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Autore: stilesinskii_98    18/06/2022    0 recensioni
La linea tra la vita e la morte può essere sottile come un filo da pesca, i limiti rischiano di essere superati con estrema facilità senza neanche rendersene conto, mescolare le due cose con un goccio di magia può stravolgere più di una vita.
Genere: Fantasy, Noir, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La voce in sottofondo era lontana, le sembrava di essere chiusa in una bolla e percepiva un ronzio, un fischio continuo nelle orecchie, quasi come se una bomba le fosse esplosa a dieci metri. Una mano le si posò su una spalla facendola tornare sull'erba fradicia d'acqua piovana, le sembrò quasi di essere ripiombata nel proprio corpo, in quei vestiti talmente impregnati che sembravano far parte della sua pelle. Veronica strizzò gli occhi facendo scivolare lungo il viso due grosse lacrime che si mischiarono all'acqua piovana, riuscì a mettere a fuoco quello che aveva davanti: una pietra liscia con incise poche parole con caratteri semplici. "QUI GIACE EDWARD BLACKMASTER 1994-2009". "Andiamo via, finirai per prenderti un malanno", una voce delicata sussurrò alle sue spalle, la ragazza si voltò, aveva un alone rosso attorno agli occhi che le metteva in risalto il verde dell'iride. Veronica non disse nulla, si limitò a scrutare per un singolo secondo il volto dell'uomo che le stava di fianco come se stesse cercando di studiare la sua anima, come se si aspettasse una risposta a delle domande che non aveva neanche pronunciato, posò di nuovo lo sguardo sulla lapide prima di dirigersi verso i grandi cancelli color grigio antracite, gli anfibi le sprofondavano nel terreno ad ogni passo, ma forse non erano l'unica cosa che sentiva affondare. L'uomo fece girare la chiave nella toppa dell'auto in totale silenzio, quando la estrasse gli cadde a terra, lo scrosciare dell'acqua coprì il tintinnio, non ricordava una pioggia così da diversi anni ormai. La ragazza si buttò sgraziatamente sul sedile di fianco al guidatore, divenne fradicio in pochi secondi. I capelli biondi erano legati in una treccia che le cadeva su una spalla ed alcune ciocche selvagge le si erano incollate sulle guance rosee, la sua testa era piena quanto vuota, stava pensando a tale velocità che non riusciva ad articolare un qualcosa di anche solo vagamente sensato. La voce gentile di poco prima sovrastò per un momento il rumore del temporale , -"Questa sera mangiamo thailandese, va bene?"-, la ragazza strizzò ancora una volta gli occhi e si voltò verso l'uomo al volante, si era resa conto che le aveva chiesto qualcosa, ma non aveva afferrato nessuna di quelle parole, suo zio sembrava dannatamente tranquillo per la situazione in cui si trovavano. Lo vide sistemarsi gli occhiali rotondi sul naso madido mentre accennava un sorriso. Lei scosse la testa e lui capì che non aveva sentito una singola parola. -"Thailandese. Ti va?" Domandò mettendo in moto, i tergicristalli partirono poco dopo il motore. "Va bene", la sua voce era flebile, strozzata, era come se stesse fermando i singhiozzi. -"Non capisco". Due singole parole, nulla di più uscirono dalle labbra color pesca di Veronica mentre l'auto attraversava l'East River dirigendosi a Manhattan. "Di cosa parli?" le mani dell'uomo si serrarono meglio sul volante, le nocche si sbiancarono. -"Non capisco-" tirò su con il naso e si voltò verso di lui "Non capisco come tu possa essere così- calmo!" La sua voce era quasi stridula, spezzata qua e là da qualche singulto. Lui non disse nulla, lo sguardo fisso sulla strada. -"Edward è morto! Non c'è più, è sotto tre metri di terra!" Urlò ancora battendo un pugno sul cruscotto che si aprì facendo cadere alcune carte, le guardò per una frazione di secondo e poi riprese a parlare asciugandosi le guance con il dorso delle mani che tremavano come foglie. -"Qualcuno lo ha ucciso. Non ti interessa?Chi può voler