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Autore: The_Storyteller    13/06/2022    1 recensioni
Anche se è stato nominato Maestro Assassino, la vita di Arno Dorian non è cambiata molto: scoprire i piani dei Templari, eliminare bersagli, cercare informazioni. La solita routine, come le sue visite alla tomba di Élise.
Se non fosse che, una mattina d’inverno, uno strano incontro annuncerà un nuovo capitolo della sua vita.
Madeleine Caradec è una semplice ragazza bretone, un po’ ingenua ma di buon cuore.
Ciò che non sa, tuttavia, è che si trova in un gioco più grande di lei, pedina nell’eterna lotta fra Assassini e Templari. Cosa sarà più forte: una lealtà che dura da anni o i sentimenti nati da un nuovo incontro? Chi è il diavolo e chi l’angelo?
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Arno Dorian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Silenzio. Smarrimento. Freddo.
Arno non capiva cosa stava succedendo. Si trovava in una specie di immenso mare di nebbia, senza un pavimento o un soffitto, nessun punto di riferimento che potesse aiutarlo.
Per un momento gli sembrava di essere di nuovo nel mondo onirico di tanti anni prima, quando Mirabeau gli aveva fatto bere quello strano intruglio per la sua iniziazione. Anche la sensazione di inquietudine era la stessa.
Nonostante la stranezza di quella situazione, Arno cominciò a camminare senza una meta precisa nella speranza che succedesse qualcosa.
Tutto a un tratto un’ombra apparve alla sua destra: era di spalle e indossava un ampio abito femminile, e la poca luce presente si rifletteva sui lunghi capelli scuri.
-Leb wohl, mein Schatz- disse la figura, prima di sparire nella nebbia.
Arno tese una mano, confuso, e una sola parola uscì dalle sue labbra: -Madre?-
Un’altra ombra si rivelò dalla parte opposta, e stavolta i lineamenti di Charles Dorian apparvero chiari e definiti.
-Padre!- chiamò l’Assassino, ma non fece che pochi passi che anche l’immagine dell’uomo scomparve, dissolta nell’aria come una statua di sabbia colpita dal vento.
Il senso di inquietudine si tramutò in ansia, quando dalla nebbia emerse l’austera figura di François de la Serre. E come le precedenti apparizioni, non appena Arno tentò di avvicinarsi sparì di colpo, spazzata via da una folata di vento impalpabile.
Più trascorreva il tempo in quel non-spazio, più Arno si sentiva agitato e confuso. Lunghi brividi gli scorrevano lungo la schiena, quando una quarta ombra si palesò davanti a lui.
-Élise…- sussurrò non appena riconobbe la donna. Provò a raggiungere anche lei, a tendere una mano per poter toccare il suo vecchio amore. Riuscì solo a sfiorarle la spalla, ma anche la Templare si dissolse come polvere grigia.
Arno respirava a fatica a causa dell'angoscia, la fronte madida di sudore gli provocava un'ulteriore sensazione di freddo e inquietudine.
-Che cosa significa?- gridò al vento, nella vana speranza di ottenere risposta. Rapidi sibili di aria fredda lo costrinsero a ripararsi il volto, facendolo voltare dalla parte opposta rispetta a dove era apparsa Élise.
E davanti a sé, avvolta in un mantello scuro, stava la giovane bretone.
Arno corse nella sua direzione col terrore che potesse sparire anche lei. La chiamò più volte, ma per ogni passo che faceva la ragazza sembrava allontanarsi sempre di più.
Corse ancora, forsennato, finché non riuscì a raggiungerla e a stringerla in un abbraccio.
-Ti prego, Madeleine. Non lasciarmi anche tu- supplicò l'uomo, mentre le prime lacrime gli bagnavano le guance. Alzò lo sguardo, disperato, e vide che anche la ragazza stava piangendo.
-Addio, ma menn…- mormorò a malapena la bretone. Si sciolse dall'abbraccio, come se fosse stata un fantasma, e dopo un ultimo sorriso si voltò dall'altra parte, allontanandosi nel mare di nebbia.
Arno si slanciò nella sua direzione, mentre un grido strozzato gli moriva in gola. Tentò di seguirla, ma all'improvviso qualcosa gli immobilizzò le gambe: come delle liane, dei tentacoli dotati di vita propria che gli avvolgevano gli arti, aggrovigliandolo e intrappolandolo fino ai fianchi.
L'Assassino cercò di liberarsi, mentre la bretone diventava un'ombra sempre più tenue. Più si dimenava e più quelle corde metafisiche lo stringevano, allontanandolo ulteriormente dalla sua amata.
Una voce lontana cominciò a chiamarlo: -Arno, Arno…-
 
