti? S. C. V., ovvero Scilla Cornelia Vico, Maestra Assassina italiana. E sarà a Parigi tra due giorni.-
La donna si illuminò in volto, mentre un sorriso crudele apparve sulle sue labbra: -E prenderemmo due piccioni con una fava... C’est magnifique!-
I due si avvicinarono al tavolo, cominciando a puntare dita e a tracciare segni con del carboncino. Dopo qualche minuto l’uomo riprese a parlare: -Ora dobbiamo soltanto radunare abbastanza uomini per preparare la trappola...-
-... e finalmente potremo uccidere Arno Dorian- concluse Thérèse.
 
La bretone riuscì a stento a trattenere un sussulto, tappandosi all’ultimo secondo la bocca.  Si sentì svuotata di ogni energia vitale, mentre una tremenda sensazione di nausea le aveva bloccato lo stomaco.
Come aveva potuto? Come aveva potuto fidarsi così ciecamente della sua padrona? Come aveva potuto essere così stupida da non chiedersi il vero motivo della sua missione?
Soffocò un singulto, maledicendosi per ciò che aveva fatto: non solo aveva tradito Arno, l'uomo di cui si era innamorata, ma aveva permesso ai suoi nemici di architettare una trappola mortale per lui e un'altra Assassina. Avrebbe voluto sparire dalla faccia della Terra, ma si costrinse a spiare ancora i due Templari per scoprire altri dettagli del loro piano.
Essi parlottarono ancora per qualche minuto e infine uscirono dalla stanza. Madeleine si appoggiò al muro, ancora sconvolta da ciò che aveva scoperto. Cominciò ad avvertire un senso di oppressione e si sentiva il respiro mancare, quando udì dei passi nella stanza che si stavano avvicinando alla parete.
-Madeleine– la chiamò Geneviève –C’è una leva alla tua sinistra, tirala e potrai uscire.-
La giovane cercò la leva e, una volta trovata, la tirò verso il basso: la parete davanti a lei si aprì lentamente, cigolando appena, e il corridoio segreto venne invaso dalla luce del giorno.
Si schermò gli occhi, sbattendo rapidamente le palpebre per abituarsi alla ritrovata luminosità, ed entrò di nuovo nella stanza. E ancora una volta, prima che potesse chiedere spiegazioni, l’anziana serva l’afferrò per il polso e la trascinò al tavolo.
-La padrona e Marchand sono usciti. Tu segnati tutto quello che ti serve, io farò la guardia- disse la donna, e uscì rapidamente dalla camera.
Stava succedendo tutto troppo in fretta, Madeleine si sentiva smarrita: aveva la sensazione di trovarsi in un mare in tempesta dove ogni onda la sballottava cercando di annegarla, di toglierle il respiro. Lottava contro sé stessa per trattenere le lacrime, le grida di disperazione, la voglia di spaccare tutto. Doveva calmarsi o sarebbe impazzita dal dolore.
Si appoggiò al tavolo e fece alcuni respiri profondi. Nonostante il suo tumulto emotivo si costrinse a pensare razionalmente e con logica: doveva concentrarsi e trovare tutto quello che poteva servire agli Assassini. Prese un foglio pulito e un carboncino e si mise al lavoro: stilò una lista delle persone coinvolte, tracciò una pianta semplificata delle Tuileries, segnò con un colore diverso i punti dove si sarebbero appostati i Templari. Copiò tutti gli appunti della sua padrona, guardando con apprensione le lancette di un orologio lì vicino nel timore che la Beauchesne e Marchand ritornassero da un momento all'altro.
Finalmente Madeleine aveva tutto ciò che le serviva. Bussò lievemente alla porta e Geneviève le fece cenno di seguirla. Percorsero nuovamente le rampe di scale, ma stavolta la vecchia serva la condusse sul retro dell'edificio, dove una porticina dava sul lato opposto rispetto alla piazza.
-Fai un altro percorso per tornare al Café, così non rischi di beccare la padrona- bisbigliò la donna, guardandosi intorno circospetta e facendole segno di andare via.
-Aspetta!- esclamò la ragazza. Geneviève la osservò con la sua solita espressione corrucciata.
-Perché mi hai aiutato?- chiese la ragazza.
La donna rimase in silenzio per qualche secondo, poi si lasciò scappare un sorriso: -Consideralo il mio regalo d’addio- e senza aggiungere altro chiuse la porta, lasciando Madeleine in una strada secondaria. Confusa da quegli ultimi avvenimenti così repentini, la giovane non poté far altro che incamminarsi sulla via del ritorno.
 
