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Autore: Aagainst    01/06/2022    1 recensioni
“ Lexa se n’era andata senza nemmeno salutarla. L’aveva sedotta per poi abbandonarla, gettarla via come una scarpa vecchia. Le aveva preso tutto, il suo cuore, la sua anima, il suo amore e l’aveva resa un guscio vuoto, incapace di sentire qualsiasi cosa all’infuori di un insopportabile dolore. E, nella penombra della sua stanza, Clarke giunse alla più beffarda delle conclusioni. Non avrebbe mai smesso di amare Lexa Woods. Non ne sarebbe stata capace. Mai.”
Sono passati tre anni da quando Clarke si è risvegliata senza Lexa accanto, tre anni in cui, eccezion fatta che per qualche panel o intervista a cui entrambe hanno dovuto presenziare, le due attrici si sono a malapena rivolte la parola. Tre anni in cui Clarke non ha mai ricevuto risposte e in cui Lexa non ha fatto nient’altro che sfuggire qualsiasi domanda.
Eppure, il destino è dietro l’angolo
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Madi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19.

 

All the missteps
And mistakes
I've let them linger
[…]
You came along and you held the key
To my
Beautiful box of regrets
(Mega-Box Of Regrets)

 

 

 

 

Lexa era paralizzata. Clarke era davanti a lei, in lacrime. Tre anni, tre anni passati a nascondere la verità, per proteggerla. Tre anni, tre anni andati in fumo in pochi minuti. Lexa si alzò in piedi, aiutata da Abby. Una folata di vento improvvisa le sferzò il viso e le scompigliò i capelli. Chiuse gli occhi, sforzandosi in tutti i modi di non scoppiare a piangere. Per un attimo, si ritrovò a pregare che una voragine si aprisse sotto ai suoi piedi e che la inghiottisse per sempre. No, ormai era troppo tardi. La verità era venuta a galla e non era più possibile tornare indietro. Riaprì gli occhi. Lo sguardo blu di Clarke era sempre fisso su di lei, così confuso e ferito al tempo stesso. Lexa avvertì un tuffo al cuore nel vederla così. Era tutta colpa sua, solamente colpa sua. 

“Clarke…” mormorò, ma la bionda le fece segno di non proseguire oltre. Si portò una mano al volto, ormai rigato dalle lacrime. 

“Vi lascio sole.” disse Abby, avviandosi verso l’ingresso. 

“Mamma, non…”

“Clarke, dovete parlarvi. Penso sia arrivato il momento.” asserì il medico. “Andrà tutto bene, te lo prometto.”. Abby abbracciò la figlia e le baciò il capo. Clarke la osservò sparire al di là della porta. Si voltò verso Lexa, lentamente. La mora era appoggiata al parapetto del balcone e le dava le spalle, lo sguardo perso nel vuoto. Clarke sospirò. Si incamminò verso di lei, un passo dietro l’altro. La affiancò, senza dire una sola parola. Rimasero così, in silenzio, a contemplare l’orizzonte per nemmeno loro seppero quanto. L’infaticabile frenesia di Los Angeles si stagliava di fronte a loro, ignara di tutto il dolore che stavano provando. Clarke si passò una mano fra i capelli. Tre anni. Aveva passato tre anni chiedendosi che cosa avesse di sbagliato, convinta che, alla fine, se Lexa se n’era andata doveva essere per forza colpa sua.  C’erano stati momenti in cui l’aveva odiata, altri in cui aveva odiato sé stessa. Aveva versato lacrime, passato giorni interi senza nemmeno toccare cibo. Si era ridotta ad un guscio vuoto, svuotata di ogni senso e prospettiva. E, alla fine, aveva imparato a convivere con il dolore di non poter essere lei a rendere Lexa felice. Scosse il capo. Le sue certezze erano crollate, una dopo l’altra, in maniera inesorabile. Lexa l’amava. Lexa non aveva mai voluto abbandonarla. Lexa era innamorata di lei. Inspirò ed espirò, più e più volte. No, non poteva farcela. Ci aveva messo così tanto ad accettare che i suoi sentimenti non fossero ricambiati. Si sentiva persa, vuota, derubata di ogni punto di riferimento. Costretta. Lexa era stata costretta ad andarsene. L’avevano minacciata, probabilmente anche manipolata. Clarke avvertì una rabbia feroce montarle nel petto. Le gambe le tremavano, ma lei fece finta di nulla, pregando qualsiasi divinità esistente di riuscire a restare in piedi. Avrebbe voluto urlare, liberarsi di tutta la sofferenza che stava provando. 

