Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Cida    15/06/2022    11 recensioni
[BodyOfProof!AU]
Quando il detective Overland decide di tornare a casa, il medico legale Bleket non ne è particolarmente felice, soprattutto perché alcuni misteriosi omicidi li costringono ad essere a stretto contatto. Ferite mai rimarginate tornano a sanguinare, mentre un nuovo tipo di giustizia si fa largo in città.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Kristoff
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

 

Aprire gli occhi non modifica le sue percezioni: era al buio prima, rimane al buio adesso. Non ha importanza quanto possano essere forti i suoi muscoli, i lacci che le legano i polsi e le caviglie sono troppo stretti, non riesce a liberarsene. Prova a divincolarsi nuovamente ma, dopo aver sbattuto sul metallo dove è sdraiata da chissà quanto tempo, ritorna esattamente dove prima, non si sposta di un millimetro. Ottiene una cosa soltanto: dolore.
E’ quando gli occhi si abituano all’oscurità, da sempre fida compagna ma ora trasformata in perfida traditrice, che le sembra di scorgere un movimento attorno a lei. Se trattiene il respiro può quasi sentire il fruscio dei movimenti di qualcosa, qualcuno.
«Chi sei?» ringhia a denti stretti «Cosa vuoi da me?»
Non le arrivano risposte.
«Parla, lo so che sei qui» gli intima, è una predatrice, la parte della vittima non le si addice, nemmeno in quel momento.
«Lasciami andare, se ci tieni alla vita» lo minaccia, scoprendo i denti come una bestia famelica «Tu non sai chi sono io»
«Oh sì che lo so, mostro»
Una voce profonda arriva alle sue orecchie, è più vicino di quanto si aspettasse ma sembra vestito di oscurità stessa e, per quanto la sua vista sia sempre stata acuta, non lo vede.
«Che cosa vuoi da me?» ripete.
«Io non voglio niente: non le vedi le ombre, sciocca? E’ l’inferno stesso che ti reclama»
«L’inferno?» ghigna «Prenderà anche te se mi ucciderai»
«Colpe su di me non cadranno, saranno le tue stesse paure ad ucciderti, bestia»
Una mano guantata le stringe la mandibola per aprirle la bocca. Quel pazzo, chiunque egli sia, non la conosce affatto: muove di scatto la testa e si divincola dalla presa, quasi lo morde con i suoi denti affilati «Le mie paure?» sputa rabbiosa «Io non ho paura di niente»
«Se serve raccontarti queste sporche menzogne accomodati pure: che tu tema i proiettili o l’affondo di una lama nella carne, a me non importa»
A quelle parole deglutisce, il battito accelera e il fiato si fa istintivamente più corto.
Non lo può vedere ma il ghigno di compiacimento sul volto dell’altro lo avverte lo stesso. Le narici si dilatano e gli occhi si spalancano, riprende la sua lotta per la libertà, ancora una volta invano.
«Stai per morire, vedo che l’hai capito»
Un panno le viene posato con forza sul viso e un odore dolciastro invade le sue narici. 
E’ questione di pochi minuti, ogni sua difesa crolla. Non c’è alcuna resistenza quando le viene aperta con forza la bocca ed una cannula viene inserita rudemente nella sua gola. Le mani che la stringono sembrano improvvisamente quattro, sei, otto, come le zampe di un raccapricciante ragno grondante oscurità. Se solo ci fosse la possibilità di allentare ciò che la costringe, quel maledetto sarebbe già a terra con il collo spezzato. Come diavolo c’è finita lì? Neanche lo ricorda. E’ in quel momento che le palpebre si abbassano, il buio le invade la mente ed è proprio da lì che l’incubo comincia.

