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Autore: Jeremymarsh    26/05/2022    3 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Lacci


Messi da parte i problemi che avrebbero affollato la loro mente in quel giorno altrimenti felice, Ofelia e Thorn si rifrescarono, cambiarono e furono pronti giusto in tempo per sentire la domestica che bussava alla porta e annunciava la cena.

Era un’altra cosa a cui avrebbero dovuto abituarsi: Ofelia non era mai stata a suo agio con degli aiutanti attorno a lei e Thorn era sempre stato rinchiuso nell’Intendenza per farci davvero caso. Forse ne avrebbero dovuto discutere e ridurre l’aiuto a un minimo non appena Berenilde e Roseline li avrebbero lasciati da soli. D’altronde, non potevano nemmeno pensare di gestire l’intera abitazione senza; era troppo grande per riuscire a starci dietro.

Quando giunsero in sala pranzo, il lungo tavolo era già imbandito a festa e i quattro che erano venuti a prenderli in stazione era seduti, in attesa, e Thorn pensò che sarebbe stato fin troppo bello se Archibald se ne fosse tornato a casa — ovunque questa fosse — lasciandoli almeno desinare in pace.

Mentre si sedevano, Ofelia gli scoccò un’occhiata preoccupata, sperando che la compagnia non gli facesse passare l’appetito e poi salutò gli altri commensali. Davanti a lei i lucenti piatti di porcellana aspettavano solo di essere riempiti di cibo e i bicchieri di cristallo erano già colmi di champagne versato in precedenza dagli stessi domestici per ordine di Berenilde.

“Bentornati, ex-intendente, moglie di Thorn, aspettavamo solo voi per il brindisi celebrativo,” annunciò squillante Archibald prima di ammiccare in direzione di Ofelia facendo infuriare Thorn. “Oh, non siate così teso; la pausa in camera con la vostra consorte non vi ha aiutato a rilassare un po’ i nervi?” L’ex-ambasciatore non si fece scappare l’occasione per continuare a provocarlo. “Certo che vostro marito non vi merita proprio,” commentò infine rivolto alla giovane animista, andando però a colpire un tasto debole per Thorn. “Per nulla divertente,” aggiunse poi — in realtà molto soddisfatto di se stesso — mentre prendeva il fazzoletto da sopra le gambe e si asciugava qualche gocciolina di sangue che usciva dal naso. Tutto sommato gli era andato bene e ridacchiò contento.

“Come Archibald stava dicendo, abbiamo aspettato voi per il brindisi; spero non vi dispiaccia se ho già fatto riempire i bicchieri. Credo che l’occasione ne meriti uno.” Nella voce di Berenilde non vi era più traccia del fastidio di poco prima ed era tornata la gioia data dall’aver di nuovo accanto a sé il nipote. Fu la prima ad alzare il proprio calice e tutti gli altri seguirono il suo esempio, anche Thorn, suo malgrado.

Ofelia notò che il contenuto di quello di Archibald era molto meno limpido e invitante degli altri e se ne chiese il motivo. L’uomo si accorse del suo interesse e trattenne la smorfia che gli veniva naturale ogni volta che qualcuno adocchiava la sua bevanda speciale — e tutt’altro che gustosa. Tuttavia, non voleva rovinare l’atmosfera, quindi preferì spiegare quanto prima e mettere da parte l’argomento. “Ne vorreste un po’, moglie di Thorn? Mi spiace deludervi, ma credo di essere l’unico prescelto. È un piccolo toccasana per la mia salute e sono sicuro che ve ne priverete volentieri — anche se a malincuore — pur di assicurarvi la mia compagnia questa sera e quelle che seguiranno.”

Thorn borbottò qualcosa che assomigliava a ‘ne farei anche a meno’ e Ofelia sussultò rendendosi conto di essere stata colta in fragrante. “Non volevo essere invadente, signor Archibald.”