“Mi dispiace.” sussurrò Lexa all’improvviso, la voce così bassa che Clarke dovette sforzarsi per sentirla. “Non volevo diventassi così.”. Clarke si morse il labbro. Allungò la mano, fino a toccare quella di Lexa. Si girò verso di lei, costringendola a fare lo stesso. I suoi occhi verdi erano carichi di vergogna e dolore e Clarke non poté fare altro che provare un’immensa tenerezza nei suoi confronti. Le carezzò la guancia, con una delicatezza e un affetto che Lexa trovò insopportabili. Non meritava Clarke. Non l’aveva mai meritata.

“Ti prego, non devi…” provò a fermarla, inutilmente. Clarke fece un ulteriore passo verso di lei e la strinse nell’abbraccio più dolce che Lexa avesse mai sperimentato. E, alla fine, quest’ultima non poté fare altro che cedere. Appoggiò la testa nell’incavo del collo della bionda e si lasciò andare, senza più alcun freno. Clarke sentì le lacrime bagnarle la pelle e la maglia, ma non se ne curò. Cullò Lexa, intonando una canzoncina che suo padre era solito canticchiarle per calmarla quando era una bambina. In quel momento, la mora le sembrava così piccola, così vulnerabile, così fragile. Con la mente, ritornò alla conversazione che avevano avuto qualche giorno prima durante il picnic. Lexa le aveva chiesto se l’amore non era nient’altro che debolezza. Clarke aveva creduto che quella domanda fosse riferita solo ai suoi sentimenti verso i ragazzi, ma ora capiva che la situazione era decisamente diversa. Titus e Wallace erano riusciti a farle credere che non aveva diritto a provare nulla, soprattutto per lei. Anzi, l’avevano convinta che l’amore fra loro due sarebbe stato dannoso, un pericolo per entrambe. A quel pensiero, Clarke si irrigidì. Lexa parve accorgersene, perché prima alzò lo sguardo e, infine, arretrò di un passo. Un’ombra di puro terrore le velò le sue iridi smeraldine e Clarke si sentì morire. Lexa aveva paura, paura che lei tornasse ad odiarla. Ma Clarke non avrebbe mai potuto odiarla, nemmeno se l’avesse voluto. E la verità era che l’aveva voluto così tanto.

“Perché non me l’hai detto?” trovò la forza di chiedere. “Avrei potuto aiutarti. Avrei potuto… Avremmo potuto affrontarlo insieme.”. Lexa prese un respiro profondo, cercando di incamerare quanto più ossigeno possibile. 

“Clarke, io… Non sapevo come comportarmi. Ero spaventata, non volevo rovinarti la vita.”

“Rovinarmi la vita? È questo che ti hanno fatto credere, che mi avresti rovinato la vita?”. Lexa annuì, in modo quasi impercettibile. Clarke non riusciva a crederci. Se avesse avuto Wallace davanti, gli avrebbe cambiato i connotati. 

“Lexa, fare l’attrice è sempre stato il mio sogno.”

“Appunto.” puntualizzò la mora, ma Clarke le fece segno di lasciarla continuare.

“Dicevo, fare l’attrice è sempre stato il mio sogno. Vedi, so che mia madre ha sempre sperato che io seguissi le sue orme e devo ammettere che, per un breve periodo, ho accarezzato l’idea di farlo. Insomma, salvare vite ha il suo fascino.”