-Arno! Svegliati!-
L'Assassino aprì gli occhi di scatto, boccheggiando per la mancanza d'aria. L'aria della stanza lo investì d'improvviso, facendolo rabbrividire a causa del sudore causatogli dall'incubo. Notò le lenzuola aggrovigliate alle gambe, tutte stropicciate per i movimenti repentini, e finalmente vide il volto preoccupato di Charlotte Gouze.
Gli ci volle qualche secondo ancora per riabituarsi alla familiarità del Café, infine si rivolse alla donna: -Cos'è successo?- chiese ansimando.
Lei sembrò esitare per un attimo, come se non sapesse da dove cominciare: -Non so cosa dire, Arno. È già mattina inoltrata, abbiamo cercato ovunque. Poi tu non riuscivi a svegliarti, ti agitavi nel sonno e…-
Arno la interruppe: -Cos'è successo?- ripeté in tono più spazientito.
Madame Gouze rimase per qualche secondo ancora in silenzio, quindi rispose: -Madeleine è scomparsa.-
Se gli avessero tirato un pugno in faccia, probabilmente Arno si sarebbe sentito meno frastornato. Guardò immediatamente al suo fianco, dove si sarebbe dovuta trovare la ragazza addormentata, e invece il posto era vuoto.
-Io… Io non capisco…- mormorò incredulo l'uomo. Come se l'incubo non lo avesse inquietato abbastanza, ora la realtà sembrava il risultato di quella premonizione onirica.
Charlotte gli disse di vestirsi, in modo da poter discutere cosa fare in un altro luogo, e lasciò la stanza. Arno si alzò dal letto e si vestì velocemente, senza prestare troppa cura ad eventuali pieghe. Stava per infilarsi la giacca, mentre si dirigeva verso la porta, quando si fermò davanti alla scrivania: la sera prima ricordava di aver lasciato alcuni appunti, ora invece la superficie era sgombra da ogni foglio e, al centro, c'era una busta chiusa.
L'Assassino prese la busta, notando subito un certo peso, e la aprì. La prima cosa che uscì dall'involucro fu un anello. Arno lo prese in mano e riconobbe immediatamente il gioiello che aveva regalato a Madeleine la sera del ricevimento a Versailles.
Cominciò a sentire un'orrenda sensazione all'altezza dello stomaco; osservò il foglio che spuntava dalla busta come se fosse un serpente velenoso, fermo e all'erta, in attesa del momento giusto per morderlo coi suoi denti assassini.
Con mano tremante, Arno prese il foglio e cominciò a leggere:
 
Mio caro Arno,
quando leggerai questa lettera io sarò già andata via. Ti starai chiedendo cos’è successo, perché sono scappata... è solo colpa mia. Lascia che ti spieghi.
Ti ho raccontato del mio passato in Bretagna, della morte dei miei genitori e delle difficoltà che ne sono seguite. Ti ho detto tutto, tranne una cosa. Una cosa talmente orribile che per anni non ne ho mai parlato con nessuno, tu sei il primo a saperlo.
Dopo la morte di mio padre andai a Quimper sperando di lavorare in una sartoria o qualcosa di simile, ma sembrava che nessuno volesse assumere una ragazza di campagna. Passarono i giorni e cominciai a disperarmi, finché un giorno mi fermò una donna.
Si presentò come madame Fournier e disse che cercava una ragazza per le cucine del suo locale. Inutile dirti che, disperata com’ero, accettai subito. E fu un grosso errore da parte mia.
Pensavo che il suo locale fosse un cabaret, o qualcosa di simile, ma una sera scoprii per chi stavo lavorando: madame Fournier mi ordinò di portare la cena per due persone presso la camera personale di una delle sue ragazze, e quando aprii la porta rimasi impietrita dallo spettacolo davanti ai miei occhi: una camera da letto sontuosamente arredata e la ragazza insieme a un uomo. Entrambi nudi. Lasciai il vassoio e corsi via, notando così altre coppie in quelle condizioni.
Ero stata assunta in un bordello.
 
