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Autore: RLandH    26/06/2022    1 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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Allora gentili lettori, sono tornata? Non proprio.
In questo momento non sto vivendo, diciamo, quello che sarebbe definito: Best time of my life.
Sarò onesta: scrivere mi crea molta fatica. Moltissima.
Mi sono dovuta forzare per scrivere questo capitolo e credo si veda, la parte onirica è stata scritta infinite volte, continuando a cambiare soggetto.
Mi sento drenata da ogni forza, però ho deciso che dovevo aggiornare, anche solo per uscire da questo sentimento.
Però si vede, il capitolo è brutto (e forse alcune narrazioni si sentono forzatissime). Quindi, non è improbabile, che in futuro io possa rimetterci mano, infinite ed infinite volte.
Prima di andare avanti:

1.       GRAZIE A FARKAS. SUL SERIO GRAZIE <3

2.       TRIGGER WARNING: Il capitolo contiene sangue, non roba gore, ma sangue, però si fa riferimento anche alla morte, ci sono morti (molte) in maniera non valhalliana anche se la cosa è trattata molto da lontano.
E gli Dei, gli dei sono un TW a se stante.

Detto questo, perdonatemi per questo schifo,
Buona Lettura,
RLandH

 

 

Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi

 

“Allora, chi vuole cominciare le danze?” aveva domandato Iulia Agrippina, muovendosi sinuosamente, con la spatha alla mano. “Due contro uno?” aveva chiesto Mel, incerto.
“Oh, be, siete un gladiatore quindicenne piuttosto sfigato e … be, Jason non ha proprio una morte che depone a suo favore” aveva ridacchiato la donna.
Lui aveva sentito la rabbia a quelle parole. “Potrei essere più forte di quanto mi valuti” aveva considerato, cercando di mantenersi calmo.
“Oh, sì, ti prego non considerare la mia spavalderia per incoscienza. Sono l’unica persona qui dentro a sapere esattamente quanto sia corretto valutarti” aveva risposto lei, senza particolare enigma.
“Mi sembra abbastanza evidente che sai esattamente chi sia Jason” aveva considerato Mel.
Iulia Agrippina aveva sorriso, piena di soddisfazione, “Ovviamente! Il Valhalla mi piace, ma quando ho compreso che non avrei avuto la mia gloriosa scalata, ho cominciato a tenere le orecchie dritte per il mondo esterno! Non potevo lasciare alla mia famiglia tutto il divertimento” aveva raccontato, sollevando l’arma, pronta alla difesa, “Comunque, fa molto ridere: io so chi è Jason, so chi sei tu Thumeliculus[1], e voi?” aveva chiesto retorica.


Su una cosa Iulia Agrippina non aveva mentito era un lascito di Marte fatto e finito, dopo aver lasciato appesa quella frase, provocando confusione nel viso di Mel, si era lanciata con vigore contro di lui, spada tesa.
Jason aveva cercato di intercettare la lama con la sua lancia, ma Iulia Agrippina aveva deviato il movimento all’ultimo minuto, scendendo in scivolata e colpendo con un piede lo stinco di Jason, con la letale combo che poteva esserci tra l’essere un einherjar e di chi doveva aver avuto la benedizione di Marte. Jason era finito faccia a terra, con un dolore atroce allo stinco, aveva sentito lo sferragliare delle spade, si era voltato notando come Mel avesse incrociato il suo gladio con la spatha di lei, prima che Agrippina lo colpisse alle spalle.
“Un po’ delusa, ma ti concedo il beneficio della sorpresa. Lo so, mi vedi vecchia e molle…e come tutti quanti mi prendi sottogamba” aveva riso di lui Iulia, prima di mollare una ginocchiata a Mel, che si era scansato in tempo, perdendo la tensione delle spade e quasi rischiando di farsi affettare la faccia – impedito solo dalla spinta che Jason era riuscito a dargli.
“Sai vero che se fosse morto non sarebbe stato permanente?” aveva chiesto Agrippina, divertita. “Non abbiamo tempo!” aveva ringhiato Mel, recuperando la spada con nervosismo, “Allora vai a prendere quello che ti ho ordinato. Certo, ora sono incazzata, quindi ne vorrei una intera!” aveva ringhiato.
Jason aveva sentito il dolore allo stinco farsi molto più leggero, il suo corpo, in quel luogo, si stava riprendendo alla velocità della luce.
Si era alzato, assottigliando lo sguardo.
Agrippina era potente. Il potere divino nei lasciti era sempre ambiguo, ogni tanto si manifestava meno, altre molto, come se fossero stati semidei; Frank era un proteiforme come il suo avo, così come Octavian possedeva la capacità di interpretare il futuro. Agrippina doveva essere così, doveva possedere la forza di Marte, come Frank doveva esserne stata benedetta. Aveva notato Jason, che, come Einherjar, era più potente, più scattante, di quanto fosse stato da semplice semidio – altrimenti non avrebbe mai evocato la bufera di fulmini – e così doveva essere per lei; se Jason avesse ricordato bene, per uccidere Iulia Agrippina avrebbero dovuto ricorrere a diversi espedienti.
Una volta avevano affondato la barca su cui era, non solo lei era sopravvissuta a quello ma era stata costretta fuggire a nuoto dai finti pescatori, mandati dall’imperatore, che l’avevano bersagliata con le lance.
Ed avevano fallito. Agrippina non era morta neanche così.
Jason ebbe un’altra angosciante rivelazione: Agrippina era più forte di loro, nella bruta maniera del dio della guerra.
Avrebbe usato la sua forza e non ne avrebbe fatto vergogna – e Jason in quel momento sapeva perché non avesse detto nulla sulla sua origine. Voleva che Jason usasse i suoi poteri, voleva che li palesasse davanti a Mel e si dovesse giustificare dopo.
Era la sorella di Caligola, in fin dei conti.

