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Autore: Jeremymarsh    08/06/2022    13 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo I: Il peggior giorno della mia vita



“Sometimes the system goes on the blink
And the whole thing, it turns out wrong
You might not make it back and you know
That you could be well that strong
And I'm not wrong.”

Bad Day, Daniel Powter






Quel mattino Kagome si svegliò con il mal di testa e gli occhi ancora gonfi dovuti a tutte le lacrime che aveva versato la sera precedente.

Il sole alto fuori dalla finestra le rivelava che era tardi e, probabilmente, nessuno l’aveva svegliata prima perché quello era il suo ultimo giorno da donna libera e padrona di se stessa; anche il fratellino. che si addormentato con lei per consolarla, era già fuori a compiere i propri doveri. E anche lei avrebbe fatto lo stesso se non fosse stata bloccata dai ricordi che la travolgevano come un fiume in piena.

Solo ieri aveva vissuto il peggior giorno della sua vita, ma presto altri lo avrebbero superato. D’altronde, con le prospettive che le erano state date c’era poco da fare.

Che speranze erano quelle di una donna che aveva assistito alla morte del proprio fidanzato per mano di un demone a pochi giorni dal proprio matrimonio? E quanto ancora meno rosee erano ora che le era stato imposto di sposare l’uomo più crudele del villaggio nello stesso giorno per mettere a tacere voci maligne sulla sua presunta sfortuna?

Era successo tutto così in fretta che Kagome faceva fatica a riordinare i suoi pensieri.

Ricordava com’era stata contenta quando Hojo, l’amico di sempre, aveva chiesto la sua mano; sapeva che la sua sarebbe stata una vita felice perché era un brav’uomo e l’avrebbe rispettata a differenza di tanti altri a cui le sue amiche erano state promesse. Tuttavia, ogni certezza era crollata nell’istante in cui il giovane si era trovato sulla stessa strada di un demone sanguinario ed era morto per difenderla. Era bastata quella manciata di secondi, aver preso una nuova scorciatoia durante la loro passeggiata e incontrato la persona sbagliata per aprire una voragine incolmabile.

Le dicerie e la cosiddetta ombra di sventura che portava con sé erano nate poco dopo: la famiglia di Hojo non aveva voluto ascoltarla, Hitomiko-sama l’aveva guardata con diffidenza e vergogna, così come il capo villaggio e tutte le più importanti famiglie. In breve, la sua era stata ostracizzata e, per salvare la faccia, la mamma e il nonno erano stati costretti ad accettare la proposta di Onigumo, l’unico uomo che si era proposto di sposarla nonostante la sua sfortuna. Kagome ancora rabbrividiva al pensiero di quegli occhi scuri e lascivi che soppesavano la sua figura e l’avrebbero presto avuta in controllo fino alla sua morte.

A quel punto, non le restava che pregare affinché questa arrivasse il prima possibile, proprio come era avvenuto per la prima moglie dell’uomo. Nel villaggio si diceva fosse morta a causa della violenza di lui, ma anche se fosse stato vero non sarebbe cambiato nulla: una donna diventava proprietà dell’uomo a cui era data in sposa.

Da un lato, Kagome non comprendeva come sua madre avesse potuto acconsentire a un’unione simile; avrebbe preferito rimanere nubile ed esiliata per tutta la sua vita piuttosto che finire nelle sporche mani di Onigumo. Dall’altro… sapeva anche che rifiutare quella richiesta in un momento simile avrebbe posto la sua famiglia in una posizione ancora più scomoda, ma anche che non era stata davvero data loro l’opportunità di farlo. Sospirò e, infine, si alzò dal suo giaciglio. Per consentire ai suoi cari di vivere in pace, soprattutto dopo le traversie che avevano già passato, valeva la pena sacrificarsi. Nonostante solo la sera prima si fosse opposta e avesse contrastato a lungo la madre, ora con più chiarezza sapeva che, per la sua famiglia, lo avrebbe fatto.

Strinse gli occhi mentre si preparava per il mattino e, prendendo un’ultima boccata d’aria, si fece coraggio. Cominciava il suo ultimo giorno di libertà e voleva goderne fino all’ultimo istante, nonostante le occhiatacce dei vicini o il bisbigliare che l’avrebbe seguita ovunque.