Cosa potevo fare? Madame Fournier era stata l’unica persona a darmi un lavoro e un tetto sopra la testa, e se mi fossi licenziata sarei finita nuovamente in mezzo alla strada. Feci buon viso a cattivo gioco e continuai a portare la cena ai vari clienti.
Ma presto le cose volsero al peggio: alcuni clienti cominciarono a notarmi e madame Fournier mi disse che sarei diventata anch’io una delle “ragazze”. La pregai, la supplicai di non farmi diventare una prostituta. Si dimostrò una donna cinica e senza scrupoli: minacciò di picchiarmi se non avessi obbedito e così iniziò ad “educarmi” facendomi osservare di nascosto le altre prostitute “al lavoro”.
Non puoi immaginare il ribrezzo che provavo nel vedere certe porcherie, certi spettacoli che offrivano quelle notti... e dopo un paio di mesi di teoria giunse il momento della pratica.
Scongiurai la padrona di non farmi fare quel “battesimo”, ma lei fu irremovibile: a quanto pare la mia “purezza” aveva già attirato molti soldi. Mi sentivo peggio di un pezzo di carne all’asta del mercato, venduta al miglior offerente per il prezzo più alto.
Non sapevo più cosa fare, quando a un certo punto arrivò una donna. Disse a madame Fournier che mi avrebbe voluto con sé e che avrebbe offerto il doppio di qualsiasi cifra. Contrattarono molto tempo, ma infine venni ceduta alla mia nuova padrona: Thérèse Beauchesne.
 
Per me fu come uscire da un terribile inferno ed entrare in paradiso. Non ho mai saputo perché mi volle con sé, ma madame Beauchesne mi ha aiutato come nessun altro prima, mi ha dato un’educazione, mi ha insegnato molte cose. Tutto ciò che dovevo fare era obbedirle. Non potevo immaginare che, nel frattempo, lei mi avrebbe manipolato per legarmi totalmente a sé. Avrei dovuto capirlo prima, ma mi fidavo troppo di colei che mi aveva salvato da una vita orribile.
Ma la verità più tremenda l’ho scoperta solo ieri: lei è una Templare e vuole diventare la nuova Gran Maestra a tutti i costi. E per fare questo deve ucciderti, Arno.
Sono stata un’idiota a fidarmi di lei e a non chiedermi il perché dei suoi piani, e sono stata ancora più idiota a non dirti tutto. Sono stata una codarda, temevo che mi avresti odiato. Ed è quello che succederà comunque, ma almeno sono riuscita ad avvertirti.
Lei sa dell’incontro segreto e ti sta preparando una trappola mortale. Ti prego Arno, sei ancora in tempo per preparare un contrattacco. Pregherò affinché tu sopravviva, anche se ormai non ti importerà più nulla di me.
 
I mesi che ho trascorso al Café e con la tua compagnia sono stati i più belli di questi ultimi anni. Non dimenticherò mai la tua gentilezza, il tuo amore, la dolcezza dei tuoi occhi da cerbiatto.
Ti chiedo solo un favore, Arno: non incolparti per ciò che è successo, non potevi sapere. Non è colpa tua.
Addio, mio dolce Arno. Ti auguro di trovare qualcuno migliore di me.
 
