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Autore: Sognatrice_2000    20/06/2022    0 recensioni
[C\\\'era una volta Hollywood]
[C\'era una volta a Hollywood]
La notte del 9 agosto 1969 ha cambiato per sempre la vita di Rick Dalton e Cliff Booth.
Un segreto inaspettato viene alla luce e il legame che li unisce diventa ancora più profondo.
“Questa è la storia che nessuno si prende mai la briga di raccontare, perché l’amicizia non è affascinante o spettacolare come le grandi storie d’amore.
Questa è una bella storia, una bella storia finita male.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Non-con
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Un mese prima -luglio 1969-

 

“Penso che tutta la mia vita sia stata decisa dal destino.”

La stanza dove si stava svolgendo l’intervista era calda e afosa in quel giorno di inizio luglio.

Rick Dalton e Cliff Booth si trovavano in Italia, più precisamente in un lussuoso appartamento a Roma, dove un giornalista li stava intervistando.

Nel prossimo numero della rivista per cui lavorava sarebbe stata pubblicato un articolo sulla star di spaghetti western più in voga in quel periodo e la sua controfigura.

Il giornalista fece domande sui film che Rick aveva girato fino a quel momento, sull’acrobazie eseguite da Cliff sul set, e alla fine sulla loro amicizia, un legame che li univa da dieci anni ormai, e che nonostante gli alti e bassi della vita e della carriera non si era mai spezzato.

“Penso che sia stato il destino a farci incontrare.” Affermò casualmente Cliff aspirando una boccata di fumo dalla sua sigaretta. 

“Dunque lei crede nel destino?” Chiese allora il giornalista.  

“Certo. Tutta la mia vita è stata decisa dal destino. Penso che qualcosa di più potente di noi decida i nostri destini per noi. So una cosa, non ho mai pianificato niente di ciò che mi è successo.* Non avevo affatto pianificato di diventare uno stunt-man, né di incontrare Rick Dalton su quel set dieci anni fa.” 

Cliff sorrise in direzione di Rick, un sorriso caldo e affettuoso. “Ma posso affermare con assoluta certezza che non rimpiango nulla di ciò che il destino aveva in serbo per me. Non rimpiango nulla dei misteriosi piani del destino, che mi hanno portato a conoscere il mio partner.”  

Poco tempo dopo, Rick si sarebbe ritrovato a chiedersi se Cliff avrebbe nuovamente detto quelle parole, se solo avesse saputo cosa il destino aveva in serbo per lui.

 

**

Notte del 9 Agosto 1969

 

 

 

Rick seguì la dottoressa attraverso un lungo corridoio, impaziente di accertarsi con i suoi occhi che Cliff stesse bene. Gli avevano finalmente permesso di vederlo, e tutta la tensione accumulata in quelle ore di attesa minacciava di farlo sciogliere in lacrime di sollievo.

“C-come sta Cliff adesso?” Chiese alla dottoressa, senza nemmeno sforzarsi di nascondere l’ansia nella sua voce.  

Lei si fermò in mezzo al corridoio, e Rick notò con sgomento che lo stava guardando con la stessa strana espressione compassionevole di prima.

Un orribile presentimento iniziò a farsi strada nel suo cervello. “Cliff sta bene? Sta bene, vero? ” La sua voce adesso tremava, mentre gli scenari peggiori gli attraversavano la mente. Perché la dottoressa continuava a fissarlo con quell’aria grave stampata sul volto? 

“Cosa c’è che non va?”

La dottoressa sospirò, mettendogli una mano sul braccio. “Forse è il caso che si sieda un momento. Vuole qualcosa da bere? Magari un caffè…” 

“N-non ho bisogno di nessuno stramaledetto caffè!” La sua voce salì di un paio d’ottave, uscendogli come un grido rabbioso.

Rick non era mai stato un tipo paziente, e l’ansia continuava a crescere dentro di lui ad ogni minuto che passava.   

A quel punto, nel vederlo così turbato, la dottoressa finalmente parlò: “Il signor Booth ha subito un intervento molto complesso… è sicuro che non vuole sedersi?”

Rick aveva troppa paura per riuscire ad arrabbiarsi davvero.

Scosse la testa. “Ho s-solo b-bisogno di sapere come sta Cliff…”  Le sue parole suonavano disperate alle sue stesse orecchie. “S-sarà in grado di tornare a c-camminare come prima? L-lui è uno stunt-man, è il s-suo lavoro, sa? È eccezionale… s-sa fare acrobazie fantastiche, e lo fa con una tale sicurezza, un t-tale coraggio… io sarei morto di paura ta-tante di quelle volte al posto suo…” I suoi occhi brillavano d’orgoglio mentre elogiava le capacità di Cliff. Era così evidente l’affetto di Rick per quell’uomo, l’adorazione e l’ammirazione che provava nei suoi confronti. 

La dottoressa non potè trattenere un sorriso agrodolce. Questo avrebbe reso ancora più difficile ciò che stava per dire.

“M-mi scusi, sto divagando…” Si rese conto Rick un po’ imbarazzato. “La ferita alla ga-gamba è grave? S-sarà in grado d-di tornare a fare il suo lavoro?”

C’era così tanta paura, ma anche così tanta speranza negli occhi di Rick. La dottoressa non voleva essere colei che avrebbe ucciso quella speranza, eppure sapeva che doveva farlo.  

Decise di iniziare dalla parte più facile. “La ferita non era molto profonda, quindi la gamba non subirà danni permanenti. Abbiamo provveduto a steccarla e dovrebbe guarire entro un mese.”

