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Autore: Doppiakappa    08/06/2022    0 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Berlino, Istituto Scolastico Max Planck, lunedì, ore 13:00.
 
Il grigio del cielo filtrava dalle finestre di quell’aula al terzo piano della struttura, inondandola di una fioca luce assonnante.
Emil fissava annoiato la lavagna, piena di noiose formule che lui già conosceva e comprendeva alla perfezione.
L’istituto Max Planck era conosciuto per essere uno degli istituti più tosti ed esigenti di Berlino, che mirava a formare degli studenti modello ancora prima dell’istruzione superiore.
Studiare e comprendere, tuttavia, era un qualcosa di intrinseco ai geni degli Steinberg, rendendo la scuola una noia per il ragazzino. I suoi risultati erano ottimi, ma lui non si sentiva mai soddisfatto, una nota di carattere dovuta anche alla grande severità e rigidità della madre che lo spingeva a migliorarsi senza sosta.
Capitava così che il ragazzino si sentisse in dovere di passare intere giornate chiuso in sé stesso, con un libro in mano. Emil, tuttavia, odiava rimanere chiuso in casa e passava la maggior parte del tempo di studio nel giardino della villetta, sdraiato sull’amaca, o al Tiergarten, uno dei parchi più grandi della città. Adorava la sensazione dell’aria fresca che gli bagnava il volto mentre sfogliava le pagine, il profumo dei fiori che sua mamma curava minuziosamente, il cinguettare dei vari uccelli che trovavano casa sui rami del meraviglioso noce al centro del giardino, al quale era stata appesa l’amaca.
La madre pretendeva tanto da lui, conoscendo le capacità del ragazzino e vedendolo in futuro a capo dell’Anonymous Asset. Voleva che mantenesse una media molto alta a scuola, spronandolo a fare del suo meglio anche a costo di rinunciare a parte del suo tempo libero. Erica, tuttavia, si riguardava bene dal privare il figlio delle gioie dell’infanzia, assecondando ogni sua richiesta, senza volergli quindi far mancare nulla. Era un buon compromesso per non viziare il ragazzo: dare e pretendere, la stessa via che aveva scelto di intraprendere sua mamma, rendendola l’importante donna che era.
La fantasia volava in quella gabbia di cemento, ritraendo sullo schermo azzurro della lavagna digitale l’ultimo capitolo del fantasy che il ragazzo aveva cominciato a leggere, distraendo così la sua mente fino al suono della campanella, che violento e assordante lo riportò alla realtà.

- Steinberg, vieni con noi al bowling, oggi pomeriggio? – chiese uno dei compagni di classe e membro della combriccola del biondo, Alexander Haas.

- A che ora andreste? – chiese Emil, tirando fuori l’agenda dalla sua sacca e controllando gli impegni del pomeriggio.

- Müller voleva andare verso le quattro, che dici?

- Si può fare, ma devo chiedere a mia madre… alle sei ho lezione di tiro con l’arco e poi devo sistemare gli appunti di fisica…

- Ancora non ti è andato giù il due della settimana scorsa? Hai preso comunque il voto più alto della classe…

- No che non mi è andato giù! Avrei potuto tranquillamente prendere uno, se solo avessi scritto di più sulla terza domanda! – rispose il biondo, tirando un pugno sul tavolo.

- Cazzo, Steinberg, ti prendi mai un attimo di tregua? – chiese il castano, punzecchiando il compagno.

- Vallo a dire a mia madre…  ultimamente mi stressa più del solito.

- Fra, forse dovresti dire a tua madre di darsi una calmata… hai una media praticamente perfetta, che cazzo può pretendere ancora?

- Non abbastanza per lei, e quindi non abbastanza per me… comunque ti faccio sapere più tardi. – disse poi, riponendo le sue cose nella sacca e caricandosela in spalla. – Ho una fame che svengo, ci sentiamo dopo, ciao! – salutò infine il compagno, uscendo di corsa dalla classe.
 
