Allora gentili
lettori, sono tornata? Non proprio.
In questo momento non sto vivendo, diciamo, quello che sarebbe
definito: Best
time of my life.
Sarò onesta: scrivere mi crea molta fatica. Moltissima.
Mi sono dovuta forzare per scrivere questo capitolo e credo si veda, la
parte
onirica è stata scritta infinite volte, continuando a
cambiare soggetto.
Mi sento drenata da ogni forza, però ho deciso che dovevo
aggiornare, anche
solo per uscire da questo sentimento.
Però si vede, il capitolo è brutto (e forse
alcune narrazioni si sentono
forzatissime). Quindi, non è improbabile, che in futuro io
possa rimetterci
mano, infinite ed infinite volte.
Prima di andare avanti:
1.
GRAZIE A
FARKAS. SUL SERIO
GRAZIE <3
2.
TRIGGER WARNING: Il capitolo
contiene sangue,
non roba gore, ma sangue, però si fa
riferimento anche alla morte, ci sono morti (molte) in maniera non
valhalliana
anche se la cosa è trattata molto da lontano.
E gli Dei, gli dei sono un TW a se stante.
Detto
questo, perdonatemi per questo schifo,
Buona Lettura,
RLandH
Signori,
Signore ed altre strane entità: è il momento di
una crisi di nervi
“Allora,
chi
vuole cominciare le danze?” aveva domandato Iulia Agrippina,
muovendosi
sinuosamente, con la spatha alla mano. “Due contro
uno?” aveva chiesto Mel,
incerto.
“Oh, be, siete un gladiatore quindicenne piuttosto sfigato e
… be, Jason non ha
proprio una morte che depone a suo favore” aveva ridacchiato
la donna.
Lui aveva sentito la rabbia a quelle parole. “Potrei essere
più forte di quanto
mi valuti” aveva considerato, cercando di mantenersi calmo.
“Oh, sì, ti prego non considerare la mia
spavalderia per incoscienza. Sono
l’unica persona qui dentro a sapere esattamente quanto
sia corretto
valutarti” aveva risposto lei, senza particolare enigma.
“Mi sembra abbastanza evidente che sai esattamente chi sia
Jason” aveva considerato
Mel.
Iulia Agrippina aveva sorriso, piena di soddisfazione,
“Ovviamente! Il Valhalla
mi piace, ma quando ho compreso che non avrei avuto la mia gloriosa
scalata, ho
cominciato a tenere le orecchie dritte per il mondo esterno! Non potevo
lasciare alla mia famiglia tutto il divertimento” aveva
raccontato, sollevando l’arma,
pronta alla difesa, “Comunque, fa molto ridere: io so chi
è Jason, so chi
sei tu Thumeliculus[1],
e voi?” aveva chiesto retorica.
Su una cosa Iulia Agrippina non aveva mentito era un lascito di Marte
fatto e
finito, dopo aver lasciato appesa quella frase, provocando confusione
nel viso
di Mel, si era lanciata con vigore contro di lui, spada tesa.
Jason aveva cercato di intercettare la lama con la sua lancia, ma Iulia
Agrippina aveva deviato il movimento all’ultimo minuto,
scendendo in scivolata
e colpendo con un piede lo stinco di Jason, con la letale combo che
poteva
esserci tra l’essere un einherjar e di chi doveva aver avuto
la benedizione di
Marte. Jason era finito faccia a terra, con un dolore atroce allo
stinco, aveva
sentito lo sferragliare delle spade, si era voltato notando come Mel
avesse
incrociato il suo gladio con la spatha di lei, prima che Agrippina lo
colpisse
alle spalle.
“Un po’ delusa, ma ti concedo il beneficio della
sorpresa. Lo so, mi vedi
vecchia e molle…e come tutti quanti mi
prendi sottogamba” aveva riso di
lui Iulia, prima di mollare una ginocchiata a Mel, che si era scansato
in
tempo, perdendo la tensione delle spade e quasi rischiando di farsi
affettare
la faccia – impedito solo dalla spinta che Jason era riuscito
a dargli.
“Sai vero che se fosse morto non sarebbe stato
permanente?” aveva chiesto
Agrippina, divertita. “Non abbiamo tempo!” aveva
ringhiato Mel, recuperando la
spada con nervosismo, “Allora vai a prendere quello che ti ho
ordinato. Certo,
ora sono incazzata, quindi ne vorrei una intera!” aveva
ringhiato.
Jason aveva sentito il dolore allo stinco farsi molto più
leggero, il suo
corpo, in quel luogo, si stava riprendendo alla velocità
della luce.
Si era alzato, assottigliando lo sguardo.
Agrippina era potente. Il potere divino nei lasciti
era sempre ambiguo,
ogni tanto si manifestava meno, altre molto, come se fossero stati
semidei;
Frank era un proteiforme come il suo avo, così come Octavian
possedeva la
capacità di interpretare il futuro. Agrippina doveva essere
così, doveva
possedere la forza di Marte, come Frank doveva esserne stata benedetta.
Aveva
notato Jason, che, come Einherjar, era più potente,
più scattante, di quanto
fosse stato da semplice semidio – altrimenti non avrebbe mai
evocato la bufera
di fulmini – e così doveva essere per lei; se
Jason avesse ricordato bene, per
uccidere Iulia Agrippina avrebbero dovuto ricorrere a diversi
espedienti.
Una volta avevano affondato la barca su cui era, non solo lei era
sopravvissuta
a quello ma era stata costretta fuggire a nuoto dai finti pescatori,
mandati dall’imperatore,
che l’avevano bersagliata con le lance.
Ed avevano fallito. Agrippina non era morta neanche così.
Jason ebbe un’altra angosciante rivelazione: Agrippina era
più forte di loro,
nella bruta maniera del dio della guerra.
Avrebbe usato la sua forza e non ne avrebbe fatto vergogna –
e Jason in quel
momento sapeva perché non avesse detto nulla sulla sua
origine. Voleva che
Jason usasse i suoi poteri, voleva che li palesasse davanti a Mel e si
dovesse
giustificare dopo.
Era la sorella di Caligola, in fin dei conti.
“La
smetti
di prenderci in giro?” aveva chiesto Mel, sfacciato.
“Siete voi che perdete tempo, avete anche messo fuori uso
l’elfo” aveva
risposto divertita Agrippina, chinando il capo e facendo oscillare una
cascata
di riccioli. Prima, aveva raccolto la maggior-parte di loro in una
crocchia,
lasciando solo due ciuffi dalla nuca pendenti, ma dopo la corsa,
diverse
ciocche avevano abbandonato la posizione.
Mel aveva tentato un attacco, non molto convinto, nonostante i duemila
anni
spesi a Idavoll, doveva aver tenuto il suo stile di combattimento
gladiatorio.
