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Autore: Persefone26998    21/06/2022    0 recensioni
"Come può sperare un refolo di vento di tenersi stretti al petto i ricordi quando il tempo è un fabbro di inganni che corrode anche l’immobile roccia?"
Breve OneShot per il compleanni di uno dei miei personaggi preferiti
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Venti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Buon compleanno”
Un increspare di labbra, il fantasma di un sorriso di circostanza sopra il bordo del bicchiere, un lieve sbattere della palpebra che neanche nei tuoi più reconditi sogni potrebbe considerarsi un occhiolino; non hai la più pallida idea di chi ti abbia fatto gli auguri, anche se sai che porta la divisa dei Cavalieri di Favonius, un ennesimo corpo slanciato con l’ennesimo volto e l’ennesimo nome che si perdono nell’ennesimo sorso che ti incendia il fondo della gola. È uno dei tanti tuoi figli e anche se non riuscire a ricordare in quel momento ti fa sentire il cuore stringersi, anche se ti si stritola mentre altri dopo ti lui si susseguono in quegli auguri infiniti di cui non saprai più niente domattina, lo sai che quel giorno il mondo sembra sempre una girandola impazzita che in fondo dimenticare una cosa in più non ha importanza.
No! Non devi dimenticare i loro volti e i loro nomi, devi tenerti stretti tra i denti la loro esistenza, devi martellarti il cervello finché non diventeranno come rampini sulle rocce frastagliate, non puoi permetterti di non ricordare quell’ultimo centimetro che ti resta; hai già dimenticato troppo e il vino è il peggior compagno sulla strada della memoria, sa solo scendere e bruciare come se volesse divenire sale sulle interiora martoriate dalla tempesta, come se fossi ancora quel piccolo refolo di vento senza nome e senza corpo venuto al mondo in una gabbia troppo rumorosa.
Quanti bicchieri sono passati dalle mani di Master Diluc alle tue? Cinque? Dieci? Probabilmente di più se anche tu ne hai perso il conto e il proprietario della taverna ti allontana la bottiglia; probabilmente troppi se persino Sir Kaeya ti guarda accigliato, appollaiato alla tua destra sullo sgabello del bancone e quegli occhi lucidi di alcol paiono ancora di un blu ancora più cangiante men0tre ti dissezionano l’anima. L’hai sempre pensato che sono di una bellezza che non potrebbe mai trovare parole gli occhi di Sir Kaeya, anche per te che sei un bardo e sulle parole nella tua infinita vita ci hai costruito la forma ultima di immortalità; sono stupefacenti e sono lo specchio dell’anima spaccata di una civiltà che tu hai contribuito a cancellare, sono divisi tra il dovere e l’amore come lo è stato tante volte il refolo di vento che sorride sghembo mentre Master Diluc ti passa le chiavi dell’ultimo piano.
La prima volta che li hai visti – sì, questa te la ricordi, un sorso per festeggiare anche se la mente si ottenebra e lo stomaco va in fiamme quando il vino striscia nella tua gola – vibravano di terrore davanti alla tua statua, quel monumento torreggiante nel centro di Mondstadt che persino nella dolcezza in cui sei stato ritratto ti fa sembrare un gigante spaventoso. Quanto dolore e quanta colpa hai provato per quel figlio adottivo di una nazione lontana, quanto avresti voluto poter scendere nella tua forma divina tra la folla ridente dei Ludi Arpastrum pur di consolarlo; quanto avresti voluto dirgli che sotto le tue ali sarebbe stato amato come ogni singolo dei tuoi figli che è passato su quelle terre, quanto è diventato pesante il fardello che da cinquecento anni tieni legato al collo e ti strozza il respiro. Ti hanno definito sempre il più fragile degli Archon, a cui del potere non è mai importato, e la realtà sei davvero il più fragile di fronte al senso di colpa per ciò che è stato.
Lui cosa penserebbe? Quale sarebbe il suo sguardo se ti vedesse in quel momento, con il peso di migliaia di anni a penzolarti sulla nuca come una spada di Damocle? Vorresti vedere il suo sguardo, ma la tremenda verità è che non ricordi neanche se i suoi occhi fossero verdi o azzurri, non ricordi l’accigliarsi delle sue sopracciglia quand’era contrariato o l’arricciarsi del suo naso di fronte alle cose che trovava insensate, anche se sai – sei sicuro – che le sue sopracciglia si accigliavano e il suo naso si arricciava; non ricordi i suoi capelli né il calore della sua pelle, non ricordi il suo profumo anche se sei sicuro che sapesse di cecilie – ma la mente è un tarassaco che si sfalda, come puoi fidarti di lei quando tutto quello che ti mostra sembra figlia della menzogna – non ricordi il suono della sua voce benché tu la senta continuamente cantare nelle orecchie. Semplicemente non ricordi.
