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Autore: Nao Yoshikawa    05/06/2022    5 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo venti
 
Aizen odiava frequentare certi posti, lui era abituato ad avere sempre il meglio, ad una certa raffinatezza. Ecco perché in quel locale faceva attenzione a non toccare niente e nessuno, guardandosi intorno con un certo ribrezzo.
Ma per Shinji era un sacrificio che poteva fare.
Ed era proprio di Shinji la mano che ora si aggrappava a lui, tirandolo a sé.
«Shinji, allora mi aspettavi con ansia» disse, sorridendogli.
«Ah-ah, che spiritoso! Si può sapere perché non guardi mai il cellulare? Ti ho chiamato e inviato non so quanti messaggi. Tu qui non ci puoi stare!» disse agitato, forse leggermente brillo. «C’è tua moglie!»
Aizen aggrottò la fronte, confuso. Momo non era certo tipo da frequentare certi posti. Soprattutto, di solito la sera preferiva stare a casa con Hayato.
«Momo? È qui da sola?»
Shinji si guardò intorno, spaesato. Non aveva pensato al fatto che Aizen era molto orgoglioso e probabilmente se avesse saputo che sua moglie si trovava lì con un ragazzo non l’avrebbe presa bene. Non che fosse da lui fare scenate, ma quell’incontro a quattro voleva evitarlo.
«Amh…» sorrise e decise di utilizzare tutto il suo fascino. «Comunque mi sei mancato anche tu.»
E non stava mentendo, era questa la cosa più assurdo.
«Shinji, che mi nascondi? Va bene, controllo quello che mi hai scritto.»
«No! Senti, tu… baciami» disse senza pensare. Aizen si guardò intorno.
«Ma siamo in pubblico.»
Oh, maledizione. Lo sapeva benissimo che erano in pubblico, lì non c’era in mezzo solo la reputazione di quell’avvocato da quattro soldi. E lui, allora? Tutti pensavano che fosse un donnaiolo, che non era del tutto falso e nemmeno del tutto vero.
«Oh, cazzo» sbottò, afferrandogli il viso. «Sta zitto e baciami.»
Non aspettò che fosse lui a baciarlo, fu lui stesso a fare il primo passo. Lo baciò quasi con prepotenza, lì in mezzo al caos, in mezzo a un mondo che forse li guardava o forse no, con la musica a palla e le luci colorate addosso. Aizen non si tirò indietro, anzi, lo strinse a sé e per una volta non sembrò importargli che qualcuno potesse vederli. Era diverso da tutte le volte che lo avevano fatto di nascosto, si rese conto Shinji. Avrebbe voluto che quel momento durasse all’infinito. Con un sospiro profondo si staccò dalle sue labbra, ma non da lui. Aizen lo osservava stupito e soddisfatto.
«Non male, Shinji. Allora non mi odi poi così tanto.»
«Per favore, fa silenzio. Possiamo uscire fuori? Ti prego» lo supplicò, esasperato. Ma sapeva di star sperando invano.
 
Miyo stava chiacchierando molto con Momo. E quest’ultima l’ascoltava con interesse, trovava simpatica quella bambina così matura e carina.
«Io frequento la quarta elementare, negli intervalli sto sempre in biblioteca. Tutti i miei amici però vanno in classi diversi» le raccontò, col viso poggiato sulle mani. «E poi c’è anche un bambino che proprio non sopporto. Ma è perché lui che non mi sopporta, solo che io non gli ho fatto niente. Si chiama Hayato.»
A Toshiro andò di traverso ciò che stava bevendo. Quel nome non gli era affatto nuovo, anzi.
«Hayato? È lo stesso nome di mio figlio» disse Momo sorpresa.
«No, non può essere lo stesso. Tu sei troppo gentile, quindi è impossibile.» decise Miyo. Toshiro si fece teso e, captando forse il pericolo, gli era venuta la voglia improvvisa di andare da un’altra parte.