morto un ragazzino di soli quindici anni? Che cosa può aver fatto per-" le parole le si fermarono in gola, la macchina si era fermata bruscamente nei parcheggi del Morton Williams, l'insegna illuminava il posto, i lampioni ancora non erano accesi. -"Non dire che non mi interessa, per favore, di quello che ti pare, ma non che non mi interessa", gli occhi dell'uomo erano grigi come il cielo, a volte le sembrava che cambiassero con il tempo. "Sto cercando di-" le labbra gli tremavano, erano tutte mordicchiate, forse suo zio non era calmo come dava a credere. -"Non è menefreghismo, Ronnie. Non pensarlo neanche per un istante, sai quanto bene voglia sia a te che a tuo fratello" - la voce barcollava come un uomo ubriaco sul marciapiede dopo una bevuta al bar. -"Mi dispiace..." Sussurrò la ragazza abbassando il capo, sapeva che quelle parole lei non le pensava veramente ed era solo spinta dalla rabbia che nemmeno era rivolta a lui, ma non sentiva di potersi giustificare per quello che aveva appena detto. -"Non hanno rubato nulla, non hanno spostano neanche una singola cosa. Non riesco a capire quale fosse il loro scopo, non riesco- perché pensi che qualcuno possa averlo voluto...?" Non riusciva a dire quella parola nonostante poco prima era volata via dalla sua bocca come cosa di poco conto, forse era stato tutto quel rancore a buttarle fuori ogni singola sillaba. -"Ronnie..." Si strofinò il naso nervosamente, il rossore spiccava sulla sua pelle pallida come la luna nel cielo in una notte buia. -"Ci sono cose che avrei voluto dire tante volte a te ed Edward, ma avevo fatto delle promesse... Una di queste era quella di prendermi cura di voi due"-. Trasalì, lo sguardo fisso sul muro dell'edificio davanti a loro, ma non stava guardando quello, era semplicemente perso nel vuoto, come se non avesse il coraggio di guardarla in faccia mentre parlava, come se gli restasse più semplice non incrociare il suo sguardo. -"A quanto pare ho fallito". Veronica sentì un peso sul petto, voleva dirgli che non era colpa sua, voleva dirgli che non aveva motivo per sentirsi in quel modo, ma le parole le morirono in bocca. -"Dovevo proteggervi, ma non ci sono riuscito. Se solo- se solo non vi avessi impedito di imparare-" -"No! No, questo- non potevi permetterci di imparare, lo hai detto tu stesso una miriade di volte! L'uso della magia ci avrebbe resi rintracciabili". Altre ciocche color oro le ricaddero sulla fronte. -"Lo so". Non aggiunse altro, posò il capo sul poggiatesta del sedile, portò le mani sul volto e lo strofinò un paio di volte, Veronica notò che aveva gli occhi lucidi ed arrossati. -"Quali erano le altre promesse, zio Christopher?" L'uomo impallidì, per quanto la sua pelle potesse impallidire ancora, non prendeva colore neanche quando in estate andavano in vacanza a Long Island durante l'estate e passavano intere giornate a cuocere al sole. -"Non importa, non è rilevante adesso. Andiamo a cenare, si sta facendo tardi". La giovane storse un po' il muso, sentiva che le stava nascondendo qualcosa, "non è rilevante" aveva detto, non gli credeva, ma vedeva il suo volto stressato e non voleva insistere. Dopo aver girato per mezza Manhattan nelle strade poco trafficate di quella serata piovosa ed aver fatto una rapida sosta al ristorante thailandese, dove andavano almeno una volta a settimana, raggiunsero il loro palazzo. Era un edificio vecchio stile, uno di quelli con i mattoni rossi e lunghe scale di ferro che salivano a zigzag lungo tutta la facciata del palazzo. Veronica portò il collo del cappotto di velluto fin sopra la testa prima di scendere dalla macchina ed affondare entrambi i piedi in una pozzanghera, alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente, non importava quante volte le capitasse, avrebbe fatto sempre lo stesso errore di non guardare prima di uscire. Lo zio Christopher prese le buste della cena dal sedile posteriore e corse velocemente a