“La smetti di prenderci in giro?” aveva chiesto Mel, sfacciato.
“Siete voi che perdete tempo, avete anche messo fuori uso l’elfo” aveva risposto divertita Agrippina, chinando il capo e facendo oscillare una cascata di riccioli. Prima, aveva raccolto la maggior-parte di loro in una crocchia, lasciando solo due ciuffi dalla nuca pendenti, ma dopo la corsa, diverse ciocche avevano abbandonato la posizione.
Mel aveva tentato un attacco, non molto convinto, nonostante i duemila anni spesi a Idavoll, doveva aver tenuto il suo stile di combattimento gladiatorio. I mirmilloni erano una fortezza, si riparavano dietro gli scudi e si scoprivano solo per attenti, precisi e mortali affondi, ma Mel non aveva lo scudo.
La sua difesa, in quell’occasione, si traduceva nella lontananza.
Jason si era guardato intorno, in cerca di uno scudo da passare.
“Vuoi davvero lasciare tutto in mano al ragazzino morto al suo secondo combattimento in arena? A Ravenna?” aveva detto con biasimo Agrippina, verso di lui.
Agrippina era per l’attacco, come strategia, non lasciava il tempo di respirare, ma non era vorace come Lit, era una danza.
Attacco, passo indietro, attacco, passo indietro.  E se fosse stata bloccata, avrebbe morso con quel che poteva. Ginocchiate, pugni, calci negli stinchi.

“Oh, mia Augusta cosa sta succedendo?” aveva esclamato una voce alle loro spalle, Jason si era voltato in tempo, per vedere un paio di giovani uomini, vestiti da legionari romani, di diverse epoche, che guardavano la scena. Tra loro, non c’era il famigliare volto di Maes figlio di Pluto, forse i bizantini avevano un altro piano, o forse come Jason era finito altrove; magari in un piano con la guardia variaga.
“O niente, mie prodi, do una lezione ad un paio di barbari” aveva replicato divertita lei. “Oh, Thumelicus sei passato per la decennale scazzottata?” aveva chiesto uno di loro, “Un po’ in anticipo” aveva valutato quello. Indossava un’armatura di secondo secolo, con la lorica manicata scintillante.
“Oh, ciao! Alexius” aveva risposto Mel, con un tono insospettabilmente gentile, “Sì … no è un fuori programma” aveva aggiunto.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso il suo amico, “È un’ausiliare dacio! Ci scambiamo le ricette dei biscotti” aveva specificato, pieno di imbarazzo. Jason lo aveva guardato con ancora più confusione in viso, Mel aveva alzato le spalle pieno di vergogna.
“Augusta, dovremmo intervenire?” aveva chiesto uno dei soldati, “Oh Seppius! Non ti preoccupare posso gestire entrambi” aveva dichiarato con innocenza Iulia Agrippina.
Mel aveva digrignato i denti, “Niente di tutto questo è importante” aveva considerato con una certa rabbia, “Ti prego” aveva aggiunto, con un tono di disperazione.
“Mia signora” aveva commentato uno degli altri uomini, ne Alexius, ne Seppius, “Io ho servito vostro padre con orgoglio e non posso permettere che due barbari si facciano scempio di voi” aveva commentato. Iulia Agrippina aveva roteato gli occhi, “Ma lo sapete vero che nessuno di voi morirà, veramente?” aveva chiesto per loro Jason.
Era strano come pensiero, ma … si potevano letteralmente uccidere senza morire.  Era una delle prime cose che aveva detto Mel: scatenati, qui nulla a conseguenze.
Era un pensiero estraniante.
“Sì ma il tempo!” aveva uggiolato Stellan dai resti del divano, era ancora in stato comatoso, con gli occhi semichiusi e il viso più livido che mai.
“Bene, allora cominciamo” aveva esclamato Iulia Agrippina piena di soddisfazione. I guerrieri romani si erano lanciati nella mischia con incredibile soddisfazione, “Lasciate in pace l’elfo! È vivo!” aveva provato Mel, quando qualcuno si era avvicinato per vedere quello, ancora steso sul divano.
E poi era cominciata la mischia pesante.

Jason era riuscito ad intercettare con la lancia una spada, aveva colpito lo scudo dell’altro con un pugno, l’elettricità delle sue nocche si era riversato nel ferro in una maniera così impetuosa da renderlo incandescente, sorpreso Alexius lo aveva fatto cadere, Jason lo aveva colpito dritto sul naso, prendendo lo scudo e lanciandolo a Mel.
Mel aveva appena preso una coltellata sulla spalla da Seppius, ma aveva risposto con un pugno sul naso del romano. “Attento, scotta!” lo aveva avvertito Jason. Mel aveva raccolto l’oggetto, con pura confusione sul viso.
Jason era caduto colpito allo stinco da Alexius, che si era tirato su, con il naso maciullato e sangue grondante. Jason aveva mosso la mano, come se avesse schiaffeggiato l’aria e questa aveva colpito in pieno il soldato dacio, che si era ritrovato sbalzato.
“Non credo avessero capito il tuo potenziale” aveva detto Iulia Agrippina, affondando precisa la lama, Jason l’aveva intercettata in tempo. “Hai avuto la benedizione di Marte” aveva considerato Jason, “Sì, sai super forza e grande resistenza. Utile non indispensabile. Ho sempre trovato mediocre che il grande Marte Ultore non possedesse tra i suoi poteri non so: fuoco e fiamme? I romani sono sempre stati bravi in quello” aveva considerato Agrippina, “Ma tu hai molti doni. I figli di Giove che possiedono i fulmini sono portentosi, quelli che comandano i venti poi, ma insieme” aveva considerato divertita lei, “Roma doveva essere fiera di avere un capo così notevole. Mi chiedo come tu abbia accettato di rinunciare, di come tu non sia diventato: Princeps” aveva scherzato.
“Non ho attitudine al comando, sono più un mediatore” aveva considerato Jason, affondando con la lancia. Aveva colpito di striscio il fianco dell’Augusta, che aveva sferzato la sua spatha verso di lui. “Vediamo che ne pensa Thumeliculus!” lo aveva avvertito; Agrippina aveva spiccato un salto notevole, provando a colpirlo dall’alto, Jason aveva usato Giunone per difendersi, intercettando il colpo, fermando la lama, non prevedendo il calcio in pieno sterno che aveva ricevuto poi.
Sentendo diretto il dolore sulle sue costole, accompagnato dal rumore secco di qualcosa spezzato, come se fosse stato colpito da una statua di pietra.
Il colpo l’aveva sbalzato, aveva usato i venti, sottili, i pochi che poteva richiamare lì, per attutire la caduta, ma era capitato dritto contro un pezzo di legno scheggiato, che era finito dritto sul suo braccio ed aveva perso la presa di Giunone che aveva finito per rotolare via.
“Oh, be, sono abbastanza delusa” aveva commentato Agrippina sollevando la mano, Jason aveva intercettato il fendente con l’unica cosa che aveva libera: la mano destra, sentendo, dritto, sulla carne l’oro imperiale. La lama era stata così affilata e potente che non aveva potuto sentire altro che un cieco e sordo dolore, alcune dita erano saltate e l’oro aveva scavato la pelle, fino a scontrarsi con l’osso.
Jason aveva sentito la mano andare a fuoco, così come aveva sentito il sangue esplodere.
“Ma cos …” aveva boccheggiato Agrippina rimasta sorpresa da quel gesto, “Tanto tra un’ora e due sarà integra” aveva commentato Jason, incerto su cosa avrebbe dovuto fare in quel momento.
Il pezzo di legno nella spalla rendeva i movimenti del braccio sinistro impossibili, doveva aver reciso qualcosa di importante, il dolore alla mano destra era esasperante. Anche lo sterno era spappolato e la rigenerazione stava lavorando lentamente.
Giunone era rotolata lontano.
“Sì, diciamo che combattere qui può essere molto creativo” aveva considerato Agrippina, cercando di recuperare la sua lama, incastrata nell’osso di Jason.
“Certo, adesso morirai dissanguato” aveva considerato, comunque, Agrippina, “Miracolo che non sia di shock. Si dice così?” aveva aggiunto. Faceva strano sentirle sulle labbra una parola così odierna.
Jason le aveva sorriso, rinvigorito. Aveva avuto un’idea!
Agrippina l’aveva suggerita,
implicitamente.