Ma dal canto suo, Shinji non era riuscito in alcun modo a dissuadere Aizen dal suo volerne sapere di più. Scorse sua moglie (anche se per un attimo non gli sembrò nemmeno lei) e la vide accanto a quel ragazzino, l’amico della moglie di Gin.
«Ma pensa, tu guarda» si annunciò, mentre Shinji accanto a lui desiderò solo sparire. Momo si immobilizzò, le labbra schiuse, il viso rosso e la sgradevolissima sensazione di essere stata colta in fragrante, anche se tecnicamente non stava facendo nulla di male. Ci pensò Miyo a rompere l’atmosfera seria.
«Oh, ciao signor Aizen.»
«Ciao cara» la salutò e poi si rivolse alla moglie. «Non mi avevi detto che tu e il ragazzino foste amici. Che improbabile amicizia.»
Toshiro assottigliò lo sguardo. Per quanto avesse voglia di tirargli un pugno, doveva mantenere la calma.
«La band… loro sono miei amici, ho pensato che a Momo potesse fare piacere un po’ di musica dal vivo» si limitò a dire. Che diamine, lei non gli apparteneva di certo. Aizen lo fissò e poi guardò sua moglie.
«È così, dunque?»
Momo giocò nervosamente con i suoi capelli. D’accordo, si trovava lì, e allora? Quante volte suo marito spariva senza dire dove andasse e con chi?
«Assolutamente sì, io e Toshiro siamo molto amici, è un ragazzo intelligente e maturo» disse, sostenendo il suo sguardo. «È strano che anche tu ti trovi qui.»
Shinj si sentì cingere le spalle e ci mancò poco che non gli desse un pugno.
«Certo, perché io e Shinji siamo vecchi amici. Non è una fortunata coincidenza?»
Non dirle che siamo amici, idiota, sembra troppo strano. Giuro che lo ammazzo. Non ci volevo essere in questa situazione.
Ma si sforzò comunque di sorridere e ringraziò di avere tutto quell’alcol in corpo.
«Sì, infatti!»
«Tu sei amico di lui?» domandò Toshiro confuso. «Ma da quando?»
Miyo osservava la scena altrettanto confusa. Si chiese intanto come fosse possibile che Hayato fosse il figlio di due persone così gentili e poi si chiese perché sembrasse tutto così strano. Perché quelle quattro persone si comportassero come se stessero nascondendo qualcosa.
«Che vuoi farci, gli avvocati snob mi stanno simpatici» disse con un sorriso forzato. «Comunque, io dovrei… devo…»
«Rimanere qui con noi. Non puoi lasciare tua figlia da sola, giusto? Visto che ci siamo incontrati…» Aizen lasciò la frase in sospeso, ma Shinji lo capì benissimo e lo capì anche Toshiro. Tutti e quattro lì, insieme? Era una tragedia. Anzi, no. Era la fine del mondo.
 
 
 
Karin era consapevole che lasciarsi andare all’agitazione davanti a Kohei non era mai una buona idea. Era lei il punto di riferimento di suo figlio, ma quanto successo a scuola l’aveva innervosita. Soprattutto, suo figlio era tornato con una brutta ferita al braccio e anche se Kohei non sembrava farci troppo caso (se ne stava tranquillo a leggere sempre con il suo fidato pappagallo sulla spalla), Karin era decisa a non passarci sopra questa volta.
«Ora basta, sono veramente stufa di questa situazione. Ho già parlato con tutti, insegnanti, preside e quant’altro. Visto che nessuno mi ascolta, forse dovrei prendere in considerazione l’idea di trasferirlo in un’altra scuola.»
Kohei sollevò lo sguardo dal suo libro, facendosi attento.
«Ma io non voglio cambiare scuola. Qui ci sono Kaien e Masato. E Naoko e tutti i miei amici.»
Karin però non lo stava ascoltando. Piuttosto, con le mani poggiate sui fianchi, fissava suo marito, aspettando che si degnasse di darle un parere. Il fatto era che Chad non sapeva cosa dire, era tutto un gran casino. Lui e Karin non erano riusciti a rispettare nemmeno uno dei loro propositi e adesso sua moglie sembrava più stressata del solito.