Un vento freddo, insolito per quella stagione, accompagnava la bretone per le strade di Parigi, costringendola a stringersi nella cappa per proteggersi da quella temperatura così inusuale. Persa nei propri pensieri non si era accorta di essere arrivata davanti a Notre Dame. Si fermò a guardare ciò che era sopravvissuto della cattedrale, saccheggiata e profanata durante gli anni della Rivoluzione: osservò la facciata priva di statue, distrutte dall'odio antireligioso, i resti dei gargoyle nei punti più alti, la guglia che si ergeva maestosa nel cielo, e si chiese che aspetto poteva avere avuto solo qualche anno prima.
Presa da uno strano impulso, Madeleine decise di entrare in quello che era stato ribattezzato come "tempio della Ragione": intorno a lei c'erano le ultime macerie della violenza repubblicana, mentre le colonne delle navate erano decorate con nastri tricolori. La maggior parte delle vetrate era stata restaurata, sostituita da immagini neutre al posto dei precedenti soggetti religiosi. La ragazza si fermò dove un tempo doveva esserci una statua, a giudicare dai resti del piedistallo; al suo posto ora stava una specie di monumento laico a ricordo dei caduti della Repubblica.
Dopo essersi assicurata di essere sola, la bretone giunse le mani al petto e cominciò a pregare in silenzio: pregò per l'anima dei suoi genitori, per la buona salute dei suoi amici. Per la salvezza di Arno. Una singola lacrima le scivolò lungo la guancia, a pensare al suo amato. Se l’asciugò velocemente e, dopo un'ultima supplica, si diresse verso l'uscita dell’ex chiesa.
Una volta in strada ripensò ai suoi genitori e al loro rapporto con la religione: sua madre non era mai stata una praticante, e questo spiegava una delle ragioni per cui il prete del suo villaggio bisticciava spesso con lei. Ma in gran segreto Brona continuava a pregare le antiche divinità d’Irlanda, le sue creature e i suoi spiriti. Le aveva spiegato che era un modo per ricordare chi era, da dove veniva, e per creare una specie di connessione con la sua terra natale.
Suo padre Yannick, invece, era molto credente. L’accompagnava sempre alla messa domenicale e le raccomandava di pregare i santi della propria terra. Era molto devoto a San Corentin, e la giovane ricordava il piccolo ritratto del vescovo di Quimper sopra il caminetto della sua vecchia casa, la veste semplice da eremita e il piccolo pesce miracoloso che riusciva ogni volta a sfamarlo.
 