La via verso casa era particolarmente lunga: il biondo doveva attraversare ben cinque quartieri per raggiungere l’enorme villa in cui abitava con la madre e i due nonni materni.
La distanza, tuttavia, non gli pesava affatto tant’era perso nella musica che gli plasmava nuovamente la fantasia nel mondo che lo circondava, unendo le note e il vento in una magica miscela che divorava il tempo e lo faceva “risvegliare” solo una volta arrivato di fronte a casa.
Lì, di fronte al cancello, veniva pervaso dal profumo dei primi glicini che facevano da guardia all’ingresso: dolce, trasportato leggiadro dal vento, che si univa alla fresca brezza di marzo. Si perse nei loro colori quasi surreali: un azzurro acceso con sfumature rosate, che spiccava sul verde primaverile di quel meraviglioso giardino, componendo un quadro morbido e rilassante alla vista.
Il ragazzo aprì il cancello, percorrendo poi il piccolo sentiero ciottolato che divideva a metà il giardino. Venne accolto poi dalla nonna, che radiosa e sorridente lo aspettava all’ingresso.
 
- Ciao, tesoro! – gli diede un bacio sulla fronte. – è andata bene a scuola? – chiese poi prendendogli la sacca.

- Ciao, nonna! – ricambiò il bacio, tirandosi via la giacca e le scarpe. – Tutto normale… - rispose poi.

- Ti ho preparato il pranzo, tesoro, dammi il cappotto e vai a mangiare. – disse, prendendo la giacca del ragazzino e appendendola sul portaabiti al muro.

Matilde era una donna dall’aspetto piuttosto giovane per una signora di settantaquattro anni, con dei lunghi capelli che avevano mantenuto un biondo brillante nonostante l’età. Le iridi erano smeraldine, come quelle di Roy e il suo volto era distinto da un sorriso morbido e caloroso che avvolgeva il nipote ogni volta che tornava a casa.
Con Emil parlava solo italiano, sotto richiesta di Erica, che voleva mantenere il figlio fluente in tutte e tre le lingue di famiglia.

- Vado subito, nonna. – rispose il biondo, affrettandosi a raggiungere la cucina.
 
Al tavolo era già seduto il nonno, un ometto di settantasei anni identico alla madre, con le iridi identiche a quelle del biondo e con una folta barba bianca che risaltava rispetto alla sua testa calva. Il suo nome era Claudio D’Arco, in passato aveva lavorato come programmatore e sviluppatore di programmi per le macchine industriali, tramandando così la passione dell’informatica al nipote.
 
- Ehilà, bocia! Andata bene la giornata? – chiese al ragazzino, con il suo solito tono allegro.

- Ciao, nonno. La solita noia…

- Oh, ragazzo mio, la scuola non piace mai a nessuno, ma più avanti vai più ti renderai conto di quanto bene ti abbia fatto andarci. – disse l’uomo. – È stata la scuola a rendere tuo padre e tua madre quelli che sono oggi, se ti impegni sono sicuro che avrai un futuro brillante pure tu. E chissà, magari seguirai le orme del tuo vecchio nonnino, di scienziati ne abbiamo già abbastanza in famiglia! – rise poi, dando una pacca sulla spalla del nipote.

- Non voglio diventare come papà, sai che non sopporto la chimica… - sorrise Emil, fiondandosi sul piatto di spezzatino preparato dalla nonna.

- Hai più sentito tuo fratello, tesoro? – chiese Matilde, sedendosi anche lei al tavolo.

- Sì, ci siamo scritti l’altra sera… - Fece una pausa, masticando un grosso boccone di carne. - Ultimamente mi ha detto di essere piuttosto impegnato.

- E come sta? È da tanto che non mi chiama.

- Mi ha detto che si è trovato la ragazza. – disse il ragazzino con tono totalmente indifferente.

