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Autore: Heartlostinspace    11/06/2022    0 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
La storia racconta le vicende successive al bacio tra Imma e Calogiuri, che chiude la prima stagione della fiction. Dopo quanto successo, Imma è confusa, divisa tra sentimenti a cui non riesce a dare un nome e la sua proverbiale razionalità, che le imporrebbe di andare dal maresciallo e dirgli di dimenticare tutto. E Calogiuri, invece? Cosa si aspetta, cosa spera? Starà lì ad attendere che sia Imma a decidere del destino di entrambi? Il racconto ha il suo punto centrale nelle vicende personali dei protagonisti, mentre minore spazio sarà dedicato al giallo, di cui non saranno presenti troppi dettagli, sebbene, dato il contesto in cui si muovono i personaggi, molteplici saranno i riferimenti.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Imma! Eccoti qua, finalmente, giusto a te stavo pensando. Com'è che arrivi a quest'ora in ufficio, è successo qualcosa? Dopo una settimana di ferie, poi... quando lunedì Vitali mi ha detto che per un po' non saresti venuta, non ci potevo credere! La Tataranni che si concede qualche giorno di riposo, sarà stato un miracolo della Madonna della Bruna!"

 

Imma sbuffò vistosamente, mentre Maria Moliterni, vestita di tutto punto, ingioiellata che manco Elisabetta II, le si piazzò davanti, con lo sguardo indagatore di chi bramava di sapere qualcosa in più del perché non si fosse fatta vedere in procura in quei giorni, per poterne spettegolare in allegria con personale tecnico, amministrativo e, se le rimaneva tempo, pure con gli addetti alle pulizie. 

 

"Sì Maria, mi sono presa una pausa, che è, è diventato reato? E comunque stai serena, nessun intervento divino, la telefonata al Papa tienitela per un'altra volta, magari per quando in questa procura il miracolo avverrà sul serio e inizierete a fare quello per cui siete pagati dai contribuenti e pure profumatamente, ossia lavorare."

 

La Moliterni fece un sorriso tirato, sfoggiando il solito, fintissimo garbo che aveva affinato in anni di cene ed eventi aggrappata al braccio del marito prefetto. La responsabile d'archivio aveva fatto presto ad abituarsi alla mondanità tutta imballata e snob dell'alta società, e neppure agli inizi si era sentita un pesce fuor d'acqua, al contrario di Imma, che andava fiera della sua collezione di inviti rispediti - e manco tanto gentilmente - ai mittenti. Non ce la faceva, la dottoressa, non ce la faceva proprio: i convenevoli, la rigidità, le risate contenute, le occhiate di traverso, i pettegolezzi, il cibo in quantità ridicole. Pietro le aveva spiegato che si chiamava finger food, e che ormai era di moda, era chic. Avrebbe voluto dirglielo lei, in modo molto meno chic, dove avrebbero dovuto infilarsi quel dito.

 

"Imma, a sentire te in questa procura lavorate in tre: tu, la tua cancelliera e il maresciallo Calogiuri. Noi altri stiamo qua a girarci i pollici e ad acchiappare le mosche, non è vero? Se solo facessi uno sforzo, invece, ti accorgeresti che siamo una bellissima ed affiatatissima squ..."

 

"Sì sì, un'affiatatissima squadra, come no. Mi dispiace interrompere questa amabile chiacchierata, Maria, ma devo scappare, sono in ritardo. Nel frattempo, che ne dici di fare squadra procurandomi il fascicolo su quella storia di abusivismo edilizio di cui ti avevo parlato? Tra una cosa e l'altra sono passate due settimane, avrà fatto in tempo a trovarsi da solo e ad andare in autocombustione per la noia. Entro un'ora sulla mia scrivania, grazie." 

 

Imma non aspettò neppure una risposta, anche se un velenoso "mi eri proprio mancata, dottoressa" la raggiunse forte e chiaro mentre imboccava le scale. Il fragore provocato dai tacchi che sbattevano sui gradini la fece sentire di nuovo a casa, appagata e felice come mai era stata in quei giorni trascorsi in famiglia. Non poteva negarlo, non a sé stessa: il suo posto sarebbe stato sempre la procura. Era lì che si sentiva forte, sicura, era lì che dava il meglio di sé. Non ci sarebbe Imma, senza la dottoressa Tataranni. Il suo lavoro le concedeva un lusso a cui non avrebbe mai rinunciato: quello di non dover a tutti i costi smussare gli angoli più spigolosi del suo carattere per apparire più affabile, più conciliante, più sopportabile. In procura non doveva mordersi la lingua, non doveva  preoccuparsi delle reazioni altrui, era uno dei pochi contesti - o meglio, l'unico - in cui sentiva di andare bene così. E per carità, era consapevole che se avessero indetto un concorso per eleggere il più simpatico della procura probabilmente si sarebbe piazzata decima di undici (e solo perché esisteva Taccardi), ma aveva l'impressione che a nessuno lì importasse davvero, che nessuno pretendesse da lei qualcosa di diverso da impegno e risultati. In famiglia, invece, soprattutto negli ultimi tempi, le sembrava di dover sempre correggere qualcosa: le intemperanze, i modi di fare, la schiettezza, persino il senso dell'umorismo. Era come costretta a normalizzarsi, ad eliminare dalla sua personalità tutto ciò che fosse vagamente esuberante, che potesse apparire di troppo: peccato però che lei, senza quel troppo, non si sentisse Imma. 