«Sono d’accordo con Kohei. Il trasferimento non è una buona idea, sai quanto gli ci vorrebbe per ambientarsi.»
«E allora cosa proponi di fare?» domandò lei, insistente. Karin sapeva essere cocciuta e sapeva avere un carattere davvero molto difficile, per questo insieme a Yasutora funzionava bene. Perché lui era un gigante buono che non si arrabbiava mai, e anche quando lo faceva non si scomponeva mai troppo. Ma questo, per certi versi, era anche più spaventoso.
«Non lo so, Karin. Io non ho la soluzione a tutto. La testa sta per scoppiarmi» Chad si alzò, sovrastandola con i suoi due metri di altezza, e le passò accanto.
«E ora dove stai andando, si può sapere?»
«Kohei, vai a metterti qualcosa di più pesante, ti porto a mangiare fuori» disse Chad rivolto al figlio, il quale assunse un’espressione pensierosa.
«Va bene, ma andiamo solo in posti dove vendono ramen in brodo» dichiarò, alzandosi. Quando furono rimasti soli, Chad guardò sua moglie con un’espressione seria e afflitta.
«Tutta questa situazione è insostenibile. Mi dispiace, io ci provo a non peggiorare le cose, ma tu… non sei più tu» ammise, cercando di essere comunque gentile. Karin arrossì, sapeva appena stata di essere colpita nel vivo. Certo che non era più lei, da tanto tempo oramai.
«E come potrei esserlo? Questo non era quello che avevo sperato per noi e per nostro figlio» disse, e sentì poi le lacrime farsi strada nei suoi occhi. E questo era strano, perché lei non piangeva mai.
«Nemmeno io, davvero» Chad le portò una mano sulla testa e l’accarezzò. «Ma tutta questa pesantezza non aiuta Kohei. E non aiuta me, né noi come coppia. Temo che stiamo diventando come quelle coppie che stanno insieme per abitudine, perché devono, perché hanno un figlio insieme, ma dove effettivamente non c’è amore.»
Quello fu troppo per Karin. Come poteva dire che non c’era amore? Compì un passo verso di lui, fronteggiandolo.
«Io ti amo e tu lo sai!» disse ad alta voce.
Era una donna, diamine. No, in quel momento era solo una bambina sperduta.
«E ti amo anche io» disse Chad. «Però un rapporto va coltivato, altrimenti muore.»
Le sue parole ebbero l’effetto di una doccia gelata. In effetti, quand’è che si era presa cura della loro relazione, di loro come coppia? Chad le aveva parlato, dicendole chiaramente ciò di cui aveva bisogno. Sua sorella Yuzu le aveva dato i più spassionati consigli e lei si era sempre detta lo farò, senza mai fare nulla di concreto. Era una madre sì, ma era anche la moglie di Yasutora. Ed era una donna, una persona.
Poco dopo Kohei uscì col padre, e visto che Karin non aveva voglia di stare da sola, decise di andare Ichigo. Aveva bisogno di suo fratello, dell’allegria di sua sorella e perfino di quell’esaltato di suo padre.
Yuzu fu ovviamente felice di vederla e Isshin la strinse subito in un abbraccio, dicendole che se aveva voglia di parlare, lui sarebbe stato disposto ad ascoltarla. Karin però aveva bisogno di Ichigo, era quello più simile a lei per carattere. Ma anche Ichigo era stressato e pensieroso, mentre seduto sulla sedia mordicchiava una penna, senza fare niente di concreto.
«Non posso credere che tu e Chad abbiate litigato» disse dopo che sua sorella gli ebbe raccontato tutto. «Dovrei forse parlargli?»
«Ti prego, Ichi, ci manca solo questa» sospirò Karin, seduta di fronte a lui, mentre giocava con un portapenne. «E poi non abbiamo litigato, lo sai che con lui è impossibile. È che ha detto una cosa vera, io orami non mi curo più del nostro rapporto da tanto tempo. Sono così impegnata a cercare di essere una brava madre, che mi dimentico del resto.»