- E bravo Roy! Rubacuori come il suo vecchio, haha! – esclamò il nonno, sorseggiando della birra dal suo boccale.

- Mamma non viene a pranzo oggi? – chiese poi il biondo, cambiando il discorso.

- No, tesoro, mi ha detto che è bloccata al lavoro con delle pratiche urgenti.

- Oggi pomeriggio volevo andare al bowling con dei miei amici, dovevo chiedere a mamma il permesso.

- Non ti preoccupare, bocia, vai pure! Se tua madre romperà le scatole ci parlerò io.

- Hai fatto tutti i tuoi compiti, Emil? – chiese la donna, guardando il marito con un lieve disappunto.

- Sì, nonna, li ho fatti tutti ieri sera. – rispose il biondo.

- Oh, Matilde, non ti ci mettere pure tu! Emil ha sempre fatto tutti i suoi compiti quando sua madre glie lo diceva, lasciatelo respirare un po’! Povero ragazzo! - esclamò il vecchio, in difesa del nipote.

- Va bene, tesoro, puoi andare. Ricordati però che alle sei hai allenamento, non fare tardi o tua madre si arrabbia. – disse la donna al ragazzino.

- Mi porto dietro la borsa, così vado direttamente al poligono.

- Ah, tesoro, fra poco dovrebbe passare una collega di tua madre, se ti metti in giardino a leggere, dalle poi questi. – disse, poggiando su un comodino un plico di fogli.

- Va bene! – annuì il ragazzo, finendo il pasto e posando le stoviglie sporche nella lavastoviglie.

Senza perdere tempo, Emil corse in camera sua, afferrando il grosso libro fantasy che giaceva sul suo letto e spostandosi nuovamente verso l’ingresso della casa.
Prese al volo i fogli che avrebbe dovuto consegnare alla collega di sua madre e si levò i calzini durante il tragitto, posando finalmente i piedi sull’erba fresca del suo giardino.
Adorava la sensazione dei fili d’erba che gli carezzavano i piedi, facendolo sentire un tutt’uno con la natura. Si lasciò cadere sull’amaca, la sua adorata amaca, compagna di mille avventure vissute fra le pagine dei libri.
Il vento lo cullava, leggero, facendosi spazio fra le fessure dell’amaca, rinfrescando così tutto il corpo del ragazzino. Quel fantasy lo ipnotizzava, effetto che solo pochi libri riuscivano a fargli, inglobandolo in un mondo astratto, mondo in cui, tuttavia, lui si trovava benissimo.
Venne interrotto dal suono di un clacson, rapido ma intenso, che lo riportò bruscamente alla realtà. Il suono proveniva da una moto parcheggiata fuori dal cancello, una Kawasaki nera, di ultima gamma, sulla quale era seduta una donna in tenuta da moto anc'essa nera. Lei era alta, con corporatura atletica, ma piuttosto robusta, i capelli castani legati in due trecce ben curate e uno sguardo freddo, ma caloroso allo stesso tempo.

- Buongiorno, Emil, devo prendere una cosa per tua madre! – disse la donna, salutando il biondo.

- Buongiorno, Signorina Klein! – Emil si alzò dall’amaca, correndo verso la donna, consegnandole poi i fascicoli. – Può dire a mia mamma che oggi andrò al bowling, per piacere? – chiese poi, vedendo la donna sorridere.

- Le dirò anche che hai fatto tutti i compiti e che non tarderai al tuo appuntamento, va bene? – sorrise nuovamente al ragazzino. 

- Grazie! – ricambiò lui il sorriso, correndo di nuovo verso l’amaca. – Arrivederci, Signorina Klein, buon lavoro! – la salutò infine.

- Ciao, Emil, buona giornata anche a te! – rispose lei, indossando il casco, riponendo i fascicoli nella borsa della moto e accendendo il bolide.


 
 
Berlino, sede centrale dell’Anonymous Asset, pochi minuti più tardi.
 