Madeleine aveva raggiunto il ponte che collegava l’Île de la Cité con l’Île Saint-Louis. Più si avvicinava al Café Théâtre e più si sentiva il cuore affranto: con quale coraggio poteva tornare in quel luogo, con quale coraggio avrebbe guardato i volti delle sue colleghe? Con quale coraggio avrebbe potuto rivolgersi ad Arno, dopo quello che aveva fatto?
Ebbe un lieve capogiro, probabilmente a causa di tutta la tensione che aveva in corpo. Si fermò sul parapetto del ponte e osservò le grigie acque della Senna mentre scorrevano placidamente, ignare di tutto e di tutti. Si sporse appena, come per osservare il proprio riflesso nel fiume, ma in realtà non guardava niente in particolare. Aveva così tanti pensieri per la mente che non si accorse subito di una presenza vicino a lei. Alzò la testa di scatto, colta di sorpresa, e al suo fianco ritrovò Lozach.
-Ciao Madeleine– salutò l'Assassino –È da un po' che non ci vediamo, come stai?-
-Sto bene, solo un po' stanca- rispose la ragazza. Le sue parole non sembrarono convincere il bretone, che infatti la stava osservando con attenzione.
-Scusa se ti sembrerò un vecchio impiccione, plac'h, ma mi sembri un po' turbata. È successo qualcosa?- chiese preoccupato.
Madeleine si sentì un nodo allo stomaco, colpita dalla perspicacia dell'Assassino, e istintivamente si portò una mano al petto per stringere il suo ciondolo. Tentava in tutti i modi di mantenere un’espressione rilassata, ma lo sguardo penetrante dell’uomo la stava facendo agitare.
Il senso di colpa stava ritornando alla carica, facendo scappare alla giovane un respiro tremulo.
-Cos’hai, Madeleine?- chiese lui, sempre più preoccupato.
La bretone scostò lo sguardo per impedire all’Assassino di vedere i suoi occhi pieni di lacrime, e mormorò a malapena una risposta: -Ho fatto una cosa molto brutta, Laurent...-
Prima che l’Assassino potesse approfondire la questione, Madeleine lo salutò velocemente e si incamminò a testa china verso il Café Théâtre, tamponandosi gli occhi con la manica della cappa. Entrò nell’edificio, fortunatamente privo di clienti per via del giorno di chiusura, e si diresse verso camera sua cercando di evitare più gente possibile; cosa che le riuscì facilmente, visto che quasi tutti erano fuori per godersi il meritato riposo.
Una volta raggiunta la propria camera si tolse la cappa e le scarpe e si lasciò cadere sul letto. Riparata fra quelle quattro mura Madeleine poté sfogare tutta la tensione accumulata: prese il cuscino, vi affondò la faccia e si lasciò andare a un pianto disperato. Tra lacrime e singhiozzi la bretone soffocava nella stoffa tutto il suo dolore, la sua rabbia, la sua disperazione. Cosa avrebbe dovuto fare? Dire la verità ad Arno e rischiare di subire la sua ira? Fare finta di nulla? No, assolutamente no. Cosa fare con il piano della Beauchesne? Come poteva avvertire gli Assassini?
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, ma a un certo punto Madeleine si calmò. Aveva esaurito le lacrime, mentre lamenti e singhiozzi si erano tramutati in un silenzio apatico. Rimase sdraiata sul letto, abbracciata al cuscino. Pensò a cosa poteva fare, ai vari scenari possibili, finché non arrivò a una decisione. Avrebbe sofferto molto, così come Arno, ma era la cosa giusta da fare.
Trattenendo un singulto, la bretone si alzò dal letto e cominciò a preparare il suo bagaglio: raccolse i suoi pochi abiti ed effetti personali e li sistemò in una borsa capiente, insieme ai soldi che aveva guadagnato. Terminato di preparare la valigia, Madeleine la sistemò sul letto e quindi si diresse verso un tavolino che fungeva anche da scrittoio. Prese gli appunti sul piano della Beauchesne e li appoggiò al mobile, poi aprì un cassetto ed estrasse un foglio di carta e dell’inchiostro. Si sedette, prese la penna e cominciò a scrivere: ricominciò più volte, cancellò certe parole e ne aggiunse altre, si asciugò le lacrime che minacciavano di macchiare la carta, fino ad arrivare alla versione definitiva.
Ora doveva soltanto consegnarla ad Arno.
 
Arrivò la sera e, con essa, tornarono alcuni inservienti del Café. Madeleine era in cucina con Babette per aiutarla a preparare la cena, quando venne distratta dalle voci di Ophélie e Célestine.
-Devi assolutamente convincere l'intendente a lasciarti il pomeriggio libero! Come farai sennò col tuo appuntamento?- diceva la prima.
-Smettila, è solo un amico. Niente di più- si difendeva la seconda arrossendo appena.
Ophélie continuò a prendere simpaticamente in giro l'amica, ma si interruppe quando vide la bretone.
-Ciao Madeleine. Come hai passato la giornata?- chiese.
-Ciao ragazze. Io tutto bene, forse ho passeggiato un po' troppo e sono un po' stanca- rispose con un sorriso tirato. Persino alle sue amiche dovette mentire, un'altra bugia che si aggiungeva alla lunga lista dei suoi peccati.
Madeleine ascoltò il resoconto di Ophélie, che le raccontò della loro giornata, dei loro giri e degli incontri che avevano fatto; Célestine, tuttavia, osservava la bretone e notò il colorito pallido, le spalle incurvate e lo sguardo triste.
-Ti senti bene, Madeleine?- chiese preoccupata.
La ragazza si spostò una ciocca di capelli e annuì: -Tranquilla, è solo un po' di stanchezza. Forse è anche il tempo che mi rende un po' malinconica.-
Quella risposta sembrò convincere l'inserviente, che non indagò oltre. Le tre giovani, insieme a Babette, cenarono insieme e chiacchierarono del più e del meno, scambiandosi gli ultimi consigli in fatto di moda e qualche pettegolezzo.
Il bricco della camomilla, com'era ormai tradizione di Babette, era stato preparato e ognuna delle ragazze si stava godendo una tazza di bevanda fumante.
-Sapete se il signor Dorian è tornato? Vorrei portargli una tazza- chiese ad un certo punto Madeleine.
-Ohi, puoi anche chiamarlo col suo nome quando siamo tra di noi!- scherzò Ophélie.
-Spero per lui di sì. È da quando è tornato da Versailles che lo vedo rientrare sempre tardi, stanco morto. Dovrebbe riposarsi un po'- intervenne Célestine.
Madeleine si lasciò scappare un sospiro mentre versava altra camomilla in una tazza: -Vado a vedere se è in camera sua, altrimenti chiederò a madame Gouze. Buonanotte a tutte.-
-Notte, Madeleine. A domani!- ricambiò Ophélie.
Se solo avesse saputo cosa sarebbe successo l'indomani...
 