Come può sperare un refolo di vento di tenersi stretti al petto i ricordi quando il tempo è un fabbro di inganni che corrode anche l’immobile roccia?
Qualcun altro ti saluta, forse ti augura la felicità di un compleanno che è suo – non tuo – e che è una delle poche cose di lui che sei ancora in grado di ricordare; perché più cerchi di ricordare il suo viso, la forma dei suoi occhi, la loro distanza, le sue labbra, il suo sorriso, tutto ciò che lo compone, più sei sei sicuro che la tua mente l’abbia liquefatto col tempo tanto che sai di non essere lui quando ti guardi nel lucido del metallo che si inerpica dietro il bancone. Vorresti essere in grado di afferrare il suo nome e stringerlo tra le dita e non farlo più scappare, vorresti ricordare il suono che faceva scivolando sulla lingua, vorresti ricordarne le lettere una per una come incisioni a fuoco nella tua mente; ma è eroso e spezzato il suo nome, le lettere si sono crepate e crollano miseramente ogni secondo che tenti di obbligare la tua mente sul loro suono: Ba...Bar... ba...
No! Sei tu Barbatos. E tu non sei lui, tu sei un refolo di vento che festeggia un compleanno non suo tra troppi bicchieri di vino e gli occhi impossibilmente blu di Sir Kaeya; tu sei un Archon nel corpo di un fantoccio che dovrebbe ricordare cosa lui è stato, tu sei l’erosione che ti porti sulle spalle e ti mangia i ricordi.
Tu sei Barbatos, Archon dei venti, il reggente di Mondstadt che ha preferito il sonno della debolezza al privare i propri figli della libertà, tu sei il padre adottivo di un’anima spezzata di una nazione che hai contribuito a cancellare dal mondo; tu sei Venti il bardo dalle parole gentili e con il sorriso sulle labbra che suona l’arpa con le guance rosse di vino e che oggi festeggia il vostro compleanno. Tu sei il dolore che ti porti da millenni e che sa del sale delle lacrime che ti scorrono lungo il viso.
***
Non sai esattamente che ci fai lì, perché tra tutti i luoghi di Teyvat cerchi il conforto nella pelliccia gelida di Andrius che sa d’inverno e di passato; probabilmente un uomo più saggio di te direbbe che sia stato il vento a portarti lì.
Il tuo vecchio amico non ti ha chiesto niente quanto ti ha visto arrivare nel cuore della notte di quello che è il tuo compleanno, con ancora troppo alcol in corpo che non ti faceva camminare dritto e con gli occhi arrossati come susine mature; vi siete guardati per istanti che sono parsi lunghi come generazioni degli uomini e vi siete accucciati vicini a guardare le stelle sotto le carezze gentili del vento. C’è qualcosa di crudele nel tempo che corrode ma che permette a qualcosa di così vecchio come loro di capirsi senza bisogno di parole.
Dopo le lacrime alla taverna di Master Diluc sono arrivate le risate, di quelle isteriche e spezza fiato che ti attirano tutti gli occhi addosso come il giullare folle sopra un palcoscenico, di quelle che ti fanno singhiozzare solo con più forza e scadono nel patetismo di una mano ambrata poggiata sulla spalla in conforto, o della coperta di una stanza sulla cima di una taverna poggiata sulle spalle. Non provi imbarazzo per quella tua debolezza, sei troppo antico e troppo stanco per preoccuparti di sottigliezze simili, non provi sensi di colpa per essere scappato nel cuore della notte quando sai che verranno a cercarti con la preoccupazione nel petto domattina; è apatia quella che provi perché non può essere un giorno felice senza l’eco delle cose passate, perché è il vostro giorno quello e una mela a metà marcisce all’aria.
È il giorno in cui vi siete incontrati e il giorno in cui il destino vi ha divisi per sempre, è il giorno in cui hai imparato che non c’è un prezzo giusto per la libertà anche se pagarlo ti squarcia l’anima, è il giorno in cui hai deciso che nessuno sotto le tue terre avrebbe più sentito le catene ai polsi. È il giorno in cui hai perso qualcuno per guadagnare le fondamenta di quella che è la tua Mondstadt e vorresti poter afferrare qualcosa di più di quegli scampoli che ti sono rimasti di lui.
“Cos’è un compleanno?”  