I mirmilloni erano una fortezza, si riparavano dietro gli scudi e si
scoprivano
solo per attenti, precisi e mortali affondi, ma Mel non aveva lo scudo.
La sua difesa, in quell’occasione, si traduceva nella
lontananza.
Jason si era guardato intorno, in cerca di uno scudo da passare.
“Vuoi davvero lasciare tutto in mano al ragazzino morto al
suo secondo
combattimento in arena? A Ravenna?” aveva detto con biasimo
Agrippina, verso di
lui.
Agrippina era per l’attacco, come strategia, non lasciava il
tempo di
respirare, ma non era vorace come Lit, era una danza.
Attacco, passo indietro, attacco, passo indietro. E
se fosse stata bloccata, avrebbe morso con
quel che poteva. Ginocchiate, pugni, calci negli stinchi.
“Oh,
mia
Augusta cosa sta succedendo?” aveva esclamato una voce alle
loro spalle, Jason
si era voltato in tempo, per vedere un paio di giovani uomini, vestiti
da
legionari romani, di diverse epoche, che guardavano la scena. Tra loro,
non
c’era il famigliare volto di Maes figlio di Pluto, forse i
bizantini avevano un
altro piano, o forse come Jason era finito altrove; magari in un piano
con la
guardia variaga.
“O niente, mie prodi, do una lezione ad un paio di
barbari” aveva replicato
divertita lei. “Oh, Thumelicus sei passato per la decennale
scazzottata?” aveva
chiesto uno di loro, “Un po’ in anticipo”
aveva valutato quello. Indossava
un’armatura di secondo secolo, con la lorica manicata
scintillante.
“Oh, ciao! Alexius” aveva risposto Mel, con un tono
insospettabilmente gentile,
“Sì … no è un fuori
programma” aveva aggiunto.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso il suo amico,
“È
un’ausiliare dacio! Ci scambiamo le ricette dei
biscotti” aveva specificato,
pieno di imbarazzo. Jason lo aveva guardato con ancora più
confusione in viso,
Mel aveva alzato le spalle pieno di vergogna.
“Augusta, dovremmo intervenire?” aveva chiesto uno
dei soldati, “Oh Seppius!
Non ti preoccupare posso gestire entrambi” aveva dichiarato
con innocenza Iulia
Agrippina.
Mel aveva digrignato i denti, “Niente di tutto questo
è importante” aveva
considerato con una certa rabbia, “Ti prego” aveva
aggiunto, con un tono di
disperazione.
“Mia signora” aveva commentato uno degli altri
uomini, ne Alexius, ne Seppius,
“Io ho servito vostro padre con orgoglio e non posso
permettere che due barbari
si facciano scempio di voi” aveva commentato. Iulia Agrippina
aveva roteato gli
occhi, “Ma lo sapete vero che nessuno di voi
morirà, veramente?” aveva chiesto
per loro Jason.
Era strano come pensiero, ma … si potevano letteralmente
uccidere senza
morire. Era una
delle prime cose che
aveva detto Mel: scatenati, qui nulla a conseguenze.
Era un pensiero estraniante.
“Sì ma il tempo!” aveva uggiolato
Stellan dai resti del divano, era ancora in
stato comatoso, con gli occhi semichiusi e il viso più
livido che mai.
“Bene, allora cominciamo” aveva esclamato Iulia
Agrippina piena di soddisfazione.
I guerrieri romani si erano lanciati nella mischia con incredibile
soddisfazione, “Lasciate in pace l’elfo!
È vivo!” aveva provato Mel, quando
qualcuno si era avvicinato per vedere quello, ancora steso sul divano.
E poi era cominciata la mischia pesante.
Jason era
riuscito ad intercettare con la lancia una spada, aveva colpito lo
scudo
dell’altro con un pugno, l’elettricità
delle sue nocche si era riversato nel
ferro in una maniera così impetuosa da renderlo
incandescente, sorpreso Alexius
lo aveva fatto cadere, Jason lo aveva colpito dritto sul naso,
prendendo lo
scudo e lanciandolo a Mel.
Mel aveva appena preso una coltellata sulla spalla da Seppius, ma aveva
risposto
con un pugno sul naso del romano. “Attento,
scotta!” lo aveva avvertito Jason.
Mel aveva raccolto l’oggetto, con pura confusione sul viso.
Jason era caduto colpito allo stinco da Alexius, che si era tirato su,
con il
naso maciullato e sangue grondante. Jason aveva mosso la mano, come se
avesse
schiaffeggiato l’aria e questa aveva colpito in pieno il
soldato dacio, che si
era ritrovato sbalzato.
“Non credo avessero capito il tuo potenziale” aveva
detto Iulia Agrippina,
affondando precisa la lama, Jason l’aveva intercettata in
tempo. “Hai avuto la
benedizione di Marte” aveva considerato Jason,
“Sì, sai super forza e grande
resistenza. Utile non indispensabile. Ho sempre trovato mediocre che il
grande
Marte Ultore non possedesse tra i suoi poteri non so: fuoco e fiamme? I
romani
sono sempre stati bravi in quello” aveva considerato
Agrippina, “Ma tu hai
molti doni. I figli di Giove che possiedono i fulmini sono portentosi,
quelli
che comandano i venti poi, ma insieme” aveva considerato
divertita lei, “Roma
doveva essere fiera di avere un capo così notevole. Mi
chiedo come tu abbia
accettato di rinunciare, di come tu non sia diventato: Princeps”
aveva
scherzato.
“Non ho attitudine al comando, sono più un
mediatore” aveva considerato Jason, affondando
con la lancia. Aveva colpito di striscio il fianco
dell’Augusta, che aveva
sferzato la sua spatha verso di lui. “Vediamo che ne pensa
Thumeliculus!” lo
aveva avvertito; Agrippina aveva spiccato un salto notevole, provando a
colpirlo dall’alto, Jason aveva usato Giunone per difendersi,
intercettando il
colpo, fermando la lama, non prevedendo il calcio in pieno sterno che
aveva
ricevuto poi.
Sentendo diretto il dolore sulle sue costole, accompagnato dal rumore
secco di
qualcosa spezzato, come se fosse stato colpito da una statua di pietra.
Il colpo l’aveva sbalzato, aveva usato i venti, sottili, i
pochi che poteva
richiamare lì, per attutire la caduta, ma era capitato
dritto contro un pezzo
di legno scheggiato, che era finito dritto sul suo braccio ed aveva
perso la
presa di Giunone che aveva finito per rotolare via.
“Oh, be, sono abbastanza delusa” aveva commentato
Agrippina sollevando la mano,
Jason aveva intercettato il fendente con l’unica cosa che
aveva libera: la mano
destra, sentendo, dritto, sulla carne l’oro imperiale. La
lama era stata così
affilata e potente che non aveva potuto sentire altro che un cieco e
sordo
dolore, alcune dita erano saltate e l’oro aveva scavato la
pelle, fino a
scontrarsi con l’osso.
