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Autore: Shireith    27/06/2022    1 recensioni
L'Organizzazione è stata sconfitta. Una sera, Ai informa Conan che l'antidoto è pronto.
Lei sa che lui lo prenderà. Lui non sa che lei (forse) non lo prenderà.
Conan è Shinichi. Ai è Shiho senza Sherry, quello che sarebbe stata senza Sherry: ma Sherry c'è stata.
Ai Haibara? Una bugia. Una via di fuga. Le fughe sono belle proprio perché la temporaneità è la loro caratteristica; fuggire sempre è peggio che non essere mai scappati.
Shiho, Shinichi, il dopo.
‣ Sette spaccati scritti per la #CoAiWeek2022
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'CoAi Week(s)'
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Spaccato quarto


04. routine & change

 Le parole di Conan della sera prima le avevano lasciato una strana sensazione di vuoto e tepore al tempo stesso. Si era sentita rincuorata al pensiero che Shinichi si era mostrato interessato alla sua sorte, perché la verità era che non voleva perdere una persona così importante come lui. Voleva che, se anche la loro vita quotidiana stava per subire cambiamenti drastici e irreversibili, loro creassero una nuova routine.
 Non avrebbero più percorso insieme il tratto che li avrebbe portati a scuola? Si sarebbero incrociati per strada per altri motivi. Niente più Conan che convinceva Ran a lasciarlo dormire a casa del professore? Si sarebbero visti comunque, sempre a casa del professore. Un caffè insieme, un pranzo o una cena ogni tanto. Erano vicini di casa, oltre che amici.
 Shiho voleva che la sua vita fosse lì, a Tokyo, con il professore, con i ragazzi. E con Shinichi. Loro due che erano amici e si prendevano in giro in una conversazione sostenuta. Lui che gli raccontava dell’ennesimo cadavere e lei che gli parlava di… di cosa?
 Shiho accarezzò ancora una volta l’idea di tornare all’università, una prospettiva di vita di cui nessuno ancora era a conoscenza; si crogiolò al pensiero di quella vita che aveva tanto invidiato agli altri, prima tra tutti sua sorella.
 «Vuoi davvero rimanere bambina?» le aveva chiesto Conan. «Non ti manca il tuo vecchio corpo?»
 Una verità l’aveva detta: sì, alle volte le mancava.
Nessuna persona che abbia seguito il consueto processo di crescita può abituarsi a un corpo da bambina nel giro di mesi.
 Quando si perde un oggetto l’opzione migliore è frugare nei propri pensieri a ritroso e tracciare un filo immaginario che abbia un inizio e una fine. Così Shiho, seguendo questa linea di pensiero, si era resa conto che la libertà di bambina – e soprattutto di non membro dell’Organizzazione – l’aveva ottenuta a scapito della libertà di donna quasi adulta, che pure aveva i suoi vantaggi.
 Le mancava potersi vestire seguendo il suo gusto e non tenendo a mente anzitutto che agli occhi del mondo doveva dare l’illusione di essere una bambina di sei anni. Nemmeno l’Organizzazione poteva impedirle, almeno nei giorni migliori, di viaggiare con la fantasia e domandarsi se avrebbe preferito tale o talaltro vestito. Akemi aveva contribuito quando le aveva fatto notare che aveva davvero buon gusto; sempre alla ricerca di un modo per strappare Shiho alla monotonia di numeri e formule, quando possibile la portava in giro per il centro città e si faceva dare consigli sui vestiti che voleva comprare.
 «La mia personale consigliera», diceva con un sorriso, finendo, più spesso che no, per metterle qualche vestito sottobraccio.
 Shiho si concesse una sbirciatina all’interno di un bar che affacciava sulla strada e fu investita da odore di caffè misto a cornetti appena sfornati. Si fermò, considerò se approfittarne, entrò.
 Cinque minuti dopo era di nuovo in strada. Non riusciva a stare ferma, sentiva l’impulso di camminare come a dover seguire il ritmo dei suoi pensieri.
 Il caffè, anche quello le era mancato. Persino nel corpo di bambina se ne concedeva uno ogni tanto, specie quando si rinchiudeva nel laboratorio del professor Agasa e ne usciva dodici ore dopo, ma aveva dovuto rinunciare alle dosi di una volta perché il corpo non reggeva. Era una questione complessa, a tratti paradossale: sebbene il suo orologio biologico, come quello di Shinichi, fosse rimasto perlopiù quello di un tempo, risentiva comunque dei limiti di un corpo così piccolo e ancora in pieno sviluppo. Come quando le gambe iniziavano a farle male dopo un tratto che di norma avrebbe percorso con il minimo sforzo.
 Ripensò al ragazzino che al bar l’aveva chiamata “signorina”. Le era sembrato impacciato e un po’ timido, le aveva dato l’impressione di un ragazzo delle medie che si era procurato un lavoro part-time per racimolare una piccola somma. Shiho per un attimo l’aveva guardato senza capire, il tempo di rendersi conto che non aveva dovuto alzare il collo in un’angolazione scomoda per poterlo vedere in faccia, né che le era stato chiesto dove fossero i suoi genitori.
 Nel ripensare a loro, Shiho avvertì un buco nel petto.
 Altra nota positiva dell’aver preso l’antidoto: poter usare il loro nome, il suo nome, per fare del bene. Come a volerlo ripulire del marcio in cui l’avevano gettato. Riscattare l’onore della sua famiglia, sua madre che aveva come unico desiderio curare le persone, non contribuire alle loro sofferenze, e suo padre che aveva l’ambizione di chi vuol cambiare il mondo, non renderlo un posto peggiore.
 Quanto sarebbe piaciuto anche a lei poter mettere le sue conoscenze al servizio di una giusta causa. Sì, voleva riscattarsi ai suoi stessi occhi – non a quelli degli altri, che non sapevano – guardarsi allo specchio e dire: ecco chi ero, ecco chi sono diventata.
 Così, a tarda notte, Ai Haibara aveva preso l’antidoto, e quella stessa mattina, di buon ora, Shiho Miyano era uscita di casa mentre gli altri due ancora dormivano.
   
 
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