ripararsi sotto la piccola tettoia che copriva la porta del palazzo, aprì e fece entrare per prima sua nipote. Per le scale c'era sempre un fresco odore di lavanda, almeno quando toccava alla signora Jackson o a loro pulire, per quanto riguardava la signora Smith era... Era un'altra storia. La mano della ragazza vagò un momento sul muro di fianco alla porta cercando il pulsante per accendere la luce, "tac", trovato. L'ingresso si illuminò, non che ci fosse chissà che cosa da vedere, la cosa più interessante era probabilmente l'ascensore rotto da cinque anni o forse la sua bici rossa posata contro il muro, (il cavalletto era rotto). -"Penso che mi prenderà un colpo quando quell'affare funzionerà di nuovo"- bofonchiò Christopher chiudendosi la porta alle spalle, Veronica fece un'espressione scettica, -"Beh, suppongo allora che tu non corra alcun rischio, zio", l'uomo sorrise leggermente iniziando a salire le scale, abitavano al quinto piano, non era il massimo quando facevano la spesa e dovevano portare tutto il carico fino all'appartamento. La porta si spalancò su un salotto; si vedeva un divano di finta pelle color marrone capriolo che sovrastava un grande tappeto rosso con innumerevoli ghirigori dorati, c'erano piantine su ogni scaffale, l'unico tipo di magia che ci è concesso, pensò la ragazza ricordando quante volte lo zio aveva preparato a lei ed a suo fratello strani intrugli per ogni sorta di malanno, ironia della sorte starnutì proprio in quel momento. Christopher la guardò posando la busta sull'isola che divideva la cucina dal salotto -"Eucalipto e sambuco?" fece togliendo due porzioni di riso con pollo e curry dalla bustina, lei fece cenno di sì con il capo, intanto si era sfilata il cappotto appendendolo al portabiti di fianco alla porta d'ingresso, si sfilò gli anfibi e li buttò accanto al calorifero. -"Accendi il riscaldamento, fa un freddo cane" aggiunse l'uomo mentre preparava la tavola. Veronica fece come gli aveva detto e poi corse in bagno percorrendo un breve corridoio con quattro porte; tre camere da letto ed un bagno, appunto. Prese un paio di asciugamani, uno se lo buttò su una spalla e l'altro lo tenne in mano per poi consegnarlo allo zio. Entrambi pensavano che la decisione più saggia fosse asciugarsi per bene e poi mangiare, ma allo stesso tempo pareva ad entrambi di non mangiare da tre giorni, d'altra parte non avevano toccato nulla per tutto il giorno, il dolore aveva chiuso lo stomaco ad entrambi, ma a quell'ora i morsi della fame iniziavano a farsi sentire. Si diedero un'asciugata veloce ai capelli ed iniziarono a divorare il riso, era uno dei piatti preferiti di Veronica, per questo la prima cosa che le aveva chiesto una volta in macchina era quella semplicissima domanda che richiamava un po' di spensierata quotidianità. Dopo aver cenato ed aver bevuto l'intruglio entrambi si cambiarono mettendosi dei caldi pigiami, la ragazza decise di buttarsi subito a letto, le palpebre sembravano due macigni, non riusciva a tenere gli occhi aperti, mentre lo zio restò alzato almeno un altro paio d'ore a leggere un libro, Veronica non aveva neanche notato di che si trattasse con esattezza. La giovane si svegliò di scatto, il cuore che le correva come un treno, gli occhi spalancati nel buio della sua stanza, l'unica luce era quella sottile che entrava dalla finestra, il volto era lucido per il sudore, piantò un urlo secco pronunciando un nome: Edward. Christopher raggiunse la camera della nipote a grandi falcate, aveva gli occhi circondati da due aloni neri, la stanchezza gli si leggeva in faccia, ma appena aveva sentito lo strillo era balzato via dal letto come una cavalletta. Di fretta accese la luce ed il suo sguardo si posò subito sulla ragazza, sembrava aver visto un fantasma, il petto saliva e scendeva velocemente, il sudore le schiacciava i capelli contro la fronte. Lo zio si avvicinò delicatamente e si sedette sul bordo del letto, -"È solo