Jason aveva sentito la mano andare a fuoco, così come aveva
sentito il sangue
esplodere.
“Ma cos …” aveva boccheggiato Agrippina
rimasta sorpresa da quel gesto, “Tanto
tra un’ora e due sarà integra” aveva
commentato Jason, incerto su cosa avrebbe
dovuto fare in quel momento.
Il pezzo di legno nella spalla rendeva i movimenti del braccio sinistro
impossibili, doveva aver reciso qualcosa di importante, il dolore alla
mano
destra era esasperante. Anche lo sterno era spappolato e la
rigenerazione stava
lavorando lentamente.
Giunone era rotolata lontano.
“Sì, diciamo che combattere qui può
essere molto creativo” aveva considerato
Agrippina, cercando di recuperare la sua lama, incastrata
nell’osso di Jason.
“Certo, adesso morirai dissanguato” aveva
considerato, comunque, Agrippina, “Miracolo
che non sia di shock. Si dice
così?” aveva aggiunto. Faceva strano
sentirle sulle labbra una parola così odierna.
Jason le aveva sorriso, rinvigorito. Aveva avuto
un’idea!
Agrippina l’aveva suggerita, implicitamente.
“Può darsi, ma non sarò il
solo” aveva ripreso Jason, cominciando a sentire
terribilmente fastidioso respirare. Agrippina aveva aggrottato le
sopracciglia,
“Fisica base, qualcosa che non andava di moda ai tempi di
Roma” aveva
considerato. Poi lo aveva sentito, montare dentro lui,
quell’energia crescere,
vibrare nel sangue, la stessa che aveva sentito a Jotunheim, era stato
un
semidio potente, lo sapeva, ma ora lo era anche di più.
Agrippina aveva capito troppo tardi quello che era successo, “Iovis
filius
Irrumatur[2]!”
aveva esclamato l’augusto prima del colpo. Jason aveva
evocato un fulmine, non
uno potente, non uno di quelli dal cielo, ma da lui dalla sua
elettricità, da
dentro. L’oro imperiale aveva fatto ciò che
doveva, fino a raggiungere il
lascito di Marte.
“L’oro è uno dei migliori conduttori in
natura” aveva tossicchiato Jason,
sputando sangue – abbastanza sicuro che una delle sue costole
dovesse aver
fatto danno – mentre Agrippina si rovesciava a terra, con le
dita nere,
contorta. Una mortale sarebbe morta, una semidea forse no, un einherjar
di
sicuro no.
Ma il colpo elettrico e le urla, avevano attirato
l’attenzione di tutti. “Che
le hai fatto?” aveva domandato Alexius tenendola per le
spalle, “La ho
folgorata” aveva risposto Jason ovvio.
Seppius continuava a sanguinare ma aveva raccolto la sua spada, pronto
a
prendersela con Jason, ma era stato attirato da un pugno di Mel.
Jason si era sforzato di parlare; “Sei stata
sconfitta” aveva dichiarato; l’evocazione
del fulmine lo aveva devastato. “Non finché
respir-” la frase di Agrippina era
stata tranciata da una lama nella gola, era stato Alexius il dacio a
farlo.
“Ma cosa fai?” aveva strepitato il terzo uomo,
Jason non sapeva il suo nome,
“Ero un pretoriano, uccidere imperatori e famigliari
è il nostro passatempo
preferito” si era giustificato quello.
Agrippina era esplosa in una nuvola di fumo d’oro brillante.
“Capisci perché
amo questo romano?” aveva detto pieno di vita Mel.
Al posto del corpo della donna era rimasta un’altra cosa, un
oggetto piatto,
dalla forma di un’aquila, con le ali strette – non
ancora spiegate – con il
collo e la testa di profilo, come i dipinti di Horus, ed un unico
occhio sano.
Era attraversato da fili d’oro che dividevano gemme preziose.
“Immagino che quella sia la spilla” aveva
considerato Jason.
“Sì” aveva sentito una voce femminile
alle sue spalle, si era voltato ed aveva
visto che nella parte di camera notturna di Agrippina, il letto era
tornato a
posto e sopra di esso stava la donna. “Sei stata
veloce?” aveva commentato
Jason stupito, “Spiegaglielo tu” aveva commentato
quella, ammiccando a Mel.
“Quando è parecchio che stai qui diventa sempre,
sempre, più veloce” aveva
spiegato il germano.
“Prendiamo la spilla ed andiamo via, l’abbiamo
vinta” aveva detto Jason,
togliendosi finalmente la lama dalla mano, “O almeno, Mel e
Stellan lo faranno,
io credo resterò a morire qui” aveva considerato
Jason. “Alexius, cortesemente,
fai quello che ti piace ed uccidi il pretore Jason
Grace” aveva detto
Agrippina, vendicativa.
Mel si era irrigidito, mentre raccoglieva la spilla.
“Ah, non te lo ha detto? È un romano! Figlio di
Giove addirittura” aveva
esclamato la donna, ma Jason non riusciva a sentire bene, iniziava ad
avere le trabecole,
come quando dimenticava di mettere gli occhiali e si sentiva perso.
Aveva
osservato la mano, trovandola nulla più che una macellazione
di sangue e
putridume, che aveva raccolto sotto di sé una forte macchia
rossa sulla calce.
Anche il dolore allo sterno aveva cominciato a farsi piuttosto serio,
dandoli
un po’ di problemi a respirare. “Ho abdicato
…” era riuscito a dire, sentiva
anche male alla spalla dove si erano infilate le schegge di legno, ma
rispetto
al resto era nulla, assolutamente nulla. “Ex-pretore di
Roma” aveva specificato
Agrippina, ma la sua voce era distorta e lontana.
Jason si era sforzato di tenere gli occhi aperti, mentre osservava Mel,
guardarlo, con gli occhi verde scuro, aveva in mano
l’aquilotto d’oro. “Penso …
penso …” aveva provato a dire, “Non
è semplicemente un ex pretore, è un eroe
della grande Nuova Roma, Apollo, il dio in persona, ha celebrato i suoi
riti
funebri. Hanno fatto una statua in suo onore!” aveva
raccontato Agrippina,
“Fidati tengo d’occhio la mia gente”
aveva esclamato.
Aveva intravisto come macchia sfocata Stellan, avvicinarsi. Aveva
sentito le
sue mani calde sul torace, “Io credo che una costola abbia
perforato un
polmone. Il mio alf seidr nel curare le persone
umane, lascia a
desiderare, forse, ecco, potremmo ucciderlo, così
morirà subito … o rischia di
soffocare nel sangue” aveva borbottato.
Mel si era chinato, continuando a guardare Jason ed aveva messo una
mano
attorno alla spalla di Stellan, “Ci vediamo a cena, Jason,
tra poco suoneranno
il corno” aveva commentato Mel, con freddezza, raccogliendo
l’elfo, come se
fosse stato leggero come una piuma.