Sul volto di Rick si aprì un ampio sorriso, così sollevato che alla dottoressa si strinse ancora di più il cuore.

“E’-è fantastico! Cristo, avevo così paura… ero così terrorizzato…” Qualche lacrima di gioia sfuggì ai suoi occhi, ma Rick se le asciugò rapidamente con il dorso della mano, sostituendole con un sorriso colmo di genuina felicità. “Vorrei vederlo subito, mi può indicare la stanza?”

“Signor Dalton… vede, quando il suo amico è arrivato qui, non aveva solo una ferita alla gamba. Durante la lotta con i suoi aggressori, è caduto e ha picchiato violentemente la testa.”

Il sorriso svanì dal volto di Rick e con esso ogni traccia di entusiasmo. “C-che vuol dire?”

“Ha avuto un’emorragia celebrale e il suo cuore si è fermato…”

Il viso di Rick divenne improvvisamente, spaventosamente pallido. “ S-sta dicendo che è…?”

“No, no, non mi ha lasciato il tempo di finire di parlare. Il suo cuore si è fermato per alcuni minuti, ma fortunatamente siamo riusciti a rianimarlo.”

“A-allora va tutto bene, no? Cliff sta bene… voglio vederlo, voglio parlare con lui…”

“Signor Dalton, il signor Booth ha avuto una grave insufficienza di ossigenazione al cervello.”

Rick la guardò senza capire. “Mi dispiace, ma il suo cervello ha subito danni gravi e, purtroppo, permanenti.”

“C-che genere di danni?”

“Paralisi di braccia e gambe, paralisi delle corde vocali, difficoltà di deglutizione, cecità permanente. Non sarà in grado di muoversi in modo autosufficiente, non potrà più vedere né parlare. Ma l’udito è rimasto intatto e potrà sentire tutto quello che dice. Magari non capirà sempre cosa sta dicendo; ora la sua mente è come quella di un bambino piccolo. Cerchi di parlargli con dolcezza e di non spaventarlo… signor Dalton, si sente bene? Vuole sedersi?”      
Si allarmò la dottoressa, vedendolo rigido e pallido, immobile e con occhi spaventosamente vuoti.  

Rick non sapeva spiegare cosa fosse successo con esattezza; sapeva solo dopo aver sentito quelle parole, tutto il resto aveva smesso di avere importanza.

La sua carriera, il suo matrimonio… niente di tutto questo contava più adesso.

Il mondo si era come fermato, congelato.

La voce della dottoressa continuava a risuonare nelle sue orecchie, il peso di ogni singola lettera si schiantava contro il suo cuore.

Rick non aveva mai provato niente di simile: il suo corpo era ancora ancorato alla terra, eppure non riusciva più a sentirlo. 

C’era solo quella morsa soffocante che gli opprimeva il petto spezzandogli il respiro. 

Che diavolo gli stava succedendo?

Perché stava lottando per buttare l’aria fuori dai polmoni?

Perché respirare era diventato improvvisamente tanto difficile? 

Le parole della dottoressa, aliene e ovattate, stavano man mano assumendo un significato sempre più concreto e spaventoso.  

Cliff Booth, il suo migliore amico, il suo unico vero amico, colui con cui aveva condiviso i momenti più belli della sua vita, colui che gli era rimasto accanto nei momenti più bui senza chiedere nulla in cambio … costretto su una sedia a rotelle per il resto della sua vita. Incapace di camminare, parlare, vedere. Un dannato vegetale. 

La sua mente brillante, intelligente, arguta, si era trasformata in quella di un bambino. 

Sarebbe diventato uno scemo, un ritardato, qualcuno di cui la gente avrebbe riso costantemente o che avrebbe guardato con disgusto.  

Cliff, dio mio, non può essere vero…  amico mio, ti sei ridotto così per colpa mia, per difendermi da quei dannati hippy… se solo non avessi fatto l’eroe, se fossi scappato e mi avessi lasciato lì a morire sarei stato un uomo felice, se avrei saputo che eri vivo e al sicuro, perché il mio sguardo che si chiude sul mondo varrà sempre meno del tuo che si apre su una mattina qualsiasi…

Rick deglutì, cercando con tutte le sue forze di non lasciarsi sopraffare dal panico e dalla disperazione, cercando di trattenere coraggiosamente le lacrime. Ma il coraggio non faceva per lui. Era sempre stato Cliff quello coraggioso.  “M-ma ci sarà qualcosa che voi dottori potete fare… insomma, ci sono progressi in medicina continuamente…”

La dottoressa scosse la testa, parlando con tono gentile ma fermo. “Mi dispiace davvero molto, abbiamo fatto tutto il possibile.”  

Le ultime scintille di speranza che Rick aveva nutrito si spensero bruscamente. 

Aveva voglia di fare una scenata, di urlare contro quei medici incompetenti che non erano stati in grado di aiutare Cliff, ma sarebbe stato tutto inutile. 

Non avrebbe riavuto il suo migliore amico, niente sarebbe cambiato, e questa consapevolezza gli fece venire solo più voglia di piangere.

“Se vuole vedere il signor Booth, le faccio strada…”

“M-mi dia solo cinque minuti…” E senza aspettare la risposta della dottoressa, Rick corse nei bagni e si chiuse in uno dei cubicoli. Una volta lì, si prese la testa fra le mani e pianse fino a non avere più lacrime.                                             

 

 
*frase realmente detta da Sharon Tate durante un'intervista
  
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