“Può darsi, ma non sarò il solo” aveva ripreso Jason, cominciando a sentire terribilmente fastidioso respirare. Agrippina aveva aggrottato le sopracciglia, “Fisica base, qualcosa che non andava di moda ai tempi di Roma” aveva considerato. Poi lo aveva sentito, montare dentro lui, quell’energia crescere, vibrare nel sangue, la stessa che aveva sentito a Jotunheim, era stato un semidio potente, lo sapeva, ma ora lo era anche di più.
Agrippina aveva capito troppo tardi quello che era successo, “Iovis filius Irrumatur[2]!” aveva esclamato l’augusto prima del colpo. Jason aveva evocato un fulmine, non uno potente, non uno di quelli dal cielo, ma da lui dalla sua elettricità, da dentro. L’oro imperiale aveva fatto ciò che doveva, fino a raggiungere il lascito di Marte.
“L’oro è uno dei migliori conduttori in natura” aveva tossicchiato Jason, sputando sangue – abbastanza sicuro che una delle sue costole dovesse aver fatto danno – mentre Agrippina si rovesciava a terra, con le dita nere, contorta. Una mortale sarebbe morta, una semidea forse no, un einherjar di sicuro no.
Ma il colpo elettrico e le urla, avevano attirato l’attenzione di tutti. “Che le hai fatto?” aveva domandato Alexius tenendola per le spalle, “La ho folgorata” aveva risposto Jason ovvio.
Seppius continuava a sanguinare ma aveva raccolto la sua spada, pronto a prendersela con Jason, ma era stato attirato da un pugno di Mel.
Jason si era sforzato di parlare; “Sei stata sconfitta” aveva dichiarato; l’evocazione del fulmine lo aveva devastato. “Non finché respir-” la frase di Agrippina era stata tranciata da una lama nella gola, era stato Alexius il dacio a farlo.
“Ma cosa fai?” aveva strepitato il terzo uomo, Jason non sapeva il suo nome, “Ero un pretoriano, uccidere imperatori e famigliari è il nostro passatempo preferito” si era giustificato quello.
Agrippina era esplosa in una nuvola di fumo d’oro brillante. “Capisci perché amo questo romano?” aveva detto pieno di vita Mel.
Al posto del corpo della donna era rimasta un’altra cosa, un oggetto piatto, dalla forma di un’aquila, con le ali strette – non ancora spiegate – con il collo e la testa di profilo, come i dipinti di Horus, ed un unico occhio sano. Era attraversato da fili d’oro che dividevano gemme preziose.
“Immagino che quella sia la spilla” aveva considerato Jason.
“Sì” aveva sentito una voce femminile alle sue spalle, si era voltato ed aveva visto che nella parte di camera notturna di Agrippina, il letto era tornato a posto e sopra di esso stava la donna. “Sei stata veloce?” aveva commentato Jason stupito, “Spiegaglielo tu” aveva commentato quella, ammiccando a Mel. “Quando è parecchio che stai qui diventa sempre, sempre, più veloce” aveva spiegato il germano.
“Prendiamo la spilla ed andiamo via, l’abbiamo vinta” aveva detto Jason, togliendosi finalmente la lama dalla mano, “O almeno, Mel e Stellan lo faranno, io credo resterò a morire qui” aveva considerato Jason. “Alexius, cortesemente, fai quello che ti piace ed uccidi il pretore Jason Grace” aveva detto Agrippina, vendicativa.
Mel si era irrigidito, mentre raccoglieva la spilla.
“Ah, non te lo ha detto? È un romano! Figlio di Giove addirittura” aveva esclamato la donna, ma Jason non riusciva a sentire bene, iniziava ad avere le trabecole, come quando dimenticava di mettere gli occhiali e si sentiva perso. Aveva osservato la mano, trovandola nulla più che una macellazione di sangue e putridume, che aveva raccolto sotto di sé una forte macchia rossa sulla calce. Anche il dolore allo sterno aveva cominciato a farsi piuttosto serio, dandoli un po’ di problemi a respirare. “Ho abdicato …” era riuscito a dire, sentiva anche male alla spalla dove si erano infilate le schegge di legno, ma rispetto al resto era nulla, assolutamente nulla. “Ex-pretore di Roma” aveva specificato Agrippina, ma la sua voce era distorta e lontana.
Jason si era sforzato di tenere gli occhi aperti, mentre osservava Mel, guardarlo, con gli occhi verde scuro, aveva in mano l’aquilotto d’oro. “Penso … penso …” aveva provato a dire, “Non è semplicemente un ex pretore, è un eroe della grande Nuova Roma, Apollo, il dio in persona, ha celebrato i suoi riti funebri. Hanno fatto una statua in suo onore!” aveva raccontato Agrippina, “Fidati tengo d’occhio la mia gente” aveva esclamato.
Aveva intravisto come macchia sfocata Stellan, avvicinarsi. Aveva sentito le sue mani calde sul torace, “Io credo che una costola abbia perforato un polmone. Il mio alf seidr nel curare le persone umane, lascia a desiderare, forse, ecco, potremmo ucciderlo, così morirà subito … o rischia di soffocare nel sangue” aveva borbottato.
Mel si era chinato, continuando a guardare Jason ed aveva messo una mano attorno alla spalla di Stellan, “Ci vediamo a cena, Jason, tra poco suoneranno il corno” aveva commentato Mel, con freddezza, raccogliendo l’elfo, come se fosse stato leggero come una piuma.
“Penso si sia arrabbiato” aveva considerato Agrippina, con un tono quasi divertito, “Nessun problema, farete pace, unendovi nell’odio verso mio fratello” aveva detto, accarezzandoli i capelli quasi materna.
Alexius si era sollevato, “Taglietto veloce alla gola?” aveva proposto.

