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Autore: TheSlavicShadow    28/06/2022    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Se ne stava seduta su una sedia scomoda e continuava a martoriarsi con le unghie ed i denti una pelliccina sul dito. Lo faceva quando era nervosa, quando le cose sfuggivano al suo controllo, quando non sapeva come reagire. Il suo cervello andava in tilt, e l’ansia prendeva possesso del suo corpo. 

Fissava l’uomo sdraiato su un letto d’ospedale attaccato a mille tubi. E lei odiava gli ospedali. Li aveva sempre odiati e negli anni il suo sentimento si era solo accentuato di più. 

Era un luogo che collegava solo a cose brutte e fin troppo spesso alla morte. 

E Happy Hogan non poteva morire. 

Era accanto a lei da così tanti anni. Aveva fatto tantissimo per lei in tutti gli anni che le aveva fatto da bodyguard, e anche dopo era rimasto una presenza fissa nella sua vita. Si sentivano su base quotidiana, la maggior parte delle volte perché lui le telefonava per riferirle come andavano le cose alla sede delle Stark Industries. Altre volte le telefonava la sera dopo aver finito di vedere la puntata settimanale del suo telefilm preferito e gliene parlava come se anche lei lo avesse seguito. Era costante nelle sue telefonate, ed erano quella routine che a lei faceva bene. Che le faceva sentire che stava andando tutto bene. Che non doveva preoccuparsi di nulla.

Era veramente assurdo che ogni suo attimo di pace finiva per sgretolarsi da un momento all’altro senza che avesse alcun tipo di controllo su quello che succedeva. 

Aveva spostato lo sguardo da Happy a Steve che fuori dalla stanza parlava con degli agenti dello S.H.I.E.L.D.. Lo avevano subito chiamato. Mentre lei riceveva una telefonata da una Pepper in lacrime, Steve veniva chiamato dallo S.H.I.E.L.D.. Pepper non aveva saputo dirle cosa fosse successo. Le aveva parlato di una esplosione al Chinese Theater e di Happy portato d’urgenza in ospedale, ma era troppo scossa e non sapeva nemmeno lei cosa fosse successo.

Ci aveva pensato Steve ad informarla che era stato un attentato rivendicato dal Mandarino, ma per lei non aveva senso la presenza di Happy in quel posto. Era pura casualità? Stava pedinando qualcuno? Era stata del resto lei a dirgli di tenere d’occhio Aldrich Killian, ma la sua doveva essere solo una battuta per la mania di avere tutto in sicurezza del suo ex bodyguard. Ma conoscendolo poteva davvero aver seguito qualcuno che aveva considerato losco.

Aveva passato una mano sugli occhi cercando di ragionare e mettere in ordine i pensieri. Ma non c’era assolutamente nessuna logica in tutto quello che era successo. Non riusciva a trovare un nesso tra Happy, il Chinese Theater e l’esplosione. Non le era mai sembrato che a Los Angeles ci potessero essere dei luoghi tanto importanti da rivendicare un attentato. New York sì. Washington assolutamente. Ma Los Angeles? Dove la gente andava al mare anche il giorno di Natale? Dove la cosa più famosa era la scritta Hollywood?

“Tasha, dovresti tornare a casa e riposare.” Steve era entrato nella stanza e aveva chiuso la porta alle proprie spalle. “Se ci sono sviluppi di qualsiasi tipo verrai informata.”

“Non posso tornare a casa. Finirei per non riposare in alcun modo.” Lo aveva osservato, e sembrava preoccupato. Stanco e preoccupato. Forse, come lei, desiderava un attimo di pace anche lui, ma non lo aveva. Probabilmente anche ogni suo attimo di pace veniva distrutto da una telefonata dello S.H.I.E.L.D..

“Torno con te, direi che questo sia abbastanza scontato adesso.” Steve le aveva sorriso e poi si era avvicinato al letto di Happy. Aveva osservato l’uomo con preoccupazione. “Resteranno alcuni agenti qui fuori, anche se credo non fosse lui il bersaglio, ma solo una vittima accidentale.”