“E cosa è cambiato?” domandò Lexa, timidamente. Clarke si morse il labbro.

“Mio padre. Dopo la sua morte ho capito che non avrei mai potuto salvare nessuno, Lexa. Ero così persa, così… Ho realizzato di essere io la persona che aveva bisogno di essere salvata. Sì, avevo bisogno di trovare un punto fermo, un senso, qualcosa che riempisse la mia vita. Fu allora che mi avvicinai alla recitazione. Dare vita a personaggi che con le loro parole e le loro azioni mi provocavano e mi facevano scoprire lati e aspetti del mondo a cui non avevo mai pensato mi ha aiutata tantissimo, Lexa.” spiegò.

“Ma?”. Clarke si lasciò sfuggire un sorriso.

“Ma è stato quando ti ho incontrata che ho capito che anche io potevo avere uno scopo, un senso, non solo i miei personaggi. Mi hai aiutata a riscoprire il mio valore, Lexa. E poi te ne sei andata via e io mi sono sentita di nuovo vuota, uno scarto da gettare via.”. Lexa era immobile, lo sguardo fisso su Clarke. Si sentiva così in colpa. Il peso delle sue azioni la colpì, come un macigno. Che cosa aveva fatto? Che cosa le aveva fatto?

“Per tutti questi anni ho imparato ad accettare che, semplicemente, dovevo aver equivocato e che non eravamo fatte l’una per l’altra. Credo sia stata questa consapevolezza a darmi la forza di andare avanti.”

“Clarke, io non volevo…”

“Lo so.” dichiarò la bionda. “Il punto è che… Lexa, sapere di non essere io la persona che avresti voluto al tuo fianco ha fatto male, ma è qualcosa che, volente o nolente, non potevo combattere. Non dipendeva da me, ma da te. In un certo senso, è stato un sollievo riconoscerlo.“. Lexa alzò lo sguardo. Era a pezzi. Avrebbe solo voluto tornare indietro nel tempo e agire diversamente. Avrebbe voluto dare retta a Raven. 

“Ma questo, questo è totalmente diverso, Lex.” disse Clarke. “Questa cosa avrei potuto combatterla. E vorrei avere avuto la possibilità di farlo.”. Lexa chinò il capo. Non sapeva come rispondere, né se avesse avuto poi senso osare dire qualcosa. 

“Mi dispiace.” mormorò, infine. Clarke avanzò verso di lei. Le circondò il volto con le mani, costringendola a guardarla negli occhi. Lexa sentì il sapore salato delle lacrime invaderle la bocca. Non capiva. Non c’era traccia di odio o rancore in quei due pozzi blu. 

“Non sei… Non sei arrabbiata?” chiese. Clarke le sorrise, facendo segno di no con la testa.

“Con Wallace e Titus? Certo che sì. Ma non con te, no. Non avrebbe senso.”. Lexa realizzò di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo. “Solo, puoi rispondere ad una mia ultima domanda? Perché Costia? Perché tornare da chi ti ha fatto del male? Perché non l’hai lasciata andare? Con Titus lo capisco, hai firmato dei contratti, ma lei…”

“Lei era tutto quello che pensavo di meritare, Clarke.” rispose Lexa. “L’ho incontrata ad una festa, non ricordo nemmeno dove. So solo che la mattina mi sono svegliata nel suo letto. Mi ha detto che le mancavo, che era cambiata.” spiegò.

“E tu le hai creduto?”

“Certo che no. È solo che… Non sei l’unica ad aver perso qualsiasi scopo tre anni fa.”. Clarke avvertì un tuffo al cuore a quella confessione. “Non volevo restare sola, ma allo stesso tempo sentivo di non meritare altro. Costia è stato il perfetto compromesso. E, alla fine, mi sono convinta di amarla. Dio, mi sento una tale idiota.”