un incubo, tranquilla", aveva quel suo tono delicato con cui aveva sempre parlato a lei ed Edward. -"Scusa, non volevo svegliarti, non-" borbottò cercando di tornare in sé. -"Non devi assolutamente preoccuparti per questo... Che hai sognato?" La ragazza deglutì, ripercorreva il sogno. -"Era notte, io ero qui e- ad un certo punto ho sentito un tonfo, rumori di vetri- sono corsa in salotto e-", un brivido le percorse la schiena, gli occhi schizzavano da una parte all'altra della stanza, -"Ho visto... Ho visto Eddie in una chiazz-" - le sue parole si persero tra mille singhiozzi e le lacrime le rigarono il viso, Christopher le diede un abbraccio strettissimo, non l'aveva mai vista così fragile, neanche da piccola. -"Piangi Ronnie, sfogati" bisbigliò, nel suo tono si sentiva il dolore, si sentiva la paura e qualcos'altro che lei non riuscì a distinguere. -"Zio, so che i miei sono molto impegnati"- non li sentiva da anni, le sembrava così assurdo -"Però... Non hanno veramente modo di venire qui per un po'?"- La sua voce usciva soffocata, aveva il volto immerso sulla spalla dell'uomo. Christopher deglutì rumorosamente -"Ronnie lo sai che non possono tornare qui, per farlo dovrebbero usare un portale e per usare un portale serve la magia e la magia-"- Veronica lo interruppe -"Ci rende rintracciabili"- sussurrò anticipando lo zio. Veronica aprì gli occhi, era sveglia, più o meno, non aveva neanche capito cosa stesse guardando, mise a fuoco l'immagine davanti a sé; suo zio Christopher si era addormentato sulla poltrona nell'angolo della sua camera, aveva una copertina grigia posata sulle gambe, avrà sentito freddo tutta la notte, pensò ricordando il freddo che aveva fatto la sera prima, insieme a quello ricordò il suo incubo e il sapore amaro del dolore le salí alla bocca. Poco dopo notò la sveglia sul suo comodino; segnava le 7:45. Si alzò di scatto buttando il piumone color avorio di fianco a sé, prese di fretta un maglione oversize color rosa antico, un paio di pantaloni neri e si avviò verso il bagno per buttarsi dell'acqua fredda sul viso e lavarsi i denti, era sulla soglia della porta quando l'uomo si svegliò stropicciandosi gli occhi, Veronica notò alcune striature di grigio sui capelli d'oro, -"Già sveglia?" Borbottò portando la coperta sulle proprie spalle -"Sono in ritardo a dirla tutta" diede un'altra rapida occhiata alla sveglia: 7:49. Anche gli occhi di Christopher si posarono sulla radiosveglia, che evidentemente nessuno dei due aveva sentito, e si schiarì la voce -"Sicura di voler andare?" Lei fece cenno di sì con la testa, voleva andare perché magari seguire le lezioni l'avrebbe aiutata a non pensare a tutto quello che aveva visto in salotto, stare in quella casa la costringeva a "vedere". Mentre si lavava il viso le scorrevano nella mente alcuni ricordi di lei e suo fratello; ricordava quando stavano giocando nel giardino della loro vecchia casa, lei aveva dieci anni e lui otto, avevano una piscina gonfiabile, il sole splendeva alto nel cielo ed i loro genitori li guardavano dalla veranda. Un lieve sorriso le si dipinse sul volto, ma svanì non appena l'immagine di Edward steso in una pozza di sangue le ritornò in mente, era come stampato all'interno delle sue palpebre. Scosse il capo cercando di scacciare il pensiero, prese la spazzola ed iniziò a passarla sui capelli, le avevano spesso detto che somigliava tanto a suo zio, per esempio avevano lo stesso sorriso gentile e lo stesso modo di arricciare il naso quando qualcosa non andava bene. -"Vuoi che ti accompagni?" Domandò Christopher non appena la ragazza varcò la soglia della cucina, lei gli diede una rapida occhiata, la stanchezza gli si leggeva ancora in faccia, fece cenno di no con la testa e prese il sacchetto che le aveva preparato, (dentro c'era un toast con tanta salsa rosa, uova ed una salsiccia), -"Vado in bici, non ti preoccupare", accennò un sorriso e con lo zaino in spalla uscì dal portone, lo zio l'aveva guardata lasciare l'appartamento con la preoccupazione dipinta sul volto pallido. Mentre scendeva le scale incontrò la signora Jackson, era una signora poco più grande di suo zio, aveva la pelle scura e luminosa, i capelli ricci le circondavano il volto a forma di cuore, era sempre stata gentilissima con i Blackmaster, le rivolse un sorriso apprensivo. -"Ronnie" disse con la sua voce profonda, la ragazza la guardò con aria interrogativa -"Sì?"