Appena uscita dalla cucina la bretone controllò di essere da sola. S’incamminò lungo il corridoio e salì le scale che portavano al primo piano senza incontrare anima viva. Controllò ancora una volta e, sicura di essere sola, tirò fuori la boccetta col sonnifero rimanente e lo versò nella tazza di camomilla. Odiava doverlo fare, ma era necessario.
Arrivò davanti alla porta della camera di Arno e vide, da sotto la porta, una lieve luce: l’Assassino era lì. Fece un respiro profondo e bussò e, dopo una risposta affermativa, entrò nella stanza.
Arno riconobbe subito la ragazza e si alzò dalla sedia per andarle incontro.
-Ciao Madeleine- disse, salutandola con un bacio sulla guancia. La giovane sorrise a quel gesto d’affetto e, dopo aver appoggiato la tazza di camomilla su un tavolino, rispose con un abbraccio.
-Sempre al lavoro, eh?- scherzò lei, notando la scrivania piena di fogli.
L'uomo ridacchiò: -Tra due giorni avrò terminato questa missione. E ti prometto che poi passeremo un po' di tempo insieme- disse sorridendo.
La giovane si sforzò di sorridere, ma dentro di sé si sentiva urlare l'anima, come se qualcuno la stesse strappando pezzo dopo pezzo. Si sentiva malissimo, ma doveva seguire il suo piano.
Notò solo in quel momento che Arno si era allontanato per bere la camomilla drogata, e ora la stava guardando preoccupato.
-Va tutto bene?- chiese.
Madeleine sospirò all'ennesima domanda sul suo stato. Invece di rispondere si avvicinò all'uomo e lo abbracciò, accoccolandosi contro il suo petto e cogliendolo quasi di sorpresa.
-Posso farti una domanda?- disse. Arno la strinse a sé e annuì.
Seppur titubante, la ragazza proseguì: -Sei mai stato tradito da qualcuno di cui ti fidavi?-
Arno rimase colpito da quella richiesta. Chinò la testa verso la giovane, rivolgendole uno sguardo interrogativo, e vide un'ombra di tristezza nei suoi occhi color del mare.
Cominciò ad accarezzarle i capelli, quindi rispose: -Pierre Bellec, un Assassino amico di mio padre. Lo incontrai per la prima volta nella Bastiglia ed è grazie a lui che scoprii la mia eredità. È stato il mio maestro nella Confraternita, e nonostante i suoi modi burberi mi ci ero affezionato.-
-Un giorno, però, il Mentore Mirabeau venne ucciso con dell'aconito, proprio com'era successo al signor De la Serre. Un metodo da templare, quindi Élise, che voleva parlare con lui, venne accusata del suo omicidio. Ma la verità è che fu Bellec stesso ad ucciderlo, poiché era contrario alla sua proposta di pace con i Templari. Ci fu una lotta, lui tentò di uccidere Élise...-
Arno dovette fermarsi a causa del peso dei ricordi, ma riuscì a concludere il suo racconto: -Alla fine dovetti ucciderlo.-
Madeleine rabbrividì a quelle parole. Nella sua mente provò a immaginare che aspetto avesse avuto il vecchio maestro, i discorsi tra i due, i bisticci, e il loro ultimo scontro; solo che, ad un certo punto, davanti alla lama di Arno non c'era più l'Assassino, ma lei. Se Arno avesse saputo la verità, sarebbe andata incontro allo stesso destino?
Affondò la faccia nel petto dell'uomo, nel tentativo di nascondergli le lacrime nascenti.
-Promettimi una cosa– mormorò lei con un lieve tremito nella voce –Promettimi che sarai sempre prudente. Promettimi che tornerai sempre sano e salvo.-
Avvertì la mano di Arno sulla sua guancia e un movimento verso l'alto. Si ritrovò a guardare in volto l'Assassino, mentre con il pollice le asciugava una lacrima. Un bacio leggero, un'altra carezza, e Arno la strinse di nuovo tra le sue braccia, come se temesse che potesse sparire da un momento all'altro.
-Te lo prometto, mon ange. Tornerò sempre da te- disse con tenerezza, per poi baciarla sulle labbra.
 
