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Autore: vielvisev    31/05/2022    3 recensioni
Regulus Black è un bambino destinato a essere la versione migliore di suo fratello Sirius, primogenito turbolento e amato, così imperfetto e coraggioso.
Regulus Black non ha la possibilità di scegliere il suo destino, né di vivere la sua infanzia.
Una breve One Shot sui due nella loro prima infanzia, vestibolo di quel che saranno da più cresciuti.
Storia di due personaggi che non diventeranno mai adulti.
*Dal testo*
Aveva imparato a scrivere il suo nome a quattro anni, con le dita pallide segnate dalle bacchettate di Miss Pottish, la sua insegnante privata, che imponeva lui niente di meno che la perfezione. Aveva imparato a cantare come un usignolo e a riconoscere tutte le essenze, i fiori e le piante della serra di casa a cinque anni, a declamare poesie e suonare il grande piano forte a coda che riempiva il tetro soggiorno a sei. A sette la sua calligrafia era perfetta, il suo portamento dignitoso e le regole della società Purosangue gli si erano già cucite addosso. Regulus Black sapeva che stava costruendo la sua persona per il solo scopo di essere un degno componente della Casata Black e tutto sommato gli andava bene così.
Meglio componente, che erede
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black, Walburga Black
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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.Argento vivo.



R.A.B.
Regulus aveva imparato velocemente a nascondersi dietro pochi segni. Meglio una lettera che un nome intero. Meglio un cenno, che una parola. Meglio un sospiro, che una lacrima. Meglio un 'a presto', che un 'addio'. Essere un'ombra. Modestia. Controllo. 
 R.A.B. Ovvero Regulus Acturus Black. 
 Aveva imparato a scrivere il suo nome a quattro anni, con le dita pallide segnate dalle bacchettate di Miss Pottish, la sua insegnante privata, che imponeva lui niente di meno che la perfezione. Aveva imparato a cantare come un usignolo e a riconoscere tutte le essenze, i fiori e le piante della serra di casa a cinque anni, a declamare poesie e suonare il grande piano forte a coda che riempiva il tetro soggiorno a sei. A sette la sua calligrafia era perfetta, il suo portamento dignitoso e le regole della società Purosangue gli si erano già cucite addosso. Regulus Black sapeva che stava costruendo la sua persona per il solo scopo di essere un degno componente della Casata Black e tutto sommato gli andava bene così.
Meglio componente, che erede. 
 Era Sirius quello a cui era richiesto troppo. Lui che doveva imparare a essere freddo e giusto. Che doveva comprendere come amministrare, prendersi responsabilità e reagire alla pressione. E con solo una manciata di anni di vita sulle spalle e ancora molta infanzia attaccata alle loro ossa in crescita, Regulus e Sirius non avrebbero potuto essere destinati a vite più diverse. Al primo bastava essere giusto e non attirare l'attenzione, al secondo era richiesto di eccellere.
Sirius era brillante, veloce ad apprendere, strafottente. Comprendeva svelto ogni problema che gli veniva messo davanti e poi subito dopo quanto questo fosse ridicolo e inutile. E allora rideva e scuoteva il capo e imparava a rispondere acido e dire sfacciato quanto quelle fossero “Tutte regole ridicole inventate da privilegiati solo per privilegiati”. 