Indossò le vesti da sacerdotessa, consapevole che presto non sarebbero state più sue – Onigumo aveva posto come condizione quella di abbandonare il suo apprendistato; non che qualcuno l’avrebbe voluta ancora come tale – e decise che sarebbe andata a raccogliere alcune erbe medicinali. Era l’unico modo che conosceva per liberare la mente e smettere di vivere quella vita che si prospettava più infernale che mai.

***

Qualche ora prima, a miglia di distanza da quel villaggio ai margini della foresta, un mezzo demone dai lunghi capelli argentati, orecchie da cane e lo sguardo accigliato, ascoltava la tiritera arrabbiata di suo padre. L’uomo, un dai-youkai da cui entrambi i figli avevano ereditato i colori, era meglio conosciuto come Inu-no-Taisho e governava le terre a Ovest nel Giappone feudale coabitato da demoni e umani.

Non si sapeva esattamente quanti anni avesse, ma a nessuno interessava. Ciò che maggiormente viaggiava di bocca in bocca era il suo valore, il coraggio e, soprattutto, l’affetto per la categoria umana – per grande dispiacere dei puritani della sua razza. Per amore di una di loro, la sua seconda moglie, aveva addirittura rischiato di morire, banalmente bruciato insieme all’uomo che si era invaghito di lei, non ricambiato. Il fatto che fosse sopravvissuto, anche dopo aver ricevuto ferite mortali dal precedente scontro con Ryukotsusei, suo nemico storico, aveva confermato la sua forza e le sue abilità da combattente.

Quella vittoria, però, aveva permesso che la consorte umana e il figlio mezzo demone appena nato crescessero nel suo castello insieme agli altri youkai che lo abitavano, tra cui il suo primogenito. Costui era nato dall’unione dell’Inu-no-Taisho, altrimenti detto Toga, e la sua prima moglie, Kimi; un matrimonio d’interesse durato poco. Ed era proprio Sesshomaru ad essere la causa dell’umore più agitato del Generale e della situazione in cui si trovava attualmente Inuyasha.

Alle prime ore dell’alba era giunta la notizia che, in preda all’ennesimo scatto d’ira contro gli umani, il demone avesse ucciso a sangue freddo un giovane uomo che viveva nel villaggio al confine con le loro terre.

Toga aveva inutilmente tentato di condividere con lui le sue opinioni sulla coabitazione tra i due popoli, ma sfortunatamente il figlio aveva preso dalla madre, ereditando da lei il disprezzo e la presunzione in particolar modo. Sesshomaru non comprendeva come si potessero amare degli esseri inferiori e odiava il padre per la sua scelta di procreare con una di loro – non importa quanto il genitore ripetesse che quella fosse la sua anima gemella. Per quel motivo, aveva trascorso gli ultimi duecento anni a rendere la vita del mezzosangue e sua madre un inferno, scatenando ogni volta che gli andava la sua furia su persone colpevoli di condividere la loro razza. Peccato solo che iniziative di quel genere avessero spesso messo in pericolo la pace che il genitore portava avanti da secoli. L’uccisione del giovane era solo l’ennesima azione scellerata.

Ora, prima che qualcuno potesse far nascere una guerra, Toga avrebbe dovuto pagare i danni fisici e morali alla famiglia dell’uomo e della donna che avrebbe dovuto sposarlo a breve. Chiunque lo avrebbe definito uno sciocco per preoccuparsi di una cosa tanto futile e nessuno si sarebbe mai adoperato tanto per le riparazioni. Tuttavia, Toga non era ricordato anche per il suo buon cuore per nulla.

Ma la notizia giungeva in un momento per nulla propizio; sarebbe stato impossibile per lui allontanarsi dal castello. Ed era proprio per questo che aveva mandato a chiamare il suo secondogenito, un mezzo demone dal cuore sicuramente più aperto di Sesshomaru, ma dalla testa altrettanto calda. Senza considerare l’esser disprezzato dalla maggior parte degli abitanti della valle per la sua natura lo aveva reso diffidente di chiunque a parte suo padre e sua madre.