“Lo credo anch’io. Chi vuoi che possa voler morto uno così? Al massimo qualcuno all’interno dell’azienda, ma non abbiamo roba simile in magazzino.” O forse sì? Ci poteva essere ancora qualcuno che dall’interno stava vendendo armi ai terroristi? 

“Lo S.H.I.E.L.D. è sul posto ad indagare, ma per ora non hanno trovato assolutamente nulla. Non ci sono neppure i resti di una bomba o di qualsiasi altro dispositivo.”

“Queste sono le informazioni che poi non mi fanno dormire la notte, dovresti saperlo.”

Steve le aveva sorriso. E lei continuava a odiarsi perché in quel momento ne aveva un disperato bisogno. Steve era un’ancora di salvezza in quei casi. Anche se non diceva nulla. Anche se le sorrideva e basta. Ma era qualcosa a cui poteva aggrapparsi per continuare a non cadere negli abissi dei suoi pensieri che erano sempre tutt’altro che positivi. 

“Lo so, per questo torno a casa con te stasera e non torno allo S.H.I.E.L.D. disobbedendo agli ordini diretti di Fury.”

“Mi ecciti quando fai il ragazzo ribelle.”

Steve aveva ridacchiato alle sue parole, portandosi una mano sulla bocca. Lo aveva fatto imbarazzare e lo trovava sempre strano. Conosceva quell’uomo da quasi 15 anni, avevano fatto sesso in lungo ed in largo, ma riusciva a farlo imbarazzare ancora nonostante Steve fosse ormai prossimo agli anta.

“Sei davvero un pessimo elemento tu, Natasha Stark. Davvero pessimo.” Le si era avvicinato di più e l’aveva guardata. Sapeva di doversi alzare da quella sedia, ma aveva anche paura di lasciare Happy da solo. Certo, non sarebbe stato da solo. Pepper sarebbe ritornata da un momento all’altro dalla caffetteria e avrebbe passato la notte lei su quella sedia. Ma aveva il terrore che potesse succedere qualcosa e lei non sarebbe stata lì. “Tasha.” Steve si era inginocchiato di fronte a lei. “Happy adesso è stabile, ma soprattutto non sarà da solo. Tu qui non puoi fare nulla al momento, ma sappiamo entrambi che da casa farai tutto il possibile per capire le dinamiche di questa esplosione.”

“Mi conosci troppo bene, Rogers.” Aveva sospirato mentre spostava lo sguardo da Steve all’uomo sul letto. Sapeva che non poteva fare nulla lì, Steve aveva ragione. Lì poteva solo continuare a pensare e cadere in vortici di pensieri pericolosi senza nulla che potesse distrarla. A casa almeno aveva J.A.R.V.I.S., i suoi robot, le armature. Poteva anche solo mettersi in terrazzo a fissare il nulla.

“Sarebbe strano il contrario, casomai. Dopo tutto quello che abbiamo passato, almeno posso dire di essere l’unico che conosce davvero Tasha Stark.”

“Stupido.” Aveva sorriso perché sapeva che quell’uomo aveva ragione. Non si era mai aperta con nessuno come con lui. Nemmeno Rhodes sapeva certe cose che aveva raccontato solo a Steve. E c’erano volte in cui odiava il fatto che fosse Steve quella persona speciale che sapeva tutto di lei, che era capace di leggerla come un libro aperto. La guardava e sapeva già cosa avesse per la testa. Anche quando avevano passato molto tempo separati.

“Andiamo, torneremo qui domani mattina, ok?” Odiava anche il suo tono di voce, che le parlava come se fosse un animale impaurito sul ciglio della strada. Le parlava con la voce calma e bassa, e odiava il fatto di trovarla così rassicurante. Steve era un leader, e questi erano i momenti in cui si rendeva perfettamente conto perché tutti lo adorassero e seguissero. 

Sarebbe stata la prima a gettarsi anche tra le fiamme dell’inferno per quell’uomo.