“Sciocchezze, sciocchezze,” rispose l’altro, agitando la mano libero e cominciando a sentire il braccio un po’ stanco. “Allora, questo brindisi?”

“A Ofelia e Thorn,” esclamò soddisfatta Berenilde mentre posava lo sguardo sulla coppia. “Alla famiglia al completo.”

 

***

 

La cena era stata meno imbarazzante di quanto Ofelia si era aspettata e Thorn aveva mangiato più di quanto avrebbe fatto in precedenza in compagnia di altri, in particolare di Archibald. Soprattutto, lei fu felice di notare le interazioni tra lui e la cugina e il modo in cui la piccola Vittoria pendeva dalle sue labbra o lo guardava curiosa. Sperava che quello fosse l’inizio di un ottimo rapporto e che vecchi dolori fossero dimenticati; ricordava bene ciò che il marito gli aveva raccontato del suo passato con la zia e la gelosia nei riguardi della bambina. Eppure, sapeva anche che erano sentimenti superati e, per come la vedeva, non vi erano più ostacoli. Quando, infine, si spostarono nel salotto e venne servito loro caffè, tè e dolci, Ofelia ricordò come aveva impiegato i suoi ultimi giorni a New Babel con Thorn osservando il cucchiaino che girava in modo perfettamente circolare senza l’ausilio di alcuna mano. Nessun altro lo notò, troppi presi da altre discussioni, e pensò che l’atmosfera ora rilassata era l’ideale per rivelare una notizia più positiva dell’altra che avrebbero ancora nascosto.

Nemmeno Thorn si era accorto di ciò che aveva indirettamente iniziato e dimostrava quanto avesse imparato a controllare il proprio animismo, facendolo suo e senza rifiutarlo o avere paura che potesse un giorno tornare a interferire con il suo potere familiare da parte di padre. Ofelia ricordava che, sin da subito, il marito aveva dimostrato di saper utilizzare senza problemi quella nuova abilità che si era modellata attorno al suo essere rigoroso e ordinato: i fogli si impilavano e raddrizzano da soli — laddove con Ofelia, invece, creavano il caos; le coperte erano sempre perfettamente spiegate, le scarpe sempre in fila. Eppure, le era venuto in mente, nessuno aveva davvero mai insegnato a Thorn come gestirlo e la naturalità con cui lo utilizzava qua e là non sempre bastava, tanto da infastidirlo e metterlo di cattivo umore. Dopo tutto, aveva sempre saputo che un potere così imprevedibile come quello degli Animisti non si sposasse troppo bene con un uomo metodico e ordinato come Thorn. Ma loro due erano l’eccezione e se la loro vita non lo aveva già sufficientemente provato, i loro poteri che si intrecciavano e completavano a vicenda lo confermavano.

L’animismo di Thorn era ora in tutto e per tutto ciò che ordinava il caos di Ofelia e, viceversa, quando ce n’era bisogno, la confusione creata da lei interrompeva l’ordine di lui. Erano come lacci che si legavano, slacciavano e intersecavano in continuazione, all’infinito, senza mai fermarsi o accontentarsi.

Quei sette giorni erano stati molto impegnativi, anche se Thorn si era rivelato uno studente molto diligente — cosa che non aveva davvero sorpreso Ofelia — e il risultato era lì sotto i suoi occhi. Aveva addirittura provato a proporgli di costruire un proprio totem, ma aveva rinunciato non appena aveva visto la sua smorfia e l’occhiata che aveva riservato alla sciarpa, la quale si era pesantemente offesa visto che, a suo modo, era molto affezionata a lui e non credeva di meritare tanto astio. D’altronde, entrambi avevano a cuore la salute di Ofelia; non era colpa sua se ogni tanto era lei stessa a causarle problemi!

Ora era sicura che la stessa zia Roseline ne sarebbe stata fiera. E, infatti, come se richiamata da quel pensiero, la dama si voltò verso Thorn e notò la sua tazza di caffè. “Per tutti gli Antenat, quel cucchiaino è più preciso del metro della cugina Ludmilla quando ci prende le misure!”

