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Autore: My Pride    01/06/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Thinkin' on a Symphony (together) Titolo: Thinkin' on a Symphony (together)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia:
One-shot [ 1671 parole fiumidiparole ]
Personaggi: 
Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What if?, Slash
May I write: 2. Cuore/Cervello || 4. Voci


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.


    «Un concerto di beneficenza?»
    La sorpresa nel tono della voce di Jon parve palpabile, e nel voltarsi verso Damian si abbassò gli occhiali sul naso per osservarlo con espressione stranita.
    Stava lavorando ad un articolo per l'Hamilton Post - ancora stentava a credere che avesse davvero intrapreso la carriera giornalistica, visto che non aveva mai apprezzato la cosa e la scrittura non era mai stata il suo forte - seduto al tavolo della cucina col suo portatile, e tutto si era aspettato tranne sentir parlare improvvisamente di un concerto. Damian aveva persino spento il fuoco per abbandonare la padella sui fornelli e voltarsi, con le braccia incrociate al petto e il piede nudo della protesi che batteva ritmicamente sulle assi del pavimento; sembrava determinato, ma Jon non riusciva proprio a capire da dove avesse tirato fuori quell'idea così di punto in bianco.
    «Sarebbe più un modo per spronare la gente a visitare il nuovo rifugio per animali durante l’open day», spiegò Damian nel guardarlo. «Ma se c’è una cosa che ho imparato partecipando ai Gala della Wayne Enterprises, è che la gente va più volentieri a questo tipo di eventi quando c’è uno spettacolo da offrire».
    Jon sbatté le palpebre e si tolse del tutto gli occhiali per poggiarli sul tavolo, proprio accanto al computer, prima di fissare il compagno con estrema attenzione. «E come hai intenzione di metter su un concerto in così poco tempo?» chiese, e Damian sollevò entrambe le sopracciglia, assumendo un’espressione scettica.
    «Me lo stai chiedendo davvero?»
    «Non capisco cosa--»
    «Sono pur sempre un Wayne, Jonathan», gli tenne presente Damian e, se in un primo momento Jon aprì la bocca per replicare, subito dopo si grattò dietro al collo, ridacchiando nervoso.
    «Giusto…», replicò un po’ imbarazzato, evitando accuratamente lo sguardo di Damian. Non aveva dimenticato che, vita di campagna o meno, Damian era pur sempre il figlio del figliol prodigo di Gotham, Bruce Wayne; però, e un po’ lo ammetteva, da quando avevano trovato la loro stabilità fisica, mentale e soprattutto economica, il fatto che fosse un Wayne passava letteralmente in secondo piano. In fin dei conti Damian era più del suo cognome, era ben più di tanti edifici gothamiti dedicati alla sua famiglia, era il suo compagno e l’amato veterinario della contea di Hamilton.
    «Ma non è quello il tipo di concerto a cui stavo pensando». Le parole di Damian frenarono i suoi pensieri, e Jon tornò a fissarlo con fare curioso. «Ricordi quando siamo andati alla fattoria dei Carlson e hanno ospitato la festa del quattro luglio nel loro fienile? C’era un gruppetto che suonava, la gente sembrava divertirsi molto. Quindi ho pensato che potremmo… occuparcene noi».
    Il cervello di Jon ci mise un secondo di troppo per recepire il messaggio, tanto che sbatté più volte le palpebre mentre ci rifletteva. Un secondo. Resetta. «Vuoi dire…» La consapevolezza lo colpì come uno schiaffo in pieno viso, e poco a poco un sorriso a dir poco luminoso si dipinse sulle sue labbra mentre il cuore, stupidamente, cominciò a battere emozionato nel petto. «Stai davvero pensando di tirare fuori le nostre chitarre?»
    «E di organizzare un concerto nel nostro fienile, sì», conclude per lui prima di voltarsi per rimettersi a cucinare. «Potrebbe essere… divertente», sussurrò quasi tra sé e sé, sentendo i piedi di Jon scalpicciare in fretta sul pavimento e subito dopo le sue braccia cingergli i fianchi da dietro, destabilizzando per un istante il suo equilibrio anche se lo lasciò fare.