“Penso si sia arrabbiato” aveva considerato
Agrippina, con un tono quasi
divertito, “Nessun problema, farete pace, unendovi
nell’odio verso mio
fratello” aveva detto, accarezzandoli i capelli quasi materna.
Alexius si era sollevato, “Taglietto veloce alla
gola?” aveva proposto.
Jason era
morto per la seconda
volta in quella giornata.
Il mondo si
era tinto di un colore azzurro intenso,
ma non aveva alcuna idea di dove fosse. Aveva riconosciuto davanti a
lui, alte
colonne, immense, con circonferenze così larghe che Jason
non sarebbe mai
riuscito a coprire la grandezza, abbracciandole. Le colonne terminavano
in
immensi capitelli ionici, con volute grandi come ruote di una macchina.
Ogni
cosa era coperta di licheni, conchiglie marine e un pesce aveva
sfiorato il
viso di Jason, nuotandoli accanto.
Si era voltato di scatto, era sotto l’acqua, realizzava, per
questo il mondo
era tinto di questa foschia blu e nera, ma ovviamente non lo percepiva,
non
veramente. Lui era una proiezione, uno spirito.
Aveva potuto osservare allora che il colonnato enorme non faceva altro
che
incorniciare un cortile, gigante, solo che non era erba, ma composto di
alghe e
varietà marine. La luce era data dalla bioluminescenza delle
creature.
Vorticavano intorno a lui come lucciole. Era uno spettacolo suggestivo
e
splendente.
“Ammetto che questo posto ha il suo fascino” aveva
chiocciato una voce
femminile, Jason aveva potuto vedere una donna.
Capelli biondissimi come argento, che sfoggiava una lunga tonaca
azzurra, che
le gonfiava ad ogni passo, scoprendo le gambe bianche e le calze
vermiglie.
“Be, Kolga non ha il fascino della sala dei banchetti di tuo
padre ma ci si può
lavorare” aveva scherzato una voce famigliare. Jason aveva
riconosciuto subito
Benetescima, vestita con una toga elegante di un vibrante color
corallo. Kolga
aveva rivolto uno sguardo sprezzante alla dea marina, “Mi
dispiace per averti
tirato addosso un relitto” aveva dichiarato Bentescima,
“Mi dispiace di averti
scatenato un tornado” aveva replicato Kolga.
Doveva essere una delle Nove Onde di Aegir. “Pensi che
faranno pace quelle due
bisbetiche?” aveva chiesto alla fine Bentescima, sedendosi su
una panchina
fatta di pietra, che somigliava ad un sarcofago, “Adda porta
tanto rancore, ma
mi pare che tua sorella sia anche brava in questo gioco”
aveva scherzato Kolga.
Jason ebbe un brivido, seguendo lo sguardo delle due dee, aveva trovato
le due
figure di cui parlava.
Jason aveva fatto dei passi veloci, scoprendo di poter fluttuare come
in acqua,
sebbene non sentisse il freddo e l’acqua.
Kymopoleia
aveva indossato di nuovo la sua
camicia con la fantasia con le figure marine, i capelli verdi come
alghe
fluttuanti. Al suo fianco ondeggiavano anche le treccioline
d’oro, coperte di
sangue, da esse, in vero, fuoriusciva una macchia di rosso, che
colorava
l’acqua, di Blóthughadda, anche lei indossava
abiti più moderni: una maglietta
nera con qualche scritta oscena sopra. “Scusami, amica mia,
prima mi sono fatta
prendere la mano. Avevo litigato con mio marito” aveva detto
Kym, la sua voce
era dura come l’acciaio ed ogni parola sembrava costarle una
fatica. “Non mi
importa, Kym! Ti sei frapposta tra me e la mia vendetta, se lo avessi
fatto
io?” aveva chiesto retorica. “Non era la tua
vendetta, ma quella di tua madre”
aveva sottolineato fredda Kymopoleia, “Se dovessi mettermi a
pareggiare tutti i
conti di mio padre farei prima a smettere di avere una vita”
aveva considerato.
Blóthughadda le aveva lanciato uno sguardo al vetriolo,
“Non somigliano a delle
scuse queste” aveva dichiarato la dea dell’onde
insanguinate.
Kym aveva sorriso con la stessa freddezza dell’acqua gelida,
“Per la mia buona
fede, ho intenzione di farti un bel regalo, so che non può
acuire la tua rabbia,
ma spero possa placare un po’ del tuo rancore verso di
me” aveva detto Kym.
Sembrava volesse mantenersi dolce e gentile, ma il suo tono era algido,
così
come i suoi occhi. Stava recitando una parte, probabilmente costretta
dalla sua
famiglia, che voleva evitare possibili scontri tra pantheon divini.
E per se stessa, perché il suo segreto non fosse esposto.
Che non si sapesse di lui
Che si scoprisse che la figlia di Aegir avesse da recriminare anche
contro di
lui e non solo Magnus.
Blóthughadda sembrava improvvisamente più
interessata, “Cosa?” aveva chiesto,
con la stessa curiosità di una bambina,
“Quello!” aveva detto Kym, indicando
verso il cielo.
Sopra di loro, attraverso il foro dell’Impluvium,
si vedeva il soffitto
del mare, nel suo denso blu che andava sempre più a
rischiararsi. Una visione
di pura magnitudine.
Ma tra le onde, tra i pesci, le creature, calava, spezzata in due come
un
grissino una nave da crociera da cui povere anime rimanevano appese nel
buio. Jason
sentiva l’orrore crescere in sé, ogni parte del
suo corpo dove aveva ricevuto
una ferita mortale era pulsata. “Ognuna di quelle anime
è un’offerta per te,
Sangue delle Onde, per la rete di tua madre” aveva dichiarato
incolore Kym,
come se tutte quelle morti non la riguardassero per nulla.
Perché così era!
Kym era una dea delle tempeste, divoratrice di navi, uomini e terre,
così
crudele e distruttiva che Poseidone stesso, che ferocemente amava tutti
i suoi
figli, l’aveva costretta al duro esilio. Kym che aveva scelto
di unirsi a Gea e
non aveva avuto remore a uccidere, annegare ed avrebbe dato lo stesso
fato a
lui, se non l’avesse persuasa. “Te lo concedo Kym,
è un grande dono” aveva detto
la mezza-Jotun. “Certo! Non da perdonarti ma non da pungolare
mio padre a chiamare
un Thing tra Pantheon” aveva concesso Blóthughadda.
Ma ciò a cui Jason riusciva a pensare era che quelle morti,
tutte quelle morti,
erano a causa sua, al di là della fame di rabbia della
figlia di Aegir, della
testardaggine di Kym, della loro spietatezza, del loro sorridere
davanti a
quell’orrore, era la vita innaturale di Jason, in quel
momento ad aver guidato
quella carneficina.