 

Spalancò la porta del suo ufficio, desiderosa di riprendere a lavorare il prima possibile, ma a rivedere quella stanza il cuore prese a batterle in maniera forsennata, imponendole di ripensare, per l'ennesima volta, a quello che era successo lì dentro solo sette giorni prima. Chiuse gli occhi, travolta da una quantità di ricordi e sensazioni che la lasciarono senza fiato. Per un attimo le sembrò di essere tornata a quel pomeriggio dall'atmosfera magica, uno dei più belli della sua vita, e non potè fare a meno di chiedersi se quella genuina e infantile felicità l'avrebbe più provata, se delle parole avrebbero più avuto il potere di scombinarla come avevano fatto quelle di Calogiuri, se si sarebbe più sentita così viva. 

 

Non si era trattenuto, il maresciallo, e, a dispetto della nomea di ragazzo timido e di poche parole, aveva affrontato la situazione di petto, dimostrando un coraggio che lei non avrebbe mai avuto. Le aveva fatto una dichiarazione in piena regola, una di quelle che Imma pensava che non avrebbe mai ricevuto in vita sua, e l'aveva fatta impazzire che, parlandole, si fosse sforzato di guardarla dritta negli occhi: nonostante l'imbarazzo che stava provando, reso evidente dal rossore diffuso su guance e collo, aveva preteso che i loro sguardi si incatenassero, e l'intensità, la sincerità che aveva visto in quelle pozze azzurre avevano avuto su di lei lo stesso effetto dirompente e devastante di un'onda capace di spazzare via ogni cosa. Mentre lo ascoltava confessarle di essere geloso di qualsiasi cosa, di Pietro, della sua famiglia, di chiunque passasse del tempo assieme da lei, di essere arrivato ad invidiare persino l'aria che respirava, ad Imma era sembrato di star perdendo tutto: ragione, buonsenso, contatto con la realtà. C'erano solamente lei, Calogiuri, e i non detti di mesi che venivano finalmente a galla, senza più possibilità di scappare. 

 

E lei non era riuscita a trovare niente di inopportuno, niente di sbagliato in quello che stava accadendo, anzi, per la prima volta dopo troppo tempo aveva avuto l'impressione che tutto fosse al posto giusto, che loro due, assieme, fossero giusti. Quindi l'aveva baciato, perché non voleva fare altro da mesi, perché non sarebbe riuscita ad esprimere in nessun altro modo le emozioni che quelle parole avevano scatenato dentro di lei, perché in quel momento baciare il maresciallo le era sembrata la cosa più naturale al mondo. Con un ultimo sussulto, tuttavia, la sua coscienza le aveva imposto di staccarsi da quelle labbra quasi immediatamente, e di chiedere, anzi di ordinare a lui di dimenticare quanto successo. Mai era stata così contenta di vedere qualcuno audace a tal punto da disobbedire ad un suo ordine: Calogiuri si era precipitato sulle sue labbra con una foga che mai avrebbe potuto dimenticare, come un assetato a cui avevano tolto l'acqua assai prima che se ne fosse saziato, e lei, nel rispondere a quell'avventatezza con altrettanto trasporto, era solo riuscita a sperare che, quando sarebbe arrivato il momento di pagare il conto per quell'assaggio di paradiso - perché sarebbe arrivato, e lo sapeva - , qualcuno le avrebbe concesso un po' di clemenza.

 

"IMMA! Mi era sembrato di aver sentito la porta aprirsi, tu eri, che spavento mi hai fatto prendere mamma mia! Che ci fai là impalata, tutto a posto?" 

 

La voce di Diana la riscosse dallo stato di trance in cui era precipitata, e solo allora si accorse di essere effettivamente rimasta immobile sulla porta a fissare il vuoto. Calogiuri era davvero pericoloso. Si diresse verso la sua scrivania, con un passo che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere determinato abbastanza da consentirle di fingere una certa serenità, e, dopo aver gettato malamente la borsa sulla prima sedia che le capitò a tiro, sprofondò nella sua poltrona. 

 

"Diana, e chi doveva essere, il lupo? Stavo guardando... stavo guardando quei quadretti là appesi, quelli vicino alla porta. Sembra li abbia dipinti Capozza al buio, mamma che brutti. Più che Matera sembra Cartagine dieci secondi dopo che c'hanno buttato il sale, ma hai visto che desolazione? Li dobbiamo levare di là eh, mettici pure delle nature morte al posto loro, quello che ti pare, ma levali."

 

"Ma veramente stanno là da dieci anni, tu giusto giusto oggi ti sei accorta che non ti piacciono? Ce li aveva portati quell'artista di Belluno, quello che aveva organizzato la sua mostra qua in procura, mò come si chiamava, non mi ricordo, Giorgetti, Gargetti..." 