Ogni occhio puntò verso la posata incriminata che, riflettendo l’improvviso imbarazzo di Thorn, si immobilizzò e poi schizzò fuori dalla bevanda calda, posandosi in maniera perfettamente angolare lungo il piattino, non lasciando nemmeno una macchia sulla tovaglia. Anche in ritirata, l’ordine di Thorn era formidabile. Si schiarì la gola e poi prese la tazzina per bere un lungo sorso, ignorando gli sguardi concentrati su di lui.

Ofelia sembrava brillare di gioia pura, tanto era fiera della figura che il marito aveva fatto e poi si voltò verso la zia Roseline. “Avete visto? Thorn potrebbe essere un diretto discendente di Artemide per quanto è a suo agio con l’animismo!” Due sbuffi gemelli — provenienti da Thorn e Berenilde — dimostrarono quanto poco d’accordo alcuni fossero con quell’affermazione.

“E così due poteri familiari non vi bastavano, vero, ex-intendente? Dovevate ereditarne altri due da vostra moglie! Ma questo è il bello della cerimonia del Dono, no?” si intromise Archibald. L’uomo stava per fare riferimento al vecchio desiderio di Thorn di diventare lettore, ma ci pensò bene due volte dopo essere stato colpito dal luccichio delle dita metalliche di Ofelia — non era così insensibile dopo tutto!

“E tu, Ofelia?” volle sapere immediatamente Berenilde. “Hai fatto qualcosa per controllare il nostro? Io ho già cominciato a insegnare alla mia Vittoria qualcosa, ma lei ha una predisposizione innata,” si vantò, carezzandole dolcemente i capelli argentei. “Con un padre come il suo.”

Ofelia avrebbe voluto ribadire che Vittoria non sembrava tanto contenta dei suoi artigli, ma pensò fosse meglio evitare. “Ah, beh, sì, Thorn mi ha insegnato tutto.”

“Eccellente! Dovrai darmene una prova prima o poi.”

“C-cosa?” balbettò la ragazza, presa in contropiede. “No, non credo sia il caso.”

“Sciocchezze. Sei o non sei un Drago per acquisizione?”

“Zia,” le interruppe Thorn. “Non sono mai stato un Drago o, per lo meno, non sono mai stato accettato e lo sono solo per metà; perché mai dovrebbe esserlo mia moglie?”

“Ne abbiamo già parlato, caro. Ora siete gli ultimi e dovete-” un’occhiataccia più gelida del solito la bloccò e, per quanto strano, Berenilde non finì la frase né riprese il discorso cominciato nella camera padronale.

“Non ci sarà bisogno di una dimostrazione; non vi fidate delle mie doti di insegnante? Ofelia ha imparato per il proprio bene e per non scatenare problemi accidentalmente. Non utilizzerà mai questo potere di sua spontanea volontà e vorrei che non le faceste pressioni.”

“È sempre così protettivo nei confronti di sua moglie; non credo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei assistito a qualcosa di simile. Nonostante tutto la nostra Ofelia è davvero fortunata,” commentò Archibald finendo il suo intruglio.

“Anche Thorn lo è ad aver trovato mia nipote. Ricordiamoci che è stata lei — con la sua testardaggine che solitamente definirei un difetto — a ritrovarlo e per questo ne siamo tutti grati,” volle enfatizzare Roseline.

“Ma certo, madama. Perché non concludiamo sottolineando che bella coppia affiatata sono?” Le uniche a non aver colto il doppio senso furono Roseline, che annuì fiera della figlioccia, e Vittoria.

Ofelia scosse la testa: Archibald si era messo piuttosto d’impegno e non erano arrivati nemmeno da un giorno. Si chiese se, ora che non poteva più minacciare Thorn di deflorarla prima del matrimonio, non decidesse di fare dei doppi sensi e dei riferimenti sessuali il proprio cavallo di battaglia. Sperava di no; non credeva che sarebbe potuta sopravvivere con le guance e gli occhiali perennemente scarlatti.