§

Jackson spense il fon e si passò una mano fra i capelli, per constatare che fossero asciutti. Diede un’occhiata allo specchio e sbuffò: erano passati ormai molti giorni dal ritrovamento del cadavere di John Lionheart e non avevano fatto alcun progresso. Il biglietto consegnato da Robert Locksley non aveva portato a nulla: le uniche impronte rilevate erano le sue. Non era stato inviato tramite il servizio postale, qualcuno doveva averlo consegnato a mano, con tutta probabilità poco dopo aver sistemato il corpo, dato che l’uomo - a detta sua - aveva controllato la posta solo il giorno seguente. Gli esami sulla carta di giornale e sulla colla usata avevano dato risultati inconcludenti: era una pista morta. Nessuno aveva visto niente, non c’erano telecamere in zona: il nulla profondo.
Con l’approvazione di Richard, stavano riuscendo a tenere a bada la stampa e la notizia del probabile giustiziere ancora non era arrivata al grande pubblico. Era anche vero che nessun caso analogo si era ripresentato, causando un certo scetticismo sulla veridicità di quel biglietto ma in molti erano piuttosto sicuri sarebbe successo di nuovo, era solo questione di tempo. Dal canto suo, cercava di dare la giusta rilevanza ad ogni scenario possibile.
John era odiato da molti per la sua supponenza, le sue angherie e, non da meno, per il caso Fitzwater. Robert, tuttavia, non sembrava davvero essere un tipo in grado di uccidere a sangue freddo. Si era domandato persino se potesse essere il caso di fare due chiacchiere con il suo analista ma Robert aveva un alibi, non sarebbe mai riuscito ad ottenere un’autorizzazione ufficiale.
Lo stesso Richard era nella lista dei possibili sospetti perché liberarsi del pesante fardello Prince Johnny avrebbe giovato sia all’immagine dell’azienda che al suo capitale sperperato per tenerlo lontano. Nonostante tutto, però, il padrone delle Lionheart Industries sembrava veramente avere a cuore i desideri di quella madre perduta e anche lui aveva un alibi ben solido. Certo, non avrebbe avuto problemi a pagare qualcuno che lo facesse al posto suo ma, ancora una volta, con semplici ipotesi non si poteva indagare oltre: c’era bisogno di avere almeno una piccola prova a favore di quella tesi e, al momento, ne erano sprovvisti. Soprattutto sarebbe stato quanto mai sciocco indisporre
sulla base del nulla qualcuno che, fino a quel momento, si era rivelato il massimo della collaborazione.
Inoltre, in quella morte sembrava ci fosse qualcosa che andava ben al di là di una vendetta personale o l’intenzione di liberarsi di una palla al piede. Il primo caso avrebbe, con tutta probabilità, scatenato una reazione violenta, dettata dalla rabbia, con sangue dappertutto. Il secondo sarebbe stato più da una cosa rapida e pulita, come solo un colpo di pistola silenziato di un sicario avrebbe saputo essere. Nel decidere di far morire qualcuno di paura, invece, c’era qualcosa di maniacale, una sorta di elevazione personale al potere di un giustiziere divino.
Finì di tamponarsi con l’asciugamano, si spruzzò un po’ di profumo e si spostò in camera da letto per vestirsi, riprendendo le sue macchinazioni.
I numeri sconosciuti recuperati da Rapunzel si erano rivelati collegati a cellulari usa e getta, probabilmente il metodo di contatto con i pusher di John che gli fornivano la cocaina e chissà che altro. Kristoff aveva allertato un suo collaboratore, un piccolo ladruncolo dei bassifondi, per capire se almeno lui avesse avuto modo di recuperare qualche informazione non raggiungibile tramite canali ufficiali. Anche perché la fenilciclidina, chiunque fosse questo misterioso giustiziere, da qualche parte se la doveva pur procurare.
Scosse la testa e s’impose di non pensarci più, decidendo di concentrarsi sull’inaspettato invito a cena di quella sera. Gli era stato detto di mettersi comodo, per cui optò per un paio di jeans marroni e una morbida felpa blu con cappuccio. Indossò la giacca e si mise le scarpe. I presenti che aveva acquistato per l’occasione erano già ad attenderli in auto, prese le chiavi ed uscì.

