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Autore: Nao Yoshikawa    28/06/2022    2 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo due: Dolore

 - 
Intermezzo -
Tamago
 
 
 
Tamago dice che da grande diventerà un’eroina, è sempre stato il suo sogno. Anche se non ha nessuna abilità in particolare, le cose cambieranno, prima o poi. A Tamago piace fare giochi di magia o almeno ci prova. Ma la cosa che più le piace è leggere le carte. Con i pochi yen che aveva da parte, ha acquistato un mazzo di tarocchi e da allora si diverte a predire il futuro ai suoi amici, durante la ricreazione a scuola. Non bada ai bambini che la prendono in giro dicendole che quello che fa è stupido. Tamago gli risponde per le rime anche se ha paura. Deve imparare ad avere coraggio, perché i veri eroi non hanno mai paura.
E, a parte dei bulli, del buio e dei broccoli, non ha paura di niente.
Tamago a volte prova a leggersi il futuro da sola. Oh, la carta degli Amanti è la sua preferita. Anche quella della fortuna. La morte e il diavolo la terrorizzano. Lei gioca soltanto. Ma sarebbe magnifico conoscere tutto quello che le accadrò in futuro. A lei e agli altri.

 
 - Age Masu Torisaru, Jikan Jikan, tutto toglie e tutto dà -
 
Il momento del risveglio era particolare. Era un attimo in cui l’eco dei sogni rimbombava nella testa, per poi sparire lentamente, senza possibilità di riacchiapparli. 
Saitama aveva male alla testa. Age Masu Torisaru, Jikan Jikan, tutto toglie e tutto dà.
Dove aveva già sentito quella frase? Forse in qualche brutto spot pubblicitario? Ma aveva una cantilena quasi lugubre, inquietante. Di solito non ricordava mai quello che sognava, ma quella frase, forse tratta da una canzoncina, non voleva sfumare. Comunque non era quella la sua preoccupazione principale. Il fatto era che dall’incontro con quella strega-maga-cartomante-impostora, Genos era molto strano. Saitama in genere non badava troppo ai dettagli, con Genos era costretto a farci caso, perché vivevano insieme. E il cyborg era diventato più silenzioso, come se fosse soffocato da una sensazione spiacevole. Genos non aveva paura, certo che no. La sua era un’inquietudine più profonda, i motivi dovevano essere più inconsci. Stava di fatto che a Saitama dava fastidio quel suo essere distratto. Già, dava fastidio proprio a lui che in genere si interessava a poco e niente. Ma se Genos voleva continuare a vivere con lui, che si rendesse più di compagnia del suo cactus.
In realtà, Genos di cose da dire ne aveva parecchie. Era un cyborg fin troppo sentimentale perché un tempo era stato un essere umano sentimentale, sempre bravissimo a non far trasparire nulla. Adesso invece era difficile. Due parole che premevano lì, tra le labbra e la lingua. Eppure così impossibili da pronunciare.
«Genos, mi stai mettendo ansia in questo modo. Mi fissi senza parlare.»
Saitama aveva dato voce al suo dissenso qualche giorno dopo, durante la cena. Perfino mangiare gli era difficile con Genos e la sua espressione da anima in pena. Il cyborg distolse lo sguardo.
«Chiedo scusa» disse mortificato. Che ne era del suo autocontrollo e della sua maschera? Che stesse cadendo inesorabilmente?
«Non chiedermi scusa, non intendevo questo. È che sei strano, a malapena parli. Ti sei ammalato? Ah no, aspetta. Tu non puoi ammalarti.»
No, infatti Genos non poteva ammalarsi, non fisicamente. Nell’animo si sentiva insano. Innamorato dell’uomo che più ammirava. E se lo conosceva bene almeno un pochino (cosa di cui Genos era sicuro), sapeva che mai e poi mai avrebbe potuto ricambiarlo o anche solo piacergli. Perché Saitama non faceva entrare nessuno nel suo cuore. Senza intenzione o cattiveria, era così e basta. E questo rendeva tutto più difficile.
«Non è niente» sussurrò, senza che Saitama lo ascoltasse.
«Ho capito! Sei ancora preoccupato per ciò che ha detto quella cartomante. Non sapevo fossi così superstizioso. Io te l’avevo detto di non fermarti, adesso saresti molto più tranquillo.»
Genos strinse i pugni. Il malessere che sentiva era insopportabile.
«Maestro… in effetti su una cosa quella donna si è sbagliata. Ha detto che ci saremmo innamorati.»
«Bravo, vedo che la pensiamo allo stesso modo, visto che è improbabile» Saitama allungò una mano per prendere una tazza di tè. Bollente.
«… Nel mio caso si è sbagliata perché sono già innamorato.»
Quell’eccessivo calore gli bruciò il palmo e le dita, ma Saitama non riuscì a lasciare andare la tazza, né a distogliere lo sguardo dal liquido chiaro contenuto in quest’ultima. Ecco perché era sempre bene farsi gli affari propri.
«Ah, davvero?» domandò, più per circostanza che per altro.
Cambia discorso, si era detto. Prima che diventi tutto troppo strano.
Genos però non gliel’avrebbe permesso. Oramai si era esposto troppo, oramai doveva essere chiara la sua intenzione.
«D-di… Di te» disse solamente. Poi abbassò lo sguardo. Forse poteva far sorridere il fatto che un eroe di classe S come lui fosse spaventato da situazioni del genere. In realtà era solo terribile. Saitama finalmente sollevò la testa. Si guardò intorno, come se volesse assicurarci che non ci fosse qualcun altro a cui magari Genos aveva rivolto quelle parole. Fece una smorfia e poi sorrise.
«Di me? Dai, non scherzare. Non è possibile.»
Genos lo guardò Non gli aveva mai visto addosso quell’espressione di totale disagio, panico e confusione.
«… Come?»
«Sì, dico… non è possibile! Tu innamorato di me? Questa sì che è bella. Non sono tutto questo granché. Il mondo è grande, c’è chi è molto meglio di me.»
Saitama era modesto di natura, ma adesso sembrava che stesse cercando di svilirsi in tutti i modi. Genos non capì che reazione fosse quella.
«Non per me» disse infatti. Anche se era in imbarazzo, ora lo guardava dritto negli occhi. Fu Saitama a smettere di sorridere, a divenire serio.
«Ah, Genos. Perché hai dovuto dirlo? Se non lo avessi detto avremmo potuto continuare a far finta di niente. Ma adesso che hai parlato, non si può più.»
Cosa voleva dire? Che aveva sempre saputo dei suoi sentimenti ma che si era limitato a ignorarli? Che adesso, a causa di quella sua presa di coraggio (o perdita di razionalità), tutto si sarebbe rotto e sarebbe stata la fine del loro legame mentore-allievo, amico-amico, innamorato-amato?
Di nuovo, Genos volle dire tante cose. Avrebbe potuto dire che stava solo scherzando, ma non scherzava mai. Specie non sui sentimenti. Avrebbe voluto dirgli scusa, dimentica quello che ho detto, ma a che sarebbe servito?
Si era fatto avanti a che pro?
«Io devo… devo… andare via un attimo. Sì, è meglio se esco per un po’» disse Genos alzandosi. Ora come ora era impossibile pensare di rimanere nella stessa casa con lui, doveva allontanarsi, respirare e poi in caso chiedere spiegazioni. Ora no. Saitama lo rendeva umano e coinvolto. Genos rendeva Saitama coinvolto, non sé stesso. Specie adesso, ecco perché non lo trattenne. Perché tutto doveva cambiare, mutare, quando l’immutabilità era così semplice e pacifica?
 