Ichigo si rilassò appena. Poteva capirla bene, in un certo senso.
«Ma Karin, tu sei una brava madre, sei come una leonessa che protegge il proprio cucciolo. Kohei è fortunato. Va bene, forse tu e Chad vi siete un po’ allontanati, ma puoi ancora fare qualcosa. Devi farlo davvero però, sono sicuro che ne gioverete tutti e tre. Però ti prego, non piangere. Altrimenti dovrò fare a pugni con Chad e perderò sicuramente» Ichigo cercò di sdrammatizzare quando vide che sua sorella si asciugava le lacrime.
«Oh, che sciocco. Figurati se lui ti prenderebbe mai a pugni» disse, sorridendo. «Nemmeno a te le cose vanno troppo bene con Rukia, eh?»
Ichigo guardò il soffitto. Era davvero così evidente?
«È tutta colpa mia. Sono stressato e per una volta che Rukia vuole fare qualcosa per sé stessa, io non riesco a sostenerla. Forse sono un bravo marito solo in teoria. In pratica faccio schifo.»
Karin lo osservò a lungo, pensierosa. E poi disse:
«Io dico che tu sei solo in panico. È una situazione nuova e temi di non poterla gestire.»
Ichigo arrossì. Avrebbe voluto dirle che era assurdo, perché dopotutto lui era un chirurgo, sapeva affrontare bene le situazioni di stress. In sala operatoria. Le questioni personali evidentemente erano tutta un’altra storia.
«Tsk, è uno schifo. Vorrei non essere così.»
«Non dirlo a me, fratellone. Nemmeno io vorrei essere così» sospirò. Ichigo prese la sua mano e la strinse. L’amore e le relazioni erano complicati, anche se per motivi diversi tutti avevano le loro personali battaglie. E probabilmente Karin aveva ragione su di lui.
A giudicare dalla confusione oltre la porta scorrevole, Rukia doveva essere tornata. Ichigo la vide entrare poco dopo, ma capì subito che doveva essere entrata più per Karin che per lui.
«Ciao, Karin. Va tutto bene?» domandò subito.
«Ah… sì, tutto bene. Avevo solo bisogno di parlare con Ichi. Ma ora sto bene, davvero.»
Rukia annuì e guardò poi suo marito, facendogli un cenno col capo. Era evidente che odiasse quella situazione, a nessuno dei due piaceva litigare, soprattutto se poi non riuscivano a far pace. Ichigo decise che doveva fare qualcosa, anche se ancora non sapeva cosa di preciso.
«Va bene, allora… resti a cena da noi?» domandò poi alla cognata, la qual accettò subito. Un po’ di tempo in famiglia le avrebbe fatto bene.
 
Masato aveva deciso che doveva far pace con Kaien a tutti i costi. Giocare da solo non era divertente ed era sicuro che anche lui fosse triste. Erano gemelli, erano sempre stati insieme! Quindi si avvicinò a Kaien che, in camera loro e seduto sul tappeto, stava costruendo qualcosa con dei lego.
«Kaien» chiamò. «Possiamo fare pace adesso?»
«Mmh» borbottò lui. «Non lo so se voglio. E poi perché? Tu hai Yuichi, che è la tua persona preferita. E voglio essere io la persona preferita di tutti.»
Era proprio geloso.
«Ooh!» si disperò lui, portandosi le mani tra i capelli scuri. «Ma non è la stessa cosa. Tu sei mio fratello, sei la mia persona preferita. Yuichi è la mia persona preferita, ma in un altro senso!»
A quel punto Kaien lasciò perdere i lego e si girò a guardarlo.
«Che vuol dire in un altro senso?»
Masato arrossì e si sedette davanti a lui. Non sapeva proprio come spiegare quello che voleva dire.
«Va bene, allora… a te piace Kiyoko, vero?»