§

«Sai» buttò lì Anna, dopo aver controllato il livello di cottura dell’arrosto nel forno «Abbiamo avuto problemi con una delle auto in questi giorni, così Kriss ha avuto bisogno di un passaggio per andare al lavoro l’altra mattina e, sì, insomma: ho finalmente visto Jack»
Elsa smise di mescolare l’insalata «E allora?» chiese, guardandola poi con le labbra tirate: se conosceva anche solo un minimo sua sorella, già sapeva che quella conversazione sarebbe andata in una direzione che non avrebbe coinciso affatto con la sua.
«E allora niente» le fece il verso Anna, decidendo saggiamente di incaricarsi del compito di affettare il pane «Abbiamo un po’ parlato, mi sembra sempre il solito nonostante siano passati anni. Anche se, bisogna ammetterlo, se li porta egregiamente. Con quei capelli è così affascinante»
«Ehi, guarda che sono qui, eh!» borbottò Kristoff, passandole accanto con una pila di piatti fra le mani.
«Lo so, tesoro» gli rispose lei, lanciandogli un bacino ruffiano. Lo vide scuotere la testa e proseguire verso la sala da pranzo.
Elsa si mosse verso uno dei cassetti della cucina «Io non so dove tu voglia andare a parare» disse, aprendolo «Anzi, lo so benissimo e gradirei non lo facessi»
«Alle posate ci penso io, grazie» l’anticipò l’altra, spostandola appena con un tocco di fianchi, intenzionata più che mai a tenerla lontana dai coltelli e dallo scoprire un altro piccolo particolare.
Momentaneamente privata di qualsiasi tipo di attività, la maggiore incrociò le braccia al petto «E comunque non mi sembra che Jack ti sia mai piaciuto. Lo chiamavi l’idiota, talvolta anche in sua presenza»
«Questo non c’entra nulla» iniziò a spiegare Anna, passando le stoviglie al marito «Lui era il tuo ragazzo e io tua sorella, ti portava via da me: era intrinseco che non potessimo andare d’accordo. Nemici naturali, capisci?» prese, poi, un cavatappi e cominciò ad aprire una bottiglia di rosso «Ma non ero cieca da non vedere quanto lui ti rendesse felice»
Elsa mise a tacere quella fitta fastidiosa che aveva cominciato a pungolarle il petto, soffocandola con un sorriso ironico «Tu sei priva di ogni logica, te l’hanno mai detto?»
La minore sorrise e la guardò dritta negli occhi «Indovina? I sentimenti non hanno logica. Vino?»
Stava per declinare l’offerta data la cena imminente, quando i fari di un’auto illuminarono il vialetto d’ingresso «Aspetti qualcuno?» ma, ancor prima di aver finito di pronunciare quella frase, una terribile consapevolezza si fece largo dentro di lei e, solo allora, il ricordo di cinque piatti nelle mani del cognato si stampò nella sua mente «Non puoi averlo fatto» disse, mentre il timer annunciava la cottura della carne.
«E invece sì» la sfidò l’altra, aprendo il forno: un invitante profumo si sparse per tutta la cucina.
«Non ci credo» quasi boccheggiò «E tu le hai dato corda!» rimproverò il cognato che le aveva appena raggiunte per prendere le ultime cose.
«Perdonami, Elsa» le disse dispiaciuto, mentre rubava un pezzo di carota direttamente dall’insalatiera per portarsela alla bocca «Ma, lo sai, lei ha accesso a tutto quello che mangio e bevo» spiegò, dando poi un bacio sulla guancia della moglie.
Proprio in quel momento, il campanello d’ingresso suonò.
«Vado io!» urlò Freja, alzandosi di colpo dal grande tappeto su cui stava giocando con il suo pupazzo preferito.
«Voi me la pagherete» sibilò Elsa a denti stretti «Dammi quel vino»