 Aveva preso il suo primo schiaffo senza sbattere ciglio a sette anni Sirius. Lo sguardo chiaro infiammato di orgoglio. A otto anni aveva annunciato che essere un Black “Gli faceva schifo”. A nove anni aveva chiamato sua madre “Strega” in tono tutt'altro che lusinghiero. A dieci anni era salito sul tavolo, durante un pranzo, dichiarando che “Potevano marcire tutti”. Era precoce, Sirius. Precoce, istintivo, privo di freni, come se fosse il concetto più vero di libertà a scorrergli nelle vene e non il suo sangue purissimo di generazioni. Era vorace di conoscenza e del suo spazio nel mondo.
 Erano stati bambini simili, lui e Sirius. Entrambi privati dell'infanzia, in un mondo Purosangue dove le madri facevano la gara a costruire la sala giochi più bella per i propri eredi, ma poi non permettevano ai bambini di giocarci. Erano stati bambini simili anche fisicamente, lui e Sirius. Così lunghi e affilati. Graziati dalla genetica con una bellezza semplice e ammaliante. Con i loro menti sfuggenti, gli occhi grigi sulla pelle color latte e tutti quei ricci soffici e neri come la notte. 
Erano stati così simili, lui e Sirius. E lo erano ancora, ma tutti dicevano: “Hai due figli così diversi, Walburga.
 E non perché qualcosa di dissimile si annidasse nella loro  fisionomia, ma forse nella loro postura, nel mondo in cui Sirius attaccava sempre per primo, ambizioso e assetato di vita. Con quegli occhi così sempre pieni di qualcosa, quell'intelligenza annoiata e feroce allo stesso tempo, quella strafottenza stanca, di chi non odierebbe così tanto le sue radici se queste lo lasciassero esplorare il mondo. Mentre Regulus era più mite, quasi timido. Ubbidente, tranquillo, cerimonioso. Un perfetto Purosangue in erba. Fermo, ma duttile. Intelligente, ma silenzioso.
Non odiava l'etichetta come Sirius, in effetti, Regulus, anzi, trovava che le regole e i convenevoli fossero un binario semplice da seguire, durante la cui esecuzione poteva pensare ad altro. Si sentiva tranquillo tra le pareti damascate e ricche di Grimmauld Place, che invece mettevano Sirius a disagio, quei corridoi che conosceva come le sue tasche in quella casa cupa, ma sua. Era un bambino fragile per certi versi. Con una passione per la lettura e gli alberi genealogici. Ombra del fratellino più grande di un solo anno che eppure sembrava già un marinaio di vita esperto. Quieto erede dei Black e presto unica speranza di Walburga.
 Regulus Acturus Black. R.A.B.

“Sirius. Ho paura”
 Nel buio quieto della notte, non era raro che Regulus sfidasse la sorte uscendo dal rifugio sicuro del suo letto, percorrendo svelto a piedi scalzi la breve distanza di piastrelle gelide e spifferi che lo separavano dalla camera di Sirius e infilandosi nelle coperte al suo fianco. Il fratello non lo scacciava mai, si appiattiva sul lato del materasso di destra, lasciando lui il suo spazio, apriva gli occhi colmi di sonno quanto bastava per fissarlo. 
 “Cosa succede Reggie?”
 “Ho fatto un incubo.”
 “Di nuovo?”
 “Di nuovo.”
 Sirius annuiva e si metteva sdraiato sulla schiena, tirando la coperta su entrambi. Non lo consolava mai, non lo abbracciava, né cullava. Erano comunque figli di un'etichetta che li aveva resi distanti, abituati a rigettare paure e sentimenti, ma se Sirius lo faceva con rabbia e ribellione, Regulus con il silenzio e la vergogna.  

 Non erano davvero legati, lui e Sirius.  Se lo fossero stati, anni dopo, mentre lui annegava nelle imposizioni e le aspettative, cercando di non essere la delusione di nessuno, ne avrebbero almeno parlato. Invece avevano lasciato che le differenze creassero una voragine di silenzio tra loro, che si acuissero le distanze. Erano rimasti a fissarsi da lontano sentendo l'assenza dell'altro nella propria vita senza avere il coraggio di dire “Torna”.  
Non erano davvero legati, lui e Sirius, no. Ma avevano passato le notti dei rispettivi incubi insieme, ad ascoltare il respiro dell'altro fino a quando non sembrava il proprio. Avevano desiderato con lo stesso ardore di giocare come gli altri bambini. Avevano dato per scontata la presenza dell'altro nella propria vita, come di un testimone che può dire: “Sì. È tutto vero. È proprio così, la tua vita è un incubo.” 
 Avevano provato a giocare insieme da bambini, tra le assi cigolanti del pavimento di Grimmauld Place. Avevano inventato conte e filastrocche, dove Sirius era sempre l'eroe e Regulus il suo fido assistente. Si erano abituati al loro ruolo. Alla loro presenza. Sirius era protettivo con Regulus e cercava di raccontare lui la sua visione del mondo, così sfavillante, piena di speranza, avventure e libertà. Regulus credeva di volere bene a Sirius e trasaliva a ogni schiaffo che il fratello riceveva, sempre con gli occhi così incredibilmente colmi di orgoglio e la mandibola tesa.

