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Autore: Enchalott    01/06/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’attacco
 
Le volute di fumo s’innalzavano tortuose nel cielo invernale. Il fuoco crepitava artigliandosi alle mura del palazzo reale, avido di distruzione.
In sella a Fyratesh, Mahati osservò l’inferno rovente rivoltarsi trenta metri sotto di lui: i nemici parevano insetti indaffarati a soffocare le fiamme, uno spettacolo sublime.
Perché non riesco a gioirne?
Il corso dei pensieri deviò sull’attimo in cui Yozora gli aveva raccontato di Kelya, finendo per estorcergli una concessione morale che non aveva mai vagliato. Non poté evitare di osservare gli avversari in qualità di persone.
La guerra imponeva ferree leggi e i Khai ne facevano un ideale, ma la coscienza, cacciata suo malgrado al banco degli imputati, si ergeva indignata. Aver provato emozioni avulse dal credo, tramite il dolore della promessa sposa, lo aveva cambiato per sempre. A cercarne conferma, lo sguardo adamantino si posò sul mignolo inguainato nel cuoio, ove avvertiva la presenza dell’anello. Simbolo di un temerario accordo e di una storia diametralmente opposta a quella che si era figurato.
Futili distrazioni!
Sovrastò la battaglia mentre lo stormo effettuava il terzo passaggio, dirigendo la bordata di ladi sulle zone illese. La sostanza incendiaria aderì alle mura come una seconda pelle, si accese a contatto con l’aria, attecchì, ma le vampe languirono e si estinsero senza intaccare l’obiettivo.
Aggrottò la fronte, chinando il volo del vradak per studiare l’anomalia: aveva scelto quel giorno per sfruttare la portanza del vento e perché l’acqua ghiacciata avrebbe ostacolato i Minkari nell’estinzione del rogo.
È la seconda volta che l’olio non svolge il suo compito!
«Taygeta! Chi ha verificato gli orci?»
«Gli uomini di Sheratan, altezza.»
Mahati scartò l’idea che gli hanran avessero manomesso l’arma.
«Quanto ne avanza?»
«Venti cocci dopo l’ultimo lancio.»
Il Šarkumaar masticò un’imprecazione: restava una sola opportunità, poi l’attacco sarebbe fallito. Buona metà della rocca nemica sarebbe rimasta in piedi, garantendo agli assediati uno scampo imprevisto, e l’insuccesso avrebbe rinfocolato speranze che sarebbero dovute perire quella mattina.
Non sono sicuro di aver tolto Eskandar dagli impicci. I sotterranei non sono crollati per un’azione così superficiale.
Notando la sua contrarietà, Taygeta condivise le proprie considerazioni.
«Gli alchimisti non possono aver sbagliato la formula.»
«Così come lo stormo non ha mancato la mira.»
«Forse il freddo ha deteriorato gli inneschi.»
«No. Prima di agire ci siamo messi nella peggiore delle condizioni. L’olio brucia sul fiume congelato, la temperatura non costituisce un problema.»
Rivolse gli occhi al cielo incolore, assalito da un presagio. Non era la prima occasione in cui avvertiva un intralcio invisibile, traendo la netta impressione che un’essenza sovrannaturale stesse pilotando la guerra.
Sto diventando paranoico come Rhenn.
Ma l’elevata percettibilità aveva cavato più di una volta suo fratello dai guai, dunque era corretto assecondarla. I generali avevano tratto le medesime conclusioni, ma non osavano esprimerle per non venire tacciati di viltà.
Spronò Fyratesh e compì una virata ad arco, ponendosi in testa alla formazione che attendeva al margine dell’incendio. Afferrò un orcio, suscitando lo stupore dei cavalieri alati, e si concentrò per allontanare ogni astrazione.
«Theeši
Al suo segnale i guerrieri piantarono i talloni nei fianchi dei vradak, che schizzarono con strida infervorate.
Il Kharnot si lanciò attraverso la cortina plumbea, avvertendo l’odore acre delle carni bruciate, il tocco pallido delle ceneri trasportate dal vento. Guidò l’assalto alla cieca, incurante delle frecce che fendevano il cielo, raggiungendo le mura orientali in una manciata di secondi.
«Chlan’ei
Fyratesh si abbassò a sfiorare gli spalti, disperdendo gli arcieri minkari, che si ripararono tra le merlature diroccate. Poi si tuffò a capofitto: il ventre piumato lambì le pietre annerite in una verticale in picchiata che strappò esclamazioni ammirate ai reikan che avevano avuto il fegato di seguirlo.