§

Nel raggiungere la porta d’ingresso, Jackson già constatò dall’esterno come Anna e Kristoff avessero davvero una bella casa dal sapore rustico e familiare. Il suo compagno di squadra aveva un buono stipendio, quasi quanto il suo, ma senza il contributo della famiglia Bleket era ragionevolmente sicuro che non si sarebbe potuto permettere un’abitazione come quella. I Bleket erano sempre stati più che benestanti e la tragedia della morte di Agnar e Iduna aveva reso le ragazze le uniche fruitrici del loro patrimonio. Gli Overland, invece, non erano mai stati ricchi, anzi, avevano avuto momenti davvero bui. Per questo ben si ricordava le occhiate sprezzanti di Runeard quando andava a prendere la nipote, come se sospettasse che il suo interesse per lei fosse mosso da ben precise motivazioni, che poco avevano a che fare con il cuore ma tanto con il cavallo dei pantaloni e le sue tasche.
In verità, a Jackson dei soldi non era mai importato nulla perché non era di certo la ricchezza di una persona a definirne la qualità e lui, Elsa, l’avrebbe amata anche vestita di soli stracci.
Si ricordava ancora nitidamente, come se fosse accaduto il giorno prima, di quando si era buttata fra le sue braccia disperata, mentre supplicava il cielo di prendersi tutte quelle stupide ricchezze pur di riavere al fianco i genitori. Allora non poteva saperlo ma quello sarebbe stato l’inizio della fine della loro storia. Era piuttosto sicuro che il vecchio, una volta saputo della loro rottura, avesse stappato una delle sue bottiglie migliori. Di riflesso, strinse la mano attorno al collo di quella che aveva in mano in quel momento, fredda al punto giusto. Scosse il capo e deglutì, come per scacciare quella malinconia che gli era salita come un nodo alla gola e suonò.
Fu così che sentì uno strillo agitato e un gran trambusto. Un attimo dopo, la porta gli si spalancò davanti, mostrandogli una bambina di cinque anni con delle deliziose treccine bionde e grandi occhi nocciola «Tu devi essere Freja, giusto?» vedendola come imbambolata, decise di rompere il ghiaccio.
La vide annuire ma senza emettere alcun suono «Io sono Jackson, il collega di papà. Ma tu puoi chiamarmi Jack» continuò, facendole l’occhiolino e abbassandosi un poco «Ho qui un regalino per te» le disse, porgendole il peluche di un coniglietto bianco, con legato al collo un bel nastro azzurro.
Freja represse a stento uno squittio di gioia «Ma è bellissimo! Sono sicura che andrà d’accordissimo con Olaf»
«Con Olaf?» chiese lui, inarcando appena un sopracciglio.
La piccola annuì «E’ il mio migliore amico, me lo ha regalato zia Elsa: è un pupazzo di neve»
Jackson sorrise, era una cosa così da lei «Sono certo che il Signor Bunny[1] lo adorerà»
«Se non lo fai entrare sarà lui a diventare un pupazzo di neve» li raggiunse Kristoff con un sorriso «Prego, accomodati»
«Grazie, non ci tenevo proprio a diventare come Jack Frost[2]»
La bimba rise e si fece da parte ma, non appena vide la sua intenzione di entrare senza eseguire un passaggio fondamentalmente, lo bloccò «Jack! Non si entra con le scarpe sporche in casa» lo redarguì come se fosse il suo fratellino minore «Spero che i tuoi piedi non puzzino»
«Freja!» la riprese il padre, visibilmente in imbarazzo «Ma cosa dici?»
L’altro gli fece segno di non preoccuparsi e si levò le scarpe senza protestare «I miei piedi sono pulitissimi, ho fatto la doccia prima di uscire e messo delle calze pulite. Vuoi sentire?» le rispose, alzando appena una gamba.
Kristoff tirò indietro la figlia giusto per un soffio «Ok, ti do un paio di ciabatte ma nessuno annuserà i piedi di nessuno, chiaro?»
«Chiaro» concesse Jack, regalando alla piccola un altro occhiolino che ebbe il potere di farla arrossire e nascondere dietro le gambe del padre. «Ho portato questa» disse poi, mostrando la bottiglia che aveva in mano «Al momento è in temperatura, ma sarebbe meglio metterla in frigo per dopo»
«Portala pure in cucina, è di là» gli disse, indicandogli la direzione giusta «Intanto dammi la giacca»
Annuì e fece come gli era stato detto. «Anna, ciao!» esordì, entrando nella stanza «Ho pensato di portare un po’ di vi…» si bloccò nel vedere due occhi glaciali puntati su di sé. Indossava un dolcevita bianco e un paio di pantaloni aderenti neri. Aveva i capelli legati in una morbida treccia posata su una spalla, come spesso li portava quando era ragazza. S’impose di non pensare all’innumerevole quantità di volte che aveva disfatto quell’acconciatura «Ci sei anche tu» constatò, preso completamente in contropiede.
«Così pare» disse lei senza entusiasmo, dando un sorso al suo calice di vino rosso.
«Grazie, Jack» intervenne Anna, prendendogli la bottiglia di mano. Anche lei portava i capelli ramati legati ma di trecce ne aveva due, a specchio di quelle della figlia, e indossava una maglia nera oversize con dei leggings color senape.
«E’ da bere con il dolce…» le fece presente, ma improvvisamente si rese conto di non sapere se fosse o meno previsto per la serata. Perché non aveva comprato anche quello?
«L’ho preso io» disse Elsa, mettendo un freno al suo disagio «Lo faremo bastare per tutti, è nel frigo» Perché diavolo lo aveva fatto? Era tutta colpa del vino a stomaco vuoto, ne era certa.
«Dove adesso finirà anche questa bottiglia» mise fine all’imbarazzo la padrona di casa «Jack raggiungi pure Kristoff. Se hai bisogno del bagno usalo pure. Il tempo di finire di sistemare qui e saremo subito da voi»
Lui annuì e andò dal collega nell’altra stanza, ancora totalmente impreparato a quella sorpresa inaspettata. In effetti, forse era meglio andare a rinfrescarsi un po’. D’altra parte era risaputo: gli sbalzi di temperatura fra esterno ed interno, potevano essere letali.
Quando l’ospite si fu allontanato quel tanto che bastava per essere fuori portata d’orecchie, Freja irruppe in cucina con Olaf sottobraccio da una parte e il Signor Bunny dall’altra «Se la zia non lo vuole, me lo prendo io» sentenziò, prima di sparire così come era venuta.
Ad Anna per poco non scappò il coltello dell’arrosto di mano. Alzò gli occhi in quelli della sorella, rossa in viso tanto quanto lei «Riempilo» le disse, porgendole il proprio bicchiere «A quanto pare ne avrò bisogno anche io»