“E’ ovvio che tornerò qui domani mattina.” Si era alzata dalla sedia, guardando subito Happy. Vederlo così le faceva uno strano effetto davvero. Era sempre abituata a vederlo energico e rompiscatole. Aveva sempre qualcosa da obiettare a chiunque, e non sentire la sua voce era davvero frustrante. Come era frustrante non poter fare nulla per aiutarlo. I limiti del corpo umano la mettevano sempre in crisi. Se fosse stato un robot l’avrebbe riparato in un paio d’ore. Avrebbe saputo esattamente cosa toccare, cosa aggiungere o togliere o sostituire. Con qualsiasi cosa di meccanico per lei era semplicissimo, le veniva naturale. Con gli esseri umani non sapeva molto spesso nemmeno quali parole usare, figuriamoci il resto. 

La porta della stanza si era aperta ed erano entrati Pepper e Phil Coulson. Ormai era sicura che Coulson fosse il suo personalissimo agente S.H.I.E.L.D. perché mandavano sempre lui quando succedeva qualcosa. 

“Agente, dovresti stare a casa a riposare, sei appena rientrato al lavoro.”

“Potrei dire lo stesso a lei, Tasha.” L’uomo le aveva sorriso. Teneva una mano sulla schiena di Pepper, la quale era davvero troppo scossa. Lo si vedeva lontano un miglio che aveva anche pianto. “Dovrebbe tornare a casa anche lei e dormire un po’.”

“Perché siete tutti così ossessionati con le mie ore di sonno se non lo sono io per prima? Siete assurdi.” Non aveva smesso di guardare Pepper la quale era tutta concentrata su Happy. Doveva immaginare ci fosse qualcosa tra di loro. Era solo troppo concentrata su sé stessa, come al solito, per accorgersi di quello che le succedeva intorno. “Pep, vedrai che si riprenderà. Si tratta comunque di Happy.”

“Ha iniziato a comportarsi in modo strano dopo la visita di Killian Aldrich. Cosa gli ha detto?” 

“Per assurdo nulla. Penso fosse geloso perché ti stava facendo vedere il suo cervello.” Aveva sospirato e incrociato le braccia sul petto. Perché tutti pensavano sempre che c’entrava anche lei sempre ed in ogni cosa? Se avesse davvero avuto il potere di controllare le azioni delle persone sarebbe stato mitico, ma non poteva. “Vorrei capire anch’io perché fosse lì e cosa stesse cercando. Non è una zona della città di suo interesse normalmente.”

“Appunto. Per questo mi chiedevo se gli avesse detto qualcosa, perché so che vi sentite costantemente.”

“No, oggi mi ha fatto il solito rapporto che ti ha portata al lavoro e poi a casa sana e salva. Non ha aggiunto altro. Non sapevo nemmeno fosse uscito dopo il lavoro, altra cosa di cui di solito mi informa.” Aveva leggermente spostato lo sguardo da Pepper ai due uomini accanto alla porta. Coulson parlava con Steve, probabilmente lo stava aggiornando e lei aveva bisogno di informazioni. Voleva trovare una soluzione a tutto quello che stava succedendo. Finché il Mandarino era solo una spina nel fianco di CIA, FBI e S.H.I.E.L.D. non lo riteneva un problema suo. Aveva già troppa gente che gli stava alle calcagna. E lei aveva altre cose per la testa. Aveva smesso con i terroristi per un po’, si era detta tempo addietro, ma ora era una cosa personale. In questo era egoista, se una cosa la toccava in prima persona, allora era un problema suo.

“Tasha, andiamo?” Steve doveva essersi accorto che lo stava guardando. In qualche modo se ne accorgeva sempre. Nonostante tutti gli anni che si conoscevano, quella cosa riusciva sempre a stupirla. 

“Pepper, ti chiamo non appena scopro qualcosa. Sono sicura che dallo S.H.I.E.L.D. non scoprirò nulla, ma sai che per Happy farei di tutto.” Pepper aveva annuito, per subito dopo guardare l’uomo nel letto. 

