Il primo amore
Ray non comprende come faccia Norman a essere così tranquillo.
Prova, invece, il forte impulso di strappargli la valigia di mano e urlargli che no, non se ne può andare, non lo può abbandonare in quel modo.
Hanno trascorso una vita insieme al Grace Field, l'orfanotrofio che li ha accolti nel momento in cui il mondo li ha decretati come orfani e ora Norman ha trovato una famiglia e se ne sta per andare... E Ray si sente un egoista nei suoi confronti, perché anziché essere felice per lui, prova solo una sconfinata rabbia e un dolore inspiegabile all'altezza del petto.
E ciò che prova non è legato al fatto di non essere stato scelto... Il dolore che prova è legato al fatto che a partire dall'indomani mattina, quando si sveglierà e scenderà al piano terra per fare colazione, non ci sarà più Norman seduto di fronte a lui pronto a salutarlo con un dolcissimo sorriso.
Perché la vita, per Ray, era col tempo diventata più sopportabile solo perché Norman gli è sempre rimasto accanto, e come farà senza di lui, d'ora in avanti?
Con quale forza si alzerà dal letto, la mattina del giorno dopo, per cominciare una vita senza di lui?
Non ci vuole pensare, ma in quel momento è impossibile: Norman lo sta guardando, la sua nuova famiglia lo attende fuori e Ray non si è mai sentito tanto inadeguato come in quel momento.
Prova a incurvare le labbra in un sorriso e a sforzare un saluto con un cenno veloce della mano, ma non ci riesce.
In quel momento vorrebbe solo scoppiare in lacrime.
Norman pare leggergli nel pensiero, difatti poggia la valigia a terra e si avvicina a lui.
I suoi occhi sono velati dalla comprensione, come se gli stesse tacitamente confessando che anche lui prova lo stesso – è l'età del primo amore, dopotutto. Un primo amore che non è riuscito a sbocciare completamente.
Lo abbraccia.
Lo abbraccia forte e Ray si domanda quale sia il sapore del mondo, se in quel groviglio di sensazioni ci sia anche l'abbraccio di Norman.
Deve essere per forza così.
Addio, mio primo amore.