“Be, sì questo è farlo bene!”
aveva ghignato Kolga, soddisfatta, affiancandosi
alla sorella, con i capelli biondi, aperti come quelli di un anemone,
con un
sorriso pregno di gusto.
Sul viso di Bentesicima, delle onde gentili, invece, vi era dipinta
un’espressione
di nausea ed orrore.
Aveva afferrato sua sorella e l’aveva portata via, erano
passate al fianco di
Jason come un turbinio veloce, ma le aveva seguite galleggiando nel
nulla,
nello sconvolgimento più puro.
“Cosa hai fatto? Tutte quelle persone! Nostro
padre…” aveva ringhiato piena di
livore Bentesicima, “Ho fatto ciò che andava
fatto, poche centinaia di vite, al
posto di un mondo dilaniato tra una guerra tra pantheon”
aveva risposto fredda
Kym “Sono la signora del mare violento, nostro padre lo sa,
prenderò la sua
furia a testa alta” l’aveva freddata.
Bentesicima non aveva lasciato la presa sul polso di sua sorella, aveva
sul
viso, la stessa rabbia che aveva visto molte volte balenare in Percy,
davanti
le ingiustizie. “Questo tuo comportamento è
ingiustificabile e senza senso!”
l’aveva rimproverata.
“Ho fatto ciò che dovevo” si era
giustificata irreprensibile Kym. Un'altra
figura si aggiunta a loro, occhi verdemare, un viso spigoloso e spento,
capelli
ruggine come quella dei battelli e l’espressione sul viso del
dolore, vestita
come una rispettabile matrona greca. Doveva essere Rodo, la terza
figlia.
“Hai visto ciò che ha fatto?” aveva
chiesto Bentesicima con l’ardore bruciante
di dolore ed ingiustizia, “Ho visto” aveva risposta
l’altra, con la voce cupa.
“Esageri” aveva detto piccata Kym,
“Nostro padre ha fatto ben di peggio e molte
altre volte” aveva ringhiato.
“Ma sono le ragioni che hanno mosso nostro padre ben
diverse” l’aveva
rimproverata Rodo, “Poseidone, non agisce in virtù
di alcuna giustizia che non
sia la sua” aveva detto Kym, inopinabile.
“Vero” aveva detto Rodo, “Ma mai in
maniera gratuita, dunque, Kym, a quale
torto ti stai appellando?” le aveva detto, il suo tono era
incolore, ma gli
occhi verdissimi no.
Kym si era allontanata, dalle sorelle con un balzo, quasi scottata,
“Abbiamo
delle ospiti da intrattenere” aveva commentato recalcitrante.
Bentesicima l’aveva lasciata andare, “Non
sarà per quella storia?” aveva
chiesto pregna di turbamento, Rodo aveva sollevato le spalle magre e
spigolose,
prima di rispondere.
Quando aveva
aperto gli occhi, Jason aveva visto sfumare davanti ai suoi occhi il
blu
dell’oceano e distante, come se le sue orecchie fossero state
piene d’ovatta,
la risposta di Rodo.
Poi il mondo aveva preso il contorno abituale della sua stanza. Tranne,
si era
accorto dai rumori, che non era solo.
Si era tirato subito su, con l’urgenza del vomito a premere
nella sua gola,
disgustato e colpevole di sé stesso. Ma la sua urgenza era
stata placcata dallo
spettacolo che si era aperto davanti a lui: Fred che ispezionava la sua
stanza.
“Che stai facendo?” aveva chiesto Jason, tenuto
ancora in ostaggio dalle nebbie
della morte.
“Cerco indizi!” aveva risposto pratico il figlio di
Gerd, senza preoccuparsi di
turbarlo. “Indizi su cosa?” aveva chiesto Jason.
“Su cosa sei veramente!” aveva risposto senza
perdere un briciolo di posizione
Fred, mentre apriva la sua cassapanca. Sono un mostro, un
imbroglione, una
persona la cui sola esistenza ha portato solo sciagure!
Avrebbe voluto
rispondere, ma aveva detto, duro come il ferro: “Sono un
semidio” e visto che
ormai la cosa era andata fuori controllo aveva aggiunto:
“Figlio di Giove” e
nel farlo aveva mostrato il braccio, spostando la fascia per vedere il
tatuaggio.
Fred lo aveva osservato critico.
“Non mi basta” aveva stabilito, “Cosa
intendi?” aveva chiesto Jason.
“Erano due secoli che non uscivo dalla mia stanza, ma sono
sempre rimasto in
ascolto. In ottocento anni che sono stato nel Valhalla, Loki e gli
altri Jotun
hanno tentato infiniti giochi per anticipare il Ragnarok, ci sono stati
momenti
molto drammatici. Tipo nel millenovecentoquattordici quando ci siamo
andati
vicinissimo a non poter fermare la catena o l’altro anno.
Però, poi sei
arrivato tu e letteralmente il giorno dopo, sono cominciati i problemi.
In ordine: è sparito un cinghiale magico – che a
quanto pare era diventato la
corrente per il sole eterno di un mondo che non può
permettersi il tramonto, è
sparito il dio della conoscenza, gli dei romani e norreni hanno
cominciato a
bisticciare, si sono rotte le tavole dell’universo”
Fred aveva fatto un respiro
profondo, dopo quello sciorinamento di fatti.
“Come sai di Mimir?” aveva chiesto Jason, che non
aveva avuto modo di parlarne
con nessuno tranne Stellan e Mel. “Pensi di essere
l’unico che sogna? L’unico
sensibile? Sono mezzo jotun sono un parafulmine per le stranezze, sono
sensibile al seidr meglio di quanto sarai tu in mille anni, sono uno
stregone
che mi piaccia o meno” aveva spiegato Fred, “E
questo mi riporta ad altro: il
giorno dopo che sei arrivato hai evocato un fulmine ed era diverso da
quelli di
Gunilla e lo hai rifatto ora. La tua energia è sbagliata. Tu
sei sbagliato e da
quando sei qui hai solo fatto casino” aveva dichiarato.
Jason si era alzato, “Smettila” aveva detto
all’altro. Perché non voleva
sentire quella verità, perché aveva ragione,
perché Kym aveva appena affogato
centinaia di persone per tenere al sicuro il segreto di Jason.
“Hai trascinato Astrid nelle tue lotte. Ma tu lo sai che
è stata uccisa e
divorata da un lupo-jotun? No, è! E la hai costretta ad
inimicarsi un dio. Hai
mentito a Mel, per i tuoi sogni sono due giorni che si crea nemici.
Signore mio
buono, hai anche portato Madina a Jotunheim per i tuoi
sospetti” aveva
sclerato.