 
Genos era arrabbiato. Anzi, era furioso come mai prima d’ora. Non gli sarebbe mai passato per la testa di mancare di rispetto al suo maestro, ma adesso che aveva mandato tutto a monte forse era inutile preoccuparsene. Saitama gli avrebbe detto molto tranquillamente visto che la situazione sarebbe imbarazzante, è meglio se smettiamo di vivere insieme. Anzi, è proprio meglio se smettiamo di frequentarci.
Maledizione, perché aveva scelto di aprirsi proprio adesso? E perché, se Saitama aveva capito, aveva sempre fatto finta di niente? Che domanda sciocca, il perché era ovvio. Perché il sentimento non era ricambiato. Forse perché era un maschio. O forse perché non era propriamente umano. O forse perché non gli piaceva e basta. Forse lo odiava.
Oh, quei sé, quei ma, quanto li detestava. E dove se ne andava ora che il buio stava calando e non aveva un’altra meta?
Lui era Demon Cyborg, dannazione. Non poteva farsi abbattere così.
Nonostante fosse febbraio, quella sembrava una classica serata estiva. Quante coppie, quante famiglie felici gli passavano accanto ricordandogli che lui a quello non avrebbe mai potuto ambire. Molta gente lo riconosceva e lo fermava, era popolare tra gli eroi di classe S. Genos era sempre distaccato, ma gentile. Quella sera però era anche distratto, mentre qualche fan gli chiedeva una foto o lo fermava per scambiarci due parole.
Forse la sua vita era destinata ad essere questa. Lottare, andare sempre avanti e non pensare ad altro. Perché dopotutto alla sua umanità aveva rinunciato proprio per essere forte.
Ci aveva rinunciato, ma non abbastanza.
«Ciao, ragazzo cibernetico.»
Genos si rese conto solo in quel momento di essere rimasto fermo e immobile in mezzo alla strada. I lampioni accesi, il cicaleggio della gente che gli passava accanto, per un attimo se n’era isolato.
«Tu sei… quella donna» mormorò. Maga Tamago lo guardava, sorrideva, le mani ingioiellate dietro la schiena. Era piccola e leggera. Al tempo stesso sembrava non avere un’età, era questo ciò che a Genos era rimasto impresso.
«Io non sono quella donna, io sono io!» rispose divertita. «Non pensavo ci saremmo rincontrati.»
Oh, avrebbe tanto voluto urlarle contro, dicendole che per colpa sua si era messo strane idee in testa, tipo quella di dichiararsi a Saitama, mandando tutto al diavolo. Ma non sarebbe stato da lui e infatti non lo fece. Ma di sicuro adesso la guardava con un certo sospetto, forse per deformazione professionale.
«E invece ci siamo incontrati. Tu sei consapevole di chi hai di fronte?»
Maga Tamago chinò la testa a destra, squadrandolo.
«Genos, nome da eroe Demon Cyborg. Classe S, quattordicesima posizione. Lo sanno tutti chi sei. E io non sono una criminale, né un essere misterioso travestito da donna, sono solo una cartomante.»
Genos non riuscì a dire altro. Gli aveva letto nel pensiero oppure i suoi dubbi erano così palesi?
«Imbrogliare le persone per soldi è comunque da criminali» insistette Genos. Maga Tamago alzò gli occhi al cielo. Si poggiò ad un palo, tenendo le braccia incrociate sotto al seno.
«La pensavi diversamente qualche giorno fa. Sembravi pendere dalle mie labbra.»
Genos distolse lo sguardo, imbarazzato e addolorato.
«Ero suggestionato, lo ammetto. Ma nessuno può predire il futuro. Su di me ti sei sbagliata di certo.»
«Su quale parte, quella della sventura o quella dell’amore? Oh, cielo. Mi sa che ho colpito un tasto dolente» disse Maga Tamago, ridendo. Genos ebbe l’impressione che lo stesse schernendo e d’altronde non c’era motivo che se ne stesse lì a raccontarle le sue paturnie.
«Io amo, ma non sono amato» disse soltanto.
«Questo lo dici tu.»
«Se dici di vedere il futuro, allora dimmi di più.»
Maga Tamago gli fu vicina con uno scatto, così veloce che Genos fu quasi sul punto d’indietreggiare. La fissò, cercò di inquadrarla ed esaminarla, senza però riuscire a capire nulla.
«Fossi in te non ci scherzerai. Brutto affare, il tempo. Affare complicato, terribile.»
Ebbe l’impressione che quelle parole non fossero rivolse proprio a lui. Perché Maga Tamago lo guardava, ma non lo vedeva. E poi quasi gli svenne addosso, o così gli parve.
«… Stai bene?»
Maga Tamago si resse sulle proprie gambe e poi sorrise.
«Sto bene. Penso proprio che tra poco dovrò andare.»
«Dove?»
«E chi lo sa, non ho una vera casa.»
Una viandante che per vivere leggeva il futuro. Sospetto lo era di certo, strano altrettanto.
«Ma per caso ci siamo già incontrati?» domandò poi Genos. Lei gli sorrise di nuovo e poi scosse la testa, guardando verso l’alto.
«Le domande difficili non mi sono mai piaciute.»
 