Erica era seduta alla sua scrivania, in videoconferenza con i vertici dell’Asset, ascoltando attentamente l’unità di tracciamento incaricata di analizzare l’audio dell’auricolare sequestrato al Soldato Rees.

- Siamo riusciti a tracciare sei possibili zone di trasmissione, FrauSignora Gea. Non sono di certo degli sprovveduti: hanno utilizzato più di un sistema di delocalizzazione del segnale e di anti-tracciamento, siamo dovuti ricorrere ai sistemi V-SAT a nostra disposizione, ma più di questi sei hotspot non siamo riusciti a trovare nulla.

- Non preoccupatevi, va bene così. Avete fatto un ottimo lavoro, come sempre. – si congratulò lei, incrociando le dita pensierosa.

- Cosa intende fare adesso, FrauSignora Gea? – chiese il responsabile del reparto di sviluppo tecnologico.

- L’ultimo assalto è stato quasi disastroso. Anche se fortunatamente non abbiamo subito danni, ne abbiamo causati troppi alla città, coprire le azioni dell’Ægis è stato più complicato del previsto…

- Abbiamo incontrato un ostacolo imprevisto: l’intervento televisivo di Simon Wolf. – aggiunse il responsabile dei rapporti esterni.

- Come volete procedere allora? – chiese impaziente quello del reparto di sviluppo.

- Scateneremo una guerra. – disse secca Erica, causando un sussulto in tutti i partecipanti alla videoconferenza. – Ho già parlato con i vertici del Pentagono e delle Difesa Unite, tutti quanti hanno definito l’Ægis una potenziale minaccia di grado sei.

- Grado sei?! – esclamò il responsabile delle relazioni.

- Sì, il più alto grado conferibile. Se l’Ægis riuscisse a mettere le mani sul Void, ci sarebbe il rischio di una vera e propria guerra. Sono più grandi di quello che credevamo: hanno alleati in diverse nazioni e non sarebbe toppo difficile per loro “persuadere” i possessori delle tecnologie più avanzate del pianeta. – esplicò la donna.

- Sono riusciti a sottrarci i dati del B.M.M.D. nel caveau principale, è chiaro che sono una minaccia che non possiamo più ignorare. – ribadì il responsabile della sicurezza dati.

- Il Pentagono si è già mosso: a breve il Generale Klein incontrerà il referente dei Servizi Segreti Americani, durante tale incontro verranno discusse le risorse a nostra disposizione per un attacco coordinato. Cercherò di organizzare un incontro con il presidente delle Difese Unite al più presto possibile, tutti i dettagli vi saranno forniti a tempo debito, per adesso concentratevi sul terminare lo sviluppo degli ultimi progetti non-bellici per conto della Eisenhauer.

- Sissignora! – risposero all’unisono i presenti, chiudendo la videoconferenza uno alla volta.
 
Rimasta sola, Erica si alzò dalla sedia girevole, stirandosi la schiena e massaggiandosi il collo.

- Ahia… è da stamattina che non stacco lo sguardo da quel computer… forse è anche ora di cambiare quella maledetta sedia. – sbuffò, portando il bracciale tecnologico che aveva al polso vicino alla bocca. – Promemoria: cambiare sedia ufficio. – ordinò poi all’intelligenza artificiale che governava lo studio.

La direttrice dell’Anonymous Asset uscì dal suo enorme ufficio, dirigendosi poi verso l’ascensore che l’avrebbe condotta alla mensa dell’edificio.
Uscendo dalla cabina, incrociò Ute, anche lei diretta verso la mensa.

- Buongiorno, Direttrice Gea, anche lei va a mangiare?

- Ciao, Ute! Sì, sto morendo di fame… è da stamattina alle sei che lavoro senza sosta.

- Ho letto il rapporto della squadra di tracciamento, le piste da seguire ora sono poche, sarà sicuramente più facile trovarli.