“Quelle sono state scelte di tutti. La missione era la
missione, andava
soddisfatta. Se non lo facessimo … tramonterebbe il mondo su
Alfheim e da come
è scritto nell’Edda mi pare di capire che gli Elfi
non possano permetterselo”
aveva dichiarato Jason, sentendo i nervi a fior di pelle.
Ma sentendo anche le parole più fastidiose, più
difficili da pronunciarsi ogni
momento.
Stanco, esausto, spossato.
“Sì, ma tutto è cominciato nel momento
in cui sei arrivato. Astrid
mi ha raccontato delle tue menzogne.
Quindi, Jason Grace, presunto figlio di Giove, chi sei
veramente?” aveva
chiesto Fred a denti stretti, “E chi ti manda?”
aveva aggiunto. “Ho mentito
solo perché Thumelicus mi è parso abbastanza
contrario all’idea di avere un
romano in giro!” aveva gridato Jason, spazientito. Fred aveva
riso, “Non è vero!
Hai cominciato da prima!” aveva stabilito il figlio di Gerd,
come se fosse
stato in giro tutto il tempo con loro e non chiuso nella sua stanza,
“Non mi
manda nessuno!” aveva dichiarato Jason, “E se sono
la causa di questo non ne
sono consapevole!” aveva strepitato. Realizzando la menzogna
nelle sue stesse
parole.
Ne aveva sempre avuto il sospetto – ma, in quel momento, ne
aveva la certezza.
Prima che Fred perdesse definitivamente il buon senso, la porta della
sua
stanza si era spalancata, “Per gli dei, che state
combinando?!” aveva
strepitato Astrid, comparendo sulla soglia.
Non aveva più la corona di fiori ed i capelli erano chiusi
nelle trecce,
indossava una pesante giacca di pelle, con il bordo di pelliccia e
sotto
calzoni da uomo.
“Mi assicuro non ci sia un altro Ned!” aveva
dichiarato Fred, pieno di rancore.
“Jason non è Ned!” aveva stabilito
Astrid sicura, “Chi è Ned?” aveva
chiesto
Jason, confuso.
“Il precedente inquilino di questa stanza. Era un figlio di
Loki, lavorava con
sua madre per provocare il Ragnarok[3].
Non lo
vediamo in giro da duecento anni ormai, presumo sia
scomparso” aveva spiegato
didascalica Madina, comparendo alle spalle di Astrid.
“Certo!
Infatti, non hai notato che letteralmente il destino ha cominciato a
dissiparsi
appena lui è arrivato. Lui che come tu mi hai detto
è arrivato senza un video?
Perfino Magnus Chase ne aveva uno, anche se contraffatto”
aveva stabilito Fred,
che per essere un eremita era ben informato.
“Jason non è un figlio di Loki venuto qui a
portare caos. Al massimo è vittima
di una cospirazione” aveva dichiarato Astrid calma,
“Presumo ad opera di mia
zia Thrud. Niente di questa storia è colpa sua, tranne la
cosa di Váli” aveva
spiegato subito, cristallina Astrid.
Jason l’aveva guardata, i suoi occhi verde-acqua erano
piantati su Fred, lui
aveva chinato il capo, “Non sei obbiettiva in questo
momento” le aveva detto.
“No” aveva risposto Astrid, poi aveva continuato
– stupendo probabilmente tutti
i presenti – “Non lo sono. Non lo sono per nulla
– ma non credo che Jason sia
responsabile. Guardalo, è palesemente sull’orlo di
una crisi di nervi. È qui da
tre giorni e gli è capitato di tutto” aveva
considerato lei. “Non mi sento di
contraddirla” aveva commentato Jason.
“Fidatevi!” aveva preso la parola Madina,
“Ho conosciuto Jason bene ed ho visto
come è” aveva considerato quella,
“Più trasparente del vetro soffiato”
aveva
detto.
“Il vetro soffiato non è molto
trasparente” aveva soppesato Fred, “Tutti hanno
diritto ai loro segreti” aveva dichiarato Madina, strizzando
l’occhio verso di
lui.
Jason aveva sentito il suo petto riscaldarsi,
“Grazie” aveva detto calmo, pieno
di amore e riconoscenza, “Ma Fred ha ragione. Tutto questo
è colpa mia” aveva
dichiarato alla fine.
Il figlio di Gerd non gli aveva concesso neanche un sorriso trionfale,
se
possibile il viso olivastro era impallidito, Astrid era diventata
ieratica e
l’espressione di Madina si era gonfiata di lutto,
“Ma ha ragione anche Astrid,
non è colpa mia” aveva considerato.
“O lo è o non lo è” aveva
insistito il monaco crociato.
“Io … credo che la mia presenza abbia scatenato
tutto questo, ma la mia
presenza qui non è dipesa da me. Questo intendo”
aveva considerato Jason.
Non poteva dirlo.
Aveva detto a Thrud e Kym che non lo avrebbe fatto – e
già Nico, Percy ed
Annabeth conoscevano la verità – ma iniziava a
chiedersi se le due avessero
avuto reale coscienza delle loro azioni. Erano dee e mai gli dei
pensavano a
lungo alle conseguenze delle loro azioni.
E per tenere quel segreto Kym aveva compiuto un massacro.
“Pensavo avessi detto fosse meglio non parlarne”
aveva cominciato Madina,
circospetta, “Non lo so più. Poco fa Fred ha detto
che prima del mio arrivo le
cose si erano fatte tranquille. Ed ora? Possono essere cambiate le cose
da anche
solo questa mattina?” aveva chiesto Jason.
Quella mattina si era svegliato a Jotunheim.
Aveva affrontato un gigante.
Aveva spaccato il cielo.
Aveva acquisito un nemico e scatenato un conflitto tra dei Romani e
Norreni.
Aveva rivisto i suoi amici – e li aveva messi in pericolo,
mortale.
Aveva scoperto fosse scomparso un dio.
Aveva affrontato un’Augusta romana – sorella
dell’Imperatore-Dio che l’aveva
ucciso.
Aveva assistito imponente ad una strage, fatta in suo nome.
Fred aveva scoperto tutto.
Si era seduto sul letto, stanco, quando il corno della cena aveva
suonato,
segno che la giornata ad Idavoll fosse conclusa e che ai Caduti fosse
concesso
il loro meritato pasto.
“Il Valhalla non è mai tranquillo. Andiamo a
cenare” aveva detto Astrid,
perentoria, “Qualsiasi discorso sarà meglio a
pancia piena” aveva concordato
Madina, tentando di risistemare il morale.
Jason si era alzato, Fred lo aveva guardato, con ancora diffidenza nel
suo
sguardo. “Qualunque sia la ragione: io non la ho
voluta” aveva detto,
guardandolo. Ed era sincero.
Era felice nei Campi Elisi, era felice davvero, così felice
da aver deciso di
non bagnarsi nel fiume Lete, non fino a che non avesse visto Piper e
Leo
palesarsi lì, con lui, in un lontano –
lontanissimo – futuro.