Jason era morto per la seconda volta in quella giornata.

Il mondo si era tinto di un colore azzurro intenso, ma non aveva alcuna idea di dove fosse. Aveva riconosciuto davanti a lui, alte colonne, immense, con circonferenze così larghe che Jason non sarebbe mai riuscito a coprire la grandezza, abbracciandole. Le colonne terminavano in immensi capitelli ionici, con volute grandi come ruote di una macchina. Ogni cosa era coperta di licheni, conchiglie marine e un pesce aveva sfiorato il viso di Jason, nuotandoli accanto.
Si era voltato di scatto, era sotto l’acqua, realizzava, per questo il mondo era tinto di questa foschia blu e nera, ma ovviamente non lo percepiva, non veramente. Lui era una proiezione, uno spirito.
Aveva potuto osservare allora che il colonnato enorme non faceva altro che incorniciare un cortile, gigante, solo che non era erba, ma composto di alghe e varietà marine. La luce era data dalla bioluminescenza delle creature. Vorticavano intorno a lui come lucciole. Era uno spettacolo suggestivo e splendente.
“Ammetto che questo posto ha il suo fascino” aveva chiocciato una voce femminile, Jason aveva potuto vedere una donna.
Capelli biondissimi come argento, che sfoggiava una lunga tonaca azzurra, che le gonfiava ad ogni passo, scoprendo le gambe bianche e le calze vermiglie. “Be, Kolga non ha il fascino della sala dei banchetti di tuo padre ma ci si può lavorare” aveva scherzato una voce famigliare. Jason aveva riconosciuto subito Benetescima, vestita con una toga elegante di un vibrante color corallo. Kolga aveva rivolto uno sguardo sprezzante alla dea marina, “Mi dispiace per averti tirato addosso un relitto” aveva dichiarato Bentescima, “Mi dispiace di averti scatenato un tornado” aveva replicato Kolga.
Doveva essere una delle Nove Onde di Aegir. “Pensi che faranno pace quelle due bisbetiche?” aveva chiesto alla fine Bentescima, sedendosi su una panchina fatta di pietra, che somigliava ad un sarcofago, “Adda porta tanto rancore, ma mi pare che tua sorella sia anche brava in questo gioco” aveva scherzato Kolga.
Jason ebbe un brivido, seguendo lo sguardo delle due dee, aveva trovato le due figure di cui parlava.
Jason aveva fatto dei passi veloci, scoprendo di poter fluttuare come in acqua, sebbene non sentisse il freddo e l’acqua.

Kymopoleia aveva indossato di nuovo la sua camicia con la fantasia con le figure marine, i capelli verdi come alghe fluttuanti. Al suo fianco ondeggiavano anche le treccioline d’oro, coperte di sangue, da esse, in vero, fuoriusciva una macchia di rosso, che colorava l’acqua, di Blóthughadda, anche lei indossava abiti più moderni: una maglietta nera con qualche scritta oscena sopra. “Scusami, amica mia, prima mi sono fatta prendere la mano. Avevo litigato con mio marito” aveva detto Kym, la sua voce era dura come l’acciaio ed ogni parola sembrava costarle una fatica. “Non mi importa, Kym! Ti sei frapposta tra me e la mia vendetta, se lo avessi fatto io?” aveva chiesto retorica. “Non era la tua vendetta, ma quella di tua madre” aveva sottolineato fredda Kymopoleia, “Se dovessi mettermi a pareggiare tutti i conti di mio padre farei prima a smettere di avere una vita” aveva considerato.
Blóthughadda le aveva lanciato uno sguardo al vetriolo, “Non somigliano a delle scuse queste” aveva dichiarato la dea dell’onde insanguinate.
Kym aveva sorriso con la stessa freddezza dell’acqua gelida, “Per la mia buona fede, ho intenzione di farti un bel regalo, so che non può acuire la tua rabbia, ma spero possa placare un po’ del tuo rancore verso di me” aveva detto Kym. Sembrava volesse mantenersi dolce e gentile, ma il suo tono era algido, così come i suoi occhi. Stava recitando una parte, probabilmente costretta dalla sua famiglia, che voleva evitare possibili scontri tra pantheon divini.
E per se stessa, perché il suo segreto non fosse esposto.
Che non si sapesse di lui
Che si scoprisse che la figlia di Aegir avesse da recriminare anche contro di lui e non solo Magnus.