 
Genos non era tornato, oramai era fuori da qualche ora e come se non bastasse stava anche piovendo. Non che Saitama fosse preoccupato. Lui si preoccupava raramente e poi Genos sapeva badare a sé stesso. No, di certo non era preoccupazione quella che avvertiva, somigliava più al senso di colpa.
Ma che razza di risposta gli aveva dato? Una cosa era essere inetti in campo sentimentale, l’altra era essere insensibili.
Ma perché, perché aveva dovuto far cambiare le cose? Saitama non era mai stato un amante dei cambiamenti, gli mettevano solo ansia. L’immutabilità, quella sì che gli piaceva.
Si stava convincendo che tutto sarebbe andato bene. Ne avrebbero parlato come due persone civili, senza perdere la testa. Senza che lui perdesse la testa. Perché di sicuro avere a che fare con quei sentimenti così complessi lo mandava in crisi. Così aveva cercato di distrarsi facendo altro, si era perfino infilato nel futon, ad una certa, sperando di addormentarsi. Ma niente, era troppo abituato ad avere Genos che si aggirava per casa, che in un certo senso vegliava su di lui, anche se non c’era motivo. Fuori aveva iniziato anche a piovere. Ah, beh. Genos non rischiava di ammalarsi rimanendo a lungo sotto la pioggia.  Lo sentì rientrare che la sveglia digitale segnava mezzanotte passate. Si disse fai finta di dormire, rimanda a domani una discussione che altrimenti ti toglierebbe il sonno.
Invece si voltò dall’altro lato: Genos aveva i capelli bagnati, ma quanto aveva camminato sotto la pioggia?
«Sei tornato. Pensavo avresti passato tutta la notte fuori» Saitama sbadigliò e poi si strofinò il viso. Genos non rispose, lo fissava con quelle sue iridi non umane, eppure cariche di tanti sentimenti a cui temeva di dare un nome.
L’amore, la rabbia, la sofferenza.
«Possiamo parlare…?» domandò Genos. Sembrava più tranquillo, forse la pioggia fredda gli aveva schiarito le idee. Saitama fece una smorfia, come a voler dire dobbiamo proprio? E stanotte non si dorme, a quanto pare.
Però non voleva peggiorare la situazione, perché anche se a volte poteva non sembrare, non era insensibile. Era solo sperduto. Genos non si asciugò nemmeno i vestiti, s’inginocchiò davanti a lui.
«Ma…»
«Avevi già capito, maestro? Dei miei sentimenti per te, intendo.»
Non poteva che essere quella la sua domanda. Non poteva fare finta di niente anche adesso? Fingere di non aver capito, assumere l’aria da svampito? Oh, no. Non avrebbe funzionato, Genos gli stava guardando troppo dentro e non era certo che ciò gli piacesse.
Genos lo sentì respirare pesantemente.
«… Un po’.»
«Un po’?» domandò lui, confuso. Saitama era evasivo, nemmeno lo guardava negli occhi. Non era l’unico in imbarazzo.
«Sì, un po’ avevo intuito. Ma mi dicevo che avevo capito male. Che fosse mia impressione. Però mi sono sbagliato.»
«E dei tuoi sentimenti? Cosa mi dici? Ho bisogno di sapere.»
Poteva accettare un no. Genos aveva deciso, avrebbe ingoiato dolore e sofferenza e gli sarebbe rimasto accanto, ammirandolo da lontano. Il fatto era che Saitama non voleva dire né sì né no, perché tutto ciò era troppo per lui.
«Dai, non hanno importanza i miei sentimenti» disse infatti, come se stesse davvero parlando di una cosa di poca importanza. Genos assottigliò lo sguardo. Era la prima volta che gli veniva l’impulso di alzare la voce con lui, di afferrarlo, scuoterlo. Tuttavia non lo fece.
«Hanno importanza eccome. Se non mi vuoi, va bene. Lo accetterò e ci metterò una pietra sopra, ma non lasciarmi nell’incertezza. Ti prego…»
Saitama non l’aveva mai visto così. Lo pregava. Aveva un tremore nella voce.