Toga aveva previsto che Inuyasha non avrebbe accettato facilmente un compito che includeva visitare un villaggio umano ed essere il bersaglio di altrettante angherie. Dopo tutto, il giovane hanyou aveva imparato a sue spese che essere nel mezzo lo rendeva odiato da quasi tutti ed era solo grazie all’amore dei propri genitori – l’unico che avesse mai conosciuto – se non era cresciuto con l’odio nel cuore. Alla fine, però, non aveva dubbi avrebbe acconsentito.

Ciò li riportava in quella stanza, dove Toga stava facendo avanti e indietro, spiegando al figlio la gravità di cosa era appena accaduto. Inuyasha lo ascoltava distratto, ma il suo interesse si risvegliò nel momento in cui le fatidiche parole del padre raggiunsero le sue orecchie canine, le quali si mossero freneticamente sul capo nel tentativo di capire se avessero davvero sentito bene.

“Cosa significa ‘mi aspetto che tu raggiunga quel villaggio entro sera’?” proruppe scattando in piedi e lanciandogli un’occhiataccia. “Io non vado da nessuna parte; che lo risolva quel bastardo di Sesshomaru il problema!”

Toga sospirò. “Inuyasha, ne abbiamo già parlato. Non ti aspet-”

“No,” sbottò ancora il mezzo demone, “tu ne hai parlato. Non ricordo di aver acconsentito a nessuna di queste stronzate. Non vedo perché devo sempre essere io ad andarci di mezzo ogni volta che quello stronzo ne combina una delle sue.”

Il padre strinse gli occhi. “Inuyasha,” ripeté in un tono che non ammetteva repliche, “sai che non mi piace quando parli di tuo fratello in questo modo.”

Fratellastro,” specificò l’altro, “e non mi pare che mi sia mai interessato, pa’, con tutto il rispetto.” Scrollò le spalle e tornò a sedersi.

“Non credere di cambiare argomento tanto facilmente,” continuò il Generale, leggendo nei suoi gesti le sue vere intenzioni. “Tu andrai in quel villaggio e porterai a quelle due famiglie l’oro e tutto ciò che possano desiderare per essere ripagati di questo torto,” sottolineò di nuovo con finalità.

Inuyasha sapeva che quando il padre usava quel tono non c’era da scherzare e, normalmente, avrebbe comunque continuato a scontrarsi con lui; non gli piaceva essere il galoppino di nessuno, tanto meno se si trattava di qualcosa che aveva a che fare con lui. Ma c’era una strana luce negli occhi del genitore e le sue spalle erano stranamente afflosciate, come se sentisse particolarmente il contraccolpo dell’ennesimo scherzo ad opera del primogenito.

“Keh,” sbuffò, già in parte rassegnato. “Non capisco perché devo andarci sempre io di mezzo,” ribadì.

“Perché, per mia fortuna, almeno uno dei miei figli mi obbedisce ancora qualche volta.” Gli sorrise e Inuyasha voltò lo sguardo, imbarazzato a causa dell’orgoglio che leggeva nella voce e negli occhi del padre.

“Keh,” ripeté a voce più bassa mentre lasciava la stanza, non aggiungendo altro. E mentre lo osservava andar via, Toga ebbe la certezza che tutto sarebbe andato bene.

Poco dopo, Inuyasha partì alla volta di quel villaggio che ricordava dai tanti viaggi solitari che aveva fatto. Ciò che non immaginava era che il destino aveva già messo in moto i suoi ingranaggi; non poteva nemmeno sapere che a farli muovere erano state proprio le azioni egoistiche del fratello. In ogni caso, non c’era più scampo.

Il destino aveva già deciso al posto suo.

A breve sia Inuyasha che una donna a lui ancora sconosciuta avrebbero perso ogni certezza e si sarebbero ritrovati di fronte a un percorso che non avevano mai progettato, ma non per questo meno attraente.