Avvistò il basamento fortificato della torre e vi scagliò il ladi per generare il massimo effetto devastante.
«Aghaer
Il rapace da guerra s’impennò sollevando una nuvola di polvere arroventata e si librò verso l’alto, accompagnato dal tintinnio metallico dei dardi che si schiantavano sui finimenti rinforzati. Mentre saliva tra le volute di fumo, afferrò un incauto difensore e lo dilaniò col rostro.
Tra i miasmi Mahati distinse l’incipit della fiammata e il cuore diede un balzo, ma il bagliore aranciato si smorzò e morì senza intaccare le strutture. Tutt’altro che rassegnato strattonò le redini e compì una spirale discendente, rasentando i blocchi squadrati del palazzo. La visuale era pessima, impiegò tutta la propria abilità per restare in sella e soddisfare il feroce desiderio di venirne a capo.
Nel buio artificiale della caligine le pupille verticali si allargarono, cancellando il nocciola delle iridi. Ebbe la sensazione che qualcosa si stesse spostando nell’ombra con una rapidità fuori dall’ordinario. Fece schioccare la lingua e sguainò la spada lunga, lanciandosi all’inseguimento di quelle che parvero illusioni ottiche.
O così mi vogliono far credere.
Rinvenne le rovine carbonizzate dei crolli antecedenti, prive di singolarità sospette, ma non poté contare sull’olfatto, aggredito dall’amalgama di odori. Stabilì di aver preso un abbaglio e decise di raggiungere i suoi, però un particolare lo trattenne: le ombre si muovevano nella foschia grigiastra come se fossero il risultato della luce piena del giorno, spinte da una volontà autonoma.
Vampe che non bruciano e ombre senza sole? Che stregoneria è mai questa?
Fendette l’aria con la lama senza incontrare resistenza. Il sibilo del metallo ritornò amplificato come se avesse colpito una serpe infuriata e il calore incrementò improvviso, costringendolo a riportare il vradak in assetto. Si allontanò per non essere arso vivo, tallonato da una vibrazione simile a un accesso d’ira.
«Kharnot
Il richiamo concitato del reikan che capitanava lo stormo fu sovrastato dalle ovazioni dei compagni, in trepidazione per la sua sorte.
«Rapporto, Saika!»
Quello confermò la stasi che già presumeva. La teoria che un sortilegio o un potere incontrastabile tenesse in scacco le sue armate si tramutò in certezza. La prova consisteva nelle piume bruciacchiate di Fyratesh e nell’invisibile sguardo d’odio che gli aveva fatto scorrere un brivido lungo la schiena. Non aveva tempo per indagare.
«Carichiamo il bastione sud! Le lame prenderanno ciò che il fuoco ha risparmiato! Che non resti intatta una pietra! Tezha
 
I Khai sciamarono sulle mura balzando dalle cavalcature con agilità felina, cogliendo alla sprovvista i Minkari arroccati sugli spalti. Sguainarono entrambe le spade ed emisero l’urlo di battaglia: le fila nemiche furono percosse da un’onda di terrore.
Danyal sollevò il viso, sfregando gli occhi irritati dalla fuliggine. Se i nemici puntavano al corpo a corpo, miravano a chiudere lo scontro per poi devastare la capitale. Spronò il destriero al portone meridionale.
«Tutti gli uomini alla cinta sud! Non devono aprire breccia!»
Mentre il suo vice si lanciava a cavallo lungo le erte di mattoni, il generale si spostò all’ingresso della torre: dalle feritoie uscivano pennacchi di fumo perlaceo, ma l’incendio era domato e la struttura integra. Ne ebbe sollievo. Contò che la regina fosse al sicuro, pronta a dileguarsi se la città fosse capitolata. Due guardie del corpo l’avrebbero condotta all’imbarcazione già approntata.
Resta una sola via.
Galoppò lungo il perimetro delle fortificazioni e sollevò il braccio destro, mostrando la mano con pollice e mignolo piegati sul palmo: il segnale del tutto per tutto.
Ordinò alle sentinelle di schiudere il portale e lo attraversò alla velocità della folgore. Il rumore del battente che si richiudeva fu un colpo di maglio: i suoni della battaglia e le grida provenienti dai cortili interni si affievolirono, non così il peso che avvertiva sulle spalle. Fermò il corsiero a pochi metri dalle fortificazioni e snudò la spada. La voce stentorea si levò nell’aria gelata.
«Principe Mahati, incrociate con me! Rimanere in disparte è l’atto più vigliacco per chi guida un esercito! Mi sentite? Vi sfido a singolar tenzone!»