Da garout a ran, ma menn.
Madeleine
 
Dopo aver letto le ultime parole, Arno lasciò cadere il foglio sulla scrivania. Si sentiva sconvolto, incredulo davanti alla confessione d’inchiostro della ragazza.
“No. No no no, ti prego...” pensò, riprendendo la lettera e rileggendola un’altra volta.
Per la prima volta, all’Assassino venne un orribile dubbio: possibile che Madeleine l’avesse ingannato? Era riuscita così bene a guadagnarsi la sua fiducia, tanto da permetterle di venire a conoscenza della Confraternita?
Rilesse le ultime righe: che senso aveva, allora, avvisarlo del pericolo? Era un pentimento sincero?
Troppe domande gli affollavano la mente. Arno si sentì girare la testa dalla confusione, mentre il respiro si faceva più affaticato.
Non poteva, non voleva credere a ciò che gli suggeriva malignamente l’inconscio. Doveva trovare Madeleine e sentire dalla sua viva voce la verità.
Si calò il cappuccio in testa ed uscì dalla portafinestra che, dalla sua stanza, si affacciava sulla terrazza. La pioggia scendeva copiosa e il freddo penetrava fin dentro le ossa, ma all’uomo non importava. Si calò dalla balaustra della terrazza e atterrò sul marciapiede. Attivò immediatamente l’occhio dell’aquila per individuare le tracce della bretone, e dopo aver girato l’angolo del Café trovò una flebile scia di impronte.
Arno sentì un brivido lungo la schiena: quanto tempo aveva, prima che la pioggia cancellasse del tutto la traccia?
Corse seguendo la scia dorata, ignorando lo sguardo incuriosito dei pochi passanti presenti a quell’ora del giorno. Notò una pausa delle impronte a metà di uno dei ponti, per poi proseguire; ma più si allontanavano dal Café, più diventavano rare e frammentarie a causa della pioggia.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dalla fuga di Madeleine, ma dopo un’ultima svolta in una piazza le impronte erano sempre di meno finché, dopo pochi metri, scomparvero.
Arno avrebbe voluto urlare, gridare a tutta Parigi il suo dolore. Invece rimase in silenzio, attonito, mentre la pioggia lo colpiva in viso mischiandosi alle sue lacrime.
 
*****
A causa del cielo plumbeo la cattedrale di Notre Dame appariva quasi tetra. Si stagliava cupa e maestosa tra le nubi temporalesche, come un'anziana vedova in lutto da tanti anni.
Ma se qualcuno avesse osservato con più attenzione la facciata avrebbe notato una nota di colore in una delle terrazze: una piccola macchia blu che guardava senza alcun interesse la strada sottostante.
Arno teneva tra le dita l'anello che aveva regalato a Madeleine. Lo guardava con tristezza, la stessa sensazione che ormai si era impadronita del suo cuore.
-Da quanto sei lì?- chiese ad un tratto, apparentemente a qualcuno di invisibile. Passarono pochi secondi e Laurent Lozach si palesò dalle ombre della cattedrale.
-Solo qualche minuto, non è stato facile trovarti con questa pioggia- rispose il bretone, che si era portato al fianco del suo collega.
Rimasero entrambi in silenzio ad osservare la pioggia, in attesa di chissà cosa.
-Mi dispiace, Arno- disse dopo un po' Laurent.
-Dammi pure del coglione. Come se non lo avessi già fatto- replicò con durezza l'altro.
Laurent distolse lo sguardo, e solo in quel momento si accorse di qualcosa di strano: lontano da loro, sul fianco di una colonna, giaceva una bottiglia in frantumi. Il suo contenuto tingeva di un rosso scuro la superficie colpita dallo schianto, da dove proveniva un lieve odore di alcol.
-Ne ho bevuto solo un sorso. L'ho sputato subito, me lo ero ripromesso anche per lei- borbottò Arno in risposta alla domanda silente dell'altro Assassino.
Laurent lo guardò in volto e si accorse, dietro l'espressione dura, che Arno aveva gli occhi rossi e gonfi, segno che aveva pianto.
-Arno...- accennò l'uomo, ma si interruppe immediatamente quando udì un singulto, e nuove lacrime sgorgarono dagli occhi del Maestro Assassino.
-Sono stanco, Laurent– sospirò Arno –Sono stanco di perdere le persone che amo, per un motivo o per l'altro. Che cosa ho fatto per meritare tutto questo dolore? Perché, per una volta, non posso essere felice?-
Si asciugò le lacrime e, dopo un altro singulto, proseguì nel suo sfogo: -Ho provato a odiarla, sai? Ho tentato di convincermi che mi abbia ingannato per i suoi scopi, che ciò che è successo tra di noi era una farsa. Non ci riesco, neanche questo riesco a fare...-
-Perché tu la ami, e anche lei ricambia i tuoi sentimenti- intervenne Laurent.
Finalmente Arno guardò in faccia il suo collega e, con grande sorpresa, vide che reggeva la busta che conteneva la confessione di Madeleine.
Laurent anticipò la sua domanda e cominciò a spiegare: -Ero appena arrivato al Café quando ho incrociato Charlotte. Mi ha detto di Madeleine e cominciava a chiedersi perché ci mettessi così tanto a vestirti. Quando siamo andati in camera tua abbiamo visto che non c'eri, ma abbiamo visto questa. Scusaci, ma abbiamo letto la lettera della ragazza.-
-Quando le ho parlato ieri non capivo perché fosse così scossa, ma dopo aver letto le sue parole ho capito. Credimi Arno, lei era disperata quanto te ora. E ti ama, guarda qui.-
Terminata la frase, il bretone porse ad Arno la lettera e gli fece notare alcune macchie circolari, appena visibili, che avevano increspato la carta: le lacrime della bretone.
Laurent gli fece anche notare la frase di commiato, e Arno riconobbe il soprannome che gli aveva affibbiato Madeleine.
-Che cosa significa?- chiese.
Laurent si fece scappare un sorriso: -Vuol dire "Ti amo, mio cerbiatto".-
Incredulo, Arno prese fra le mani la lettera e, per la terza volta, rilesse la confessione di Madeleine. In quelle lettere tonde e gentili lesse parole di dolore, di sconforto, di amore. Riuscì quasi a vederla, mentre scriveva tra le lacrime le sue parole di addio.
 