“Il giorno in cui si festeggia la propria nascita, è un modo di rendere grazie di essere al mondo”
Quale potrebbe mai essere venuto al mondo Barbatos se non nel giorno in cui ha scoperto cos’è la libertà? Perché un refolo di vento non ha nascita se non nell’istante in cui si stacca dal proprio carceriere, perché Barbato è Mondstadt e Mondstadt è l’ideale che è nato quel giorno; perché sulle note della sua arpa aveva imparato cosa significasse vivere. E in fondo è anche questo che è il tempo: un’arpa antica ed erosa misteriosamente in grado di suonare le melodie più belle che si siano mai udite, è un marasma di ricordi spezzati e di voci che non si riescono ad afferrare anche se non smettono mai di cantare, è una nazione fatta del canto di quell’arpa; è il silenzio di una notte stellata di due amici persi nel suo suono.
“È il nostro compleanno... e io non ricordo il suo volto”
Non c’è bisogno che tu dica di chi parli, non saresti in grado di farlo perché la mente è infingarda e gioca a mosca cieca con i tuoi ricordi; non c’è bisogno che tu dica altro perché Andrius capisca e sbuffi in una risatina che ti scuote le trecce. Ti avvolge appena nella sua forma spirituale, lo senti osservare qualcosa di così lontano che non sai se vuoi davvero essere in grado di cogliere; e ti senti meno solo in quel dolore condiviso cesellato in forma di dimenticanza, ti senti meno colpevole di quelle cento guerre che non hai potuto evitare e di quei segreti che ti terrorizzano e sarebbero la fine di tutto ciò che hai protetto, ti senti meno colpevole di aver dimenticato il viso della libertà.
“Ha forse importanza un volto?”
Ci pensi, ti ripassi quelle parole nella mente una ad una, ne analizzi anche il suono come se potesse celare mille e uno significati; ha importanza un volto? Il suo sì, senti che ha importanza, senti che se perderai anche il ricordo di lui perderai tutto, senti che nulla di ciò che è stato avrà più importanza se non ci sarà anche solo uno straccio della tua memoria a rendere il tuo più caro amico immortale; non bastano le canzoni che hai tramandato nel tempo e che si sono corrose fino a diventare la storia di un bardo senza nome, non bastano i racconti di gesta eroiche, non bastano i tormenti di una mente distrutta.
Non basta perché se il sacrificio ultimo non vale nulla allora anche la libertà perderà di significato: è questa la forma ultima di erosione, la clessidra che penzola sulla testa di tutte le entità celesti, la follia degli Archon che si esplica nella distruzione del significato della loro esistenza.
Perché Mondstadt è stata fondata sul sangue della libertà, non è nulla senza di essa e Barbatos è nulla senza Mondstadt; perché sono le persone affamate di quella libertà il cuore pulsante di quella terra, è la forza dei loro desideri e delle loro speranze a reggere la farsa del mondo, è il loro coraggio e l’ardore con cui combattono per i loro ideali a dare significato anche all’ultimo centimetro del tempo. Perché Mondstadt è per Barbatos ancor più di quanto Barbatos sia per Mondstadt, perché la libertà ha il sapore di quei figli che sono la ragione ultima della tua esistenza e che saresti disposto a proteggere anche con l’ultima briciola di te stesso; perché li ami, li ami così tanto che solo nella loro libertà sai di poter essere immune allo scorrere del tempo.
“Cosa resterà se dimentico?”
“L’amore che hai provato per lui e che provi nei confronti degli esseri umani”
E forse basta davvero questo per un refolo di vento, anche se fa male da morire; forse non c’è bisogno d’alto per rendere immortale chi gli ha insegnato quanto amore c’è nel lottare per la libertà degli altri. Perché finché Mondstadt sarà libera, lui vivrà.
Buon compleanno, amico mio
 

 
Angolino del disagio
Buon salve popolo dell’internet
Per chi è capitato per la prima volta sul mio profilo, piacere sono Persefone ed è la prima storia nel fandom di Genshin che scrivo; per chi mi conoscesse già, lo so sono pessima mi rimetterò a scrivere e concludere tutto quello che ho aperto.
Questa storia nasce come una piccola celebrazione del compleanno di uno dei miei personaggi preferiti e uno degli Archon che dovrebbe scucirsi gentilmente la bocca (scherzo, gli si vuole bene comunque); probabilmente è un tropos strautilizzato, ma l’idea che Venti non abbia realmente un compleanno e abbia preso come suo quello del suo amico, in modo da ricordarlo, mi piace davvero tanto.
Ditemi cosa ne pensate, alla prossima
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