Blóthughadda sembrava improvvisamente più interessata, “Cosa?” aveva chiesto, con la stessa curiosità di una bambina, “Quello!” aveva detto Kym, indicando verso il cielo.
Sopra di loro, attraverso il foro dell’Impluvium, si vedeva il soffitto del mare, nel suo denso blu che andava sempre più a rischiararsi. Una visione di pura magnitudine.
Ma tra le onde, tra i pesci, le creature, calava, spezzata in due come un grissino una nave da crociera da cui povere anime rimanevano appese nel buio. Jason sentiva l’orrore crescere in sé, ogni parte del suo corpo dove aveva ricevuto una ferita mortale era pulsata. “Ognuna di quelle anime è un’offerta per te, Sangue delle Onde, per la rete di tua madre” aveva dichiarato incolore Kym, come se tutte quelle morti non la riguardassero per nulla.
Perché così era!
Kym era una dea delle tempeste, divoratrice di navi, uomini e terre, così crudele e distruttiva che Poseidone stesso, che ferocemente amava tutti i suoi figli, l’aveva costretta al duro esilio. Kym che aveva scelto di unirsi a Gea e non aveva avuto remore a uccidere, annegare ed avrebbe dato lo stesso fato a lui, se non l’avesse persuasa. “Te lo concedo Kym, è un grande dono” aveva detto la mezza-Jotun. “Certo! Non da perdonarti ma non da pungolare mio padre a chiamare un Thing tra Pantheon” aveva concesso Blóthughadda.
Ma ciò a cui Jason riusciva a pensare era che quelle morti, tutte quelle morti, erano a causa sua, al di là della fame di rabbia della figlia di Aegir, della testardaggine di Kym, della loro spietatezza, del loro sorridere davanti a quell’orrore, era la vita innaturale di Jason, in quel momento ad aver guidato quella carneficina.
“Be, sì questo è farlo bene!” aveva ghignato Kolga, soddisfatta, affiancandosi alla sorella, con i capelli biondi, aperti come quelli di un anemone, con un sorriso pregno di gusto.
Sul viso di Bentesicima, delle onde gentili, invece, vi era dipinta un’espressione di nausea ed orrore.
Aveva afferrato sua sorella e l’aveva portata via, erano passate al fianco di Jason come un turbinio veloce, ma le aveva seguite galleggiando nel nulla, nello sconvolgimento più puro.
“Cosa hai fatto? Tutte quelle persone! Nostro padre…” aveva ringhiato piena di livore Bentesicima, “Ho fatto ciò che andava fatto, poche centinaia di vite, al posto di un mondo dilaniato tra una guerra tra pantheon” aveva risposto fredda Kym “Sono la signora del mare violento, nostro padre lo sa, prenderò la sua furia a testa alta” l’aveva freddata.
Bentesicima non aveva lasciato la presa sul polso di sua sorella, aveva sul viso, la stessa rabbia che aveva visto molte volte balenare in Percy, davanti le ingiustizie. “Questo tuo comportamento è ingiustificabile e senza senso!” l’aveva rimproverata.
“Ho fatto ciò che dovevo” si era giustificata irreprensibile Kym. Un'altra figura si aggiunta a loro, occhi verdemare, un viso spigoloso e spento, capelli ruggine come quella dei battelli e l’espressione sul viso del dolore, vestita come una rispettabile matrona greca. Doveva essere Rodo, la terza figlia.
“Hai visto ciò che ha fatto?” aveva chiesto Bentesicima con l’ardore bruciante di dolore ed ingiustizia, “Ho visto” aveva risposta l’altra, con la voce cupa. “Esageri” aveva detto piccata Kym, “Nostro padre ha fatto ben di peggio e molte altre volte” aveva ringhiato.
“Ma sono le ragioni che hanno mosso nostro padre ben diverse” l’aveva rimproverata Rodo, “Poseidone, non agisce in virtù di alcuna giustizia che non sia la sua” aveva detto Kym, inopinabile.
“Vero” aveva detto Rodo, “Ma mai in maniera gratuita, dunque, Kym, a quale torto ti stai appellando?” le aveva detto, il suo tono era incolore, ma gli occhi verdissimi no.
Kym si era allontanata, dalle sorelle con un balzo, quasi scottata, “Abbiamo delle ospiti da intrattenere” aveva commentato recalcitrante.
Bentesicima l’aveva lasciata andare, “Non sarà per quella storia?” aveva chiesto pregna di turbamento, Rodo aveva sollevato le spalle magre e spigolose, prima di rispondere.



Quando aveva aperto gli occhi, Jason aveva visto sfumare davanti ai suoi occhi il blu dell’oceano e distante, come se le sue orecchie fossero state piene d’ovatta, la risposta di Rodo.
Poi il mondo aveva preso il contorno abituale della sua stanza. Tranne, si era accorto dai rumori, che non era solo.
Si era tirato subito su, con l’urgenza del vomito a premere nella sua gola, disgustato e colpevole di sé stesso. Ma la sua urgenza era stata placcata dallo spettacolo che si era aperto davanti a lui: Fred che ispezionava la sua stanza.
“Che stai facendo?” aveva chiesto Jason, tenuto ancora in ostaggio dalle nebbie della morte.
“Cerco indizi!” aveva risposto pratico il figlio di Gerd, senza preoccuparsi di turbarlo. “Indizi su cosa?” aveva chiesto Jason.
“Su cosa sei veramente!” aveva risposto senza perdere un briciolo di posizione Fred, mentre apriva la sua cassapanca. Sono un mostro, un imbroglione, una persona la cui sola esistenza ha portato solo sciagure! Avrebbe voluto rispondere, ma aveva detto, duro come il ferro: “Sono un semidio” e visto che ormai la cosa era andata fuori controllo aveva aggiunto: “Figlio di Giove” e nel farlo aveva mostrato il braccio, spostando la fascia per vedere il tatuaggio.
Fred lo aveva osservato critico.
“Non mi basta” aveva stabilito, “Cosa intendi?” aveva chiesto Jason.
“Erano due secoli che non uscivo dalla mia stanza, ma sono sempre rimasto in ascolto. In ottocento anni che sono stato nel Valhalla, Loki e gli altri Jotun hanno tentato infiniti giochi per anticipare il Ragnarok, ci sono stati momenti molto drammatici. Tipo nel millenovecentoquattordici quando ci siamo andati vicinissimo a non poter fermare la catena o l’altro anno. Però, poi sei arrivato tu e letteralmente il giorno dopo, sono cominciati i problemi.
In ordine: è sparito un cinghiale magico – che a quanto pare era diventato la corrente per il sole eterno di un mondo che non può permettersi il tramonto, è sparito il dio della conoscenza, gli dei romani e norreni hanno cominciato a bisticciare, si sono rotte le tavole dell’universo” Fred aveva fatto un respiro profondo, dopo quello sciorinamento di fatti.
“Come sai di Mimir?” aveva chiesto Jason, che non aveva avuto modo di parlarne con nessuno tranne Stellan e Mel. “Pensi di essere l’unico che sogna? L’unico sensibile? Sono mezzo jotun sono un parafulmine per le stranezze, sono sensibile al seidr meglio di quanto sarai tu in mille anni, sono uno stregone che mi piaccia o meno” aveva spiegato Fred, “E questo mi riporta ad altro: il giorno dopo che sei arrivato hai evocato un fulmine ed era diverso da quelli di Gunilla e lo hai rifatto ora. La tua energia è sbagliata. Tu sei sbagliato e da quando sei qui hai solo fatto casino” aveva dichiarato.
Jason si era alzato, “Smettila” aveva detto all’altro. Perché non voleva sentire quella verità, perché aveva ragione, perché Kym aveva appena affogato centinaia di persone per tenere al sicuro il segreto di Jason.
“Hai trascinato Astrid nelle tue lotte. Ma tu lo sai che è stata uccisa e divorata da un lupo-jotun? No, è! E la hai costretta ad inimicarsi un dio. Hai mentito a Mel, per i tuoi sogni sono due giorni che si crea nemici. Signore mio buono, hai anche portato Madina a Jotunheim per i tuoi sospetti” aveva sclerato.
“Quelle sono state scelte di tutti. La missione era la missione, andava soddisfatta. Se non lo facessimo … tramonterebbe il mondo su Alfheim e da come è scritto nell’Edda mi pare di capire che gli Elfi non possano permetterselo” aveva dichiarato Jason, sentendo i nervi a fior di pelle.
Ma sentendo anche le parole più fastidiose, più difficili da pronunciarsi ogni momento.
Stanco, esausto, spossato.
“Sì, ma tutto è cominciato nel momento in cui sei arrivato.  Astrid mi ha raccontato delle tue menzogne. Quindi, Jason Grace, presunto figlio di Giove, chi sei veramente?” aveva chiesto Fred a denti stretti, “E chi ti manda?” aveva aggiunto. “Ho mentito solo perché Thumelicus mi è parso abbastanza contrario all’idea di avere un romano in giro!” aveva gridato Jason, spazientito. Fred aveva riso, “Non è vero! Hai cominciato da prima!” aveva stabilito il figlio di Gerd, come se fosse stato in giro tutto il tempo con loro e non chiuso nella sua stanza, “Non mi manda nessuno!” aveva dichiarato Jason, “E se sono la causa di questo non ne sono consapevole!” aveva strepitato. Realizzando la menzogna nelle sue stesse parole.
Ne aveva sempre avuto il sospetto – ma, in quel momento, ne aveva la certezza.