Attese, non ottenne risposta.
«Rifiutate? La vostra fama d’imbattibilità sta nelle parole?»
Il sibilo del vento sovrastò ogni suono, poi lasciò il posto al silenzio. Danyal inasprì il livello di provocazione.
«Avete paura di me? Vediamocela alla pari, decidiamo chi è il migliore! Se prenderete la mia vita, l’Irravin cadrà! L’onore non è vanto tra i Khai?»
Il cielo striato di nero restò vuoto, i refoli d’aria sollevarono polveri che velarono il pallido sole dell’inverno. Danyal scosse il capo, ricacciando le ciocche brune scese sulla fronte.
«Vi negate, per me è sufficiente! Mandate vostro padre, vostro fratello o un guerriero che combatta al vostro posto! Qualcuno che abbia il coraggio di affrontarmi!»
Nulla si mosse nel pulviscolo cinerino che incappottava la spianata. Poi un’ombra immensa calò dall’alto, due occhi di granato emersero dalla foschia trascinando il circostante in una calma innaturale. L’eco dello scontro rintronava l’aria, ovattato come se provenisse da una distanza incolmabile.
Il gorgoglio minaccioso dell’uccello da guerra fu zittito da un ordine secco. Una figura imponente emerse dalla caligine con indolente lentezza.
«La dea Azalee vieta i sacrifici umani. Costituite un’eccezione, generale?»
Il tono gelido non mascherava la collera. Il Šarkumaar avanzò verso lo sfidante con la spada sguainata, una visione infernale capace di annichilire il più valente degli uomini.
Lo sguardo di Danyal si soffermò sugli abiti di pelle nera, sulla pelle scarlatta e sul volto ombreggiato dalle corna. Sebbene fosse a conoscenza del trucco, l’effetto fu quello di sempre.
Sto per scontrarmi con il dio della Morte.
Ma i Khai erano caduchi. Si trattava di compiere le giuste mosse nei tempi previsti.
«Né deroga ai precetti né capro espiatorio. È in gioco la mia dignità e non posso scontarvi la mancata accettazione dello scambio di ostaggi.»
«Dunque è la vendetta a muovervi. Una motivazione ridicola e sentimentale.»
«Davvero? Non v’importa dell’uomo che abbiamo catturato?»
Mahati alzò le spalle e strinse l’elsa con ambo le mani in una posizione d’attacco.
«A voi preme la vita dell’erede al trono o eseguite un dovere?»
«Più della mia! Se vi ucciderò, i vostri comandanti giungeranno a più miti consigli.»
«Potrei aver ordinato loro di decapitarlo in caso di prematura dipartita. Che fareste?»
Danyal ebbe un attimo di smarrimento. Fissò gli occhi in quelli feroci del nemico, dai quali non trapelava pietà o incertezza.
Costui non è un vigliacco o un inetto, non sprecherà le sue carte e il nostro principe è un ostaggio troppo prezioso.
«Ci sarà sempre un Minkari a sbarrarvi il passo!»
Il demone parve divertito, come se le istigazioni lo avessero messo di ottimo umore.
Le spade cozzarono in un’esplosione di scintille. Danyal parò appena in tempo: l’impugnatura vibrò, il polso pur allenato accusò il dilagare della potenza avversaria. Mai nella sua carriera aveva ricevuto un attacco tanto rapido e intenso.
Saltò all’indietro per recuperare la guardia, ma la lama del demone piovve dall’alto, costringendolo ad arretrare. Avvertì lo spostamento d’aria del fendente rasentare l’orecchio: una ciocca di capelli scivolò a terra tranciata di netto e si disperse al vento.
Per tutte le stelle! Non l’ho visto arrivare!
Ingaggiò con rinnovata decisione, sperimentando la superiorità dell’avversario, che non utilizzava la seconda spada per non avvantaggiarsi, ostentando una destrezza sovrumana. Tentò un affondo, ma l’altro lo evitò con una giravolta, atterrando senza mostrare fatica.
È come se avesse le ali… sono certo che questi esseri spregevoli non possiedano tale dote! Il prigioniero ne è privo!
Decise per un attacco frontale e il nemico lo affrontò di faccia. Le spade urtarono per due volte, poi Mahati portò a segno, colpendolo alla spalla destra. Danyal sentì il dolore acuto ma resistette all’urto e non abbandonò l’arma. Rifiatò mentre un fiotto caldo gli inzuppava la manica.