    «Non suonavamo qualcosa insieme da quando eravamo ragazzini», ammise Jon in tono nostalgico, poggiando delicatamente il mento sulla sua spalla. «Mi sembra ancora di vederti… coi capelli a spazzola, i pantaloni neri aderenti e la giacca di pelle. Un abbigliamento così poco da te», sghignazzò, arricciando il naso quando Damian allungò un braccio all’indietro e gli pizzicò la punta con pollice e indice.
    «Niente critiche, signor “berretto di lana e camicia di flanella”».
    «Ehi, mi stavano benissimo».
    «J... ti stava così larga che sembrava ti fossi fregato la camicia di tuo padre».
    Jon aprì la bocca per protestare, ma brontolò qualcosa tra sé e sé prima di affondare il viso nell’incavo del suo collo. «Ah, sta’ zitto. Ero cool».
    «Certo».
    «Sul serio».
    «In quale universo?»
    «D’accordo, l’hai voluta tu», affermò Jon in tono risoluto prima di pizzicargli i fianchi e mordicchiargli il collo, ignorando le rimostranze di Damian e le sue esclamazioni sconcertate, oltre alle minacce che lo avrebbe preso a padellate come la “ragazza dai capelli magici” di quel film che tanto gli piaceva vedere con Grayson. «E-Ehi!» esclamò però di punto in bianco nel sentirsi strattonare una gamba, abbassando lo sguardo solo per vedere che Tito aveva afferrato con i denti la stoffa del pantalone per tirarlo. «Tito, cuccia!»
    Damian sbatté le palpebre, ridendo qualche momento dopo. «Sta facendo quello per cui è stato addestrato, difende il padrone». Il ghigno sulle sue labbra divenne maggiore, ma abbassò lo sguardo sul cane per richiamarlo risoluto. «Tito. Lascia», disse solo e, come se non fosse successo assolutamente nulla, l’alano si sedette davanti a loro e li guardò con la lingua penzoloni, dritto sulle zampe anteriori e l’aria di chi era fiero di aver fatto il proprio lavoro.
    «Traditore, ti compro sempre tanti snack», brontolò Jon risentito, provocando l’ilarità di Damian che, premendogli una mano in faccia per scacciarlo, carezzò la testa del cane prima di lavarsi le mani e tornare a pensare alla cena.
    «Non biasimarlo».
    «Certo, poi ne riparliamo quando sarai alla mercé di Krypto».
    «Gli animali mi amano».
    «Mhnr», brontolò Jon, roteando gli occhi per poggiarsi di schiena contro il ripiano della cucina e osservarlo da quella posizione. «Tornando piuttosto alla tua idea del concerto…»
    «Ci stai ripensando?»
    La domanda di Damian, posta così a bruciapelo e d’improvviso, lasciò momentaneamente Jon di stucco, poiché l’aveva detto con un tono così ansioso che Jon non si era aspettato di sentire. Che Damian fosse paranoico lo sapeva, anche che a volte si sentisse fuori luogo per alcuni pensieri che lui stesso aveva, ma dalla sua voce sembrava temesse davvero che potesse cambiare idea. Se avesse potuto, Jon era quasi certo che avrebbe sentito il ritmo irregolare del suo cuore. Ah, il suo stupido uccellino.
    «Non dire idiozie», disse infine Jon nel dargli un pugno leggero sulla spalla, accennando un sorrisino soprattutto alla vista del volto di Damian che, poco a poco, si stava rilassando. «Sarà un concerto grandioso, ci sarà tutta la contea e faremo casino tutta la notte».
    Damian rimase in silenzio per un istante, ma anche sulle sue labbra si stava facendo largo l’ombra di un sorriso. «Niente coprifuoco alle dieci, stavolta?» chiese ironico nello spadellare, e Jon sgranò gli occhi incredulo.
    «Cosa? Andiamo, avevo undici anni!»
    «Bella scusa, Jonny-boy».