- Lo spero vivamente… il Pentagono e le Difese Unite mi stanno sul collo e pretendono dati affidabili, cosa che ancora non abbiamo... - Sospirò. - Piuttosto, Emil ti ha dato quei documenti? – chiese poi, avvicinandosi all’altra donna.

- Sì, non si preoccupi. Mi ha detto di dirle che oggi andrà al bowling. Ha fatto tutti i compiti e la Signora Matilde gli ha dato il consenso. – disse Ute, passando i fascicoli alla direttrice.

- Hmmm… spero solo non arrivi in ritardo… - sospirò Erica.

- Credo sia impossibile che quel ragazzino arrivi in ritardo, Direttrice. A volte penso sia troppo rigido sugli orari…

- Forse è colpa mia, gli ho sempre fatto una testa quadra sulla puntualità… devo averlo traumatizzato… - si lasciò scappare una risata.

- Lo sta crescendo nel modo corretto, Direttrice, un po’ di rigidità forma sempre il carattere dei giovani. - si aggiunse alla risata.

- Emil è un ragazzino molto testardo, testardo e incontentabile… ma non posso dire nulla, io da giovane ero esattamente così… però al solo pensare che suo fratello e suo padre siano coinvolti in qualcosa di così pericoloso, e che io non possa rivelargli nulla… mi viene da dubitare delle scelte che sto facendo in quanto madre…

- Sta facendo del suo meglio, anzi, sta facendo di più! Crescere un figlio dovendo dirigere un’organizzazione grande e importante quanto l’Asset è qualcosa che in pochi riuscirebbero a fare… - cercò di incoraggiarla, prendendo posto a uno dei tavoli della mensa.

- Se non ci foste voi, questo lavoro sarebbe un inferno peggiore di quanto già non lo sia.

- Non potremmo desiderare direttrice migliore, a guidarci in questi casini. – sorrise, facendo comparire un’espressione più serena sul volto della bionda.

- Piuttosto… da quanto non senti tuo fratello, Ute? Mi sento in colpa a dovergli affidare così tanta responsabilità…

- In effetti è da parecchio che non lo chiamo, anche se probabilmente non sente la mia mancanza. Comunque non si preoccupi, Axel non vede l’ora di poter dimostrare quanto professionale e affidabile sia, è così da quando era un bambino.

- Sembrate poco legati, è un peccato.

- Vede, nostro padre è sempre stato molto severo con noi, con Axel, soprattutto. Appena terminate le scuole elementari, mio padre mi ha mandato in un collegio di alto livello per farmi studiare lingue, così Axel è rimasto solo con lui, vista la morte prematura di nostra madre. Non siamo stati abbastanza vicini da sviluppare un vero rapporto fraterno, quindi siamo quasi come estranei l’uno all’altra. Le cose sono un po’ migliorate dopo la morte di nostro padre, ci siamo come riavvicinati, leggermente, ma tutto qua.

- Non so come sarà per Roy ed Emil, anche loro sono rimasti lontani per tanto tempo, nonostante si tenessero in contatto… spero solo di non aver rovinato il loro rapporto, trattenendo Emil con me in Germania… In sei anni non siamo riusciti a vederci di persona nemmeno una volta, io e Aiden non siamo stati esattamente dei bravi genitori, soprattutto nei confronti di Roy…

- Emil e Roy sono due ragazzini in gamba, Direttrice, quando saranno adulti capiranno sicuramente le vostre scelte, così come le abbiamo capite io e Axel.

- Sai, Ute, penso che saresti un’ottima madre, hai tutte le qualità… - la stuzzicò la direttrice, vedendola arrossire.

- Io e la mia compagna ne abbiamo parlato diverse volte, ma abbiamo concluso che i bambini non fanno per noi. Anche perché spostarsi con un bambino, per due viaggiatrici come noi sarebbe troppo impegnativo. – spiegò la castana, fermando il cameriere. – Cosa prende? – chiese poi.