 

***

 

La calma e la gioia che si respirava in quel castello si dissipò del tutto la mattina dopo quando vennero annunciati dei visitatori inaspettati alle prime luci dell’alba. Nessuno reagì bene alla notizia e se Ofelia cominciò ad agitarsi, aspettandosi chissà cosa, Thorn cominciò a borbottare, irritato, della mancanza di rispetto e di buone maniere. La situazione precipitò quando si rifiutò di dare il consenso per far entrare quegli ospiti non desiderati e cominciarono a sentirsi delle urla provenienti dall’uscio che non fecero nulla per migliorare l’umore di coloro che erano al tavolo a fare colazione.

Venne fuori che Ofelia aveva ben più di un motivo per preoccuparsi perché quando si recarono alla porta trovarono dei rappresentati del clan di Miraggi in compagnia di uomo calvo e tarchiato il cui capello sbrindellato avrebbe potuto competere con il cilindro di Archibald. Non ci volle molto a capire il motivo per il quale si trovavano lì perché, anche se le loro urla sconclusionate non avevano dato a nessuno modo di parlare, la rabbia e qualche parola più comprensibile qua e là erano bastate: non apprezzavano il ritorno di Thorn e volevano che fosse quanto prima imprigionato.

Berenilde rimase sconvolta dalla loro audacia, ma mantenendo la calma e la compostezza che le si addicevano fece loro sapere cosa pensava del loro arrivo tutt’altro che educato. “Vedo che voi Miraggi continuate a perdere grazia giorno dopo giorno, non che quella che avete ostentato fino a poco fa fosse reale. Possiamo vedere tutti che fine ha fatto il vostro clan,” concluse stringendo gli occhi e alzando il naso con aria altezzosa.

In effetti, dei vecchi clan più in auge nella loro arca negli ultimi anni quello dei Miraggi aveva più sofferto e i loro servigi erano sempre meno richiesti di conseguenza. La cosa ironica era che, tra tutti, erano stati proprio loro a insistere che le persone inferiori rimanessero ai margini della società, non rendendosi conto che presto avrebbero potuto essere superati proprio da quest’ultimi. E ora si permettevano anche di arrivare da loro, di prima mattina, inscenando un teatrino che nemmeno i loro trucchi migliori avrebbero potuto far passare come raffinato.

“Sei sicura di star parlando del nostro, Berenilde? A quanto ricordo sono i Draghi ad essere caduti in disgrazia,” commentò l’unica donna presente, esibendo un sorriso falso quanto la pelliccia che portava sulle spalle. “Ah, che sbadata. Il vostro nemmeno esiste più. Sei o non sei l’unica sopravvissuta? Il bastardo che abita questa dimora non conta né quella bambina disagiata che chiami figlia.”

“Almeno io dei figli sono riuscita ad averli. O forse dovrei dire che più di un uomo si è dimostrato più che disposto ad averne con me, Clementine? Il nubilato forzato e la mancanza di eredi ti rende ancora abbastanza acida a quanto pare. Ma non devi invidiare coloro che ne hanno o le giovani coppie innamorate. Non tutti siamo nate avvenenti e desiderabili; non fartene una colpa.” Berenilde ghignò nel vedere la donna diventare tutta rossa, incapace di mantenere un contegno — non che si aspettasse diversamente. La prossima volta ci avrebbe pensato più di una volta prima di offendere la sua famiglia.

“Signore, signore, vi prego; non c’è bisogno di litigare. Veniamo in pace,” si intromise l’uomo tarchiato asciugandosi contemporaneamente la lucida pelata.