Il figlio di Gerd si era morso un labbro, poi aveva sospirato,
“Non ti conosco
abbastanza da fidarmi, pagano” aveva dichiarato alla fine.
Jason aveva annuito,
accettandolo.
Thumelicus
era già a cena, con Stellan dall’altro lato.
L’elfo aveva tolto l’elmo dei vivi
e stava bevendo con ingordigia una coppa di vino-e-miele, per
riprendere
colore.
Mel aveva sciolto la treccia, perciò capelli d’oro
chiaro, scivolavano su un viso
imbronciato. Le ferite dello scontro si erano assorbite totalmente,
sembrava
solo un’adolescente normale, con un venerdì girato.
Tra le mani aveva la spilla a forma d’aquila di Italicus.
Madina era corsa verso di lui schioccando un bacio sulla guancia,
“Spero non
sia per me, mi piacciono solo chincaglierie delicate e con motivi
floreali”
aveva dichiarato allegra, “È l’invito
per Folkvang” aveva risposto lui,
cercando di apparire divertente come sempre, ma con occhi vacui.
“Stai bene,
tesoro?” aveva chiesto Madina a disagio, quasi oscillando da
un piede
all’altro, prima che lui l’afferrasse per la vita e
la portasse in braccio sul
suo bacino e dandole un lungo bacio sulle labbra, ravanante
d’affetto.
Qualcuno nella stanza aveva fischiato impunemente.
Fred si era trascinato accanto a Stellan, così anche Astrid
accanto a lui.
Jason aveva preso posto sulla panca accanto a Mel, tenendosi ad una
certa distanza
se Madina avesse voluto accomodarsi su di essa, invece che sulle cosce
del
fidanzato.
Mel non lo aveva guardato.
“Bene portiamo quell’affare a Bragi, andiamo a
farci un giro a sodoma-e-gomorra
e poi recuperiamo quel cinghiale” aveva considerato Fred,
mentre una valchiria
si avvicinava verso di loro, con un piatto grande pieno di arrosto di
cinghiale.
Jason ci mise un momento per riconoscere i tratti eleganti ed un
po’ spigolosi
di Lagherta. Si era guardato intorno, osservando tutte le immortali
cameriere
della sala.
Non riconosceva da alcuna parte l’hjab verde pistacchio a
fiori rosa shocking
di Samirah, che immaginava fosse in cerca di Mimir, così
come Jason voltando
veloce lo sguardo, aveva potuto vedere che il tavolo di solito occupato
dal
tavolo diciannove, poteva contare della sua focosa rossa e del gigante
vichingo.
Aveva ripreso a guardare le valchirie.
Kráka stava versando da bere e scherzava con un uomo, ma tra
tutti i visi di
donne, il secondo che cercava – dopo Samirah – non
c’era.
Thurd.
“Bene, giovani sfortunati eroi, mangiate” aveva
cinguettato Lagherta, versando
delle sonore coppe di spezzatino nei loro piatti, “Ho sentito
che oggi hai
fatto il bis. Dopo i reali, sei andato a portare caos anche al piano
dei
romani” aveva cinguettato divertita la valchiria.
“Oggi i Romani, domani
Asgard” aveva scherzato Mel.
Lei aveva ridacchiato, prima di allungarsi verso l’altro
tavolo, ma Jason
l’aveva intercettata.
“Mia signora” aveva affermato,
“’Mia signora’ chiamaci tua madre, al
minimo io
sono ‘sua altezza’” aveva dichiarato la
valchiria, cogliendolo di sorpresa, “Scherzo,
puoi chiamarmi Lagherta, ha un bel suono e non lo sciuperai”
aveva ghignato
quella.
“Volevo … sapere dove fosse Thrud” aveva
ammesso Jason.
“Ovviamente a marinare i suoi doveri, come sempre. Lady Thrud
si nasconde
sempre dietro il fatto che è figlia del potente
Thor” si era lamentata
Lagherta, “Io non la vedo da … quando vi ha
portato da Kráka” aveva dichiarato,
prima di riprendere il suo servizio.
Jason aveva sospirato.
“Questo non ci aiuta per nulla” aveva detto Astrid,
giocando con un cubetto di spezzatino
con la forchetta.
Non avevano detto niente poiché Bragi, in veste di Odino,
aveva attirato
l’attenzione ed aveva dato il benvenuto ai nuovi arrivati.
“Spero si godano il cinghiale e l’idromele prima
che il tessuto di cui sono
composti i mondi si sfaldi” aveva considerato Fred con un
tono pregno di
sarcasmo, “Spero accada presto, ho bisogno di movimentare un
po’ la mia vita”
aveva scherzato Mel forzatamente.
Stellan aveva voltato gli occhi verso di lui ed aveva sillabata senza
emettere
suoni un: come-stai.
Jason aveva annuito, incerto di cosa volesse dire.
Aveva mangiato un po’ del suo spezzatino, nonostante sapesse
fosse ottimo,
sulla sua lingua sapeva di cenere. Aveva cercato con gli occhi per la
sala,
cercando ancora, inutilmente, Thrud, quando aveva trovato qualcuno
guardarlo.
Non lontano, Freydis – in quel momento – giovane
con la pelle liscia come una
pesca ed i capelli biondi sciolti, lo guardava mentre sbocconcellava
del cibo.
Al suo fianco c’era Einar padre-di-Astrid spettrale come
sempre. Lui sembrava
indossare l’espressione più infelice del mondo,
meno la donna, che stava lì
come una gatta sorniona.
“Freydis ha avuto le sue mele” aveva dichiarato
Jason.
“E allora? Hai detto tu stesso che poteva averle”
aveva chiesto Mel, il suo
tono era sembrato seccato. Questo aveva attirato lo sguardo degli
altri. “Ieri
non le aveva – ci ho pensato solo ora. L’altro ieri
aveva cercato di andare a
prenderle ma non c’era riuscita” aveva raccontato.
“Quindi il piano che avevi avuto era stupido? Oh,
wow” aveva commentato Mel.
“Bene, mi pare di aver capito che qualcuno ha scoperto che ti
inginocchi
davanti all’idolo di un’Aquila” aveva
sogghignato Fred.
“Stercore! Non ci credo che lo sapeste
tutti” aveva commentato spento
Mel, “Io lo ho scoperto con te” aveva squittito
Stellan, “Io probabilmente dopo
di te” aveva ammesso Fred, sollevando le braccia.
“Oh, potente Thor, per i primi due giorni girava con la
scritta SPQR in bella
vista” si era giustificata Astrid. Mel era arrossito pieno di
vergogna. Jason
aveva guardato il suo braccio scoperto in quel momento, senza
particolare remora.