 

"Crocetti Diana, Crocetti. E poi appunto, che ne può sapere uno di Belluno di come si dipinge Matera? Minimo l'aveva vista solo in foto. Dai Dià, una cosa ti ho chiesto, me la puoi fare sta cortesia sì o no?" 

 

"Agli ordini dottoressa, agli ordini. Comunque solo tu potevi tornare dalle ferie peggio di come sei partita, ma che hai?"

 

Imma alzò gli occhi al cielo, parzialmente sollevata dal fatto che Diana avesse distolto l'attenzione da quei benedetti quadri. Aveva detto la prima idiozia che le era venuta in mente, e cioè che stesse osservando le cornici appese al muro, un po' per evitare le domande della sua cancelliera, un po' perchè neanche lei era sicura di voler fare i conti con il fatto che sempre più spesso - e sempre più sconvenientemente -  si incantasse a pensare a Calogiuri come una quindicenne scema. E poi, comunque, a lei quei quadri veramente non erano mai piaciuti, quindi aveva preso due piccioni con una fava. 

 

"Beh, prova a starci tu per una settimana con una suocera che mette bocca su qualsiasi cosa tu dica, faccia, a momenti pure sul numero di volte in cui vai un bagno, e vediamo quanto ci torni rilassata a lavoro, Dià. Ho sognato di ucciderla in venticinque modi diversi, ci avessi passato assieme altri due giorni sarei arrivata a trenta comoda comoda." 

 

"Se c'era una cosa che quel bastardo del mio ex marito aveva di buono, è che la madre me la faceva vedere giusto a quelle due feste comandate, la povera anima di Cleo manco la conosce la nonna. E forse è meglio così sai, perché se ha cresciuto un tale pezzo di mer..."

 

"E no, e no, un'altra filippica sul tuo ex no, non c'ho la forza. E poi ora devi pensare al tuo nuovo amore, no? Non mi dire che Capozza non ti ha ancora accompagnato a portare le pasterelle a mamma sua!" 

 

Imma non riuscì a trattenere l'ironia, mentre Diana la fulminava con lo sguardo. Non si sarebbe mai abituata all'idea di lei assieme a Capozza, anche perché il modo in cui aveva scoperto di loro era stato talmente traumatico che solo il tempo e magari una botta in testa che favorisse una parziale perdita di memoria avrebbero potuto aiutarla. Certo però che anche lei, l'irreprensibile sceriffo di Matera, in quanto ad utilizzo improprio dei locali della procura...

 

"Vedo che le ferie ti hanno portato via il sorriso ma non il sarcasmo, mi sembrava strano non avessi fatto una battuta delle tue. E comunque no, io e Capozza ancora non abbiamo detto niente a nessuno, vogliamo andarci con i piedi di piombo, anche perché con la storia del divorzio Cleo è sconvolta, io a quella figlia porto solo guai, Imma!" 

 

"Ahhhhhh, Dià, senti, Cleo c'ha 17 anni, sono certa che preferisca due genitori divorziati ma sereni a due che rimangono insieme per il bene della famiglia e poi stanno là a litigare e a mettersi le corna un giorno sì e l'altro pure. Tu secondo me comunque sottovaluti tua figlia, è grande, vedrai che capirà." 

 

"No Imma, no, sei tu che sottovaluti la gravità di questa situazione, sei tu! Secondo te se tu e Pietro divorziaste come la prenderebbe Valentina, eh?" 

 

"Nel caso succedesse, mi auguro si mostri matura e pronta abbastanza da comprendere che il fatto che io e il padre non saremo più una coppia non avrà niente a che fare con il nostro ruolo di genitori ed il nostro rapporto con lei, che non cambieranno solo perché io e Pietro non saremo più legati sentimentalmente." 

 

Diana strabuzzò gli occhi, stranita, guadagnandosi uno sguardo interrogativo di Imma, che non capiva perché la sua cancelliera la stesse fissando come se improvvisamente le fossero spuntate altre quattro teste. 

 

"Mi aspettavo... mi aspettavo mi avresti risposto che tu e Pietro non vi lascerete mai, di solito è questo che mi dici quando ti chiedo qualche consiglio sulla separazione, che non me ne sapresti dare perché a te non è successo e non succederà."

 

Imma sentì un calore innaturale sulle guance, e mai come in quel momento sperò si aprisse una voragine sotto la sua scrivania. Che cretina. Se così stavano le cose, tanto valeva girare per Matera con il cartello Ho tradito mio marito, probabilmente avrebbe dato meno nell'occhio. Erano giorni che quei pensieri su lei, Pietro, Valentina ed un eventuale divorzio si insinuavano nella sua testa, subdoli, talvolta per poco tempo, altre volte in modo talmente insistente da farla impazzire. La sorprendeva però che fossero sfuggiti al suo controllo così facilmente, anche perché un conto era pensarle, certe cose, un conto era dirle a voce alta, di fatto dando loro una concretezza a cui Imma, e di questo era sicura, non era affatto pronta, e difficilmente lo sarebbe mai stata. 