-Arno, lo so che stai soffrendo e che vorresti andare a cercarla– intervenne Laurent –Ma ora dobbiamo pensare ai Templari e alla loro imboscata.-
-E cosa possiamo fare?- chiese, mentre piegava la lettera della bretone e la infilava nella tasca della giacca.
Laurent scosse la testa, quasi divertito, e tirò fuori dalla busta un secondo foglio. Lo sguardo confuso di Arno fu la risposta che si aspettava.
-Anche Charlotte non lo aveva visto subito, ma capisco che eravate sconvolti dalla sua scomparsa. Dagli un’occhiata, così capirai da che parte sta Madeleine- disse sibillino, tendendogli il foglio.
Arno lo prese e lo aprì, e presto un’espressione sorpresa gli apparve in volto: in mano aveva gli appunti che Madeleine aveva copiato in segreto da madame Beauchesne. Aveva annotato i nomi dei Templari coinvolti, i loro aiutanti, la pianta delle Tuileries e i luoghi dove si sarebbero nascosti per tendere l’imboscata agli Assassini. Era scritto di fretta, come se la giovane avesse avuto poco tempo, ma in modo chiaro e incontrovertibile.
Arno rimase ammutolito, colpito da ciò che aveva tra le mani: come avesse fatto ad ottenere certe informazioni rimaneva al momento un mistero, ma almeno quegli appunti gli avevano sollevato il cuore dal peso del dubbio. Grazie a Laurent adesso ne era certo: Madeleine aveva preferito lui alla sua padrona.
-Madeleine... mi ha avvisato. Mi ha salvato un’altra volta...- mormorò incredulo, più a sé stesso che al bretone.
Laurent annuì: -Ed è fuggita perché ha paura. Della tua reazione alla notizia, certo, ma soprattutto della Beauchesne. Non la conosco benissimo, ma so che può essere molto pericolosa.-
-Come tutti i Templari, d’altronde- disse una voce dietro di loro.
-Allora noi abbiamo incontrato l’eccezione alla regola- contestò un’altra.
Arno e Laurent si voltarono con le spade sguainate, pronti ad attaccare, ma si rilassarono subito quando videro apparire Gerard e Philippe.
-E voi due da dove arrivate?- chiese Arno sorpreso.
Gerard si scrollò dalle spalle un po’ di pioggia, quindi rispose: -Siamo tornati circa un’ora fa da Tours e abbiamo fatto rapporto al Concilio, poi siamo andati al Café e Charlotte ci ha detto quello che è successo.-
Philippe intervenne: -Ci dispiace tanto Arno. Non mi sarei mai aspettato che Madeleine potesse essere una spia templare.-
Arno accennò un sorriso: -Grazie, ragazzi. Neanch’io me l’aspettavo, ma c’è una cosa che dovete sapere- replicò, e insieme a Laurent mostrò agli altri Assassini gli appunti del piano templare.
Gerard e Philippe rimasero sorpresi, il secondo aveva addirittura un’espressione stranita in volto.
-Allora il vecchio non mentiva!- esclamò.
Gerard gli rivolse un mezzo sorriso: -Te l’avevo detto- replicò trionfante.
Laurent si intromise nella loro conversazione: -Potreste dirci, di grazia, di cosa state parlando?-
Philippe si riprese dal proprio stupore e si rivolse ad Arno: -Dopo il nostro rapporto al Concilio siamo subito corsi a cercarti, Arno. E dopo quello che ci avete detto, adesso ne abbiamo la certezza.-
E così i due Assassini raccontarono la loro missione.
 