“Beh, il modo in cui i vostri accompagnatori si sono annunciati dice tutt’altro, signor Intendente,” lo contraddisse Archibald, che si era precipitato ugualmente alla porta, indicando con il cappello Clementine e il fratello Bertrand.

Le teste di Ofelia e Thorn scattarono nella sua direzione non appena udirono la parola ‘intendente’ e i loro occhi osservarono con attenzione la sua figura in apparenza debole e malaticcia, chiedendosi come avesse potuto gestire il caos del Polo, tanto meno mantenere la carica così a luogo.

Ora che aveva tutta l’attenzione su di sé, e soprattutto quella di colui che lo aveva preceduto, Emmanuel cominciò a sudare ancora più copiosamente, non sapendo più a chi rivolgersi per prima. Si tamponò di nuovo la fronte per poi rivolgersi a colui che lo aveva interpellato, cercando di mantenere una presa salda sui nervi che non gli stavano facendo esattamente fare una bella figura. E dire che prima di accettare quell’incarico era stato l’invidia della sua famiglia per i suoi folti capelli.

“Ho tentato di avvertire il gentiluomo e la dama che questo non era l’approccio migliore,” chiarì schiarendosi la gola e lanciando ai due Miraggi un’occhiataccia. “Ma non hanno voluto sentir ragione né le mie spiegazioni.”

“Questo perché non sei in grado di fare il tuo lavoro e continui ad appigliarti a certe buffonate. Dì quello che devi dire e arresta questo bastardo!” urlò spazientito Bertrand, lanciando fulmini e saette in direzione di Thorn, buttando il petto in fuori e cercando di far capire chi tra i due fosse superiore. Tuttavia, l’uomo era ancora più basso e tozzo dell’attuale intendente e l’immagine che dava non era molto brillante. Archibald, vedendolo, scoppiò a ridere così forte che dopo un po’, per mancanza d’aria, le risate si trasformarono in tosse e Roseline dovette prestargli aiuto.

“Oh, scusatemi,” disse infine asciugandosi gli occhi. “Procedete pure se i vostri accompagnatori ve lo permettono.”

Emmanuel scoccò un’altra occhiataccia in direzione dei Miraggi prima di riprendere la parola. “Avrei volentieri dato ai nuovi arrivati più tempo per sistemarsi e riprendersi, ma come vedete la situazione non lo permette. In qualità di Intendente, sono dunque venuto a informare il signor Thorn del processo al quale è tenuto a partecipare per investigare le accuse sul presunto omicidio del barone Melchior e-”

“Nessun processo! Pensavo che fossimo d’accordo sul fatto che non c’è bisogno di alcun processo. Quest’uomo deve essere incarcerato e condannato per i suoi misfatti!” sbraitò ancora Bertrand, sputando goccioline di saliva qua e là ed esibendo un viso tanto rosso quanto quello della sorella precedentemente umiliata da Berenilde.

L’Intendente drizzò le spalle e indurì l’espressione nel sentirsi ancora una volta interrotto da quegli scostumati, cominciando anche a pentirsi di averli portati con sé. Ma, si disse, non che gli fosse stata data chissà quale scelta: quei due si erano presentati fuori casa sua quando era ancora buio, urlando e colpendo la porta, esigendo che fosse immediatamente fatto qualcosa per evitare che un criminale del genere girasse a piede libero sulla loro arca. “E io,” cominciò lentamente, alzandosi in punta di piedi e troneggiando — anche se di poco — sull’altro, “pensavo fossimo d’accordo che non siete voi o vostra sorella a dettare legge e che al signor Thorn è stato concesso da niente di meno che Faruk il diritto a un regolare processo. Ora, se non volete essere voi a ritrovarvi accusato di intralcio all’amministrazione e trascorrere più di una notte in cella, vi suggerisco di chiudere finalmente la bocca e starvene in silenzio. Ci siamo capiti?”