***


Inuyasha era molto veloce per essere un mezzo demone, ma con un padre come il suo non era nemmeno una sorpresa che fosse non solo più rapido ma anche più forte di molti altri. Impiegò dunque poco ad arrivare. Il sole di mezzogiorno era alto nel cielo e ogni abitante era nel pieno delle sue attività: il vociare dei contadini, le urla delle madri e i pianti dei bambini rischiarono di renderlo sordo e inasprirono solamente il suo umore già nero.

Con un cipiglio scuro sul volto scese dal ramo su cui era appollaiato a osservare l’agglomerato di capanne sporche e campi mezzo arati, appoggiando saldamente le piante dei piedi a terra. Gli stivali neri che suo padre lo costringeva a indossare ogni qualvolta che lo mandava a compiere questo e quello attutirono l’impatto, ma anche da scalzo non si era mai fatto male saltando da un albero all’altro. Aveva appena oltrepassato la linea che stabiliva il confine tra le terre di suo padre e quelle umane quando una freccia, velocissima, gli sfiorò la guancia. Fece appena in tempo a spostare il viso per non essere colpito in pieno.
Annusò immediatamente l’aria e ringhiò.

Come non detto, non era nemmeno arrivato e già gli mandavano la gente contro. “Donna, vedi di mettere via quelle tue frecce se non vuoi rogne.”

Mentre parlava, un’alta figura femminile uscì dal suo riparo: indossava un paio di hakama rossi sotto un kosode bianco, tipici delle sacerdotesse, aveva lunghi capelli color dell’ebano legati da un nastro altrettanto bianco, pelle candida e un’espressione per nulla amichevole.

“Dovresti vedere meglio dove poggi i piedi, demone,” ribatté lei con una nota acida ma intrisa di sicurezza.

A Inuyasha salì quasi la bile in gola a causa dell’odore altrettanto acidulo che il suo odio e disprezzo emanavano. Ma invece di vomitare, sbuffò. “Mi stai dicendo di lasciare questo posto, ragazzina?” la provocò. “Faresti meglio a pensarci prima di metterti contro di me; sono sicuro che se il capo villaggio venisse a sapere di questa tua diffidenza nei miei confronti non sarebbe tanto contento.” Tutti coloro che vivevano ai margini delle Terre a Ovest – e oltre – sapevano chi era suo padre e quanti sforzi facesse per mantenere possibile la convivenza tra umani e demoni senza spargimenti di sangue. Di conseguenza, tutti erano anche consapevoli di non dovergli mettere i bastoni tra le ruote. Il fatto che questa ragazzina non lo avesse riconosciuto dal colore dei capelli la diceva lunga sulla sua ignoranza – e dire che le donne come lei venivano anche considerate le più istruite.

Non aveva nemmeno finito di parlare che un’altra persona, vestita uguale, l’espressione e l’olezzo identici, comparve accanto a lei. Lo guardò con sdegno, soffermandosi in particolar modo sulle sue orecchie, e poi si rivolse alla compagna. “Kikyo, ti serve aiuto per liberarti di quest’essere?” Arricciò il naso per maggior enfasi.

L’altra, Kikyo, aveva ancora una seconda freccia incoccata e lo sguardo puntato su di lui. Il sorriso derisorio che Inuyasha le stava rivolgendo non le piaceva affatto e stava valutando se qualcosa di ciò che aveva appena detto fosse da considerarsi vera. Anche se, in realtà, le era sempre stato insegnato che ogni cosa che usciva dalla bocca di un demone era falsa.

Ignorò la compagna e si rivolse nuovamente a Inuyasha. “Questo sarò io a stabilirlo, demone,” sibilò. “Resterai buono e fermo accanto a quell’albero mentre io vado a chiamarlo per constatare che tu abbia davvero un minimo di importanza.” Fece per scoccare la seconda freccia e immobilizzarlo al tronco dietro di lui quando, in un secondo, apparve accanto a lei, gli artigli puntati contro la sua giugulare.

“Oh, non credo proprio, Kikyo. Sarò io stesso a trovarlo e credo mi divertirò molto a raccontargli cosa tu e la tua amichetta avete cercato di fare,” ghignò. “E se tu provi anche solo a incoccare quella freccia,” continuò riferendosi all’altra dietro di lui, “alla tua compagna non resterà nemmeno il tempo di cominciare il suo grido di aiuto.”