 §

A differenza delle terribili aspettative iniziali, la serata si era poi svolta in una maniera tutto sommato piacevole. Nella diabolicità del suo piano, sua sorella aveva almeno avuto il buon gusto di lasciare anche Jack all’oscuro di tutto. Così, soprattutto grazie alle richieste di attenzione costanti di Freja, non era riuscito a concentrarsi troppo su di lei. Mentre, sul bordo del proprio letto di quello che era il suo appartamento, finiva di far assorbire la crema sulle mani, Elsa decise che era proprio il caso di fare un bel regalo alla nipote.
Nel ripensare all’immediata complicità che si era instaurata fra i due, un sorriso spontaneo le era salito sulle labbra ma, non appena se ne era resa conto, lo aveva cancellato riportandole in una rigida linea dritta.
Non le era sfuggita l’occhiata fugace che Anna le aveva rivolto subito dopo essersi complimentata con lui per la sua capacità di intrattenere i bambini. I figli erano una porta sul futuro e lei viveva troppo nel passato per anche solo immaginare di vedersi come madre. Voleva molto bene a Freja e adorava passare del tempo con lei ma era sicura che il ghiaccio, di cui si era rivestito il suo cuore dopo la morte dei genitori, le avrebbe impedito di provare quell’amore così necessario ad ogni famiglia. Famiglia che, di certo, non avrebbe costruito con Jack: pensò, mentre trovava rifugio fra le coperte. Lui aveva tradito la sua fiducia e l’aveva fatto nel momento in cui era più vulnerabile. Questo Anna lo sapeva benissimo. Certi tipi di ferite non avevano capacità di cicatrizzazione, ancor meno per un cuore che si era cristallizzato in una miriade di piccoli pezzi: gelati, appuntiti, affilati. Non poteva più permettersi di gonfiarlo con un sentimento travolgente come l’amore, quelle lame di ghiaccio l’avrebbero ferita ancora e ancora.
Eppure, poco prima di addormentarsi, i pensieri scivolarono nelle fitte foreste del subconscio e arrivarono al cospetto di un cassetto ben chiuso. Al cui interno si nascondevano un’infinita quantità di ricordi, fatti di risate, scherzi, sfide, abbracci, baci e sospiri d’amore. La chiave, però, sembrava sparita o accuratamente nascosta in un luogo dimenticato. Quello che Elsa non sapeva era che quella chiave, nel buio in cui era stata rinchiusa, proprio grazie a quella patina di ghiaccio che le si era formata sopra, risplendeva più che mai, in paziente attesa di essere ritrovata.
Quando un nuovo sorriso le spuntò sulle labbra, dormiva già così profondamente che – questa volta - la sua ragione non ebbe la possibilità di spegnerlo.