Prima che Fred perdesse definitivamente il buon senso, la porta della sua stanza si era spalancata, “Per gli dei, che state combinando?!” aveva strepitato Astrid, comparendo sulla soglia.
Non aveva più la corona di fiori ed i capelli erano chiusi nelle trecce, indossava una pesante giacca di pelle, con il bordo di pelliccia e sotto calzoni da uomo.
“Mi assicuro non ci sia un altro Ned!” aveva dichiarato Fred, pieno di rancore. “Jason non è Ned!” aveva stabilito Astrid sicura, “Chi è Ned?” aveva chiesto Jason, confuso.
“Il precedente inquilino di questa stanza. Era un figlio di Loki, lavorava con sua madre per provocare il Ragnarok[3]. Non lo vediamo in giro da duecento anni ormai, presumo sia scomparso” aveva spiegato didascalica Madina, comparendo alle spalle di Astrid.

“Certo! Infatti, non hai notato che letteralmente il destino ha cominciato a dissiparsi appena lui è arrivato. Lui che come tu mi hai detto è arrivato senza un video? Perfino Magnus Chase ne aveva uno, anche se contraffatto” aveva stabilito Fred, che per essere un eremita era ben informato.
“Jason non è un figlio di Loki venuto qui a portare caos. Al massimo è vittima di una cospirazione” aveva dichiarato Astrid calma, “Presumo ad opera di mia zia Thrud. Niente di questa storia è colpa sua, tranne la cosa di Váli” aveva spiegato subito, cristallina Astrid.
Jason l’aveva guardata, i suoi occhi verde-acqua erano piantati su Fred, lui aveva chinato il capo, “Non sei obbiettiva in questo momento” le aveva detto.
“No” aveva risposto Astrid, poi aveva continuato – stupendo probabilmente tutti i presenti – “Non lo sono. Non lo sono per nulla – ma non credo che Jason sia responsabile. Guardalo, è palesemente sull’orlo di una crisi di nervi. È qui da tre giorni e gli è capitato di tutto” aveva considerato lei. “Non mi sento di contraddirla” aveva commentato Jason.
“Fidatevi!” aveva preso la parola Madina, “Ho conosciuto Jason bene ed ho visto come è” aveva considerato quella, “Più trasparente del vetro soffiato” aveva detto.
“Il vetro soffiato non è molto trasparente” aveva soppesato Fred, “Tutti hanno diritto ai loro segreti” aveva dichiarato Madina, strizzando l’occhio verso di lui.
Jason aveva sentito il suo petto riscaldarsi, “Grazie” aveva detto calmo, pieno di amore e riconoscenza, “Ma Fred ha ragione. Tutto questo è colpa mia” aveva dichiarato alla fine.
Il figlio di Gerd non gli aveva concesso neanche un sorriso trionfale, se possibile il viso olivastro era impallidito, Astrid era diventata ieratica e l’espressione di Madina si era gonfiata di lutto, “Ma ha ragione anche Astrid, non è colpa mia” aveva considerato.
“O lo è o non lo è” aveva insistito il monaco crociato.
“Io … credo che la mia presenza abbia scatenato tutto questo, ma la mia presenza qui non è dipesa da me. Questo intendo” aveva considerato Jason.
Non poteva dirlo.
Aveva detto a Thrud e Kym che non lo avrebbe fatto – e già Nico, Percy ed Annabeth conoscevano la verità – ma iniziava a chiedersi se le due avessero avuto reale coscienza delle loro azioni. Erano dee e mai gli dei pensavano a lungo alle conseguenze delle loro azioni.
E per tenere quel segreto Kym aveva compiuto un massacro.
“Pensavo avessi detto fosse meglio non parlarne” aveva cominciato Madina, circospetta, “Non lo so più. Poco fa Fred ha detto che prima del mio arrivo le cose si erano fatte tranquille. Ed ora? Possono essere cambiate le cose da anche solo questa mattina?” aveva chiesto Jason.
Quella mattina si era svegliato a Jotunheim.
Aveva affrontato un gigante.
Aveva spaccato il cielo.
Aveva acquisito un nemico e scatenato un conflitto tra dei Romani e Norreni.
Aveva rivisto i suoi amici – e li aveva messi in pericolo, mortale.
Aveva scoperto fosse scomparso un dio.
Aveva affrontato un’Augusta romana – sorella dell’Imperatore-Dio che l’aveva ucciso.
Aveva assistito imponente ad una strage, fatta in suo nome.
Fred aveva scoperto tutto.


Si era seduto sul letto, stanco, quando il corno della cena aveva suonato, segno che la giornata ad Idavoll fosse conclusa e che ai Caduti fosse concesso il loro meritato pasto.
“Il Valhalla non è mai tranquillo. Andiamo a cenare” aveva detto Astrid, perentoria, “Qualsiasi discorso sarà meglio a pancia piena” aveva concordato Madina, tentando di risistemare il morale.
Jason si era alzato, Fred lo aveva guardato, con ancora diffidenza nel suo sguardo. “Qualunque sia la ragione: io non la ho voluta” aveva detto, guardandolo. Ed era sincero.
Era felice nei Campi Elisi, era felice davvero, così felice da aver deciso di non bagnarsi nel fiume Lete, non fino a che non avesse visto Piper e Leo palesarsi lì, con lui, in un lontano – lontanissimo – futuro.
Il figlio di Gerd si era morso un labbro, poi aveva sospirato, “Non ti conosco abbastanza da fidarmi, pagano” aveva dichiarato alla fine. Jason aveva annuito, accettandolo.