“Sirius”
“Reggie. Hai finito i tuoi compiti?”
 Regulus spostò il peso da un piede all'altro, incerto, scoccando un'occhiata oltre alla soglia della camera del fratello. Non era abituato al fatto che Sirius si rivolgesse anche a lui con disprezzo, ma ultimamente succedeva più spesso. Forse perché si avvicinava il momento in cui Sirius sarebbe andato per la prima volta ad Hogwarts, forse perché ormai tutto gli stava stretto. Il ragazzino era steso con la schiena sul suo letto, lo sguardo rivolto al baldacchino, colmo di fiacca stanchezza. Sembrava così adulto, così eroico e stoicamente fermo sulle sue posizioni. Aveva preso un altro schiaffo e altri insulti senza battere ciglio, fiero di essere la rovina della famiglia Black. Aveva lasciato Regulus da solo a finire la sua lezione e se ne era andato sbattendo violentemente la porta. 
Regulus era rimasto. Ovviamente. Le guance chiazzate di rosa e la responsabilità che improvvisamente era gravata sulle sue spalle. Aveva diligentemente finito tutto quel che miss Pottish gli aveva chiesto e poi era andato a cercarlo: Sirius.
 “Hai perso la lingua?” chiese il più grande e Regulus scosse il capo.
 “Perché sei sempre così arrabbiato, Sirius?”
 “Non lo so. Tu non odi tutto questo?”
 Regulus si umettò le labbra, raddrizzando appena la schiena. Una famiglia Purosangue era ingombrante. Un'ombra da cui era difficile fuggire e nel loro caso caratterizzata da genitori chiusi, freddi, esigenti. Era una vita di etichetta e aspettative, sorrisi centellinati, feste vuote, infanzie aride. Non c'era spazio per i sogni e il capire cosa si volesse da sé. Era già tutto scritto, incasellato, preciso: così come doveva essere. Secondo dogmi arcaici, ma solidi e motti stantii e imponenti. Era una vita grigia, ma infarcita di lusso e meraviglia.   Con la possibilità di ottenere qualunque cosa con un cenno del mento. Un libro raro, uno strumento prezioso, un favore, un  perdono. Era una vita con poco spazio per i sentimenti e molto per la strategia. Era una vita passata a cercare di eccellere, oziare in grandi librerie, godere della bellezza. Regulus Black, nonostante a volte se ne sentisse schiacciato, riusciva a capire meglio di Sirius il suo privilegio.
 Non aveva mai avuto fame, freddo, paura. Era stato viziato in un certo senso, da lusso e ricchezza talmente strabordanti da essere date per scontate. Doveva solo seguire al meglio delle regole, promettere di eccellere, cercare di essere il migliore. Non era vittima di scherno, battute o solitudine. C'era sempre qualcuno ad affiancarlo, guidarlo, portarlo con mano ferma su solidi binari che non aveva bisogno di conoscere per attraversare.
 Sirius però lo guardava, in attesa di una risposta, le labbra sottili pressate, gli occhi vacui.
 “A volte lo odio sì” disse quindi infine e un velato stupore si spanse sul volto dell'altro ragazzino. 
 “Perché allora non rispondi male, Reg? Perché stai sempre zitto?”
Lui scrollò le spalle con un mezzo sospiro e per la prima volta alzò il capo per guardare il fratello negli occhi. C'era qualcosa di affilato e turbolento nello sguardo ancora infantile di Sirius. Non era mai stabile. Non era mai calmo.
 “Non sono come te, Sirius. Posso ottenere di più essendo docile. Se un giorno vorrò cambiare quello che non mi piace, potrò farlo dall'interno. Non sono coraggioso” disse e non sapeva bene nemmeno lui cosa significasse, ma Sirius annuì come se avesse compreso ogni cosa, la fronte appena aggrottata e si distese di nuovo sul letto. 
 “Spero di non finire in Serpeverde, Reg. Spero che anche tu abbia la possibilità di avere un futuro migliore”
 “è bella la Casa di Serpeverde.”
 “Perché lo pensi davvero, o perché te l'hanno imposto?” rise Sirius.
 Regulus pensò che gli sarebbe piaciuto davvero, andare in una casa che aveva come obbiettivo la via della grandezza. Un luogo dove la sua curiosità sarebbe stata placata, la via della conoscenza era infinita, i limite del possibile sarebbero stati imposti da lui. Una Casa dove la moralità era messa in secondo piano in favore della ricerca, dove anche l'ultimo degli ultimi, se alimentato da ambizione e intelligenza, poteva sfiorare il successo, poteva cambiare la sua intera esistenza. Rimase in silenzio Regulus, che già capiva molto, ma ancora, dal basso dei suoi nove anni, non sapeva argomentare e temeva il nervosismo di Sirius, la sua variabilità di umore, il suo rancore.
 “Cerca di comportarti bene, Sirius.” disse solo e se andò verso la sua stanza in silenzio.

