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Autore: Heartlostinspace    11/06/2022    0 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
La storia racconta le vicende successive al bacio tra Imma e Calogiuri, che chiude la prima stagione della fiction. Dopo quanto successo, Imma è confusa, divisa tra sentimenti a cui non riesce a dare un nome e la sua proverbiale razionalità, che le imporrebbe di andare dal maresciallo e dirgli di dimenticare tutto. E Calogiuri, invece? Cosa si aspetta, cosa spera? Starà lì ad attendere che sia Imma a decidere del destino di entrambi? Il racconto ha il suo punto centrale nelle vicende personali dei protagonisti, mentre minore spazio sarà dedicato al giallo, di cui non saranno presenti troppi dettagli, sebbene, dato il contesto in cui si muovono i personaggi, molteplici saranno i riferimenti.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO - L'INCERTEZZA


Fissò il suo riflesso dentro lo specchio per secondi che le parvero interminabili. Sondò i dettagli di quel viso, ne passò in rassegna ogni singolo tratto, con l'attenzione che in genere dedicava solo ad incartamenti e fascicoli processuali. Il giudizio fu implacabile: smunta, spenta, stanca... vecchia. Occhi troppo grandi, labbra troppo piccole. Naso troppo pronunciato, capelli ormai prossimi ad intonare uno straziante canto del cigno. Avrebbe dovuto decidersi, prendere finalmente un appuntamento da quel parrucchiere di cui parlava sempre Diana, quello da cui "te lo giuro, entri che sei tu, esci che sembri Monica Bellucci". Come no. La mente di Imma corse all'insopportabile walzer di pettegolezzi che le sarebbe senz'altro toccato tra uno shampoo, una tinta e un colpo di sole: realizzò che, a confronto con le signore della Matera bene annoiate dall'attesa del loro turno, persino Zazza sarebbe sembrato discreto, praticamente il Garante della privacy. Si protese in avanti, e iniziò a stendere la pelle del viso da una parte e dall'altra, desiderosa di far sparire rughe che quella mattina le parevano più profonde ed evidenti del solito, quasi a volerle ricordare, con incurante sprezzo, chi fosse. Intenta com'era, non si accorse di qualcuno che silenziosamente le arrivò alle spalle, fino a quando non sentì due braccia forti cingerle la vita. 

 

"Amò, che fai? È mezz'ora che stai in bagno, t'ho fatto il caffè, guarda che si fredda."

 

Imma fece per voltarsi, raccogliendo le energie per un sorriso che risultasse almeno credibile. 

 

"Piè, amò, no, scusa, è che mi sono incasinata per lavare sti capelli. Valentina? S'è svegliata? O pensa che solo perché è estate può fare la bella vi-"

 

Pietro la zittì poggiandole le dita sulle labbra, prima che la sua voce raggiungesse decibel che la figlia difficilmente avrebbe potuto ignorare. 

 

"Amò, e dai, sta in vacanza, no? Lasciala riposare. Le sto dietro io, tu non ti preoccupare, e poi stamattina deve andare in giro per negozi con mamma, vedrai come tra poco si sveglia, la conosci."

 

"E certo, portiamola in giro per negozi Pietro, dopo il debito in latino dì a tua madre di farle pure questo bel regalo, che tanto se lo merita, no? Poi? Prossimo passo? La vacanza a Ibiza, così completiamo la trasformazione in una di quelle quattro sceme che sta sempre a guardare su quel telefono che c'ha saldato alla mano? Come cazz si chiamano, le influenze, le influ..."

 

"Le influencers amò, le influencers. Che poi oh, sapessi quanto guadagnano queste..."

 

Imma lo incenerì con lo sguardo. L'imperturbabile flemma di suo marito, quella fiacca placidità di chi semplicemente accettava il corso delle cose, come se non lo riguardassero davvero, l'avrebbe mandata sempre fuori di testa. E, sia messo agli atti, lei ci aveva provato a capirlo, anzi, per un certo periodo aveva addirittura provato ad emularlo, cercando di fare di quella calma olimpica un approccio anche per la sua, di vita. Ma, prevedibilmente, aveva compreso che non esisteva niente di più lontano da lei, che le cose preferiva affrontarle di petto, e mai limitarsi a subirle. Homo faber fortunae suae, del resto, lo aveva imparato al liceo.

 

"Vabbè Pietro, lasciamo perdere, grazie per il caffè, scappo a vestirmi, che se non mi sbrigo qua finisce che per la prima volta nella storia la Moliterni arriva prima di me in ufficio, e questo me lo perdonerei anche meno che aver dato il mio numero di cellulare a tua madre."

 

Gli stampò un veloce bacio sulle labbra e, accompagnata dal suono di una risata esasperata, corse in camera, mentre un misto di panico e adrenalina iniziava a farsi strada dentro di lei, facendola sentire, come troppo spesso era capitato in quegli ultimi mesi, un'adolescente. Prese dall'armadio un vestito, lo stesso che aveva indossato qualche giorno prima, durante quella festa della Bruna i cui avvenimenti, ormai ne era certa, l'avrebbero tormentata finché avesse avuto fiato in corpo, e probabilmente pure oltre. Prima di indossarlo ne annusò il tessuto, convinta di poterci ancora trovare il suo profumo. Del resto, lei quel profumo lo sentiva ancora ovunque, come se ne fosse ubriaca: lo sentiva sulla pelle, lo sentiva nelle narici, lo sentiva nell'aria, lo sentiva soprattutto quanto tentava di dimenticarsene e quello tornava più forte di prima, a confonderla, a darle assuefazione, ad indebolirla. 