Gerard e Philippe erano appena entrati al secondo piano della villa di Réginald Chevalier, dopo aver scassinato una finestra. I due Assassini avevano deciso di penetrare nell’edificio di sera, quando la maggior parte dei suoi abitanti sarebbe stata impegnata al piano terra.
Da troppo tempo la Confraternita francese non aveva notizie del vecchio Templare, e così il Concilio aveva affidato a loro due il compito di rintracciarlo, scoprire i suoi piani ed eliminarlo.
Dopo varie ricerche erano riusciti a trovare il suo nascondiglio: la sua casa di famiglia a Tours. Erano rimasti sorpresi, poiché si aspettavano un luogo più recondito e difficile da raggiungere.
Prestando la massima attenzione, i due si mossero in assoluto silenzio, usando l’occhio dell’aquila più volte per trovare il loro obiettivo. Percorsero varie stanze, evitando di farsi vedere e senza dover stordire qualcuno, e nella loro esplorazione finirono in una camera da letto.
Rimasero nascosti dietro un grande armadio, tesero le orecchie e scoprirono che in quella stanza si trovavano due persone, una piuttosto anziana e l’altra parecchio più giovane che stavano chiacchierando.
Attesero forse un quarto d’ora, infine la persona più giovane salutò l’altra e se ne andò; i due uomini si erano sporti appena e videro che la prima voce apparteneva a un ragazzino che poteva avere dieci anni.
-Mio nipote Antoine, il più piccolo e il più affettuoso- disse una voce maschile proveniente dal letto.
Gerard e Philippe rimasero sorpresi, come se l’uomo che aveva appena parlato si aspettava la loro “visita”. Sempre con cautela lasciarono il loro nascondiglio e si divisero, in modo da posizionarsi ognuno presso un fianco del letto. E lì, sotto le coperte, giaceva Réginald Chevalier.
 