 

"Dià, stai pure a formalizzarti mò? E non ti aiuto e non va bene, e ti aiuto e non va bene lo stesso, pure tu però deciditi! Volevi un consiglio? Te l'ho dato. Ora, con questo appuntamento de La posta del cuore abbiamo finito? Possiamo lavorare, per favore? Dimmi cosa c'è da fare, che qua che per festeggiare il compleanno di mia suocera mi sono procurata pure un sacco di arretrati, pensa che bella conquista che ho fatto."

 

Diana annuì e sparì nel suo ufficio, per riemergere poco dopo con un faldone di carte, la cui vista fece sbuffare Imma, annoiata come non mai dalla prospettiva di tutte quelle scartoffie da smaltire. Se c'era una cosa che odiava del suo lavoro, ecco, erano le incombenze burocratiche cui la costringeva: ci perdeva le ore, dietro quelle cartacce, ore che avrebbe senz'altro potuto impiegare in qualcosa di più utile, dal momento che le ingiustizie non stavano certo ad aspettare la burocrazia, anzi a dirla tutta se ne approfittavano. 

 

"Allora, ci sono tutti questi documenti da firmare, questi altri da controllare, diversi veramente andrebbero riscritti da capo. Vitali aspetta il resoconto dettagliato dell'intera inchiesta Romaniello e ti invita caldamente ad accontentare le richieste della stampa per quanto possibile, c'è la relazione sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni che devi redigere per la conferenza in università, e poi cosa, ah sì, c'è il verbale del sopralluogo alla residenza estiva di Scaglione, quello che avevi chiesto alla pg."  

 

"In pratica sarò impegnata con 'sta carta straccia tutto il giorno, ho capito. Tu sollecita la Moliterni perché ti consegni il fascicolo su quell'inchiesta di abusivismo edilizio del 2013, ho necessità di controllarlo, sospetto che Romaniello ci abbia a che fare. Gliel'ho già ricordato salendo, ma a quella l'acqua la bagna e il vento l'asciuga, se non le stiamo dietro fa passare un'altra settimana." 

 

Per le quattro ore successive, Imma non proferì  parola, completamente assorbita dai doveri d'ufficio. Non si accorse neanche che era arrivata ora di pranzo, non fosse stato per Diana che, puntuale come un orologio svizzero, alle 12:30 aveva raccolto le sue cose e le aveva annunciato che si sarebbero riviste nel pomeriggio. Decise anche lei di fare una pausa, anche perché sentiva incombere un terribile mal di testa. Sperava quel malessere fosse dettato solo dalla necessità di mettere qualcosa sotto i denti, ma le sue occhiaie erano lì, profondissime, a ricordarle che veniva dall'ennesima di una lunga serie di notti insonni, e che quindi, con ogni probabilità, non se la sarebbe cavata così facilmente. Con un'associazione fin troppo rapida, la sua mente corse alla causa principale dei suoi problemi di sonno, e Imma non potè fare a meno di chiedersi il perché per tutta la mattina non si fosse fatto vedere. La ragione le suggeriva che fosse impegnato, forse la D'Antonio lo aveva coinvolto in uno dei suoi casi, approfittando della sua assenza per ottenere la tanto agognata redistribuzione delle risorse della pg per cui la tormentava ormai da mesi. 

 

Ma c'era una parte di lei, purtroppo prevalente, che quando si trattava di Calogiuri non voleva saperne di ragionare, preferendo piuttosto figurare scenari disastrosi utili soltanto a farle precipitare l'umore: ed ecco quindi che lo immaginava imbarazzato, costernato, impegnato a cercare il modo per non doverla incontrare, per non dovere più parlare di quel bacio, di cui si era tremendamente pentito, che avrebbe voluto cancellare dalla memoria di entrambi. Sì, stava senz'altro andando così. Altrimenti si sarebbe fatto vedere, sarebbe passato dal suo ufficio anche solo per un saluto, è così che avrebbe fatto uno geloso di tutto, pure dell'aria che respiri, ma quelle, concluse la dottoressa, dovevano essere tutte chiacchiere, i deliri di un giovane che aveva confuso la riconoscenza con chissà che altro.

 

Si passò le mani tra i capelli, sfinita, mentre un macigno le si depositava alla bocca dello stomaco, di fatto facendo svanire anche quel briciolo di appetito che fino a poco prima le era sembrato di avvertire. Si disse che avrebbe dovuto essere contenta, che il comportamento schivo di Calogiuri l'avrebbe liberata dalla responsabilità di decidere per entrambi, come del resto si era prefigurata di fare, ma la verità era che in quel momento non sentiva altro che amarezza, e tristezza. Era terrorizzata all'idea che tra loro sarebbe finito tutto, che quello che avevano sarebbe sparito di lì a poco, per trasformarsi nel più ordinario dei rapporti di lavoro tra un sostituto procuratore ed il suo sottoposto. Calogiuri per lei in quell'anno era stato un'oasi felice, il pensiero da cui si rifugiava quando aveva bisogno di emozioni positive, ma era stato anche una spalla nei momenti più difficili, l'unico da cui si sentisse realmente sostenuta e compresa, l'unico di cui potersi fidare. Lui le regalava una sensazione che mai aveva provato prima: la faceva sentire protetta. Imma in vita sua non aveva mai voluto la protezione di nessuno, men che meno quella di un uomo, ma le premure che Calogiuri le riservava la emozionavano, perché non erano quelle di un uomo spinto dal bisogno di esibire la propria mascolinità, ma sembravano dettate da un'affezione profonda, come se ogni volta fosse lì a dirle "guarda che sto qua, io ti guardo le spalle, e lo faccio perché ci tengo a te". 