 

Si chiese, per l'ennesima volta in quei giorni, come sarebbe stato rivederlo dopo quello che era successo tra loro. Bramava di scoprire lo sguardo che le avrebbe dedicato, quale linguaggio avrebbero scelto i suoi occhi per portare avanti uno di quei loro dialoghi muti, talmente intensi da far sembrare le parole un fastidioso ed inutile riempitivo. Ma non era una cretina, neppure un'ingenua, ed aveva vissuto abbastanza primavere per sapere che, stavolta, le parole sarebbero servite, e che, con ogni probabilità, sarebbe stata lei a doverle pronunciare. "Ho sbagliato, non doveva succedere, io non lo so proprio perché siamo finiti a baciarci in ufficio come due ragazzini, dimentichiamolo e non parliamone più". Era questo che avrebbe dovuto dire al maresciallo, niente di più, niente di meno. Lo imponevano il suo ruolo, il suo matrimonio, ed anche una certa dose di orgoglio, che l'avrebbe portata, in qualsiasi circostanza, a sguainare la sua spada e a difendersi ben prima che qualcuno potesse anche solo pensare di sferrarle un attacco. E a lei sembrava di sentirlo già, il maresciallo Calogiuri, mortificato, imbarazzato, che balbettando tentava di dirle che per carità, erano stati bene, ma che forse era stato avventato, che si era lasciato trasportare, confondendo la riconoscenza con altro. No, decisamente Imma gli avrebbe evitato lo sforzo e l'imbarazzo. 

 

Sarebbe stata lei a mettere un punto a quella situazione, a riportare le cose alla normalità, sebbene fosse consapevole che di normale, di ordinario, tra di loro non ci fosse nulla, e questo anche quando non finivano avvinghiati tra le mura della procura. Perché la verità era che il loro rapporto viveva e si alimentava soprattutto di riguardi, di attenzioni, di piccoli momenti che, inutile negarlo, le facevano battere il cuore in una maniera che sospettava fosse pericolosamente simile a quella di una tredicenne alle prime cotte, le stesse cotte che lei, schiacciata da un onnipresente senso di responsabilità, aveva sempre pensato di doversi precludere. Bastava che le loro braccia si sfiorassero, durante uno dei loro viaggi in macchina, perché una scarica elettrica le attraversasse l'intera spina dorsale; bastava che si guardassero negli occhi, concentrati nella risoluzione di un caso spinoso, perché tutto quello che la circondava sparisse, per essere sostituito da un mondo, bellissimo, che condivideva soltanto con lui. 

 

Imma si fidava di Calogiuri, e si fidava a tal punto che era diventato la prima persona a cui pensava quando aveva un'intuizione, un dubbio, o quando cercava un confronto con qualcuno  che viaggiasse sulla sua stessa lunghezza d'onda. E la preoccupava, ma che diceva, la terrorizzava che da qualche tempo questo bisogno andasse oltre l'ambito professionale, per trasformarsi in desiderio di parlare con lui di quel film che aveva visto, di quel libro che aveva letto ed era certa gli sarebbe piaciuto, di quella cosa che le era successa e su cui avrebbero potuto ridere assieme. Aveva paura di sé stessa, la dottoressa Tataranni: di ciò che diventava quando lo aveva vicino, dell'assurdo senso di felicità che la coglieva non appena il pensiero di lui, di loro, faceva capolino nella sua mente, ma anche di quanto lui la rendesse fragile, preda di complessi che mai l'avevano sfiorata, neanche durante i primi mesi di relazione con Pietro, che pure era stato il primo uomo con cui avesse avuto a che fare. 

 

Per la prima volta in vita sua non si sentiva all'altezza, e avrebbe voluto essere diversa: con meno anni, meno rughe, tratti più aggraziati. E si interrogava, lasciava che il suo cervello si arrovellasse per ore intere sul significato di quei cambiamenti, sul perché lei, proprio lei, che mai in vita sua aveva lasciato che il timore del pensiero altrui la influenzasse, si fosse ridotta così. 

 

Dopo un'ultima sistemata, esasperata da quei pensieri che ormai da giorni non facevano che offuscarle la mente, afferrò la borsa che giaceva abbandonata sulla poltrona dalla sera prima, e a grandi falcate si diresse verso la porta di casa. Da quel 2 luglio erano trascorsi sette giorni, e da sette giorni Imma non metteva piede in procura, avendo usufruito di alcuni giorni di ferie arretrate che Pietro l'aveva convinta - o, per meglio dire, costretta - a prendere per festeggiare il settantesimo compleanno di sua madre, giù a Metaponto. Fece un respiro profondo, maledicendo quell'insopportabile arsura estiva, che non risparmiava neppure le prime ore del mattino. Si incamminò, risoluta, quasi a voler compensare con la sicurezza dell'andatura il disordine che aveva dentro. Avrebbe fatto quello che era giusto, per lei, per la sua famiglia, e anche per Calogiuri.

   
 
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