- la donna si schiarì la voce e le prese una mano con gentilezza - "Mi dispiace tanto per Edward, ti faccio le mie condoglianze" - Veronica sentì l'aria mancarle nei polmoni ed un brivido la fece tremare tutta; era la prima persona che le dava le condoglianze, (il funerale era stato privato), sentire quelle parole rese la scomparsa di suo fratello ancora più reale. Deglutì e fece un cenno con il capo -"Grazie, signora Jackson" - sussurrò cercando di nascondere il dolore. -"Se dovessi avere bisogno di qualcosa basta bussare, vale sia per te che per tuo zio, lo sapete, vero?" - aggiunse lasciando andare la mano della ragazza, lei fece di sì con il capo e sorrise cortesemente -"Grazie ancora"- la donna sospirò -" E lo sai che puoi chiamarmi Maddie, non c'è bisogno di tante formalità" - Veronica si schiarì la voce e scese uno scalino -"Certo, scusa, la forza dell'abitudine... Scusa, ma adesso devo proprio andare"- guardò un attimo l'orologio del suo telefonino, mancavano dieci minuti all'inizio delle lezioni, salutò di fretta e furia la signora Jackson e scese le scale due alla volta raggiungendo la sua bicicletta rossa poggiata all'ingresso. Arrivò appena in tempo, i cancelli si stavano già chiudendo, ma lei sfrecciò dentro passandoci in mezzo, per un pelo non finiva schiacciata, chiuse di fretta il lucchetto della catena antifurto attorno alla bici e corse su per le scale, i corridoi odoravano di tanti diversi profumi, alcuni ragazzi della sua scuola esageravano un po', pensava lei. Arrivò in classe pochi secondi prima dell'insegnante, si mise all'ultimo banco, mentre passava tra i compagni sentì gli sguardi pieni di pietà posarsi sopra di lei, non disse nulla ed in silenzio cacciò un libro dallo zaino nero e consumato. La professoressa aveva notato che la ragazza era entrata all'ultimo momento, ma ignorò la cosa, tutti la trattavano... Diversamente. La donna aveva i capelli castano mogano legati in uno chignon stretto, gli occhi affilati come il viso ed era vestita con un completo formale, giacca e gonna rosso scarlatto con una camicia bianca, aveva un'aria severa, ma non era cattiva, anzi. Veronica si stropicciò gli occhi che subito dopo si posarono sulla lavagna cercando di decifrare quello che aveva scritto, ma era stordita, i continui incubi non le avevano permesso di riposarsi e pochi istanti dopo crollò con la testa sul libro di storia. -"Veronica" - sentiva una voce, le pareva quella di Edward, ma non poteva essere la sua, si disse cercando di svegliarsi, quando alzò lo sguardo vide Evan con i suoi capelli rossi tutti scompigliati sulla testa e gli occhi color caffè che la guardavano con apprensione -"Ronnie?"- lei mugugnò, e poi alzò la testa dal banco, il collo le faceva male ed aveva i segni della carta stropicciata sulla guancia destra. -"Evan... Ciao"- Quando si rese conto di essersi addormentata nel bel mezzo della lezione divenne paonazza, -"Merda, sono crollata"- si sistemò i capelli dietro le orecchie, il ragazzo si sedette sul tavolino spostando il libro -"Non avrai dormito molto ultimamente..."- era un pensiero che gli era sfuggito più che qualcosa che volesse dirle, ma lei confermò con il capo. -"Andiamo alla fontana?"