“Non lo sei, Lexa.” le sussurrò Clarke. “Al contrario, sei una delle persone più intelligenti che io conosca. E anche una delle più coraggiose. Perché sì, ci vuole coraggio per sopportare tutto quello che hai sopportato tu. Non mi riferisco solo a tre anni fa, ma anche agli ultimi mesi. Hai perso Roan e Luna, hai preso con te Aden, Adria ed Ethan, hai deciso di aiutare anche Madi e hai scelto di prenderla in affidamento. Sei tutto fuorché un’idiota, Lexa. E vorrei che lo vedessi anche tu.”. Lexa si sentiva le gambe molli. Si appoggiò con una mano al parapetto e si sedette lentamente per terra, attenta a non perdere l’equilibrio e scivolare. Tutto le sembrò all’improvviso troppo. Una miriade di sensazioni, emozioni, ricordi e rimpianti la travolse e Lexa si sentì annegare, il respiro sempre più stentato. Clarke le si accucciò di fronte, sorridendole.

“Lexa, segui me. Inspira. Brava, ora espira, così.” Clarke cercò di aiutarla a calmarsi. A poco a poco, Lexa sentì il respiro tornare regolare e la crisi di panico lasciare spazio ad un forte mal di testa. 

“Perdonami, io non…”

“Non scusarti, non per questo.” la rassicurò Clarke, carezzandole la guancia con il dorso della mano. Lexa chiuse gli occhi, beandosi di quel tocco. Quando li riaprì Clarke era ancora lì, di fronte a lei. Non si era mossa di un centimetro e la sua mano si era spostata dalla sua guancia al mento. Lexa poteva percepire le dita di Clarke sfiorarle pericolosamente le sue labbra. 

“Meritavi più di Costia.” dichiarò quest’ultima, improvvisamente. “Lo meriti ancora.”

“Ho solo cercato di sopravvivere, Clarke.” Lexa replicò. “Non avevo altra scelta.”. La bionda scosse il capo, lo sguardo carico di tenerezza. 

“Una scelta l’hai sempre avuta, Lexa.” ribatté. “Una scelta l’hai ancora.”. Lexa sentiva il cuore martellarle ferocemente nel petto. Che cosa vuoi per te?, così le aveva chiesto Clarke qualche giorno prima. Già, che cosa voleva Lexa per sé stessa? Ora lo sapeva, finalmente.

“E poi?” domandò. “Cosa succederà?”

“Non lo so.” rispose Clarke. “Ma non dovrai scoprirlo da sola.”. Lexa annuì, un sorriso carico di sollievo dipinto in volto. La mano di Clarke era ancora sul suo viso, di nuovo sulla sua guancia. Lexa si ritrovò con il fiato mozzato. Sapeva cosa stava per succedere e la cosa la terrorizzava. 

“Clarke, io…” mormorò.

“Shhh.” la interruppe la bionda. Lexa si perse completamente in quei due occhi blu ricolmi di affetto, ricolmi di un amore che non aveva mai sperimentato in vita sua. Le stavano chiedendo di lasciarsi andare e di fidarsi, di credere che anche per lei qualcosa esistesse. E quando le labbra di Clarke furono sulle sue, ogni cosa, Titus, Costia, Wallace, i suoi errori, tutto, tutto svanì, ormai privo della più minima importanza. Restavano solo loro due. Restavano solo lei e Clarke.




​Angolo dell'autrice

Innanzitutto, buon pride month! Poi, eccoci qui, finalmente! Dopo soli diciannove capitoli direi che ce l'hanno fatta. 
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, è stato molto emozionante scriverlo. Finalmente si sono lasciate andare, finalmente Lexa ha ripreso in mano la sua vita e finalmente Clarke ha smesso di fingere totalmente di non provare più nulla per Lexa. 
Grazie mille per leggere e recensire,
al prossimo capitolo!
   
 
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