In realtà, non avrebbe mai pensato di uccidere una delle due né credeva potessero fargli veramente qualcosa – troppe lente –, ma amava vedere i sorrisi compiaciuti sparire dai volti di gente come loro. D’altronde, l’unico divertimento a sua disposizione quando il padre lo mandava in missioni del genere era proprio farsi beffe di umani tracotanti e altezzosi, oltre che assurdamente ignoranti.

Un attimo dopo, senza che le due sacerdotesse potessero fare qualcosa, era sparito in direzione del villaggio e mentre cercava di individuare la dimora del capo villaggio stava ancora sbollendo la rabbia. Si era appena inoltrato maggiormente nel bosco quando gli capitò sotto tiro un’altra di quelle. Era accovacciata a terra e gli dava le spalle, ma Inuyasha captò l’esatto momento in cui le sue spalle si irrigidirono percependo la sua presenza. Non sapeva se definirla una stupida perché continuava a dare le spalle a un demone che, per quanto ne sapesse, poteva volerla ucciderla o più intelligente perché non gli stava già dando contro come le sue compagne.

E mentre lui pensava a un modo per liberarsi di lei ancora più facilmente, Kagome ne riconosceva l’aura.

La giovane non era mai scappata di fronte ai pericoli e sapeva che restare immobile non l’avrebbe aiutata, ma in quel momento era paralizzata dalla paura: l’individuo alle sue spalle aveva un’aura così familiare a colui che aveva ucciso Hojo e l’evento era ancora così fresco da non riuscire a razionalizzare. Passati i primi secondi, si chiese come mai non l’avesse ancora uccisa. Non era forse tornato per quello? Quando altri infiniti attimi passarono e nulla accadde, Kagome si fece forza e si alzò, cercando di nascondere il tremolio del suo corpo.

Intanto, Inuyasha continuava a osservarla con un sopracciglio arcuato; non riusciva proprio a catalogare quella donna il cui atteggiamento risultava diverso da tutto ciò che si era immaginato. Quando si voltò, il suo sguardo indugiò un po’ troppo sui suoi capelli, sul suo vestiario e sulle sue braccia, ma l’hanyou percepì chiaramente il battito del suo cuore accelerare e vide le sue pupille dilatarsi. Quella non era di certo la reazione che si aspettava da una sacerdotessa.

Non poteva di certo sapere che lei aveva riconosciuto il colore della sua chioma e l’aveva collegato a Sesshomaru. Solo la sua veste rossa e la mancanza di marchi color magenta sui polsi lo avevano reso diverso agli occhi di lei.

Kagome stava giusto chiedendosi se fosse stato mandato dal demone del giorno prima quando alzò ancora di più lo sguardo e incrociò i suoi occhi. In un attimo tutte le domande e i dubbi sparirono, insieme a ciò che li circondava, i contorni e tutti i dettagli. Ogni cosa andò sfumando.

All’improvviso, Inuyasha sentì come una forza insormontabile spingerlo verso quella donna sconosciuta e delle catene – no, dei lacci; indistruttibili sì, ma non costringenti – legarlo a lei. Sentì il cuore battergli impazzito nel petto mentre esplorava le sue iridi marroni, cercando il segreto del mondo, sicuro – e non comprendeva nemmeno da dove venisse tale sicurezza – che vi avrebbe trovato almeno il significato dell’esistenza che aveva condotto fino a quel momento. Schiuse le labbra e fece per parlare, ma nulla uscì. Si chiese perché all’improvviso il suo corpo non gli rispondesse e perché quella donna, la stessa che avrebbe dovuto essere sua nemica naturale, lo osservasse con lo stesso stupore. E fu allora che lo capì.