 

Thumelicus era già a cena, con Stellan dall’altro lato. L’elfo aveva tolto l’elmo dei vivi e stava bevendo con ingordigia una coppa di vino-e-miele, per riprendere colore.
Mel aveva sciolto la treccia, perciò capelli d’oro chiaro, scivolavano su un viso imbronciato. Le ferite dello scontro si erano assorbite totalmente, sembrava solo un’adolescente normale, con un venerdì girato.
Tra le mani aveva la spilla a forma d’aquila di Italicus.
Madina era corsa verso di lui schioccando un bacio sulla guancia, “Spero non sia per me, mi piacciono solo chincaglierie delicate e con motivi floreali” aveva dichiarato allegra, “È l’invito per Folkvang” aveva risposto lui, cercando di apparire divertente come sempre, ma con occhi vacui. “Stai bene, tesoro?” aveva chiesto Madina a disagio, quasi oscillando da un piede all’altro, prima che lui l’afferrasse per la vita e la portasse in braccio sul suo bacino e dandole un lungo bacio sulle labbra, ravanante d’affetto.
Qualcuno nella stanza aveva fischiato impunemente.
Fred si era trascinato accanto a Stellan, così anche Astrid accanto a lui.
Jason aveva preso posto sulla panca accanto a Mel, tenendosi ad una certa distanza se Madina avesse voluto accomodarsi su di essa, invece che sulle cosce del fidanzato.
Mel non lo aveva guardato.
“Bene portiamo quell’affare a Bragi, andiamo a farci un giro a sodoma-e-gomorra e poi recuperiamo quel cinghiale” aveva considerato Fred, mentre una valchiria si avvicinava verso di loro, con un piatto grande pieno di arrosto di cinghiale.
Jason ci mise un momento per riconoscere i tratti eleganti ed un po’ spigolosi di Lagherta. Si era guardato intorno, osservando tutte le immortali cameriere della sala.
Non riconosceva da alcuna parte l’hjab verde pistacchio a fiori rosa shocking di Samirah, che immaginava fosse in cerca di Mimir, così come Jason voltando veloce lo sguardo, aveva potuto vedere che il tavolo di solito occupato dal tavolo diciannove, poteva contare della sua focosa rossa e del gigante vichingo.
Aveva ripreso a guardare le valchirie.
Kráka stava versando da bere e scherzava con un uomo, ma tra tutti i visi di donne, il secondo che cercava – dopo Samirah – non c’era.
Thurd.
“Bene, giovani sfortunati eroi, mangiate” aveva cinguettato Lagherta, versando delle sonore coppe di spezzatino nei loro piatti, “Ho sentito che oggi hai fatto il bis. Dopo i reali, sei andato a portare caos anche al piano dei romani” aveva cinguettato divertita la valchiria. “Oggi i Romani, domani Asgard” aveva scherzato Mel.
Lei aveva ridacchiato, prima di allungarsi verso l’altro tavolo, ma Jason l’aveva intercettata.
“Mia signora” aveva affermato, “’Mia signora’ chiamaci tua madre, al minimo io sono ‘sua altezza’” aveva dichiarato la valchiria, cogliendolo di sorpresa, “Scherzo, puoi chiamarmi Lagherta, ha un bel suono e non lo sciuperai” aveva ghignato quella.
“Volevo … sapere dove fosse Thrud” aveva ammesso Jason.
“Ovviamente a marinare i suoi doveri, come sempre. Lady Thrud si nasconde sempre dietro il fatto che è figlia del potente Thor” si era lamentata Lagherta, “Io non la vedo da … quando vi ha portato da Kráka” aveva dichiarato, prima di riprendere il suo servizio.
Jason aveva sospirato.
“Questo non ci aiuta per nulla” aveva detto Astrid, giocando con un cubetto di spezzatino con la forchetta.
Non avevano detto niente poiché Bragi, in veste di Odino, aveva attirato l’attenzione ed aveva dato il benvenuto ai nuovi arrivati.
“Spero si godano il cinghiale e l’idromele prima che il tessuto di cui sono composti i mondi si sfaldi” aveva considerato Fred con un tono pregno di sarcasmo, “Spero accada presto, ho bisogno di movimentare un po’ la mia vita” aveva scherzato Mel forzatamente.
Stellan aveva voltato gli occhi verso di lui ed aveva sillabata senza emettere suoni un: come-stai.
Jason aveva annuito, incerto di cosa volesse dire.
Aveva mangiato un po’ del suo spezzatino, nonostante sapesse fosse ottimo, sulla sua lingua sapeva di cenere. Aveva cercato con gli occhi per la sala, cercando ancora, inutilmente, Thrud, quando aveva trovato qualcuno guardarlo.
Non lontano, Freydis – in quel momento – giovane con la pelle liscia come una pesca ed i capelli biondi sciolti, lo guardava mentre sbocconcellava del cibo. Al suo fianco c’era Einar padre-di-Astrid spettrale come sempre. Lui sembrava indossare l’espressione più infelice del mondo, meno la donna, che stava lì come una gatta sorniona.
“Freydis ha avuto le sue mele” aveva dichiarato Jason.
“E allora? Hai detto tu stesso che poteva averle” aveva chiesto Mel, il suo tono era sembrato seccato. Questo aveva attirato lo sguardo degli altri. “Ieri non le aveva – ci ho pensato solo ora. L’altro ieri aveva cercato di andare a prenderle ma non c’era riuscita” aveva raccontato.
“Quindi il piano che avevi avuto era stupido? Oh, wow” aveva commentato Mel.
“Bene, mi pare di aver capito che qualcuno ha scoperto che ti inginocchi davanti all’idolo di un’Aquila” aveva sogghignato Fred.
Stercore! Non ci credo che lo sapeste tutti” aveva commentato spento Mel, “Io lo ho scoperto con te” aveva squittito Stellan, “Io probabilmente dopo di te” aveva ammesso Fred, sollevando le braccia.
“Oh, potente Thor, per i primi due giorni girava con la scritta SPQR in bella vista” si era giustificata Astrid. Mel era arrossito pieno di vergogna. Jason aveva guardato il suo braccio scoperto in quel momento, senza particolare remora.
“Io lo ho scoperto oggi” aveva ammesso Madina, “Era dovere di Jason dirti la verità” aveva sottolineato.
“Pensi che Freydis possa entrare qualcosa con tutta questa storia?” aveva domandato invece Astrid, mentre lasciavano Mel ad elaborare la notizia. C’era qualcosa di rigido nella voce della skraelinger.
“Non lo so, non la conosco. Solo che …” Jason si era morso un labbro, non lo sapeva, aveva guardato Astrid, “Mi stai chiedendo se la donna che mente, inganna e sfrutta la gente da duemila anni può essere coinvolta in un divino furto? Può darsi ma se Freydis voleva le mele d’oro e basta?” aveva chiesto con un’onestà quasi disarmante l’altra.
“Però è vero che ci sta guardando” aveva commentato Madina, “Conoscendola avrà fatto una qualche scommessa sulla nostra esistenza” aveva chiuso il discorso Astrid.
“Vado a consegnare questo a Bragi” aveva dichiarato Mel, mostrando la sua spilla, Madina si era sollevata per permettere al fidanzato di scivolare via.
Stellan si era voltato subito verso Jason, “Non ha detto una parola da quando siamo andati via” aveva dichiarato, “Ma cosa è successo?” aveva domandato Astrid, allora, notando per la prima volta come era tesa l’aria, forse. “Abbiamo affrontato la sua sorella di Latte” aveva risposto per lui Stellan, “Parlare della sua famiglia e della sua vita prima della morte, rende Mel sempre nervoso. Specie ora che stiamo per incontrare suo cugino” aveva cercato di giustificare Madina.
“No, è arrabbiato perché ha scoperto che sono un romano, figlio di Giove ed ex-pretore di Nuova Roma” aveva dichiarato Jason con un tono basso, perché quella confessione – ormai priva di valore perché nota all’intero tavolo – non superasse le loro orecchie.
“Digli che hai combattuto contro il Triumvirato” aveva detto Madina, gentile e comprensiva, posandoli una mano sulla spalla.
Certo, lo aveva detto anche Agrippina, avrebbero potuto riunirsi sull’odio verso l’imperatore Caligola, che a questo punto, visto la vicinanza con la madre di Nero, Jason immaginava anche lui dovesse averlo conosciuto. Un brivido lo attraversò, “Siete andati a San Francisco per Caligola” aveva detto, sottovoce, mentre occhieggiava Mel al tavolo principale, dove era Bragi con i Thenn.
Uno di loro, si accorse Jason, con spaventoso ritardo, somigliava a Mel, lo stesso biondo chiaro e viso bello – ma anche terribilmente più famigliare. Thumelicus figlio di Harmin, così lo aveva chiamato Boedicca, che risiedeva al piano dei Re.
“Sì anche” aveva ammesso Madina, “Gli imperatori Dei hanno riportato in vita molti germani, galli ed altri nel corso del tempo per riformare il loro esercito ausiliare, ogni tanto son venuti a pescare anche da queste parti. Ovviamente non Caligola, lui preferiva automi e mostri vari, ma voleva parlare con Mel. Non so cosa si sono detti” aveva sussurrato – Jason era abbastanza certo stesse mentendo – “Ma è così. Dopo La Battaglia alla Baia, siamo andati a tributare gli onori ai germani caduti due volte, ma io so che voleva farlo anche per Caligola. Come ti ho detto, certe catene non scompaiono mai” aveva ripetuto.
Jason aveva annuito.
Ovviamente se era stato cresciuto con Agrippina – coetanei – Caligola aveva vissuto con loro, nella stessa casa, doveva averlo visto crescere, lo aveva anche fatto frustare, ma doveva essere il suo domino. Ricordava Jason, quando aveva parlato dei sogni, come Mel avesse detto fosse rimasto imbrigliato nella vita di Gaio Iulio.
Agrippina Minor era nata a ridosso con le campagne germaniche di suo padre – dove Caligola si era guadagnato il suo tenero nomignolo – così come doveva aver fatto Thumelicus. Erano nati ambedue nel quindici dopo cristo, circa, se Jason avesse aggiunto i sedici anni che Agrippina aveva detto Mel avesse, avrebbe portato la data di morte del suo amico al trentuno.
Anno della morte di Seiano, per mano dell’Imperatore Tiberio … e l’ingresso di Caligola a Capri. O almeno Jason pensava di ricordare. Aveva studiato quelle cose, ricordava, il tempo, come rarefatto nella sua memoria. Lui, Dakota, Gwen ed un sacco di Dr. Pepper per non addormentarsi.
Una vita che somigliava sempre di più ad un sogno.