Il vecchio Templare non aveva un bell’aspetto: era pallido e con le coperte tirate fin sotto il mento. Aveva un’espressione stanca, quasi sofferente, e respirava a fatica.
Osservò entrambi gli Assassini e una stanca risata gli sfuggì dalle labbra: -Allora qualcuno mi considera ancora...-
-È da un po’ che mancate da Parigi, Chevalier. Volevamo solo vedere come stavate- disse sarcastico Philippe, attirandosi un’occhiataccia da Gerard.
Il Templare sospirò tristemente: -Probabilmente questa notizia vi renderà felici, visti i nostri rispettivi legami... Sto morendo, signori. Polmonite fulminante, i medici mi hanno dato al massimo un mese di vita- spiegò loro.
Per quanto odiasse i Templari, Philippe si morse la lingua per la propria maleducazione; Gerard si tolse il cappuccio, in segno di rispetto per la sua condizione.
Réginald tossì violentemente, coprendosi la bocca con un fazzoletto, e dopo aver preso fiato si rivolse ai due Assassini: -Immagino il motivo per cui siete qui, perciò vorrei proporvi uno scambio: in quel cassetto troverete qualcosa di molto importante che riguarda Dorian. Prendete quegli appunti e portateglieli.-
-E in cambio...?- incalzò Philippe, mentre Gerard cercava nel mobile.
-In cambio vi chiedo di lasciarmi morire in pace, tra le persone che amo di più- replicò il vecchio.
Intanto Gerard aveva trovato il plico di fogli e aveva dato una rapida occhiata al suo contenuto; presto sul suo volto apparve un’espressione tra rabbia e sorpresa, e ritornò di gran carriera dal Templare.
-Avete fatto un patto per uccidere Dorian?!- chiese incredulo.
Réginald annuì: -Non è stata una mia idea, ma di Thérèse Beauchesne. E di loro quattro, soltanto Marchand ha avuto il buon cuore di venirmi a trovare e di aggiornarmi dei loro progressi e dei loro insuccessi, ovvero i destini di Lefebvre e Delacroix. E mi ha anche rivelato alcune informazioni raccolte da un suo agente riguardo l’incontro con un’Assassina italiana.-
-Mademoiselle Vico!- esclamarono all’unisono gli Assassini.
Il Templare proseguì nel discorso: -Sapevo che Thérèse e Gauthier avrebbero unito le forze. Vi chiedo di fermarli, altrimenti uno di loro diverrà il nuovo Gran Maestro.-
-La cosa non vi rallegra?- chiese Philippe con una punta di ironia.
-Nessuno dei due ne sarebbe degno: hanno una mente brillante, ma userebbero l’Ordine per i propri scopi e finirebbero per indebolirlo ulteriormente. Vi chiedo di fermarli, anche solo per la vita del vostro collega- terminò il vecchio.
Gerard sfogliò nuovamente gli appunti del Templare, quindi se li infilò nella giacca e fece segno a Philippe che era ora di andare.
-Lo so che suonerà strano, ma grazie di tutto, monsieur Chevalier. Vi auguro di godervi i vostri ultimi giorni in pace- si accomiatò l’Assassino.
Réginald Chevalier alzò appena la mano: -Addio, signori. E se fermerete quei due, ve ne sarò grato in eterno- disse, ricambiando il saluto.
Gerard e Philippe ripercorsero il tragitto di prima, sempre prestando la massima attenzione, e in silenzio lasciarono la villa del Templare. Ora dovevano tornare il prima possibile a Parigi.
 
-Ecco spiegato il loro accanimento nei tuoi confronti!- esclamò Laurent, una volta che i suoi colleghi ebbero terminato il loro racconto.
Gerard annuì: -Per sicurezza manderemo un nostro agente a controllare Chevalier, ma dubito che il vecchio abbia intenzioni di farci qualche scherzo.-
-Ora, però, dobbiamo avvertire il Concilio che la Beauchesne e Marchand conoscono i dettagli dell’incontro con mademoiselle Vico. E non ne saranno felici- intervenne Philippe.
-Andrò io. Dopotutto, questa missione è una mia responsabilità e se dovrò affrontarne le conseguenze, così sia- dichiarò Arno in tono serio.
Philippe gli si avvicinò e gli mise un braccio intorno al collo con fare amichevole: -Eh no, ci siamo dentro tutti e quattro ormai! Se si devono incazzare con te, dovranno vedersela con tutti noi!-
Anche Gerard e Laurent si unirono a loro: -E se Beylier e Quemar minacciano di espellerti un’altra volta, giuro che li prendo a cazzotti!- minacciò scherzosamente il primo.
-Noi saremo sempre dalla tua parte, Arno. Non dimenticarlo mai- aggiunse il secondo.
Arno si sentì commosso dall’affetto dei suoi amici. Ricambiò con calore il loro abbraccio collettivo e li ringraziò uno ad uno per la loro amicizia.
Di nuovo al completo, la “Banda delle Baguettes” si preparò a lasciare la cattedrale di Notre Dame. Prima di andare, tuttavia, Arno diede un’ultima occhiata all’anello di Versailles: se lo portò alle labbra e gli diede un bacio leggero, per poi infilarselo nella tasca interna della giacca.
“Spero che tu stia bene, Madeleine. Un giorno ti troverò e saremo di nuovo insieme, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia” pensò speranzoso Arno.
 