Per tutta la vita si era sentito ripetere che per lui non esistevano in quanto essere indegno, e nessun Dio lo avrebbe mai graziato con una cosa tanto speciale. Ma da piccolo aveva amato ascoltare sua madre raccontare il suo incontro con Toga e ogni volta che le aveva chiesto “Quindi quello prima è stato il giorno peggiore della tua vita?” con la tipica innocenza da bambino, lei gli aveva risposto con sorriso dicendo che non ricordava più cosa era accaduto: la gioia nell’incontrare l’altra metà aveva cancellato ogni attimo triste. Però, aveva smesso definitivamente di fare domande il giorno in cui aveva chiesto se fosse sempre la donna a sperimentare l’incidente fatidico o se accadesse anche agli uomini. Suo padre era scoppiato a ridere e Inuyasha era sicuro che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe stata incoraggiante. Eppure, Sesshomaru lo aveva anticipato e con tono sprezzante gli aveva detto: “Che ti importa, mezzosangue? Perché continui a fare domande di questo genere? Per quelli della tua razza non esistono anime gemelle. Nessuno vorrebbe essere costretto a posare gli occhi su qualcuno come te, tanto meno esservi destinato.” E poi era scomparso, ancora prima che Toga potesse riprenderlo.

Ma a Inuyasha non importava, non voleva che suo padre punisse Sesshomaru; ci era abituato. Quello che avrebbe tanto voluto da lui, in quel momento, era una parola, anche solo uno sguardo, che smentisse il fratellastro. Invece, la compassione che lesse in quegli occhi dorati come i suoi gli confermarono ciò che Sesshomaru gli aveva appena rivelato.

Negli anni aveva scoperto che non vi era alcuna certezza, nessuno sapeva davvero quale fosse il destino dei mezzo demoni perché quei pochi che nascevano erano ostracizzati da tutti e non avevano mai nemmeno l’occasione di incontrare la propria anima gemella. E se nel mondo esisteva qualcuno che ce l’aveva fatta, di certo la notizia non era mai arrivata alle orecchie della sua famiglia. C’era anche chi era arrivato a dubitare del legame tra i suoi genitori, nonostante la stessa longevità di sua madre fosse la prova inconfutabile. Intanto, lui si era rassegnato alla vita di solitudine che lo aspettava, grato di aver conosciuto almeno un tipo di amore: quello del padre e della madre.

Ma in quell’istante, trovandosi di fronte alla persona che confutava tutte le sue convinzioni, Inuyasha si sentì scosso dentro. La sua mente vivisezionò ogni ricordo e racconto dei genitori, studiò ogni probabilità e incognita, le sensazioni provate e le reazioni che il viso di lei gli rimandava; tutto parlava chiaro e non lasciava spazio al dubbio: l’aveva trovata.

Non ebbe modo di rifletterci troppo perché poco dopo la voce di lei, delicata e al tempo stesso carica di determinazione, gli chiese: “Chi sei?” La sua postura era rigida e la ragazza incontrò il suo sguardo con aria di sfida. Inuyasha, però, capì subito che quella che stava mandando avanti era una messinscena: era terrorizzata e lui non capiva perché. Le sue pupille si dilatarono al pensiero che lo fosse di lui, che anche la sua anima gemella – quella destinata a lui – fosse spaventata al pensiero di un essere tanto impuro.

Era davvero come aveva sempre detto Sesshomaru?

Nello stesso momento Kagome faceva simili considerazioni, ma continuava comunque a osservare guardinga l’uomo destinatole. Era possibile che proprio lui fosse incaricato di ucciderla? Il terrore che il suo corpo continuava ad emanare e stava pizzicando le narici di Inuyasha non era dovuto alla natura di ibrido di quest’ultimo, quanto all’idea che il fato si stesse facendo beffe di lei, la stesse illudendo di avere una possibilità per poi strappargliela crudelmente dalle mani.

Ricomponendosi e cancellando dal suo viso ogni traccia di stupore o meraviglia, Inuyasha parlò per la prima volta, mantenendo la propria voce priva di qualsiasi inflessione che potesse rivelare cosa nascondesse nel cuore. “Sono il figlio dell’Inu-no-Taisho,” annunciò, sperando che almeno lei non fosse ignorante quanto la sacerdotessa che aveva incontrato poco prima.