 

Di fronte al peso di quelle consapevolezze, sentì gli occhi farsi lucidi. Scelse di darsi però un contegno, perché era in procura, perché sarebbe potuto entrare chiunque da un momento all'altro, ma soprattutto perché lei era Immacolata Tataranni, anni 44, con marito e figlia al seguito, ed il lusso di fare la ragazzina, nella sua situazione, non se lo poteva - e voleva - concedere. Esibì quindi l'aria più fiera che possedesse, e tornò a prestare attenzione ai documenti sparsi sulla scrivania, come se d'improvviso fossero diventati la cosa più interessante al mondo. Il lavoro, ecco, il lavoro l'avrebbe salvata, era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi. 

 

Le capitò sottomano il verbale del sopralluogo effettuato qualche giorno prima nella residenza estiva di Scaglione, quello che lei stessa aveva richiesto, animata dalla tenue speranza che sarebbe saltato fuori qualche elemento che avrebbe potuto fornire ulteriore sostegno all'impianto accusatorio contro Romaniello. Vide che era stato effettuato da Capozza, Matarazzo e altri tre agenti della polizia giudiziaria, tra cui però non figurava Calogiuri. 

 

Ma come, manco il sopralluogo è andato a fare? 

 

Un moto di rabbia si impossessò di lei, all'idea che per le loro ragioni personali avesse potuto trascurare un impegno professionale così importante. Sapeva che le prove di cui disponevano contro Romaniello avrebbero potuto non essere sufficienti in sede processuale, sapeva che, soprattutto in quella fase cruciale, non potevano permettersi di lasciare le cose al caso: davvero era stato tanto infantile da fregarsene? Imma prese ad esaminare il verbale, incazzata come raramente lo era stata nei suoi confronti, e quello che lesse non fece altro che accrescere la sua furia, a quel punto diventata ingestibile: il verbale era approssimativo, con diversi punti oscuri, privo di qualsiasi riferimento tecnico, sembrava essere stato redatto da un novellino al suo primo giorno di lavoro. Afferrò il cellulare dalla scrivania e, accompagnata dal fragore dei suoi tacchi, che scandivano come i rintocchi di una campana la sequela di pensieri omicidi in cui si stava dilettando, si avviò verso gli uffici della polizia giudiziaria, risoluta a far loro ricordare quel giorno per molto, molto tempo. 

 

"E anche oggi vedo che ci ammazziamo di lavoro qui dentro, comodi prego, comodi, se disturbo passo dopo!" 

 

Non appena sentirono la voce squillante della dottoressa, Matarazzo e Capozza, gli unici ad essere di turno a quell'ora, si sollevarono in piedi. Capozza rimase con la pizza che stava mangiando a mezz'aria, Matarazzo invece mantenne la sua solita aria strafottente, cosa che fece acuire la furia di Imma. 

 

"Dottoressa... buongiorno! È che stavamo mangiando qualcosa, sa, vista l'ora, uno si appunta la fame..." 

 

Imma rivolse a Capozza uno sguardo che definire disgustato sarebbe stato un eufemismo, e, decidendo di non considerarlo oltre, iniziò a sventolare davanti agli occhi dei due agenti il verbale, desiderosa soltanto di avere sotto mano il colpevole di quello scempio.

 

"Chi di voi due ha redatto il verbale del sopralluogo a casa di Scaglione? In altre circostanze avrei tirato ad indovinare, ma oggi non sono molto dell'umore, purtroppo per voi aggiungerei. Allora?"  

 

"Sono stata io, dottores-"

 

Imma non diede a Matarazzo neppure il tempo di terminare la frase, perché strappò il foglio in due parti, che gettò stizzita sulla scrivania davanti a sé. L'agente le rivolse uno sguardo indecifrabile, un misto di supponenza e stupore, a cui la dottoressa non ebbe remora di rispondere con la più tagliente delle occhiate. 

