Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Melisanna    12/06/2022    0 recensioni
Una raccolta di racconti su Steel Ball Run, precedenti e contemporanei alla storia raccontata sul manga incentrati su Diego Brando e Johnny Joestar. Tra corse di cavalli, drammi di bambini e adolescenti e sentimenti confusi.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diego Brando, Johnny Joestar
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è stato scritto in occasione della challenge May I write, sulla pagina facebook Non solo Sherlock - Gruppo eventi multifandom
 
La maschera.

 
Mentre si avvicinava ai cancelli di partenza, Johnny vibrava di orgoglio. In mezzo a tutti quei Lord e Milord inglesi, lui era l’unico americano ed era il concorrente più giovane, con i suoi quattordici anni. Qualunque piazzamento sarebbe stato oggetto di ammirazione.

Non che si aspettasse qualcosa di diverso dal primo posto.

Gli inglesi impazzivano per il loro piccolo Lord biondo, ma Johnny li avrebbe riportati tutti sulla terra. Il ragazzino nobile poteva anche volare sulla pista come un angelo, a sentir loro, ma lui gli avrebbe insegnato come correva un demonio. Era così eccitato da non riuscire a star fermo sulla sella e Pearl Jam nitrì infastidito, scartando sulla sinistra. Johnny mantenne il controllo senza difficoltà, ma quando sollevò lo sguardo, il piccolo Lord Fautleroy lo stava fissando con aria condiscendente, come si guarda un bambino che fa i capricci in pubblico.

Johnny si sentì avvampare dalla rabbia. Gli avrebbe levato quell’aria sprezzante dalla faccia, appena fossero stati in pista.

Dieci giorni prima, quando era appena sbarcato dall’America e aveva iniziato a studiare il percorso, era scivolato e solo una mano che l’aveva prontamente sorretto per un gomito, gli aveva impedito di finire col culo nel fango.

– Fate attenzione, Mister. Quando piove, il terreno qui è insidioso. E qui piove sempre.

Gli era stato istintivamente antipatico fin dal primo sguardo, con la redingote di un turchese polveroso e la cravatta bianca da dandy perfettamente annodata e quel sorriso inutilmente cortese. Non aveva bisogno di aiuto, tanto meno da un ragazzino arrogante e spocchioso che gli diceva cosa fare, con quel forzato accento da gentiluomo.

L’aveva rivisto due giorni dopo, mentre stava sellando Pearl Jam per gli allenamenti. Ascoltava con espressione seria e intenta, un uomo elegante e severo dargli le ultime indicazioni prima della gara. Gli era stato ancora più antipatico quando una bella Miss dai capelli corvini, l’aveva abbracciato e gli aveva stampato un bacio su una guancia, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.

Avery aveva seguito il suo sguardo e aveva annuito.

– Mr Diego, brutta bestia, con il padre e suo preparatore, Lord Wallgrave, uno dei più importanti allevatori di cavalli di tutta la Corona Unita. E non ti scordare della sorella, Miss Elisabeth Wallgrave, quella ragazza ha un occhio eccellente per i cavalli. Eccellente.

Johnny gli aveva rivolto un’occhiata incredula. Lord Wallgrave e Miss Elisabeth alti, bruni, con gli occhi infossati e il naso aquilino, non avevano neanche la più vaga rassomiglianza con il fantino biondo, minuto ed efebico.

Il suo allenatore aveva intuito la sua domanda silenziosa, perché aveva scrollato le spalle e aveva commentato – Adottato. Figlio di un lontano cugino, un certo Brando, scomparso in India.
Madre morta di parto. O qualcosa del genere. Chi ci capisce niente con queste manfrine da aristocratici.

A Johnny era stato ancora più antipatico. Non era neanche un vero conte, chi gli dava il diritto a guardare la gente dall’alto in basso?

Ma il momento in cui avrebbe avuto la sua rivincita si stava avvicinando. Diego Brando cavalcava un brutto cavallino palomino, mezzosangue arabo all’occhio esperto di Johnny, quasi troppo piccolo di statura per partecipare a un Derby. Avery l’aveva messo in guardia dal prenderlo sottogamba, ma Johnny era sicuro che, se anche il sangue arabo avrebbe potuto renderlo pericoloso sulle lunghe distanze, su un percorso più breve l’ampia falcata di Pearl Jam avrebbe fatto la differenza.

Al trillo della campanella, i cavalli si gettarono in avanti. Johnny spronò Pearl Jam per uscire dalla massa e restare nel gruppo di testa. Mantenne la posizione senza affaticare lo stallone, curandosi solo di non perdere posizioni e mantenere un distacco facilmente recuperabile dal primo.

Il gruppo di testa si allungò, mentre sempre più cavalli restavano indietro. Johnny recuperò terreno rispetto a Greenday che guidava la gara. Silver Bullet li seguiva sull’interno, ma Johnny era ormai sicuro che non li potesse raggiungere. Quel Brando non era niente di ché, Lord o non Lord che fosse.

Si preparò a fuggire in avanti, all’uscita dall’ultima curva e in quel momento, senza apparente sforzo, Silver Bullet passò avanti e si piazzò dietro i quarti di Greenday. Johnny diede di sprone, anche se una parte del suo cervello gli urlava che era troppo presto. Riuscì a mantenere composto Pearl Jam all’uscita dalla curva tenendolo praticamente insieme a forza di polpacci, ginocchia e braccia. Silver Bullet intanto scattava in avanti, superava Greenday dall’interno e iniziava per primo la fuga verso il traguardo.

Johnny frustò Pearl Jam e lo stallone si lanciò in avanti, forte delle sue lunghe zampe. Superò Greenday con la facilità che Johnny sapeva avrebbe avuto. Si chinò sul suo collo e si lanciò all’inseguimento di Silver Bullet. Erano solo tre lunghezze, lo avrebbe ripreso non era un problema, solo due, una, Pearl Jam aveva la testa all’altezza della sella di Brando.

Doveva solo superarlo. Un ultimo sforzo. Non era un problema.

Non lo era.

Eppure Silver Bullet rimaneva davanti e Johnny non riusciva nemmeno a capire come. Superarono il traguardo in un rombo di zoccoli frenetici, con Silver Bullet sempre in testa.

Johnny saltò giù da Pearl Jam schiumando di rabbia.

Brando gli si accostò, in sella a Silver Bullet, sfilandosi il cap.

– Complimenti, Mr Joestar. Ottima gara. Siete degno della vostra fama.

Johnny gli rivolse uno sguardo furibondo, cercando una risposta sufficientemente malevola. In quel momento un raggio di sole colpì i capelli d’ora pallido di Brando. E per Johnny fu come rivivere per una seconda volta lo stesso umiliante momento.

– Io… mi ricordo di te. Tu sei quel ragazzino. Lo straccione che si è preso i miei stivali.

Il viso di Brando si fece di pietra.

– Non so di cosa stiate parlando, Mister – commentò facendo voltare Silver Bullet.

Ma ormai era troppo tardi.

Johnny gli aveva levato la maschera.

 
  
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