 §

Non erano nemmeno le sei quando il cellulare di Jane aveva cominciato a vibrare all’impazzata, dal comodino su cui era appoggiato. Le ci era voluto un momento per mettere a fuoco la situazione e, quando finalmente aveva risposto, la sua voce non era delle più attente. Erano bastate, però, poche parole per farla scattare seduta e prendere lucidità. Una volta fornita la sua disponibilità a raggiungere al più presto il luogo indicato, aveva riattaccato scoprendo che, nel frattempo, Elsa le aveva già mandato due messaggi. Aveva scosso la testa, chiedendosi se il suo capo dormisse come i comuni mortali o fosse una sorta di spirito che non aveva bisogno di riposare. Aveva appena finito di lavarsi i denti che un altro messaggio l’aveva avvisata di come già la stesse aspettando fuori dal portone. Si era infilata la giacca, aveva recuperato al volo la borsa con la sua attrezzatura e l’aveva raggiunta.
Non si erano scambiate il buongiorno, per ovvie ragioni, ma aveva cercato di salutarla comunque con un sorriso, intenzionata più che mai a tenere fuori dalla sua vita la drammaticità del loro lavoro. Lei, come al solito, le aveva risposto con un tiepido cenno del capo.
Elsa non era la più calorosa delle persone, anzi tutto il contrario. Era un tipo esigente, talvolta rigido, perché si aspettava dai suoi collaboratori la stessa attenzione che lei riversava nel suo lavoro. In verità, amava averla come capo perché, sì, pretendeva il massimo da tutti ma ancor più lo pretendeva da se stessa. Inoltre, dietro a tutta quella freddezza si nascondeva una persona davvero gentile, così come testimoniava il cioccolatino ripieno al caffè che le aveva appena porto. Quello sarebbe stata la loro unica fonte di energia, almeno per un po’.
La destinazione di quel giorno era piuttosto insolita, perciò fu con una strana inquietudine che parcheggiarono davanti alla grossa biglietteria, al momento chiusa, dello zoo della città.
La polizia aveva già messo in sicurezza tutta l’area e un paio di agenti vennero loro incontro per scortarle dove Jackson e Kristoff erano al lavoro, assieme all’equipe della scientifica.
Il corpo era adagiato proprio di fronte alla gabbia dei gorilla, i quali si muovevano agitati per via di tutto quel trambusto. Non ebbe bisogno di vedere l’espressione corrucciata di Elsa per comprendere che stavano pensando la stessa cosa: quella donna, perché di una donna si trattava, era messa nella stessa posizione di John Lionheart. Scattò la prima serie di foto: la vittima era alta e, nonostante i vestiti, ben si percepiva la potenza del suo fisico. I capelli erano corti e ossigenati, il che faceva risaltare maggiormente la sua carnagione scura. Inaspettatamente, Elsa si concentrò subito sugli occhi, ne alzò le palpebre e le fece immortalare quei lattiginosi occhi verdi, fissi in un’espressione talmente sgomenta da scuoterla nel profondo. Come previsto, sia le caviglie che i polsi presentavano ancora una volta delle escoriazioni ma un altro particolare le fece allarmare: sul dorso delle mani aveva tatuate tante piccole macchie e, a giudicare da quelle che aveva anche sulla nuca, probabilmente le ricoprivano tutta la parte posteriore del corpo.
«E’ una leopard…» aveva sussurrato l’altra, riadagiando il braccio sul gelido pavimento.
Le aveva appena schiuso le labbra, rivelando una dentatura accuratamente limata a sembianza di quella di una bestia feroce che Kristoff andò loro incontro, con un tablet stretto nella mano «Non è una leopard qualsiasi. E’ Sabor, la loro leader indiscussa» mostrò loro lo schermo su cui spiccava una foto segnaletica della vittima.
«Chi l’ha trovata?» chiese Elsa, rialzandosi in piedi.
L’altro le fece un cenno del capo, mostrando due uomini intenti a parlare con Jackson. Il più giovane sembrava decisamente il più scosso, il secondo invece era più scocciato che altro «Loro: John Greystoke e William Clayton, rispettivamente zoologo esperto in primati e guardiano. Lavorano entrambi per lo zoo»
Non era difficile immaginarsi a chi dei due fosse associata la vittima.
John doveva avere più o meno la stessa età di Jane, o forse qualche anno in più, i suoi capelli castani erano lunghi e molto mossi. Era decisamente un tipo atletico e superava Jack di ben mezza testa.
William, invece, doveva aggirarsi più attorno ai sessanta ma tutto nel suo aspetto era impeccabile: dai capelli e baffi curati, alla forma fisica che sembrava invidiabile per la sua età. Non si avvicinava granché all’immaginario comune nei confronti della figura del custode.
Vide Jackson scambiare con loro ancora qualche parola, dare una piccola pacca sulla spalla del più giovane e indirizzarli verso un paio di altri agenti.
Quando venne loro incontro, la sua espressione era tetra: solo allora Elsa si accorse che, in una mano, teneva stretto un piccolo sacchetto di plastica trasparente, a protezione di un nuovo cartoncino «A quanto pare abbiamo un altro regalo» sentenziò, confermando una volta per tutte quello che già sospettavano «Ha ufficialmente colpito ancora»