Nell’udire quel titolo, Kagome sgranò gli occhi e dimenticò per un attimo il possibile collegamento con il demone che aveva ucciso Hojo solo il giorno prima. Ovviamente conosceva bene il Grande Generale Cane, colui che si impegnava a mantenere la pace in quelle terre. Un secondo dopo, ricordò anche cosa si dicesse sul suo aspetto: lunghi e lucenti capelli d’argento, solitamente legati in una coda alta, marchi sul viso e sui polsi, orecchie appuntite, occhi dorati… tutto lo riconduceva a lui. Kagome sentì il corpo cominciare a tremarle incontrollabile. Ma c’era da avere paura? Se davvero era stato lo stesso Generale a ordinare la sua morte, per qualche inspiegabile motivo, valeva la pena provarne? Abbandonare quel mondo non sarebbe stato così male, dopo tutto; le avrebbe risparmiato molto dolore.

Inuyasha percepì immediatamente il cambiamento. Era possibile che il nome di suo padre le suscitasse terrore? Il tanfo era aumentato a dismisura rispetto a prima e poteva vedere la sua facciata crollare. “Ehi, stai bene?” le chiese, preoccupato.

Kagome continuò a mantenere il contatto visivo nonostante tutto. “C-cosa vuole da noi l’Inu-no-Taisho?” chiese di rimando, non riuscendo a ricomporsi.

Il mezzo demone la guardò scettico, ancora incapace di inquadrare la donna che lo stava mandando in crisi a pochi minuti dal primo incontro. Continuava a tentennare tra terrore e determinazione – per quanto debole – e sembrava voler mantenere un minimo di contegno sebbene le costasse fatica. Ma il motivo gli era ancora oscuro. E quella doveva dovuto essere la sua anima gemella? Una sacerdotessa intimorita da un nome o dal suo aspetto? Che fosse quello un altro scherzo? Strinse gli occhi e rilanciò un proprio sguardo di sfida. “Keh, non che siano fatti tuoi, ma mio padre mi ha mandato a risolvere un incidente diplomatico avvenuto ieri da queste parti. I dettagli li rivelerò soltanto al capo villaggio.”

Kagome sentì un fuoco aggressivo divamparle dentro a quelle parole, davanti alla sfacciataggine di quella persona. L’unico incidente avvenuto era la morte di Hojo e lui osava liquidarlo con tanta facilità? “Diplomatico? Dettagli?” sibilò a denti stretti, incredula. “E vorresti dirmi che un demone che uccide a sangue freddo un umano indifeso, di proposito, è da considerarsi incidente?”

L’altro fu colpito dall’odio con cui erano intrise quelle parole e gli venne naturale associarlo alla concezione che la maggior parte degli umani aveva dei demoni. Non poteva sapere che il risentimento con cui Kagome aveva caricato la sua domanda era dovuto all’espressione di disprezzo che Sesshomaru aveva esibito quando aveva artigliato Hojo e alla facilità con cui se n’era andato via, l’altezzosità con cui l’aveva guardata quasi a intendere che avrebbe dovuto essergli grata per averle risparmiato la vita.

“Oi, non so che problema tu abbia, ragazzina, ma come ho già detto discuterò la cosa solo con il capo villaggio. Se non vuoi dirmi dove trovarlo, lo farò da solo, senza dovermi subire le tue accuse insensate.” Cominciava a scocciarsi della situazione e se non fosse che quella donna era collegata a lui e, per questo, lui sentisse il peso di quei nuovi lacci incollargli i piedi al suolo, l’avrebbe già abbandonata da tempo.

“Insensate!” Kagome alzò la voce per esprimere maggiore disappunto. “Come puoi parlare in questo modo?” lo accusò. “Non so chi fosse per te quel demone di ieri o a quale gioco state giocando voi dall’altra parte di queste terre – e forse alla fine mi ucciderai per portare a termine il vostro lavoro sporco –, ma ti assicuro che per me, che ho dovuto assistere all’assassinio del mio fidanzato, queste cose non sono assolutamente insensate,” urlò a pieni polmoni.

Inuyasha fece istintivamente un passo indietro nell'udirla, cominciando a comprendere tutto.

Il terrore che il suo aspetto, così simile a quello del padre e del fratello nei colori, suscitava in lei.