“Io lo ho scoperto oggi” aveva ammesso Madina,
“Era dovere di Jason dirti la
verità” aveva sottolineato.
“Pensi che Freydis possa entrare qualcosa con tutta questa
storia?” aveva
domandato invece Astrid, mentre lasciavano Mel ad elaborare la notizia.
C’era
qualcosa di rigido nella voce della skraelinger.
“Non lo so, non la conosco. Solo che …”
Jason si era morso un labbro, non lo
sapeva, aveva guardato Astrid, “Mi stai chiedendo se la donna
che mente,
inganna e sfrutta la gente da duemila anni può essere
coinvolta in un divino
furto? Può darsi ma se Freydis voleva le mele
d’oro e basta?” aveva chiesto con
un’onestà quasi disarmante l’altra.
“Però è vero che ci sta
guardando” aveva commentato Madina, “Conoscendola
avrà
fatto una qualche scommessa sulla nostra esistenza” aveva
chiuso il discorso
Astrid.
“Vado a consegnare questo a Bragi” aveva dichiarato
Mel, mostrando la sua
spilla, Madina si era sollevata per permettere al fidanzato di
scivolare via.
Stellan si era voltato subito verso Jason, “Non ha detto una
parola da quando
siamo andati via” aveva dichiarato, “Ma cosa
è successo?” aveva domandato
Astrid, allora, notando per la prima volta come era tesa
l’aria, forse.
“Abbiamo affrontato la sua sorella di Latte” aveva
risposto per lui Stellan,
“Parlare della sua famiglia e della sua vita prima della
morte, rende Mel
sempre nervoso. Specie ora che stiamo per incontrare suo
cugino” aveva cercato
di giustificare Madina.
“No, è arrabbiato perché ha scoperto
che sono un romano, figlio di Giove ed
ex-pretore di Nuova Roma” aveva dichiarato Jason con un tono
basso, perché
quella confessione – ormai priva di valore perché
nota all’intero tavolo – non
superasse le loro orecchie.
“Digli che hai combattuto contro il Triumvirato”
aveva detto Madina, gentile e
comprensiva, posandoli una mano sulla spalla.
Certo, lo aveva detto anche Agrippina, avrebbero potuto riunirsi
sull’odio
verso l’imperatore Caligola, che a questo punto, visto la
vicinanza con la
madre di Nero, Jason immaginava anche lui dovesse averlo conosciuto. Un
brivido
lo attraversò, “Siete andati a San Francisco per
Caligola” aveva detto,
sottovoce, mentre occhieggiava Mel al tavolo principale, dove era Bragi
con i
Thenn.
Uno di loro, si accorse Jason, con spaventoso ritardo, somigliava a
Mel, lo
stesso biondo chiaro e viso bello – ma anche terribilmente
più famigliare. Thumelicus
figlio di Harmin, così lo aveva chiamato Boedicca,
che risiedeva al piano
dei Re.
“Sì anche” aveva ammesso Madina,
“Gli imperatori Dei hanno riportato in vita
molti germani, galli ed altri nel corso del tempo per riformare il loro
esercito ausiliare, ogni tanto son venuti a pescare anche da queste
parti.
Ovviamente non Caligola, lui preferiva automi e mostri vari, ma voleva
parlare
con Mel. Non so cosa si sono detti” aveva sussurrato
– Jason era abbastanza
certo stesse mentendo – “Ma è
così. Dopo La Battaglia alla Baia, siamo andati a
tributare gli onori ai germani caduti due volte, ma io so che voleva
farlo
anche per Caligola. Come ti ho detto, certe catene non scompaiono
mai” aveva
ripetuto.
Jason aveva annuito.
Ovviamente se era stato cresciuto con Agrippina – coetanei
– Caligola aveva
vissuto con loro, nella stessa casa, doveva averlo visto crescere, lo
aveva
anche fatto frustare, ma doveva essere il suo domino. Ricordava Jason,
quando
aveva parlato dei sogni, come Mel avesse detto fosse rimasto
imbrigliato nella
vita di Gaio Iulio.
Agrippina Minor era nata a ridosso con le campagne germaniche di suo
padre –
dove Caligola si era guadagnato il suo tenero
nomignolo – così come
doveva aver fatto Thumelicus. Erano nati ambedue nel quindici dopo
cristo,
circa, se Jason avesse aggiunto i sedici anni che Agrippina aveva detto
Mel
avesse, avrebbe portato la data di morte del suo amico al trentuno.
Anno della morte di Seiano, per mano dell’Imperatore Tiberio
… e l’ingresso di
Caligola a Capri. O almeno Jason pensava di ricordare. Aveva studiato
quelle
cose, ricordava, il tempo, come rarefatto nella sua memoria. Lui,
Dakota, Gwen
ed un sacco di Dr. Pepper per non addormentarsi.
Una vita che somigliava sempre di più ad un sogno.
Mel era
tornato con l’espressione più truce del mondo,
scivolando silenzioso al fianco
di Madina, “Bragi ha detto che levato il desco, potremmo
partire, sta
disponendo un mezzo” aveva chiarito subito. “Spero
ci facciano cavalcare
cavalli di vento” aveva esclamato Stellan, subito, con un
sorriso allegro sulle
labbra, attirando l’attenzione di tutti. “Scusate,
io … mi piacerebbe un sacco”
aveva ammesso. Jason aveva sorriso verso di lui, “Devo dire
che è una cosa
molto piacevole” aveva raccontato.
In quel momento stavano guardando tutti lui, “Puoi evocare i
venti?” aveva
chiesto Astrid, confusa, quasi, “Sì avevo un
cavallo di vento di nome Tempesta”
aveva detto pieno di dolcezza.
Non aveva idea se avesse potuto evocarlo ancora. L’ultima
volta che aveva
evocato i venti avevano risposto dei Lupi. Erano figure positive per
lui, Lupa
era madre di Roma, ma non in quel Pantheon.
“Fantastico, recuperato il cinghiale, Jason
porterà tutti in giro su cavalli di
vento” aveva esclamato Madina, con un tono di voce sprizzante
di divertimento,
ma la sua allegrezza non aveva contagiato il resto del tavolo.
“Finiamo di mangiare e muoviamoci” aveva detto
tetro Mel.
[1]
Il Lus
finale viene utilizzato come diminutivo, circa, prendendo come esempio:
Romolo
Augusto, chiamato Romolo Augustolo. (Per le ragazze si usava La, come
nel caso
di Iulia Livia, nota come Iulia Livilla).
[2]
Bastardo
Figlio di Giove
[3]
Ned è il
nome che ho deciso di dare al famoso figlio di Loki già
citato in precedenza in
questa storia e nella Storia di Magnus Chase. Il personaggio,
formalmente non
aveva nome, ora ne ho dato uno. So, forse un po’
out-of-the-blue ma se riguardate
il capitolo, i personaggi ne parlavano con abbastanza confidenza.