Come si sarebbe sentita lei se ci fosse stato Steve su quel letto d’ospedale? Sarebbe rimasta seduta al suo capezzale oppure avrebbe smosso mari e monti immediatamente? Non aveva mai vissuto una situazione simile. Steve era sempre rientrato con al massimo qualche graffio dalle sue missioni. Non lo aveva, fortunatamente, mai visto stare male tanto da essere bloccato a letto. Sminuiva anzi anche quei pochi graffi con cui lo aveva visto. Le diceva sempre per tranquillizzarla che se era già a casa voleva dire che non era mai stato ferito e che se c’erano dei graffi sarebbero scomparsi subito. E scomparivano davvero velocemente. Non aveva mai avuto modo di sperimentare lo stare accanto alla persona che amava e questa era bloccata a letto. 

Steve invece era sempre rimasto accanto a lei. Dopo il salvataggio in Afghanistan. Dopo il combattimento contro l’Iron Monger. Dopo l’avvelenamento da palladio. Dopo il parto. Ad ogni ricovero in ospedale, Steve non si era mai allontanato da lei. Sedeva sulla sedia dopo averla posizionata accanto al letto, ed era capace di restare in assoluto silenzio anche per ore se ne era necessario. Si allontanava solo se costretto, sennò le restava attaccato tanto da risultare a volte quasi fastidioso. Fastidioso era soprattutto quando stava zitto e sembrava quasi preparare la paternale perfetta da farle. Perché le arrivavano prima o poi le sagge parole del suo vecchietto a cercare di risollevarla ma contemporaneamente a darle qualche insegnamento di vita. 

Aveva voltato leggermente la testa per guardarlo. Se ne stava accanto alla porta aspettando per portarla a casa e la stava guardando a sua volta. L’ultima volta che erano stati insieme in ospedale quasi non la ricordava. Quella volta era stata così annebbiata dal suo stesso dolore che non riusciva a mettere insieme dei ricordi nitidi. Ma sicuramente Steve le aveva tenuto la mano per tutto il tempo, anche mentre andavano alla macchina alla dimissione. Faceva così normalmente, la teneva come se avesse paura che potesse scomparire da un momento all’altro.

Erano due disastri ambulanti, ognuno con i propri problemi e traumi. Questo dovevano scrivere su di loro e sul merchandising che ne producevano. Non erano supereroi, non erano due esempi da seguire. Erano soltanto due persone segnate dalla vita come qualsiasi altro essere umano.

 

✭✮✭

 

Il buio la perseguitava in continuazione. Lo percepiva tutto attorno a sé e non riusciva a trovare una luce per potersi orientare. Aveva gli occhi aperti, ma non vedeva nulla.

Solo buio e gelo a perdita d’occhio. 

Doveva ormai esserci abituata. Erano mesi che come chiudeva gli occhi tutti i suoi incubi si manifestavano in modo fin troppo reale. Grotte. Ospedali. Lo spazio infinito. Era tutto nella sua testa. E voleva svegliarsi. Dio, se voleva svegliarsi. 

Urlava, ma non usciva nemmeno un suono. Cercava di divincolarsi dal buio che la imprigionava, ma ogni suo muscolo era congelato. Era un semplice spettatore che voleva solo fuggire, ma le era impedito.

Non poteva fare nulla. Non poteva scappare dalla grotta e salvare Yinsen. Non poteva uscire dall’ospedale felice con suo figlio tra le braccia. Non poteva sconfiggere in alcun modo le minacce dallo spazio.

Non poteva salvare i suoi amici. Non poteva salvare Steve Rogers.

Ogni suo incubo era sempre uguale. In ogni suo incubo perdeva lei. Non c’era alcuna speranza e nessun riposo quando chiudeva gli occhi. 

Voleva svegliarsi. Voleva che i suoi occhi fossero aperti anche nella realtà. Voleva che qualcuno sentisse le sue urla e la svegliasse. 

Voleva essere salvata anche lei da qualcuno.

Il rumore di qualcosa di metallico che sbatteva violentemente contro il muro o il pavimento le aveva fatto spalancare gli occhi di colpo. Aveva il cuore che pulsava con violenza e lo sentiva rumoroso nelle tempie. Aveva il fiato corto di chi avesse corso una lunga maratona e ogni muscolo del suo corpo era teso. 