Kaien divenne rosso come un pomodoro.
«M-ma che c’entra questo adesso? Comunque sì, lei mi piace più di tutte le nostre amiche. E allora?» borbottò, atteggiandosi a duro.
«Ecco, è la stessa cosa per me e Yuichi. Io gli voglio bene come tu vuoi bene a Kiyoko.»
Suo fratello lo osservò, metabolizzando le sue parole.
«Ma Kiyoko vuole sposarmi. Tu vuoi sposare Yuichi anche se è un maschio?» domandò. Masato annuì, impercettibilmente. Si vergognava da morire a parlare di certi argomenti. Kaien si portò un dito sotto il mento.
«Ho capito. È un po’ strano, però si può fare. E poi vi siete già baciati, quindi va bene.»
«Però non dirlo a nessuno!» lo pregò. «È un segreto! Ti prego, dimmi che non sei più arrabbiato, dimmi che torniamo a giocare insieme, dimmi…»
Kaien gli fece segno di tacere.
«Oh! Ma sei esaurito? No, sono più arrabbiato con te, perché ho capito. Circa. L’importante è che non vuoi bene a nessuno come vuoi bene a me.»
Masato sorrise. Oh, suo fratello aveva un cuore tenero in fondo, fingeva solo di essere un duro.
«Non voglio bene a nessuno come voglio bene a te.»
Con le guance rosse, Kaien annuì. Oramai aveva dimenticato la sua rabbia.
«Ah, comunque non crederai mai cos’è successo oggi con Kohei e Hayato.»
 
 
 
 
 
  
In quanto invitata ad un matrimonio, Rangiku pretendeva di avere l’abito più bello. Avrebbe potuto acquistarlo in una delle boutique più costose di Tokyo, ma vedere una faccia amica per lei era molto più importante, per questo aveva deciso di chiedere a Yumichika, stilista nonché futuro sposo molto stressato.
«Dovrei essere offeso perché non ti fai vedere mai, tuttavia sono un professionista e non riesco ad essere arrabbiato con le persone belle» le disse Yumichika, mentre le prendeva le misure.
«Oh, perdonami, ma tra una cosa e l’altra non riesco mai a venire! Al tuo matrimonio però non mancherò di certo» Rangiku se ne stava in piedi con le braccia aperte, mentre Yumichika le passava il metro dappertutto. «Allora, nervoso?»
«E perché dovrei esserlo? Forse perché il mio futuro marito non ha alcun senso del gusto e verrebbe vestito come un motociclista di serie Z? Non glielo permetterò» rispose lui. «Spero che voi altri pazzi non combiniate niente di strano quel giorno, tutte le attenzioni dovranno essere su di m-su di noi!»
Rangiku sorrise e per un attimo ripensò al suo matrimonio. Un matrimonio in grande stile ovviamente, un giorno perfetto. Era stata così innamorata.
Lo era ancora. Anche se era tutto così strano. Yumichika la punse con un ago.
«Ahi!»
«Scusa, sta ferma! Tutto bene con Gin? Sì, lo so, sono sveglio a capire quando le cose non vanno in una coppia.»
Rangiku arrossì, senza nemmeno guardarlo. Doveva togliersi dalla testa la questione sull’apparire perfetti. Perché non lo erano, erano semplicemente umani come tutti.
«È tutto un po’ strano» ammise. «Sono preoccupata per Gin. Tutti pensano che siamo perfetti perché è così che ci atteggiamo, ma non è vero. Lui è un po’ troppo influenzato da Aizen. Lo so, so che Gin ha avuto una vita difficile, so che ha sofferto la fame, la povertà e tutto, e che è anche grazie a lui se adesso è arrivato così lontano, però… non si può per sempre essere in debito, giusto? E poi, che idea balorda quello di combinare un matrimonio tra i nostri figli…»
«Tra Rin e Hayato?» Yumichika la punse di nuovo con l’ago. «No, questo non va bene, tua figlia è troppo carina e io ti voglio troppo bene per lasciare che ti imparenti con… quello! Ora girati.»