Mel era tornato con l’espressione più truce del mondo, scivolando silenzioso al fianco di Madina, “Bragi ha detto che levato il desco, potremmo partire, sta disponendo un mezzo” aveva chiarito subito. “Spero ci facciano cavalcare cavalli di vento” aveva esclamato Stellan, subito, con un sorriso allegro sulle labbra, attirando l’attenzione di tutti. “Scusate, io … mi piacerebbe un sacco” aveva ammesso. Jason aveva sorriso verso di lui, “Devo dire che è una cosa molto piacevole” aveva raccontato.
In quel momento stavano guardando tutti lui, “Puoi evocare i venti?” aveva chiesto Astrid, confusa, quasi, “Sì avevo un cavallo di vento di nome Tempesta” aveva detto pieno di dolcezza.
Non aveva idea se avesse potuto evocarlo ancora. L’ultima volta che aveva evocato i venti avevano risposto dei Lupi. Erano figure positive per lui, Lupa era madre di Roma, ma non in quel Pantheon.
“Fantastico, recuperato il cinghiale, Jason porterà tutti in giro su cavalli di vento” aveva esclamato Madina, con un tono di voce sprizzante di divertimento, ma la sua allegrezza non aveva contagiato il resto del tavolo.
“Finiamo di mangiare e muoviamoci” aveva detto tetro Mel.

 



[1] Il Lus finale viene utilizzato come diminutivo, circa, prendendo come esempio: Romolo Augusto, chiamato Romolo Augustolo. (Per le ragazze si usava La, come nel caso di Iulia Livia, nota come Iulia Livilla).

[2] Bastardo Figlio di Giove

[3] Ned è il nome che ho deciso di dare al famoso figlio di Loki già citato in precedenza in questa storia e nella Storia di Magnus Chase. Il personaggio, formalmente non aveva nome, ora ne ho dato uno. So, forse un po’ out-of-the-blue ma se riguardate il capitolo, i personaggi ne parlavano con abbastanza confidenza.

   
 
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