 

"Matarazzo, sai perché il tuo verbale ha fatto quella fine? Perché è tra le cose più vergognose che io abbia letto in 15 anni di professione, ecco perché. Ma tu lo sai a cosa serve un verbale, ne hai la minima idea? Hai la minima idea di quanto sia importante che sia puntuale, dettagliato, ma soprattutto dotato dei tecnicismi necessari? Questo verbale a me potrebbe servire in udienza tra un anno, tra due anni, mi vuoi spiegare come farò ad utilizzarlo se già oggi che i fatti sono freschi l'ho letto tre volte e non ci ho capito niente? Sembra la prova di metà corso di un allievo della scuola carabinieri, voglio che sia chiaro che la prossima volta che una cosa del genere arriva sulla mia scrivania vi rispedisco da dove siete venuti, non vi salva manco il Padreterno. Stiamo lavorando al processo più importante degli ultimi vent'anni, in udienza rischio di vedermi smantellato l'intero impianto accusatorio perché tutto quello che abbiamo è estremamente attaccabile, e io che faccio? Sto in polizia giudiziaria a rimproverare gli agenti perché non sanno redigere i verbali. Ma vi rendete conto delle responsabilità che il lavoro che vi siete scelti comporta, sì o no?!?!"

 

Matarazzo sembrò risentire della lavata di capo, tanto che abbassò lo sguardo, imbarazzata, mormorando un "mi dispiace, dottoressa", cui seguì immediatamente quello di Capozza, che anche sembrava piuttosto scosso per quanto successo.

 

"Dottoressa, non è una scusa eh, assolutamente, abbiamo sbagliato, ma volevo dirle che l'agente Matarazzo avevo chiesto il mio aiuto per quel verbale, ma io non ho potuto assisterla, anche perché negli ultimi giorni qua è 'nu burdell, chi è in ferie, chi se ne va all'improvviso, siamo tre gatti, se non ci aiuta nessuno..."

 

"Capozza, ma per redigere un verbale ora ci vuole l'aiuto da casa? Ti senti, pure tu? E poi, se non mi sbaglio, sia io che Vitali abbiamo già messo in chiaro che per i prossimi tempi tutto ciò che è legato a Romaniello e alla sua cupola deve avere la priorità qua dentro, non mi pare un concetto di difficile comprensione. Ad ogni modo, Matarazzo, entro stasera voglio quel verbale sulla mia scrivania, e stavolta con tutti i crismi. Non hai il minimo margine di errore, intesi?"

 

"Agli ordini, dottoressa. Non intendo deluderla, a maggior ragione adesso che per forza di cose le fornirò la mia collaborazione sempre più spesso."

 

Imma rimase stranita dalle parole di Matarazzo: ebbe l'impressione che, dietro l'apparente gentilezza, ci fosse una certa dose di velenosa ironia, quasi come se qualcosa, in tutta quella situazione, le stesse procurando soddisfazione. Non ebbe però tempo di rimuginarci oltre, perché il suo telefono prese a squillare in maniera insistente, come del resto si addiceva alla mittente della chiamata. Uscì quindi da quell'ufficio, sebbene la sua rabbia fosse ancora ben lontana dal placarsi.

 

"Valentina, dimmi!"

 

"Mamma!!! Sono da poco tornata dalla mattinata di shopping con la nonna, adesso vado a pranzo da lei e poi pomeriggio esco con Bea! Ci vediamo stasera, ho già avvisato papà e mi ha detto che va bene, ma mi ha detto di avvisare anche te!" 

 

"E lo so io perché tuo padre ti ha detto di chiamare anche me, perché lui non sa dirti di no e aspetta che lo faccia io! Non se ne parla, Valentina, sei già uscita stamattina, pomeriggio ti chiudi a casa e studi. Le parole debito in latino ti ricordano qualcosa? Settembre è vicino e tu ancora niente hai combinato, l'uscita con Bea può aspettare."

 

"Ma che palle, mamma!!! Ieri era domenica e ho studiato tutto il giorno, tra l'altro con te che ti comportavi da  generale e manco mi hai fatto alzare la testa dal libro. È estate, ho 16 anni, avrò diritto anche io ad un po' di divertimento? Non esiste solo lo studio, io ho bisogno di fare esperien-"

 

"Le esperienze, come le chiami tu, le hai belle che fatte durante l'anno Valentì, altrimenti non staremmo qui con 40 gradi all'ombra a parlare di un debito in latino. Imparerai per il prossimo anno, pomeriggio non esci, ti fai venire a prendere da papà quando finisce il turno e te ne vai dritta a casa, e questo non è argomento di discussione."  

 

"Agli ordini dottoressa, agli ordini, come decide Lei, tanto decide tutto Lei, non è vero? Sarebbe bello però che ogni tanto si ricordasse che oltre ad un essere sostituto procuratore è anche una madre, ruolo di cui a quanto pare non Le frega niente!!!!!"