Lei sorrise, guardando la sua figura riflessa sullo specchio. E vide una donna sì bellissima, che secondo molti aveva tutto. Ma che era molto più simile alla gente normale di quanto potesse sembrare.
«Comunque ho ricontattato Kira. Lui è un uomo gentile, buono e dolce ed è sempre stato il migliore amico di Gin. Spero lo faccia ragionare.»
«Lo spero anche io. Bene» disse Yumichika. «Ti creerò un abito così bello che le altre, guardandosi allo specchio, piangeranno. Ma non sarai comunque più bella di me, chiariamo.»
Rangiku rise e poi sospirò. Forse si sarebbe accontentata anche di una vita più modesta ma rilassata. Lei comunque non si arrendeva mai e non era una che si fermava solo alle chiacchiere. Dopotutto lei aveva sposato Gin e lei sapeva come prenderlo, in un modo o nell’altro.
 
Vai a prendere tu Rin a scuola. NON TE LO DIMENTICARE.
Baci :*
 
Gin non aveva potuto certo rifiutare un messaggio così convincente da parte di sua moglie. Così era andato e con lui era andato anche Kira, avevano molto tempo perso da recuperare.
«Lo sai che non eri costretto a venire, vero?» Gin se ne stava poggiato all’auto a braccia conserte.
«Figurati, a me piace Rin, mi piace più di quanto mi piaccia tu» scherzò. «Lei ti vuole bene.»
«Anche io, per questo sarei disposto a fare di tutto per lei» disse calmo, ma al contempo con una certa decisione. Kira tossì, un po’ a disagio. Sapeva dei suoi intenti e dei suoi problemi non perché fosse stato lui a parlargliene, ma perché era stata Rangiku. E lui ci stava anche provando a fare qualcosa, a dire qualcosa, ma era difficile.
«Lo so. Però sai… a volte non bisogna fare niente di troppo eclatante. Rin sarebbe forse più felice se ci fossero meno aspettative su di lei.»
Gin lo guardò e poi sorrise.
«Rangiku ti ha detto tutto.»
«Mi ha detto tutto, sì. Mi dispiace» disse facendo un leggero inchino. «Ma è preoccupata e lo sono anche io. Lo sappiamo bene com’è stata la tua vita, ma adesso stai bene. State tutti bene, no? Puoi rilassarti un attimo, mollare la presa» Kira aveva lasciato da parte la timidezza per parlare a cuore aperto. Gin era davvero convinto che tutto quello che faceva fosse necessario e anche giusto. E Kira sapeva che non sarebbero bastate due parole a convincerlo del contrario.
«Tutto quello che io ho fatto, l’ho fatto per Rangiku e Rin. Sono arrivato fin qui affinché la mia famiglia non dovesse mai soffrire, me lo sono promesso. Lo trovi sbagliato?» domandò. Il suo sguardo lo mise un attimo in difficoltà.
«No. Però forse dovresti anche ascoltare cosa loro hanno da dire. E smetterla di sentirti in debito. A cosa serve lottare tanto se poi, quando hai ottenuto qualcosa, non riesci neanche a godertela?»
Kira era sorpreso di sé stesso e non sapeva quanto le sue parole avessero colpito Gin nel vivo. Quando era stata l’ultima volta in cui si era rilassato e aveva respirato? Nemmeno riusciva a ricordarlo, perché aveva sempre lavorato per ottenere di più e di più.
Rin corse loro incontro.
«Oh. Ci sei anche tu, Kira. Sono molto contenta di vederti.»
«Sono felice anche io di vederti» sussurrò lui, sorridendo. Gin si finse geloso.
«Kira, hai monopolizzato le attenzioni di mia figlia e questo non mi va bene.»
Rin rise e poi lo abbracciò e si lasciò prendere in braccio.
«Papà, ho detto a Kira che poi un giorno lo sposo.»