- Capisco, un motivo più che giusto allora. – sorrise Erica. – Prendo il piatto del giorno, grazie. – rispose infine, mantenendo il suo dolce sorriso sul volto.


 
Queen City, villetta degli Steinberg, lo stesso pomeriggio, ore 18:00.
 
Aiden aveva accompagnato Ethel a casa, scambiando due chiacchiere con i genitori di lei, rimediando così un invito a cena nei giorni che sarebbero seguiti. Avrebbe preferito conoscerli in circostanze più tranquille, ma ovviamente si era dovuto adattare.
Salutata la famiglia della ragazza, tornò velocemente a casa, spingendo come suo solito sull’acceleratore della sua meravigliosa Audi argentata. Una volta giunto a casa guardò l’orologio: Simon sarebbe arrivato in un quarto d’ora scarso, quarto d’ora che Aiden volle utilizzare per scambiare due parole con Roy, ancora scosso dagli eventi recenti.

- Ethel è una ragazza d’oro, Roy, sono felice che tu abbia trovato una persona così da avere al tuo fianco. – disse con voce calda, mentre abbracciava il figlio, portandogli la testa sul suo petto. – Andrà tutto bene, SchatziTesoro, te lo prometto. – cercò poi di rassicurarlo.

- Farò il possibile per fermarli, lo devo a te, a Ethel, a Blaze e a tutti quelli dell’Anonymous che i stanno facendo in quattro per proteggermi.

- Sono sicuro che lo farai… oh! – guardò nuovamente l’ora. – È ora che io mi prepari, Simon spaccherà il secondo, come suo solito… - disse poi, correndo a cambiarsi.

Aiden non fece in tempo a infilarsi le scarpe che udì improvvisamente il suono di un clacson. Aprì la porta ed eccola lì: la Lamborghini bianca di Simon Wolf, parcheggiata davanti al cancello col motore ancora rombante. Quella macchina gli piaceva, ma la trovava troppo bizzarra nelle sue forme e nella sua aerodinamica, preferiva decisamente le Audi, a suo parere più sobrie ed eleganti.
Percorse velocemente il piccolo lastricato che attraversava il giardino, sedendosi poi nella macchina dell’amico, scambiando poi un saluto.

- Puntuale al millisecondo, come al solito…

- Essere in ritardo è una cosa che mi dà fastidio, mi conosci. – disse, facendo rombare il bolide,

- Dove vuoi andare?

- Che ne dici di andare dal buon vecchio Austin? – propose il castano.

- Campa ancora quell’uomo?!

- Whiskey e vodka fanno miracoli… o almeno così diceva sempre.

- Ci sta, offro io.

- Non se ne parla.

- Tu mi stai dando un passaggio.

- Sì, ma l’idea di andare a bere è mia.

Aiden si fermò un secondo, provando una nostalgia quasi incontenibile. – Sono passati anni, sono successe tante cose, anche di recente… e… sono felice di poter avere una conversazione alla vecchia maniera…

- Mi hai tolto le parole di bocca, Aiden… avremmo dovuto farlo prima, con Andrea…

- Ma siamo due coglioni… abbiamo lasciato che del vecchio e stupido rancore ci tenesse lontani.

- Non tutto è perduto però, possiamo ancora recuperare.

- Lo dobbiamo ad Andrea…

- Lo dobbiamo a lui, già…
 


Queen City, base Ægis, laboratorio del professor Gunnarson, qualche minuto più tardi.
 
Niklas scaraventò indietro la sedia, lasciandosi cadere a terra, sedendosi poi bruscamente a gambe incrociate.

- Porca troia! Mi hai fatto dannare per giorni… come nulla era riuscito prima d’ora, ma alla fine ho avuto la meglio io… eh, ZEUS? – esclamò ad alta voce, guardando con estremo orgoglio il macchinario davanti a lui.