- domandò lui porgendole una mano, lo sguardo della ragazza si posò su quella dell'amico; era liscia come la seta e le dita erano lunghe e sottili, il dorso cosparso di lentiggini color mattone. Prese la mano del ragazzo e non disse nulla, iniziarono a camminare per il lungo corridoio, sentiva tutti vociferare intorno, era quasi certa che stessero parlando di lei e di suo fratello, ma a volte pensava di costruire tutto nella sua mente offuscata. Arrivarono alla fontana dietro la scuola, c'era un'area verde dove di solito i ragazzi andavano all'ora di pranzo per sdraiarsi nel prato, ma dopo la piovuta del giorno prima era quasi deserto. I due si sedettero sulla pietra che circondava la fontana, era umido, ma nessuno dei due sembra fregarsene troppo. -"Sei stata al funerale, vero?"- disse con un filo di voce, era appena percepibile, quasi avesse avuto paura a chiederlo. -"Sì"- la lapide grigia le piombò alla mente, le sembrò quasi di essere di nuovo lì, con i vestiti zuppi e gli occhi rossi. -"Mi dispiace"- -"Evan, ti prego non trattarmi- non trattarmi con pietà, almeno tu.- Sapeva che volevano solo starle vicino, ma sentiva che, a parte suo zio, nessuno sapeva quello che aveva dentro, il macello che quella morte le aveva procurato. -"No è che- scusa, non volevo darti fastidio"- Evan era uno che chiedeva sempre scusa anche quando non doveva, anche quando non aveva fatto nulla di male. Veronica fece un lungo sospiro -"Non intendevo quello, è solo che tutti mi fissano come se- capisco che siano dispiaciuti, ma..."- . Evan le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, aveva degli orecchini a forma di teiera, ricordavano La bella e la bestia, - "O ti senti soffocare dai singhiozzi o lontana anni luce?"- lei fece cenno di sì con il capo. -"Lo so com'è, Ronnie"- bisbigliò. Guardandolo negli occhi sentì come se quelle parole fossero intrise in una storia di dolore, forse la capiva veramente. Conosceva Evan da quando si era trasferita da suo zio a Manhattan, quindi circa sei anni, ai tempi era un bambino con lo sguardo spento e non sorrideva mai, non aveva mai capito il perché, aveva sempre avuto troppa paura per chiederglielo, con il tempo quella cupezza era sparita dal suo sguardo, ma in quell'istante le sembrò di comprendere il motivo di quegli occhi privi di luce. -"Hai perso qualcuno anche tu?"- le parole le fluirono fuori dalla bocca come l'acqua fluiva nell'East River. -"Avevo una sorella, aveva circa dieci anni più di me... Morì in un incidente d'auto."- Veronica alzò lo sguardo verso di lui di colpo, lui sospirò. -"Sai..."- deglutì -"Successe poco prima del tuo arrivo qui"- . La giovane si portò le ginocchia al petto e posò il mento su di esse, posò gli occhi sul prato davanti a loro. -"Non ne sapevo nulla"- pensò ad alta voce. -"Non ne sapevi nulla, ma sei riuscita ad aiutarmi lo stesso"- disse chinandosi a raccogliere una margherita per poi metterla tra i capelli di Veronica. Non ho fatto nulla - il pensiero le si fiondò in testa. -"Non osare pensare di non aver fatto nulla!" Esclamò come se le avesse letto la mente. -"Sai, sarebbe bello se ci fosse un incantesimo per poterli portare indietro, ma Ronnie, non c'è. Prenditi il tuo tempo, tutto il tempo di cui hai bisogno, io sarò qui, sempre".- La ragazza gli avvolse le braccia intorno al collo e lo strinse forte a sé, odorava di dalia e di shampoo fresco, Evan ricambiò l'abbraccio stritolandola un paio di volte. La giornata scolastica era finita, tutti erano tornati a casa, Veronica si era fermata in uno Starbucks vicino casa per prendere una bevanda allo zio, amava ogni sorta di caffè, tea e pasticcino che servivano lì, ma gli piaceva anche provare cose nuove, stava studiando tutto il menù. La ragazza era in fila e per un momento si perse nei suoi pensieri, negli ultimi giorni le capitava di frequente. "Sai, sarebbe bello se ci fosse un incantesimo per poterli portare indietro, ma Ronnie, non c'è", le parole di Evan le rimbombarono in testa, non c'è? Un'idea le balenò in testa, un'idea che un po' la spaventava, un po' le dava adrenalina. E se ci fosse stato un incantesimo per portarlo indietro?
   
 
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