«È così che mi precludete l’avanzata?» lo irrise l’avversario.
Soffocò un’imprecazione: oltre a essere dannatamente in gamba, parlava minkari senza accento e sapeva come deconcentrarlo. Nonostante il braccio offeso tornò all’attacco.
Il Kharnot balzò con la spada levata, regalandogli l’illusione di una possibilità. Danyal sfruttò l’apparente apertura, ma l’implacabile lama khai tornò a lacerargli le carni, aprendogli un taglio orizzontale sul fianco. Grugnì e barcollò, riportando l’arma nella posizione di difesa. Non servì: il nemico era più vicino di quanto aspettasse. Fu disarmato, la spada saltò lontano, conficcandosi nel terreno gelato.
Sollevò il capo ansimando per lo sforzo e la sofferenza. L’uniforme era intrisa di sangue, le gambe non erano più intenzionate a reggerlo. Nonostante la vista offuscata, continuò a opporre.
Mahati liberò la lama dal sangue con un fendente a vuoto. Sembrava non provare alcuna emozione, neppure la soddisfazione per la vittoria troppo semplice.
«Le vostre ultime parole?» domandò con fredda cortesia.
Danyal sapeva che erano gli istanti finali. Poteva solo scegliere come trascorrerli e ci aveva riflettuto da tempo. Inalò il fiato rimasto e sollevò il braccio sano, innescando una candela con il pollice. La luce verdastra bucò la cortina che si levava dalla città in fiamme, risplendendo oltre il fumo.
Il Šarkumaar aggrottò la fronte e si apprestò a calare la spada prima che quella sorta di cilindro raccogliesse i frutti dell’estremo sacrificio del suo portatore.
«Tirate!»
L’ordine del generale sconfitto deflagrò mentre il bagliore emesso dall’ordigno raggiungeva il picco. Un fischio acuto stracciò l’aria. Una grandinata di proiettili si abbatté dalle mura senza stabilire la differenza tra amico e nemico.
Danyal cadde in ginocchio, le punture feroci che gli perforavano la schiena.
Mahati imprecò, realizzando il piano con un istante di ritardo.
Non un duello d’onore, bensì un tranello! Ci sono cascato come un idiota!
Sollevò il mantello di pelliccia rinforzato dalle piastre di cuoio e si riparò alla bell’e meglio.
«In quest’inganno risiede l’orgoglio minkari?» ruggì inferocito.
Il comandante udì il rimprovero come attraverso una spessa ovatta. Crollò faccia a terra: avrebbe raggiunto le dimore di Reshkigal senza rimpianti.
«Meglio trapassare senza onore piuttosto che assistere alla fine di chi si ama… perdonate lo sgarbo di un uomo che ha dato tutto…»
Rimase inerte al suolo, le sue parole si unirono al vento.
Un istante dopo Mahati avvertì un’ustione lancinante alla spalla sinistra.
 
Sheratan osservava a braccia incrociate l’incendio del castello. I guerrieri schierati alle sue spalle erano impassibili: solo il fruscio dell’aria gelida, che sollevava i mantelli e faceva tintinnare gli ornamenti, donava concretezza alla staticità della scena.
Gli hanran non avevano approfittato dell’attacco e la prima armata attendeva, ligia agli ordini dello stratega supremo.
Aggrottò le sopracciglia: il palazzo reale sarebbe dovuto collassare, ma lo scenario non corrispondeva. Una circostanza molto più che rara con il Kharnot in testa alla formazione. Sperò che l’autorizzazione al decollo giungesse a breve e il grido di un vradak in planata lo indusse a pensare che recasse tale disposizione.
Fyratesh? Perché il principe viene di persona?
La stranezza lo pose sul chi vive. Non sindacò sul concetto di pessimo presentimento e si precipitò verso il predatore allato: la sella era vuota, l’animale sbatteva le ali e raspava il terreno schiudendo il rostro come se avesse fretta di comunicare.
«In sella!» sbraitò «Dazhem! Segui Fyratesh! È successo qualcosa al Kharnot
Lo stormo decollò all’istante. Sheratan mormorò qualcosa a metà tra l’imprecazione e la preghiera, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi protetti dalle fasce di cuoio.
In pochi battiti d’ala il vradak del Šarkumaar raggiunse il luogo del duello e volteggiò in un cerchio serrato come a proteggere l’area, mentre gli altri smontavano con le spade snudate.
Le raffiche invernali spiravano verso nord, trasportando fiocchi di neve congelata e allontanando le effusioni dell’incendio per rispedirle alle mura. Mahati giaceva a terra, la lama stretta nel pugno, il volto cinereo.