«Oh, cara. Mi dispiace deluderti, ma ha già un fidanzato»
Rin sgranò gli occhi sottili, guardando Kira.
«Davvero?»
Il diretto interessato arrossì e annuì.
«Ma non preoccuparti, tra le ragazze sei tu la mia preferita.»
E Rin, che amava essere la preferita di tutti, si quietò. Ora che c’era Kira era tutto diverso. Suo padre sembrava diverso, un po’ più calmo, un po’ più sereno. Non sapeva perché, però sapeva che le piaceva.
 
Hayato fissava i suoi genitori in silenzio. Erano strani, più silenziosi del solito. Momo beveva dalla sua tazza senza parlare con nessuno dei due, eppure era lei di solito a portare avanti la conversazione. Suo padre cercava invece, che di solito evitava il dialogo, ma quel giorno tutto sembrava andare al contrario.
«Allora Momo, c’è forse qualcosa di cui vuoi parlare?» le domandò. Momo sapeva di non avere scampo. Sosuke ci aveva sempre saputo fate con le parole, era anche per questo che non aveva mai perso una causa.
«Riguardo a cosa?»
«Riguardo alla tua uscita in segreto di ieri sera. Sul serio, Momo. Con uno più giovane?»
Hayato si fece più attento. Da un lato avrebbe voluto sparire, ma dall’altro voleva capire.
«Non di fronte al bambino» sussurrò Momo.
«Perché? Se non hai niente da nascondere, potrà anche stare qui ad ascoltare.»
In quel momento sentì di odiarlo. Mettere in mezzo anche Hayato era una mossa sporca, i problemi riguardavano loro, non lui.
«Io e Toshiro siamo soltanto amici, cosa c’è di male? Tu sparisci per ore senza che io sappia dove sei, direi che ora siamo pari» disse, sorprendendosi di sé stessa. Non aveva idea di cosa le stesse accadendo ultimamente. Rispondeva, parlava e agiva come non aveva mai fatto.
«Ah, quindi la pensi così, siamo pari? D’accordo, allora. Non devo preoccuparmi. Dopotutto, mia cara, la persona che ami di più al mondo sono io» lui le accarezzò il viso e Momo si scostò.
«E invece la persona che tu più ami al mondo sei tu stesso» disse con rabbia.
«Ti stupiresti se ti dicessi che non è proprio così» disse lui, retraendo il braccio. Avrebbe dovuto essere Momo la persona che amava di più al mondo, almeno romanticamente. E invece c’era qualcun altro.
«Una delle tue amanti, immagino. O magari è sempre la stessa? Lo so oramai che è così, non sono stupida, Sosuke» sibilò il suo nome. Non riusciva più a tenersi nulla dentro e anche per questo si era dimenticata di Hayato.
Hayato che adesso aveva le lacrime agli occhi, adesso si alzava e andava a nascondersi, perché tutto quello non voleva sentirlo. Sosuke fece spallucce.
«Ottima mossa, mia cara. Davvero»
Momo tremò mentre stringeva un pugno. Non era lei la cattiva. Non era lei a sbagliare.
Non sono io a sbagliare, giusto?
 

Quel pomeriggio, Mayuri e Nemu non si trovavano insieme a lavoro. Turni diversi, il che era piuttosto raro. Oramai dormivano separati, parlavano a malapena perché Nemu aveva deciso di punirlo rimanendosene in silenzio. E se nemmeno si parlavano, se nemmeno dormivano più insieme, se a malapena si guardavano, aveva forse senso essere sposati? Lei però non aveva tolto la fede e nemmeno lui, non l’avevano mai tolta una singola volta da quando si erano sposati. L’amore, i sentimenti e le relazioni erano difficili, molto più difficili della medicina. Mayuri non faceva altro che rimuginare su questo, nonostante non fosse da lui rimuginare su niente. Non riusciva più a sopportare quella situazione strana. Non la sopportava lui, non la sopportava Nemu e non la sopportava nemmeno Ai.