    Come il giovane uomo maturo che era, Jon gli fece una linguaccia e tornò al tavolo per chiudere il portatile e apparecchiare, ignorando lo sbuffo ilare di Damian che si concentrò solo sul finire la cena. Quando tutto fu pronto e si misero a tavola, pensando anche agli animali, fu Jon a rompere il breve silenzio che si era creato fra loro in quei miseri dieci minuti.
    «I nostri genitori ameranno l’idea», disse d’un tratto, afferrando la brocca per riempire i bicchieri di entrambi sotto lo sguardo stranito di Damian. Ci mise in effetti un secondo di troppo per capire di cosa stesse parlando, schioccando la lingua sotto il palato qualche momento dopo.
    «Tua madre lo userà per ricattarci a vita».
    «Nah, solo per qualche settimana».
    Damian roteò gli occhi e scosse la testa. «Ammiro questo tuo ottimismo», disse solo, ringraziando nel bere un sorso e cominciare a mangiare. Sperava che il progetto andasse in porto, che il concerto attirasse abbastanza interessati per metter su una giusta somma e che le successive visite al rifugio invogliasse la gente ad adottare responsabilmente, poiché i randagi della zona si meritavano una famiglia che li amasse e li trattasse bene. E Jon sapeva quanto tenesse agli animali.
    «Andrà bene».
    Damian sollevò lo sguardo dal proprio piatto, rendendosi conto di essere rimasto con la forchetta a mezz’aria. «Cosa?» chiese stupidamente, e Jon lo guardò con un’espressione così seria che Damian rimase sconcertato per un momento.
    «So cosa stai pensando… e andrà bene». Jon allungò una mano verso di lui, dandogli una pacca su un braccio. «Hai avuto una bella idea e il rifugio avrà successo, ne sono sicuro».
    Damian mugugnò qualcosa. «Sicuro che non ti sia rimasto il potere di leggere nel pensiero?»
    «Non ho mai saputo farlo e lo sai», ridacchiò Jon. «Semplicemente, ti conosco troppo bene da sapere come sei fatto. Ti fai mille paranoie, ma non devi. Fidati».
    Damian non rispose, ma inclinò appena il capo di lato come a volergli far capire che, tutto sommato, voleva crederci anche lui. L’ottimismo di Jon sapeva essere contagioso e l’aria solare che scaturiva da lui sembrava investire in pieno anche il più scettico degli scettici e, nonostante fosse stata una sua idea, Damian a volte aveva bisogno di più rassicurazioni di quanto lui stesso volesse davvero ammettere.
    «E… D?»
    «Mhn?»
    «Non vedo l’ora di sentirti cantare di nuovo», ammise Jon con sguardo carico d’amore, e Damian, che in un primo momento lo guardò ad occhi sbarrati, ridacchiò prima di canticchiargli qualcosa in risposta solo per vederlo sorridere ancora di più, certo che stesse immaginando loro due su un palco, come ai vecchi tempi, a strimpellare melodie con le loro chitarre e con le voci che si univano in una sola.
    Le loro vite erano completamente cambiate da quando si erano trasferiti ad Hamilton, da quando avevano abbandonato la loro vita da vigilanti e attraversato insieme la depressione che si era impossessata di lui e aveva rischiato di logorarlo finché non aveva ritrovato la propria pace… e vedere Jon vivere senza preoccupazioni, senza temere per la sua salute e il peso del mondo sulle spalle, rasserenava anche il suo cuore.






_Note inconcludenti dell'autrice
Storia scritta per il dodicesimo giorno dell'iniziativa #mayiwrite indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom  
L'abbigliamento citato (e la situazione in sé) è assolutamente canonico, Dark Nights Metal confirmed. Quindi abbiamo Damian e Jon agli inizi della loro vita ad Hamilton (infatti non hanno ancora trovato Tommy), con Damian che sta cercando di fare tutto il possibile per il rifugio di animali della città, essendo diventato da un po' il veterinario di zona. E il modo migliore è proprio suonare secondo lui! Mi piacciono quelle sagre in cui si organizzano concerti nei fienili, quindi potevo mai lasciarmi scappare una cosa del genere? Ovvio che no!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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