 

Valentina le attaccò il telefono in faccia prima ancora che potesse replicare. Non era la prima volta che le diceva una cosa del genere, ma le faceva sempre male come una pugnalata inferta in pieno petto. Quando Valentina era ancora una bambina, per placare il rimorso di non starle abbastanza vicina per via del lavoro, Imma si raccontava che una volta che fosse cresciuta sua figlia avrebbe capito i suoi sacrifici, sarebbe stata fiera di lei, felice di avere una madre a sua volta felice. La verità però era che, con gli anni, Valentina si era allontanata sempre più, finché il loro rapporto non si era ridotto ai minimi termini. Sua figlia la vedeva come un ostacolo, una sorta di minaccia alla sua libertà ed indipendenza, qualcuno che esisteva giusto per metterle i bastoni tra le ruote e ricordarle quanto studiare fosse importante. Non si sarebbe mai lamentata di quanto Pietro fosse bravo nel suo ruolo di genitore, né sarebbe stata gelosa del fatto che la loro figlia lo preferisse a lei, ma aveva l'impressione che, se solo suo marito fosse stato meno permissivo, se solo avesse avuto il coraggio di dirle qualche no, ecco, anche il rapporto di Imma con lei ne avrebbe giovato, perché non sarebbe stata costretta a fare in ogni momento della loro vita la parte del generale, come si sentiva spesso ripetere. 

 

Si portò la mano alle tempie, il mal di testa era ormai definitivamente esploso. Percorse velocemente la scalinata, con la sola intenzione di tornare nel suo ufficio e prendere qualche medicinale che le consentisse di arrivare fino a sera senza impazzire. Ma il destino evidentemente quel giorno le era avverso, perché nel corridoio che portava alla sua stanza si ritrovò a sbattere contro Vitali, che stava giusto in quel momento uscendo dal bagno. 

 

"Eccallà, è turnat o pendolino!"

 

Entrambi alzarono gli occhi al cielo, seppure per motivi diversi, ma Imma si sforzò, nonostante l'umore infernale, di sfoggiare il sorriso più cordiale che avesse. Non voleva inimicarsi Vitali, non adesso che le aveva dimostrato di stare dalla sua parte, mettendosi di traverso al suo trasferimento. Viveva il lavoro con una serenità e una flemma che avrebbe sempre detestato, soprattutto se unite a quella generale attenzione più per la forma che per la sostanza, ma era un uomo giusto, e di questo non ne dubitava. 

 

"Dottor Vitali buongiorno! Come vede ho ripreso servizio, e vado un po' di fretta. Se vuole scusar..."

 

"Si fermi dottoressa, dove scappa! A Matera il crimine non dilagherà se lei smette di correre da una parte all'altra come una trottola impazzita, gliel'hanno mai detto? Nu poc e tranquillità, Tataranni! Sarei venuto da Lei questo pomeriggio, ma già che è qua venga nel mio ufficio, così ne approfitto per parlarle di alcune cose."

 

Imma seguì Vitali con la stessa verve di un condannato a morte, mentre si chiedeva se quella giornata potesse andare peggio di così. Già immaginava di dover battagliare con il procuratore capo circa le dichiarazioni da fare alla stampa sull'inchiesta Romaniello: inutile dire che rimpianse persino la pila infinita di scartoffie che la attendeva sulla sua scrivania. 

 

"Dottore, io voglio mettere subito in chiaro una cosa: alla stampa, e in particolar modo a Zazza, in questo momento non intendo rilasciare alcuna dichiarazione. È una fase estremamente delicata, siamo alla ricerca di elementi che possano sorreggere il quadro accusatorio, una fuga di notizie è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Non voglio dare alcun vantaggio a Romaniello e ai suoi avvocati, vantaggio che indubitabilmente trarrebbero se ci vedessero sbattuti in prima pagina mentre stiamo brancolando nel buio. Su questo punto non sono disposta a discutere."

 

"E invece lei si rende conto di quanto sia rischioso inimicarsi la stampa in un momento come questo? Ai giornalisti frega poco che si getti alle ortiche il lavoro di un anno intero, o che un criminale pericoloso come Romaniello rimanga impunito: vogliono lo scoop, e se per ottenerlo dovranno affossare lei lo faranno, lo capisce? Bisogna accontentarli, anche in minima parte, altrimenti se li vedrà schierati dalla parte di Romaniello in men che non si dica, è questo che vuole, dottoressa? Adda passà 'a nuttata, ma qualche sacrificio nel frattempo è necessario farlo."

 

"Dottore, fa questo lavoro da più tempo di me, quanto crede ci voglia perché, soprattutto qualcuno, distorca le mie dichiarazioni, alla ricerca di uno scoop, come dice Lei? Ci stiamo buttando volontariamente nella gabbia dei leoni, altroché, e, come al solito, i cocci saranno i miei!"

 

"Lei continua a non avere fiducia in me, dottoressa. Ho già pensato a questo problema e la soluzione c'è: rilasciamo una nota. Niente interviste, niente conferenze, niente dichiarazioni estemporanee, diramiamo una nota a tutte le redazioni e ne pretendiamo la pubblicazione integrale. Scripta manent, verba volant." 

 

"Solo se mi occuperò io di redigerla, e, stavolta davvero, è una condizione su cui non sono disposta a cedere." 