Ai si era avvicinata a lui, sembrava impegnato, fingeva di leggere e scrivere qualcosa, quando in realtà con la mente era da tutt’altra parte.
«Papà, quando torna la mamma?» domandò la bambina, che si sentiva stranamente in ansia.
«Non lo so. Non mi disturbare» le disse lui. Ai aggrottò la fronte. Oramai era arrivata al limite della sopportazione. Era solo una bambina, non un’adulta. E anche se lo fosse stata, forse poteva avere anche lei il diritto di lasciarsi andare alle emozioni? Ai, che non faceva mai capricci, che non piangeva mai, che faceva sempre la brava bambina, decise in quel momento di essere un po’ meno brava.
Si avvicinò, con i pugni chiusi.
«Tu non mi vuoi bene.»
Mayuri la guardò, un po’ sorpreso. Ma che avevano tutti ultimamente?
«Se sei convinta di questo, niente di quello che dirò ti farà cambiare idea.»
Ai aggrottò la fronte e allora iniziò a piangere. Non in modo sommesso come aveva fatto l’ultima volta con Hikaru, ma come una bambina, come quello che era.
«Guarda che ti ho sentito, eh! Voi non mi volevate e tu non mi vuoi nemmeno ora!» gridò Ai, con le lacrime che le bagnavano il viso. «Tu sei cattivo!»
«Oh, che seccatura!» sbottò lui. «Ma si può sapere che hai? Fai la brava bambina, non si piange!»
Non sapeva come doveva approcciarsi con Ai. Non l’aveva mai saputo. Era così diversa da lui, così diversa da tutti e questo era spaventoso, strano, assurdo. Per tutta risposta Ai gli andò addosso, dandogli dei colpetti con i pugni. Anche se non era mai stata aggressiva, adesso tutto quello che aveva trattenuto stava fluendo fuori dal suo corpo.
«Invece sì! Io piango perché tu sei cattivo e non mi vuoi bene! Gli altri sono meglio di te!»
Mayuri l’afferrò per un polso, guardandola in viso.
«Visto che a quanto pare tu e tua madre la pensate allo stesso modo, perché siete qui?» domandò. Ai tremò e si staccò dalla sua presa.
«Ti odio! Non voglio più parlare con te, basta!» gridò.
Quello era troppo. Ai era impazzita e lui non sapeva cosa fare o cosa dire. Questo non lo insegnavano di certo da nessuna parte.
«Ora basta, vai a chiuderti in camera e rimanici!» Mayuri le gridò dietro, ma Ai lo aveva già preceduto e si era chiusa dentro sbattendo la porta. Lui si passò una mano sul viso, imprecando.
Gli altri sono migliori di te. Ai aveva ragione probabilmente. E aveva ragione anche Nemu. Lui non sapeva amare. O amava in modo sbagliato.
Ai intanto si era davvero chiusa in camera. Preda di un’agitazione senza eguali, preda di un dolore lancinante, infilò alla rinfusa qualcosa nello zaino, vestiti e qualche spicciolo.
Decise che doveva andarsene e sperò che sua madre la perdonasse per questo. Aprì la finestra e in seguito prese JinJin in mano, socchiudendo gli occhi ricolmi di lacrime.
«Andiamo via da tutto e da tutti.»
 
Nota dell’autrice
Prima o poi doveva succedere. Si è arrivati ad un punto di rottura e Ai vede nella fuga l’unica soluzione. Nel prossimo capitolo, infatti, le accadrà una cosa un po’ pesante. Non l’ho voluta buttare in tragedia, però è un tassello importante nella sua, di Mayuri e di Nemu, anche se mi dispiace comunque perché a questa bambina ne sto facendo passare di ogni. In realtà qua ad essere arrivati ad un punto di rottura sono anche Momo-Aizen-Hayato e Karin-Chad-Kohei, ma giuro che è tutto un male necessario.
Che dire poi, simpatico l’incontro a quattro, vero? Povero Shinji, siamo ben oltre i cliché da quattro soldi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Nao
   
 
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