La rabbia a sentirlo parlare di un semplice ‘incidente’.

L’aver trovato la sua anima gemella senza che, allo stesso tempo, avesse sperimentato il peggior giorno della sua vita.

Quella che aveva davanti era la donna che avrebbe dovuto sposare l’uomo assassinato da Sesshomaru e, a quanto pare, era stata presente durante il fatidico momento; aveva guardato gli occhi gelidi e sprezzanti del fratellastro e ora li stava associando a lui. Era possibile che quel terrore che tanto emanava non fosse dovuto al suo essere un hanyou quanto al fatto che fosse imparentato con Sesshomaru?

Cosa andava farfugliando, poi? Ucciderla? Perché mai avrebbe dovuto? Ma aveva parlato di portare a termine un compito e rivedendo nella sua mente ogni singolo frangente del loro incontro, sin da quando, ancora di spalle, si era irrigidita, Inuyasha comprendeva sempre di più in che modo Sesshomaru gli avesse nuovamente rovinato la vita. E non importava se le sue azioni inconsiderate avevano reso possibile incontrarla, le condizioni era disastrose e, forse, loro due non avrebbero mai avuto nemmeno una possibilità.

“Non potevo saperlo,” sussurrò infine, pur consapevole che quelle parole non avrebbero potuto molto.

Kagome gli lanciò un’altra occhiataccia. “Cosa sei venuto a fare?” chiese di nuovo, ignorando le sue pseudo-scuse. “O non puoi ancora discuterne con me?” aggiunse, ironica.

“Mio padre è venuto a sapere del crimine compiuto dal mio fratellastro,” rispose Inuyasha, cercando di essere quanto più diplomatico possibile e di non comportarsi come suo solito, anche se l’ostilità di lei rendeva il compito più complicato. “Vorrebbe rimediare laddove possibile. Mi ha mandato a discutere di un compenso con la famiglia della vittima e della sua fidanzata… beh, della tua.”

Kagome sbuffò, sebbene ora fosse leggermente più tranquilla. “Come se un compenso fosse abbastanza.” Dentro di sé cercava di riordinare il proprio tumulto: la sua anima gemella era il fratello di colui che aveva assassinato il suo fidanzato, era imparentata con la persona colpevole di averle rovinato la vita e, allo stesso tempo, messo in moto il destino… se la leggenda del nonno era corretta. Avrebbe voluto ridere per l’assurdità di quella vita, del fato, del gioco sporco del destino; ridere tanto da sembrare pazza e perdere fiato, perché forse, in fondo, pazza lo stava diventando davvero. Gli diede le spalle e raccolse il cestino abbandonato prima. “Seguimi,” gli ordinò con un tono meno tagliente, prima di incamminarsi.

Inuyasha sospirò, osservando in che modo la donna continuasse a cambiare atteggiamento. In che razza di situazione l’avevano cacciato? Come ne sarebbe uscito? E come avrebbe risolto la faccenda delle anime gemelle?

Sapeva che, mettendo da parte rabbia e paura, anche la ragazza aveva sentito gli stessi lacci legarli nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati; glielo aveva letto sul viso. Ma saperlo non avrebbe reso la situazione più semplice né alleggerito i mille dubbi che gli attanagliavano il cuore.






N/A: Benritrovati!
Come avete visto in questo capitolo si scoprono già più cose sulle circostanze dietro l'incontro tra Inuyasha e Kagome e anche la società in cui vivono. Il periodo è sempre il Sengoku ma per il resto ho cambiato un po' di cose e Kagome è nata e cresciuta lì. Per il resto, Sesshomaru continuerà a essere poco simpatico per un po' di tempo ma ovviamente non vi dico per quanto - non voglio rovinarvi mica la sorpresa.

Spero vi sia piaciuto e di essere riuscita a fare luce su alcuni dei vostri dubbi. Non vi resta che scoprire come procederà la situazione ora che i due si sono incontrati.
Grazie a tutti coloro che hanno già aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e chi mi ha lasciato/lascerà un pensiero.

Un abbraccio e a presto 💖.
   
 
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