Nella capsula di tale macchinario, una serie di minuscoli bracci robotici, seguiti da laser e spruzzi di vapori dalla dubbia natura, stavano sintetizzando quello che sarebbe stato il suo più grande successo.

- Professore, tutto bene? – chiese curioso Aren, allarmato dal rumore della sedia di poco prima.

- I tempi sono maturi, ragazzo. Domani l’Ægis avrà per le mani una delle armi più potenti mai create…

- Sono pronto a testarlo, Professore. – disse il ragazzo con tono carico di sé.

- È bene che tu lo sia, non vedo l’ora di vedere cosa riesce a fare il mio bambino!

Aren guardò il dottore, provando un leggero timore nei suoi confronti. Lo vide come una iena sbavante e in fremito, pronta a gettarsi sul corpo di un povero animale ferito. Ma quell’uomo era probabilmente la persona più intelligente e rivoluzionaria del mondo, tanto rivoluzionaria da catturare totalmente l’attenzione di Simon Wolf, e questo ad Aren bastava per nutrire nei confronti di quello scienziato, un rispetto genuino, tipico del suo carattere.

- Sai, ragazzo… ho passato la mia vita a cercare di decifrare i misteri della mente umana… e sono stato il primo a riuscirci. Ho compreso come la macchina più elaborata e meravigliosa della natura riesca a funzionare in un equilibrio perfetto, ho compreso i principi dietro le emozioni, dietro una cosa complicata come l’amore o la gelosia. Scoprire tutto questo mi ha reso insaziabile, la mia fame di conoscenza, di scoperta ormai era diventata incolmabile… capii che per ogni cosa scoperta, ce n’erano dieci da scoprire e il mio unico limite divennero i fondi per le mie ricerche. – Gunnarson si avvicinò al ragazzo, posandogli una mano sulla spalla. – Simon venne da me, offrendomi l’unica cosa di cui avevo bisogno. Mi parlò di futuro, mi parlò di come il mondo non sapesse valorizzare la mia mente, il mio genio. Simon è bravo con le parole, sa molto bene come usarle per aggirare la mente delle persone, e come portarle dalla sua parte…

- Ma Lei ha accettato, professore. – replicò Aren, fissando le pupille d’inchiostro del professore.

- Sarei stato un folle a rifiutare… Vedi, a me del futuro che vuole creare Simon non importa nulla; non mi importa se sono morte delle persone, se moriranno, se finirò per diventare un “cattivo”. Simon è venuto da me con due cose: una scusa per chiedere il mio aiuto, e l’unica cosa che mi poteva offrire per non dover avere scuse. Può non sembrare così, ma lui, lui che vi ha catturato dal primo momento, donandovi quella che lui chiama speranza… lui ha perso contro di me, avendo la presunzione di poter riuscire a manipolare anche la mia mente… la mente dell’uomo che ha compreso “La Mente”! – Aren sobbalzò, cadendo per un istante sulla difensiva.

- Lei è veramente dalla nostra parte, Professor Gunnarson? – chiese intimorito il ragazzo.

- Certo che sono dalla vostra. Ormai Simon è riuscito a darmi per le mani un qualcosa di surreale, di magico. E poi sono curioso di vedere fin dove vi spingerete… Ægis… Sarete veramente in grado di scatenare una guerra per questa vostra folle utopia? – sul volto dello scienziato comparve un sorriso. – Per quanto ancora ti lascerai usare, Aren? – chiese poi a bruciapelo, senza distogliere lo sguardo dalle iridi gelide del ragazzo.

- Simon non mi sta usando, Professore, sta mantenendo la sua promessa. – rispose secco il castano. – E se vorrà vedere fin dove ci spingeremo… dovrà spingersi lì assieme a noi. – disse infine, sorridendo in risposta all’uomo.

- Preparati allora, ragazzo, avremo molto lavoro da fare!
   
 
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