*****
Stava ormai calando la sera e gli unici rumori che si udivano erano lo scrosciare della pioggia e, in lontananza, il feroce mugghiare dell’oceano.
Madeleine aveva perso il conto di quanti giorni aveva viaggiato. Sei? Forse sette? Non aveva importanza, l’unico suo pensiero era allontanarsi il più possibile da Parigi.
Aveva camminato senza sosta verso ovest, qualche volta era riuscita a trovare un passaggio su un carro, ma aveva sempre evitato di dare confidenze a eventuali interlocutori. Anche le poche volte che aveva preso alloggio in una locanda parlava il meno possibile, e sbarrava sempre la porta della camera con una sedia nel timore che qualcuno volesse farle del male.
Erano anni che non rivedeva più la Bretagna, ma il suo cuore non era felice. Anzi, in quei giorni aveva provato solo sensazioni negative: paura, rimorso, tristezza. E dolore, tanto sentimentale quanto fisico: i piedi le facevano male dalla mattina alla sera, per via delle lunghe camminate, e più di una volta aveva provato una fastidiosa sensazione di nausea.
La giovane rabbrividì violentemente. La pioggia sembrava perseguitarla ormai da giorni, tanto che non aveva una parte del corpo asciutta: i piedi erano infradiciati, nonostante gli stivali, e le dita delle mani sembravano pezzi di ghiaccio; i capelli, a causa dell'umidità costante, erano una nuvola ingarbugliata, e l'abito di ricambio era ancora fradicio nonostante l'avesse cambiato due giorni prima.
Madeleine doveva assolutamente trovare un luogo asciutto e concedersi qualche giorno di riposo, a discapito dei suoi timori. L'alternativa era morire di freddo o fame, o entrambi.
Si strinse nel mantello nel vano tentativo di scaldarsi, quand'ecco che davanti a lei intravide delle luci soffuse. Sebbene camminasse male a causa dei piedi ghiacciati, Madeleine fece quell'ultima fatica e giunse finalmente alle porte di un villaggio non troppo distante dal mare.
Si appoggiò a un muro, colta da un giramento di testa. A causa del maltempo non c'era nessuno in giro, ma le luci provenienti dalle finestre indicavano che il villaggio era abitato. Si schermò gli occhi dalla pioggia e, poco lontano da sé, notò un grande edificio con un'insegna sopra la porta dal quale proveniva il suono di un violino: una locanda.
Madeleine avrebbe voluto considerare più opzioni, ma i giramenti di testa stavano diventando più frequenti. Controllò quanti soldi avesse e, dopo un respiro profondo, si incamminò faticosamente verso la locanda.
 
Un forte odore di sidro e di carne arrosto diede il benvenuto alla bretone, provocandole un brontolio di stomaco. C'erano pochi avventori, che chiacchieravano amichevolmente fra di loro fino a poco prima del suo ingresso: ora, infatti, erano intenti a osservarla.
Madeleine abbassò lo sguardo, sperando di venire ignorata, ma i suoi passi incerti verso il bancone non fecero altro che attirare ulteriormente l'attenzione su di lei.
Si appoggiò malamente alla superficie lignea del banco: la vista si stava annebbiando, impedendole di vedere con chiarezza i dintorni; il respiro si era fatto più affannato a causa della stanchezza e dell'ansia nascente; si sentiva tremare dalla testa ai piedi, temendo di essere caduta dalla padella alla brace.
"Dio mio..." stava pensando, quando al suo fianco udì una voce profonda.
-Tutto bene?- chiese il vocione.
Madeleine alzò la testa nel vano tentativo di identificare il suo interlocutore, ma davanti a sé non vide altro che una coltre nera.
-...aiuto- sussurrò debolmente, prima di perdere i sensi.
   
 
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