Come al solito grazie per aver letto sino a qui, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Abbiamo visto il giustiziere in azione ma la sua identità rimane ancora misteriosa (sì, ci sono indizi), avevate intuito che poteva trattarsi di Sabor prima di scoprirlo sul finale?
Invece, immagino la presenza di Tarzan non vi abbia stupito più di tanto, dato che avevamo già Jane con noi ;)
Tuttavia vista l'ambientazione più moderna, Tarzan non mi sembrava un nome particolarmente indicato, ho perciò scelto il suo nome letterario, togliendo il Clayton che è rimasto a William Clayton della pellicola animata che ricalca proprio lo stesso personaggio, solo un pelino più vecchio ma non meno in forma... meno avido e s*****o? Ai posteri l'ardua scoperta.
Come la vita malavitosa di questa capo-banda abbia influito su quella del giovane John (ammazza, quanti John) lo scoprirete nel prossimo capitolo. 
Abbiamo anche avuto il primo incontro fra Freja e Jack ed è stato subito un crepitio di faville *-*
Anna, al solito, confabula dalle retrovie nel modo più subdolo, con l'aiuto del marito che ci tiene a non finire avvelenato XD E si riconferma una Jelsa fan anche se non da subito hihihi
Cominciamo, inoltre, ad avere un primo punto di vista di Jack sul passato e a scoprire qualcosina di più sul perché Elsa ce l'abbia tanto con lui, anche se... 
Come sempre, i vari riferimenti al canon e i piccoli Easter Egg (ad esempio: il vestirario comodo scelto da Jack, la ricchezza della famiglia di Elsa e Anna, Kristoff che ruba le carote, Olaf, il legame con i gorilla per Tarzan ecc...) sono assolutamente voluti ;)
Chi si azzarda ad indovinare chi può essere l'attualmente ancora misterioso informatore di Kristoff?
Grazie di cuore a chi segue questa storia, a chi ha deciso di listarla e a chi ha il piacere di lasciarmi le sue impressioni.
Alla prossima
Cida

[1] Autocitazione da Seasons, dove il Signor Bunny è la creatura di neve con cui Jack interagisce con Elsa e utilizza, poi, in un altro modo per conquistare Freja. Per chi non ha letto non vado nei dettagli per evitare spoiler, chi ha letto già sa. Il coniglietto di neve, inoltre, era già un omaggio al modo in cui Jack riesce a farsi vedere da Jamie nel film originale. Sempre da quella storia, viene l'assoluto legame di amicizia fra Freja e Olaf.

[2]Il Jack Frost a cui si riferisce Jack è quello della storia che, nella nostra realtà, ha dato vita al film del 1998 dove lo spirito di una padre, morto in un incidente d'auto, si trasferisce in un pupazzo di neve per stare accanto al figlio che non aveva particolarmente seguito quando era in vita. Ma considerando, ovviamente, di che Jack stiamo parlando in questa storia, il gioco è duplice ;)

  
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