Non c'era abbastanza affetto tra loro per curare le distanza nemmeno allora, quando erano appena bambini. Nessuno aveva mai insegnato loro a come voler bene a qualcuno. E Sirius ci provava, con i suoi metodi balzani, ma era quasi sempre troppo. Troppo brillante. Troppo eroico. Ingombrante almeno quanto il nome Black. Difficile da gestire.
 C'era un unica foto in soggiorno che li ritraesse insieme, con Regulus che aveva forse un anno e un piccolo Sirius che lo stringeva, le mani paffute che in realtà afferravano solo la camiciola del fratellino. Guardavano entrambi verso camera, un po' confusi e incerti e nella foto magica si muovevano appena, sbattendo quasi solo le ciglia.
 Non era chiaro quando si fossero divisi. Forse quando Regulus aveva cominciato a stare chino sui libri, in cerca di una scappatoia dal grigiore attraverso mondi lontani e storie perdute, mentre Sirius imbracciava la sua scopa e dimostrava di essere un eccellente giocatore di Quidditch senza nemmeno essere ancora a scuola. 
 Forse quando Regulus aveva cominciato a provare sollievo nella gentilezza, portandosi Kreacher sempre in giro, come suo unico amico, chiudendosi a guscio, mentre Sirius aveva alimentato il suo coraggio di rancore e aspettative, ponendo forse troppe speranze nel futuro che lo attendeva, che voleva così diverso, così brillante.
 Forse era stato quando Regulus aveva cominciato a provare una sottile soddisfazione nei complimenti che gli riservava Miss Pottish notando il suo impegno. Mentre Sirius esprimeva il suo diniego a gran voce, argomentando con fervore, cercando di spiegare i suoi contraddittori ragionamenti. Forse era stato quando Regulus aveva cominciato a sognare Hogwarts immaginandosi tra i Serpeverde nella Sala Comune illuminata dalla luce verdastra del lago nero e Sirius per ripicca aveva cominciato a sognare l'oro e il rosso di Grifondoro, detestando con tutto sé stesso il suo destino verde argento, sperando di essere un Black diverso.
 “Non sarebbe bello avere una Sala Comune in cima alla torre al posto che sotto un fetido lago?” chiedeva con un largo sorriso al fratello, a volte, quando ancora trovavano il tempo di passare del tempo insieme.
 “Non so, Sir.” rispondeva Regulus mite, senza aver voglia di contraddirlo. 
A volte Sirius glielo aveva detto “Spero il meglio per te, Regulus. Davvero. Verrai ad Hogwarts, scapperemo di qui, saremo felici. Faremo i fratelli: io e te” e lui aveva sempre annuito placido in risposta, in parte affascinato da quel futuro tratteggiato da quel bambino appena più grande, altre volte incerto se quello fosse quello che voleva davvero. 
Era vero che era felice Regulus quando Sirius prendeva le sue parti, quando gli si metteva davanti per parare gli schiaffi della madre, gridando a squarciagola “Non è giusto”, con la sua infantile ostinazione, già così ferma. Era felice quando le notti di incubi venivano placate dal respiro lento dell'altro. Era felice quando Sirius gli raccontava i suoi punti di vista con fervida felicità stampata sul viso pallido e aristocratico. A Regulus piaceva Sirius. Davvero.
Lo chiamava e considerava suo fratello, anche se forse a parte il sangue non lo erano davvero mai stati. Cercava di comprenderlo, anche se a volte era così complesso. Forse si erano solo ritrovati a dividere lo stesso spazio di vita e la stessa prospettiva, erano semplicemente dei sopravvissuti. Faremo i fratelli. 