*****
Madeleine si svegliò di soprassalto, colta di sorpresa dalle prime luci dell’alba. Si guardò intorno, spaesata, e vide al suo fianco Arno ancora profondamente addormentato, segno che il sonnifero stava ancora facendo effetto. Ma lei non doveva essere lì.
Eppure il suo piano era semplice: dare le ultime gocce di sonnifero ad Arno, aspettare che fosse profondamente addormentato, lasciargli la busta e andare via. Ma i suoi sentimenti verso l’uomo avevano avuto la meglio e la ragazza aveva trascorso con lui un’altra notte.
Ma adesso era arrivato il momento di muoversi.
La bretone si rivestì il più in fretta possibile, rimanendo senza scarpe per evitare di fare troppo rumore. Estrasse una busta dalla tasca della gonna e si precipitò a lasciarla sulla scrivania. Diede un’occhiata nervosa alle ampie finestre della stanza, notando il cielo nuvoloso dal quale filtravano i primi raggi del sole. Doveva sbrigarsi.
Si voltò per uscire dalla stanza, ma il suo sguardo cadde sulla sagoma che giaceva nel letto. Si avvicinò in punta di piedi e osservò il volto dell’Assassino mentre dormiva serenamente. Madeleine trattenne un singulto, si chinò sul suo viso e gli diede un bacio sulle labbra, leggero come una farfalla.
-Addio, ma menn- sussurrò con tristezza. Prese di nuovo le sue scarpe e, dopo un’ultima occhiata, uscì silenziosamente dalla camera di Arno.
 
La bretone si muoveva circospetta, timorosa di incontrare già qualcuno in piedi a quell’ora del giorno. Raggiunse in silenzio la propria camera, dove si infilò un paio di stivali comodi. Sistemò le scarpe nella sacca che fungeva da bagaglio, indossò la cappa e uscì dalla stanza diretta verso la cucina.
Tese le orecchie, sperando che Babette non fosse già impegnata ai fornelli, ma l’ampio locale era ancora vuoto. Rovistò velocemente nella dispensa, prese alcuni viveri e li mise nella sacca. Si sentì in colpa per ciò che stava facendo; frugò in una tasca e vi trovò alcune livres che lasciò sul bancone. Almeno non sarebbe stata considerata una ladra...
Senza perdere altro tempo Madeleine quasi corse in direzione della porta sul retro. Prese la chiave appesa lì di fianco, aprì la porta e uscì sulla strada che stava dietro il Café. Richiuse la porta e gettò la chiave nello spazio sottostante, facendola strisciare sul pavimento della cucina.
La ragazza percorse la strada che costeggiava il Café Théâtre. Sospirò mentre osservava con attenzione ogni dettaglio dell’edificio, come a volerselo imprimere nella memoria, quindi si allontanò in fretta.
Le prime gocce di pioggia l’accompagnarono verso uno dei numerosi ponti che collegavano le due isole fluviali alla terraferma. Madeleine si fermò vicino al parapetto e osservò le grigie acque della Senna, smosse dalla forte corrente. Estrasse la boccettina che le aveva dato la Templare; la osservò con astio, mentre nella sua testa ritornavano le scene della sua padrona e di tutte le bugie che le aveva propinato. In un impeto di rabbia gettò il piccolo contenitore nel fiume, maledicendo Thérèse Beauchesne e il suo malvagio piano.
Ormai il sole era sorto, nonostante le nuvole cariche di pioggia. Nella solitudine di quel mattino primaverile, con gli occhi gonfi di lacrime e il cuore pieno di dolore, Madeleine lasciò Parigi.

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Se volete sapere di più su San Corentin, questo è il link della pagina di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Corentino_di_Quimper
   
 
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