«Il fatto è che io non lo so cosa sento. È come se avessi lo stomaco sottosopra. Non mi sono mai innamorato, come faccio a sapere come funziona? Tu come fai a sapere come funziona?»
«Io non lo so, infatti» disse Genos, rigido. «Quanto dovrò aspettare per una risposta?»
Saitama fece spallucce, spazientito. Poteva affrontare tutto, ma quello… voleva forse scherzare?
«Ah, non lo so! Io sono inetto, in questo. E poi, perché ti preoccupi? Tu non sei nemmeno umano…»
Saitama si bloccò subito dopo aver pronunciato quella frase. Per non essere insensibile, aveva avuto un’uscita piuttosto infelice. Ma non era sua intenzione ferire Genos, a volte si dimenticava di collegare la bocca al cervello.
«Non sono umano e poi? Cosa volevi dire?»
Dal suo tono un po’ alterato, Saitama capì di averlo davvero ferito.
«Non intendevo dire niente.»
«Non sono nemmeno umano, quindi non dovrei avere sentimenti. O ferirmi. Certo, se mi pugnali non sentirò dolore. Ma forse preferirei sentire il dolore fisico, a questo.»
E per la prima volta Saitama si scontrò con la consapevolezza di averlo deluso. Lui, il suo allievo che tanto lo aveva idealizzato e lo adorava. Che ora lo guardava come se davvero lo avesse accoltellato.
Saitama avrebbe voluto dire altro, ma qualsiasi cosa dicesse, pareva essere comunque sbagliata.
«Forse è meglio se smetto di parlare, eh?»
«No, parla, invece. Se mi dici che non può esserci futuro, mi metterò l’anima in pace.»
«Non so cosa dire» ammise, a disagio. Genos avvertì qualcosa che somigliava a un brivido. Un braccio gli tremava, come se fosse sul punto di lanciare un pugno.
«Questo è da codardi. Da te non me lo aspettavo.»
«Perché mi hai idealizzato! Ecco perché non potrebbe mai funzionare. Dico, mi hai visto?»
Genos, da che era rigido parve rilassarsi in un colpo solo. Non aveva idea di cosa passasse per la testa di Saitama, stava di fatto che doveva rendersi conto di una cosa: anche l’uomo che credeva il più potente al mondo, l’uomo che considerava il suo mentore, aveva dei difetti. A volte Genos si scordava della sua umanità e che l’umanità sapeva essere fragile. Ma lui che poteva saperne? Dopotutto non era nemmeno umano, non più.
E quella risposta era più che abbastanza, per lui.
«Va bene, ho capito. Non prenderò più il discorso. Anzi, dimentica quello che ho detto.»
Genos si alzò e Saitama si mosse altrettanto velocemente. Lo aveva afferrato per un polso, con forza.
«Oh, e dai. Non vorrai uscire con questa pioggia, vero? Senti, è notte. Domani ci vedremo più chiaro, in questa faccenda.»
«Io… non credo ci sia nulla che dobbiamo vedere, sei stato chiaro. Lasciamo tutto per com’è, è meglio» sussurrò Genos tenendo lo sguardo basso. Quello che non sapeva, era che se Saitama lo stava stringendo così forte, impedendogli di muoversi, era perché aveva paura che, una volta andato, Genos non sarebbe più tornato. Ne avrebbe avuto tutti i motivi. Aveva detto delle cose orribili e più orribili ancora erano stati i suoi silenzi.
«Comunque non me ne vado» ci tenne a precisare il cyborg. Solo allora Saitama si rasserenò e lo lasciò andare. Non stava capendo niente. Non dei sentimenti di Genos, ma dei propri.
«B-bene» balbettò e si sentì stupido. Tutta quella situazione era assurda. I sentimenti erano una cosa complicata, capire ciò che si provava realmente era difficile e ancora più difficile era pronunciarlo ad alta voce. Genos gli disse che poteva tornare a dormire, inconsapevole che Saitama non era mai riuscito a prendere sonno quella sera e che di certo non lo avrebbe fatto adesso.
Ripensò alle parole di Maga Tamago, quella donna che senza conoscerli sembrava avere una fiducia di ferro nel fatto che il loro fosse un amore destinato a compiersi.
 