Sirius gli dava le spalle, sistemando le ultime cose nel suo baule. Aveva la camicia leggermente sgualcita e arrotolata fino ai gomiti, cosa che avrebbe fatto infuriare sua madre e i capelli troppo lunghi per avere solo undici anni. I capelli lunghi sugli uomini, nella società Purosangue erano accettati solo sugli adulti, ma quelli di Sirius erano comunque ben più lunghi del consentito, sfiorando il lobo delle sue orecchie. Ribelle.
 Regulus, fermo sulla soglia, la camicia perfettamente abbottonata e infilata nei calzoni di pregiata fattura, lo fissava. Lui aveva i capelli tagliati di fresco, quasi rasati ai lati del cranio e un'espressione incerta sul viso chiaro. Stava diventando grazioso Regulus, abbandonando le forme dolci dell'infanzia, le gambe che già si allungavano graffiate dall'adolescenza. Eppure per quanto fossero appena bambini era già evidente quale dei due fratelli avrebbe saputo ammaliare le folle.
 Condividevano gli stessi capelli scuri e occhi chiari come da piccoli, la pelle lattea e il corpo sottile. Ma i lineamenti di Sirius erano graffianti e belli, le labbra sottili arcuate in un perenne ghigno leggero, la piega dell'occhio che ispirava malinconia. Regulus era più rarefatto, mite persino nei suoi lineamenti, di una bellezza oggettiva e dimenticabile. Più scheletrico e fragile di quanto non fosse mai stato il fratello. Più sfuggente.
Ed era consapevole, Regulus, che sarebbe stato per sempre un eterno secondo. Che Sirius era più intelligente, brillante e risolutivo di quanto lui sarebbe mai stato. Che se solo avesse voluto, il fratello, con il suo cognome e prestigio uniti alle sue qualità, avrebbe potuto ottenere il mondo intero. Anche se davvero fosse riuscito a finire in Grifondoro, anche se avesse rinnegato le sue origini e la sua famiglia fosse stata costretta a disiredarlo, mettendo in Regulus le loro speranze e aspettative. Lui avrebbe potuto coprire il ruolo, certo, ma non sarebbe mai stato abbastanza. Walburga avrebbe sempre rimpianto il suo controverso primogenito.
 “Oggi cambia tutto eh Reggie?” gli disse Sirius, con quel sorriso da lupo affilato che gli illuminava il volto.
 E c'era un sottile imbarazzo e tanto non detto tra loro. Perché era vero che quel giorno sarebbe in qualche modo cambiato tutto. E Regulus avrebbe voluto urlare per questo, prendere Sirius a pugni, forzarlo ad accettare le sue responsabilità, liberando lui di un fardello che essendo il secondo figlio non meritava. 
 Ma Regulus annuì e basta e stese un sorriso stanco e troppo adulto sul viso così giovane. Erano uno di fronte all'altro, incerti su come agire. L'istinto che li spingeva ad abbracciarsi reso morbido dalla vergogna e la freddezza inculcata nelle loro ossa. Erano diversi, ma erano Black in fondo. La crema di una società Purosangue, splendenti, potenti, irraggiungibili. Erano tasselli di qualcosa di complesso, turbolenti a modo loro, simili.
Erano come argento vivo: instabili, assetati di qualcosa che li spingeva sempre oltre, turbolenti, solo all'apparenza perfetti.
 Sirius gli mise una mano sulla spalla, goffo e cerimonioso e rese più morbido il suo ghigno, gli occhi gentili. 
 “Fai il bravo Reggie. Goditi l'ultimo anno d'infanzia. Dall'anno prossimo inizia la nostra vita”
 “Fai il bravo tu, Sirius.” aveva detto Regulus e forse era riuscito quasi a sorridere, la spalla sotto la mano del fratello che sembrava prendere fuoco, le lacrime che avrebbe voluto versare annodate da qualche parte in fondo alla gola. 
  E non disse lui a Sirius che non era mai stato un bambino. Che da eterno secondo era stata cresciuto come una copia a carbone per qualche strano arcano meglio riuscita agli occhi della madre, ma meno amata. Non disse nulla. Lo lasciò andare. Sentendo una sensazione di sconfitta addosso, che avrebbe provato in modo uguale a un anno da quel momento, mentre felice si avviava al tavolo dei Serpeverde, sentendo lo sguardo di Sirius sulla nuca.