 

Imma dovette ammettere a sé stessa che l'idea di Vitali di rilasciare una nota fosse buona, così come erano giustificate le preoccupazioni circa il fatto che la stampa, vedendosi snobbata, si sarebbe schierata dalla parte di Romaniello. Ma voleva comunque essere lei a gestire ogni tipo di comunicazione: avrebbe scelto lei cosa scrivere in quella nota, magari facendosi aiutare da Calogiuri, l'unico che di quell'inchiesta ne sapesse quanto lei e di cui potersi fidare al 100%, nonostante la storia fresca fresca del sopralluogo, su cui aspettava di confrontarsi con lui e che, in ogni caso, non gli avrebbe perdonato facilmente. 

 

"Va bene dottoressa, va bene, avevo già in mente di chiederglielo, Lei mi ha preceduto. Farò finta che la richiesta sia motivata da un eccesso di zelo, ma so che in realtà è perché in questa procura Lei non si fida di nessuno, neppure di me, e me lo lasci dire, mi dispiace molto. Sempre, ma soprattutto quando si ha a che fare con inchieste e processi di questa rilevanza, il lavoro di squadra è essenziale. Non può fare tutto da sola, dottoressa Tataranni, a maggior ragione adesso che il figliol prodigo è andato via, e-"

 

"Scusi?!" 

 

Il cuore di Imma iniziò a galoppare, mentre sentì un brivido risalirle lungo tutta la spina dorsale. Sapeva che quando Vitali parlava di figliol prodigo si riferiva a Calogiuri, e la sua mente cominciò a ricollegare tutti i pezzi di quella mattinata infernale: lui che non si faceva vedere, lui che non aveva partecipato al sopralluogo a casa di Scaglione, Capozza che si lamentava del fatto che in pg fossero rimasti in pochi, Matarazzo che le diceva che loro due avrebbero dovuto lavorare sempre più spesso insieme... ecco perché aveva quel sorrisetto soddisfatto... dovette soffocare un conato di vomito, mentre stringeva sempre più spasmodicamente il bracciolo della sedia, come se da quell'appiglio dipendesse la sua vita. 

 

"Santo cielo, dottoressa, ma il maresciallo Calogiuri non l'ha informata? È partito, ha fatto richiesta per partecipare ad una missione in Centro America. Per carità eh, quando ho visto la sua domanda sono rimasto stupito anche io, gli ho chiesto anche il perché, ma lui non si è sbottonato più di tanto, mi ha solo detto che aveva bisogno di fare un'esperienza nuova, che per lui che veniva da una realtà di provincia sarebbe stata una grossa occasione, e non ho insistito oltre. Del resto, sò uajuncelli, c'amm a fà..." 

 

Imma cercò con tutte le forze di mandare giù il groppo che sembrava occluderle la gola, ma senza successo. Non poteva credere che se ne fosse andato senza dirle nulla, non poteva credere che non avesse ritenuto importante informarla, che l'avesse abbandonata. Perché era così che si sentiva in quel momento, abbandonata. Adesso era rimasta da sola ad affrontare qualcosa che sentiva essere più grande di lei, perché lui aveva preferito scappare come un codardo, un ragazzino che forse aveva fatto l'errore di sopravvalutare, di considerare un uomo. La furia si mischiò al dolore, come fossero sentimenti inscindibili, e Imma si disse che sì, magari ne sarebbe uscita con le ossa rotte, ma lei quella situazione l'avrebbe affrontata. Da sola, come sempre era stata, nonostante per un po' di tempo avesse coltivato il sogno, che altro non era che un'illusione, che in quel mondo qualcuno che la capisse, ma che la capisse davvero, esistesse, e che lei l'avesse incontrato.

 

"Dottore, voglio un sostituto."  

 

"Dottoressa, capisco lo choc della notizia, ma Calogiuri non è che in Centro America ci prende la residenza, tra due mesi torna a pieno servizio. Non so, forse è il caso di aspettare, vedere come va, fare di necessità virtù..." 

 

"Ma quale di necessità virtù, dottore! Io ho un maxiprocesso da preparare, mò facciamo dipendere la giustizia italiana dalle esperienze di Calogiuri? Dieci minuti fa ero in polizia giudiziaria a rimproverare degli agenti per come era stato redatto un verbale, lei veramente pensa che ci possiamo arrangiare così per altri due mesi? Vuole che io faccia lavoro di squadra? Bene, mi procuri un sostituto, e smuova pure mari, monti, pianure e colline, perché mi serve al più presto, che qua tra due giorni a fare i sopralluoghi mi tocca mandare la mia cancelliera. Buona giornata!"

 

Imma non aspettò neanche che Vitali replicasse, anche se le sembrò di sentire un esasperato "c'aggia fa cu chesta" quando fu appena fuori dalla porta. Raggiunse quasi correndo il suo ufficio, mentre i polmoni le briciavano per lo sforzo che aveva fatto nel parlare a Vitali come se tutto fosse normale, come se non si stesse rompendo in mille pezzi. Si chiuse la porta alle spalle, e, finalmente, si lasciò andare. Il suo corpo venne scosso da decine di singhiozzi, sulle labbra sentiva già il gusto amarognolo delle prime lacrime. Ce l'avrebbe fatta, sì, ce l'avrebbe fatta da sola, ma  questo non voleva dire che non le avrebbe fatto maledettamente male.

   
 
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