 
«Sei sicura che non vuoi essere accompagnata a casa?»
Lasciare una ragazza tornare a casa da sola, al buio e con la pioggia sarebbe stato disdicevole per chiunque, per un eroe in particolare.
«Non è necessario, me la caverò» rispose lei e poi gli sorrise. «Dai. Non fare quella faccia. Lo so, l’amore può far male, ma anche Saitama prova qualcosa per te.»
Genos allora aveva sgranato gli occhi e aveva guardato da un’altra parte.
Era la prima volta che qualcuno pronunciava quelle parole, che arrivava a comprendere così a fondo il suo tormento.
«Non ho mai detto che si trattava di lui.»
Maga Tamago si mise a ridere.
«Non bisogna essere dei geni per capirlo. Abbi fede. Anzi, sii paziente. Il tempo a volte toglie e a volte dà.»
«Credo sia vero. Ascolta, ma almeno ce l’hai un om…brello?»
Genos era tornata a guardarla ma lei era sparita. Dissolta nel nulla, di nuovo, quasi come se non fosse mai esistita. Sarebbe stato facile credere che quella donna fosse tutto frutto della sua immaginazione o di pazzia incombente. Ma non era quella la soluzione esatta e in fondo Genos lo sapeva.
 
- Quando il Jikkan ti tocca tutto si rivolta. E il tempo lineare non lo è più -
   
 
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