 Ma non si stupì nemmeno, Regulus Acturus Black, quando la mattina dopo sua madre lo convocò in Sala da colazione e lo guardò con gelido rancore e gli disse: “Tuo fratello è stato smistato in Grifondoro, Regulus. Lui rimane il primo figlio, ma tu preparati a diventare un erede. Sei fortunato, no? Hai la tua possibilità di significare qualcosa.”
 Regulus allora sorrise con occhi morti, fece un perfetto inchino, si sedette al tavolo a mangiare latte e biscotti, unico elemento che sapeva di infanzia in quella sala fredda e vuota. Sentì di amare Sirius come mai prima di allora e di odiarlo con lo stesso doloroso fervore. Era un predestinato, Regulus, a cui non era concessa nemmeno la possibilità di sparire. 
 Sorrise, si comportò da adulto, anche se avrebbe voluto avere le guance arrossate dalla corsa e le ginocchia sbucciate. 
 Sorrise, seguì discorsi complessi e trionfi, prese appunti mentali, si aggrappò a quei binari imposti.
 Sorrise, pensò a Sirius, pensò che aveva il privilegio di essere se stesso. 
 Sorrise, ma il suo cuore venne stravolto da una turbolenza dolorosa. Come argento vivo. 
Nel giorno in cui anni dopo avrebbe capito che sarebbe morto, Regulus si chiese se era mai davvero esistito e se forse non fosse infine riuscito nell'unico intento nella sua vita: essere appena un breve segno in una storia, dove non c'era spazio per un suo destino. Un ricordo appena abbozzato, tra regole, aspettative e imposizioni.

Regulus Acturus Black. R.A.B.

*Angolo Autrice*

Ciao Lettori. 
Come state?
Questa storia partecipa alla "To be Writing Challenge 2022", indetta da Bellaluna sul forum "Ferisce più la penna". Il tema era "Kids" e ho deciso di sfruttarlo per scrivere qualcosa a riguardo di uno dei miei personaggi preferiti: Regulus Black. 
Ho provato a immaginare cosa voglia dire essere un bambino in casa Black e come in realtà all'interno di Regulus ci siano sentimenti contrastanti tra amore e odio nei confronti del suo sangue e il suo ruolo. 
Chi mi conosce sa che solo recentemente ho lavorato con me stessa per cominciare ad apprezzare Sirius (e James Potter), qui ne tratteggio un ritratto non completamente positivo, né negativo, ma inconsapevole e forse per questo, nel suo essere splendente, un po' brutale.

Fatemi sapere cosa ne pensate.
Con affetto
vi

  
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