Era abituata a risvegli bruschi causati dal suo stesso cervello che voleva salvarla da attacchi di panico notturni, ma questa volta era stato un rumore esterno a svegliarla di colpo.

Steve Rogers era in piedi accanto al letto con le braccia ancora alzate e la sua ultima armatura era a terra in pezzi sparpagliati. 

“Steve…” La sua voce era bassa e le ci era voluto qualche secondo di troppo per ricordarsi che quell’uomo aveva dormito nel suo letto, nel loro vecchio letto. Le ci era voluto qualche attimo per rendersi conto che non era un sogno ma la realtà.

“Questa cosa mi stava per attaccare.” Le dava ancora le spalle, guardando probabilmente l’armatura per essere sicuro che non si ricomponesse e lo attaccasse di nuovo. 

“Colpa mia. Credo di averla attivata nel sonno.” Si era messa seduta portandosi entrambe le mani sugli occhi. Cosa stava facendo? Quella armatura serviva per proteggere chi amava, non per attaccarli per proteggere lei. Avrebbe dovuto riprogrammarla immediatamente per evitare altri risvegli simili.

“Incubi?”

“Come sempre.” 

Steve si era allora rilassato e aveva abbassato le braccia. Si era lentamente voltato verso di lei, anche se era rimasto a distanza. La capiva sempre, anche quando lei non aveva ancora detto nulla, e questo non poteva essere normale. Non succedeva così tra le persone. Nessuno la aveva mai capita. Solo Steve Rogers la capiva davvero. 

“Spero di non averla rotta, ma a mia difesa posso solo dire che mi sono trovato l’armatura addosso e ho reagito prima di pensare.”

“Se è rotta la riparo, questo non è un problema.” Aveva sospirato e si era appoggiata alla testiera del letto. Non aveva tolto gli occhi dall’uomo che la guardava a sua volta. Era rimasto con lei tutto il tempo da quando erano tornati a casa. Avevano bevuto un drink insieme parlando di quello che era successo e cercando di mettere insieme più informazioni possibili tra quelle che avevano entrambi. E poi erano saliti in camera da letto. 

Gli aveva chiesto se poteva rimanere con lei e Steve aveva accettato senza aggiungere nulla. Aveva bisogno di sentire la presenza di qualcuno, di non sentirsi completamente abbandonata a sé stessa dal mondo intero. Sapere che I Dieci Anelli avevano ferito qualcuno a cui teneva la spaventava. Poteva essere casuale. Poteva essere un attacco mirato.

Non erano riusciti a farla fuori una volta, potevano cercare di ferirla nel peggior modo possibile. E lei non poteva permettersi di perdere altre persone importanti.

Steve si era seduto sul letto, lanciando ancora qualche occhiata ai pezzi dell’armatura sparsi sul pavimento. E poi aveva sospirato.

“Non c’è mai una notte di pace con te, Stark.” Si era voltato verso di lei e le aveva accarezzato una guancia.

“Gli incubi erano il motivo per cui ti ho chiesto di rimanere qui, l’armatura non era contemplata. Ma ottimi riflessi per un anziano, Rogers.” Lo aveva visto sorridere e questo l’aveva fatta rilassare almeno un po’. Si odiava, ma quando succedeva qualcosa di brutto vedere il viso di Steve Rogers la tranquillizzava. Tutto questo perché i suoi stupidi sentimenti per quell’uomo non erano mai cambiati in tutti quei anni, nonostante stessero lontani per periodi davvero lunghi. 

“Devo tenermi in forma per stare accanto ad una come te.”

“No, scegli bene le parole. Questo accostamento non mi piace proprio per nulla.” Stava per fare qualcosa di davvero stupido. Lo sapeva che lo stava per fare. Era la vicinanza di Steve, era il suo odore. Erano i suoi ormoni impazziti come quelli di una adolescente. Era l’ennesimo incubo da cui si era appena svegliata. Ma stava per fare qualcosa di davvero stupido di cui avrebbe pagato le conseguenze per settimane.