Il silenzio scese su tutti loro, ma nessuno avrebbe potuto essere più scioccato dei due coniugi che avevano appena incontrato l’Intendente e, dall’apparenza, non avrebbero mai immaginato potesse reagire in quel modo e gestire sapientemente la situazione. Forse, dopo tutto, non era poi così debole; ma per loro era ancora troppo presto farsi un’idea definitiva.

Quando lo shock diminuì e ci si assicurò che Bertrand non osasse più parlare, Berenilde e Ofelia pensarono fosse finalmente arrivato il momento di dire la propria. Non sembrava appropriato che Thorn fosse a malapena ritornato a casa e trascinato in aula. Certo, avevano considerato che una cosa del genere potesse succedere — anzi, ne erano state certe considerando quanto fosse amato Thorn — tuttavia, avevano almeno sperato che gli fosse dato un po’ di tempo.

“No, non c’è alcun bisogno di rimandare oltre. Io preferisco sempre risolvere ogni problema quanto prima e non rimandare,” proferì stoico e con aria di finalità Thorn, lasciando di stucco moglie e zia, ugualmente preoccupate.

“Non avevo dubbi, signor Intendente. Ehm, voglio dire, signor Thorn,” si impappinò Emmanuel, rendendosi conto che quel titolo era ancora suo e non più dell’altro. “Risolveremo la questione quanto prima e vorrei poi la sua opinione su altre pratiche rimaste in sospeso e che la riguardano.”

Thorn arcuò un sopracciglio mentre Archibald ricominciava a ridacchiare a causa della gaffe dell’uomo. “Bene, visto che siamo tutti d’accordo, immagino quindi ci rivedremo più tardi nel luogo da voi stabilito per il processo.”

Emmanuel strabuzzò gli occhi e si tamponò di nuovo la pelata — un tic sicuramente nervoso, osservò il Drago — e spalancò la bocca. “O-oggi?”

“Certo. Non avevate intenzione di completare tutto oggi? Abbiamo parlato di tempi quanto più celeri. Non vorrete mica mettere in dubbio la mia memoria?” Strinse gli occhi e lo sfidò a contraddirlo.

“No, no. Non mi permetterei mai. Dunque,” tossicchiò e si sistemò la cravatta che ora gli sembrava strettissima. “Entro oggi pomerig-”

“Mezzogiorno,” lo interruppe Thorn brusco. Aprì l’orologio da taschino e poi annunciò: “Fate arrivare una carrozza qui per le 11.30. Sono sicuro che arriveremo con estrema puntualità e che voi avrete tutto il tempo per preparare ogni necessità burocratica e informare chiunque voglia assistere. Per correttezza.”

L’Intendente deglutì, sentendo improvvisamente la bocca piena di saliva e il cervello troppo vuoto per dire qualcosa di intelligente. Seppe solo annuire perché, si rese conto, non avrebbe mai potuto dirgli di no, non dopo quel tono autoritario che aveva utilizzato — quello di chi era abituato a dare ordini, indifferente al modo in cui venivano recepiti. Capiva ancora di più perché quell’uomo alto e magro fosse riuscito a governare la loro arca di matti e lui ci teneva particolarmente a non fare una brutta figura.

Dopo tutti, i suoi piani non erano per nulla cambiati. Bisognava solo metterli in atto molto prima di ciò che aveva preventivato.

 


N/A: Eccoci qua!
Spero stiate bene e il caldo non vi stia dando alla testa - come succederà a breve a me 😆❤.
Forse qualcuno di voi si stava chiedendo quando sarebbero cominciati i guai e hanno trovato la loro risposta in questo capitolo. Nel prossimo verranno risolti un po' di problemucci e vedremo anche qual è il famoso piano dell'Intendente. Nel frattempo abbiamo anche visto come avevano impiegato il loro ultimo tempo a New Babel prima di partire. Mi piace molto l'idea dei poteri familiari dei due che si completatono come loro stessi 🥰.

Spero la lettura sia stata di vostro gradimento. Vi auguro buon weekend e a presto!

   
 
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