Dazhem reagì soltanto grazie all’addestramento.
«Per gli dei, non restate imbambolati! È ancora vivo!?»
«Non avverto il respiro, signore!»
«Portatelo al campo! Fate piano! Radunate ogni guaritore disponibile!»
I demoni lo sollevarono con cautela. Fyratesh accompagnò la scena con lo sguardo furibondo e si decise a seguire i compagni quando li vide abbassarsi verso le tende, come se stesse cercando qualcos’altro.
Nessuno, nell’agitazione e nel vapore, notò il corpo dell’uomo riverso poco più in là.
 

 
Le iridi viola di Rhenn sfolgoravano di sorpresa e dubbio. Non era una recita, prima non era in grado di tradurre lo scritto, ora lo stava trasponendo.
Yozora sfruttò l’impasse per spostarsi dalle sue ginocchia.
«Leggete ancora, forse è spiegato più avanti.»
«Niente affatto, sembra lo sproloquio di un ubriaco: “… fissando il sole oscuro di quel giorno, ho espresso con il cuore un unico desiderio. Oh dei, fermate il tempo. Se non posso vivere come un demone di fuoco e collera, diverrò un demone di sofferenza e lacrime, vi costringerò ad ascoltarmi…”. Assurdo.»
«È il dolore sconfinato di chi ha perso l’amore della sua vita» si commosse lei.
«Bah, lo deducete da tre frasi sconnesse?»
«È come se lo sentissi premere qui.»
L’Ojikumaar fissò l’indice posato sul seno. Anche lui avvertiva qualcosa alla bocca dello stomaco, ma forse stava solo per vomitare quello che prima aveva trattenuto.
«Alquanto debole come argomentazione» borbottò.
«Se riuscissimo a ottenere il testo completo…»
«Volete provarci voi? Nel contempo farò servire il vino e brinderò alle vostre capacità interpretative. O raggiungerò l’autore nella sua ebbrezza.»
«Perché vi offendete? Se fossi io a capire, sarebbe comunque gioco di squadra!»
Rhenn spalancò gli occhi.
Ah, non dovrei sorprendermi. Me la sono voluta quando mi sono confidato. Se mi ha preso sul serio dovrei rallegrarmi, ma sono individualista e il concetto di azione condivisa mi risulta estraneo.
«Perché non sopporto quando diffidate di me.»
«Vorrei solo che riposaste. Siete pallido, vi state sottoponendo al doppio sforzo di leggere e non mostrare stanchezza. Non avete bisogno di fingere con me.»
«Interrompiamo, se siete tanto angosciata»
«Lo dite come se riprendere fiato fosse un supplizio! Se mi sentissi male, non vi preoccupereste? A vostro modo, dico.»
«No.»
Negazione preparata e rapida, condita da una vena di gelo, da vero Khai. Pronto a ignorare il dispiacere altrui e ogni debolezza. Invece rammentò Shamdar, l’attimo in cui il pensiero di averla avvelenata gli aveva sfiorato la mente. Per la prima volta aveva dato alla morte un volto crudele e ingiusto, privandola dell’aura sacra.
A mio modo, eh? Spassoso. Se Yozora prova ciò che ho sentito io laggiù…
«Sì» corresse, sfiorandole la guancia con il pollice «Potete mettervi l’animo in pace. Con voi non riesco a dissimulare. Mi piacerebbe intendere come ci riuscite.»
«Io non…»
I loro sguardi si incatenarono. Per qualche ignoto motivo Yozora sentì le lacrime traboccare e, quando le scivolarono sulle guance, l’espressione assorta di Rhenn mutò in sincero stupore.
«Perché piangete?»
«Oh, non…» si alzò con una mossa frettolosa «Avete ragione, sono apprensiva. Non possiamo indugiare, ma sbagliare è controproducente.»
«Ve ne andate? Non mi aiutate a cercare un nascondiglio per il volume?»
«Scusatemi, è tardi, ho promesso di elevare una preghiera per propiziare il ritorno di Mahati e non voglio mancare.»
«Sono il sommo officiante di Belker, ho un canale preferenziale.»
«Vi ringrazio, ma è una supplica d’altro genere.»
«Credo di non capire.»
Yozora si asciugò il viso.
Lui è stato sincero, devo dirgli la verità. La merita.
«Per acquisire coraggio. Quando il mio promesso sposo tornerà, che la terza asheat abbia avuto luogo o meno, io mi darò a lui.»
   
 
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