Si era sporta e lo aveva baciato. Semplice, le aveva detto il suo cervello, ti sporgi e appoggi le tue labbra sulle sue. Era un gesto che aveva fatto così tante volte in passato. Tutto era iniziato così, con un casto bacio sulle labbra dato in una pessima serata a casa dei suoi. Aveva sognato quel bacio tantissimo da ragazzina. E li sognava sempre quando era lontana da quell’uomo.

Steve aveva spostato la mano dalla sua guancia alla sua nuca e aveva approfondito il loro bacio. Come poteva essere sbagliato abbandonarsi in quel bacio? Perché tra loro doveva essere sempre tutto così difficile? A lei quel momento sembrava perfetto. Certo, la perfetta circostanza in cui poi avrebbe pianto quelle poche lacrime che le rimanevano in corpo, ma era tutto perfetto. O quasi.

“Scusami. Non so cosa mi sia preso. Volevo solo la tua presenza, non altro…” Si era staccata solo un po’, solo per riuscire a guardarlo illuminato dalla fioca luce che entrava dalla vetrata e dal suo reattore arc. Steve la guardava con intensità, come aveva fatto tantissime volte in passato. E quando l’aveva guardata così aveva sempre percepito quasi fisicamente tutti i sentimenti che provava per lei. 

“Lo so, non serve che ti scusi. E’ solo il pathos del momento.”

“No, e lo sai meglio di me.” Aveva sorriso e lo stesso aveva fatto Steve. Erano tutte scuse di due cretini che si erano lasciati scappare fin troppe occasioni. Lei non aveva avuto alcuna relazione funzionale al di fuori da quella con Steve, e Steve si era fatto mollare a causa sua. Erano davvero due cretini che non sapevano fare pace con sé stessi, col proprio orgoglio o con qualsiasi cosa fosse. 

“So solo che adesso sembri essere più calma e questa è la cosa più importante ora.” Le aveva passato una mano tra i capelli, stringendone qualche ciocca tra le dita. Era il pathos del momento, si era ripetuta solo per cercare di convincersi che ci fosse una motivazione irrazionale dietro al suo gesto. Ma mentiva a sé stessa. Mentiva sempre a sé stessa quando si trattava di Steve Rogers. Negare le cose sembrava che la aiutasse nell’immediato ad andare avanti. Ma era una bugia anche quella. Aveva costruito una torre di bugie per proteggersi e andare avanti come se nulla fosse. Anche se questa continuava a crollare e lei a ricostruirla costantemente. 

Steve non era importante. Senza Steve lei stava benissimo. Era una donna adulta che sapeva come andare avanti e superare i propri traumi. Era facile dire a voce alta queste parole, non le costava alcuna fatica. Anni di pratica a dire le cose che gli altri volevano sentirsi dire. Il problema si presentava quando era da sola. Quando nel silenzio della sua officina i fantasmi del passato le facevano visita. In quel momento tutte le sue bugie collassavano con tutto il loro peso su di lei.

Avere Steve accanto a lei mentre tutte le sue bugie crollavano poteva essere sia un bene che un male, perché non sapeva mai come sarebbe finita tra di loro. Sarebbe rimasto? Sarebbe andato via all’alba? Sarebbe stata lei quella che lo avrebbe mandato via? Gli avrebbe chiesto di rimanere? 

In una situazione come quella in cui si stava trovando, sarebbe stata in grado di essere una persona razionale o si sarebbe lasciata guidare dall’istinto? Anche se l’istinto non era mai stato proprio il suo forte, doveva ammetterlo. E in quel momento non sapeva nemmeno lei quale fosse la cosa giusta da fare. Avere Steve lì, in quel luogo, in quel momento, le sembrava la cosa più naturale del mondo, come se quello fosse il suo posto. Solo che era sbagliato il momento, davvero sbagliato. Quell’uomo aveva mandato a rotoli una relazione per lei e questo non le sembrava giusto perché Steve era sempre una bussola morale per lei e per tutti quanti. Sapere di essere la causa della sua deviazione dalla retta via le creava fastidio. 

Ma Dio se era felice di averlo così vicino in quel momento.

 
   
 
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