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Autore: Shireith    29/06/2022    1 recensioni
L'Organizzazione è stata sconfitta. Una sera, Ai informa Conan che l'antidoto è pronto.
Lei sa che lui lo prenderà. Lui non sa che lei (forse) non lo prenderà.
Conan è Shinichi. Ai è Shiho senza Sherry, quello che sarebbe stata senza Sherry: ma Sherry c'è stata.
Ai Haibara? Una bugia. Una via di fuga. Le fughe sono belle proprio perché la temporaneità è la loro caratteristica; fuggire sempre è peggio che non essere mai scappati.
Shiho, Shinichi, il dopo.
‣ Sette spaccati scritti per la #CoAiWeek2022
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'CoAi Week(s)'
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Spaccato sesto


06. innocence & guilt

 «Le somigli tantissimo!»
 Shiho si sforzò di ignorare il groppo alla gola delle dimensioni di una noce. Sorrise, ma tutto quello che ne uscì fu un sorriso tirato. Per sua fortuna, i bambini erano troppo ignari per accorgersene. «In famiglia me lo dicono spesso.»
 L’ennesima bugia. Il senso di colpo che le artigliava la gola fino a toglierle l’aria e poi strozzarla.
 Ayumi, Genta e Mitsuhiko erano entrati tutti contenti in cucina, ormai così di casa da non bussare nemmeno alla porta. Si erano fermati di scatto quando avevano individuato i due intrusi: i loro occhi si erano posati prima su Shinichi, che avevano conosciuto brevemente, poi su Shiho, che non conoscevano, o quantomeno credevano di non conoscere. Prima che le loro menti saltassero a conclusioni affrettate, per quanto corrette, il professor Agasa aveva presentato Shiho come sua parente, e dunque anche di Ai.
 “Shiho-chan”, l’aveva chiamata. Forse aveva sostituito il solito -kun in preda all’agitazione, forse era stata una scelta consapevole. Quale delle due fosse, Shiho aveva provato un moto d’affetto senza pari. Avrebbe voluto scoppiare a piangere. Per il professore, che provvedeva a lei come a una figlia. Per questi tre bambini meravigliosi che fin dal primo giorno l’avevano accolta come una di loro e a cui lei, in cambio, aveva sempre mentito.
 Per il loro bene, si ripeteva. Ma dove finiva la verità e iniziava la bugia? Anche ora mentivano per il loro bene? Perché non avrebbero retto il colpo, o perché lei e Shinichi non reggevano al solo pensiero che quei bambini li odiassero?
 Ne sarebbero stati capaci?
 Shiho tornò a guardare Ayumi, che ora rideva per una battuta di Genta, e non seppe rispondere a quella domanda. Le sembravano troppo buoni e innocenti per essere capaci di un sentimento così nero, ma se fosse stata proprio una rivelazione simile a scatenarlo in loro? Non a caso si dice che c’è sempre una prima volta, e scoprire che i tuoi amici che credi essersi trasferiti in un altro paese sono sempre qui, nella stessa stanza, e ridono – con te? di te – non è cosa da poco.
 Quando i tre bambini se ne andarono, Shiho aveva a malapena spiccicato parola, così persa in sé stessa da non rendersi nemmeno conto degli occhi di Shinichi che saettavano su di lei come attratti da un magnete.
 Il professor Agasa si allontanò dalla stanza per delle ragioni che il suo udito non riuscì a cogliere. Non avrebbe sentito nemmeno la voce di Shinichi se prima non le avesse sfiorato una spalla con una mano.
 «Tutto bene?»
 Shiho sentiva ancora le voci dei bambini rimbombare tra le mura delle pareti come se non se ne fossero mai andati. Ripensare a loro le scavava un vuoto in petto e lei temeva che, se solo non fosse stata attenta, vi sarebbe precipitata dentro.
 Si allontanò un poco da Shinichi, come se a una distanza fisica corrispondesse un distaccamento emotivo che l’aiutasse a riordinare i pensieri, e in effetti lo sentì – il vuoto che s’allargava sotto i suoi piedi, tra lei e Shinichi. Il vuoto tra i poli.
 Tornò a guardare Shinichi. Lo guardò a lungo, ogni secondo che passava il suo sguardo si faceva più pesante da reggere. Eccola lì, l’unica persona che potesse comprendere le difficoltà del prima e del dopo, eppure lo stesso che non ne capiva quanto lei.
 Si sentì come al centro di una bilancia.
 Avrebbe capito, Shinichi? Lui che odiava mentire, eppure – eppure cosa?
 Eppure mentiva.
 «Shiho?»
 «Non avremmo dovuto mentirgli.»
 «Avevamo scelta?»
 Lei alzò le spalle. «Sì.»
 «Dirgli la verità avrebbe solo peggiorato le cose.»
 «Per essere uno che odia mentire ti viene incredibilmente facile.»
 Shiho poté leggerglielo negli occhi che le sue accuse furono per Shinichi come una stilettata al petto. No, non gli piaceva mentire: Shiho l’aveva visto con i suoi stessi occhi quanto gli fosse costato tenere a debita distanza Ran, pur di non farla soffrire: e se anche era stato un errore, Shiho sapeva che le intenzioni erano buone.
 «Dico solo…»
 «Scusa», tagliò corto Shiho, stupendosi di quanto le costasse una sola parola.
 Shinichi parve dubbioso. «Immagino di meritarmelo.»
 L’immagine di Shuichi Akai le apparve nella mente come un fulmine che squarci il cielo: subito Shiho la scacciò via. Non voleva pensarci, non di nuovo, non ora.
 No, non se lo meritiva.
 Shiho lo avvertì ancora una volta – il silenzio che si dilatava come a dir loro: tu stai qui, tu stai là.
 «Era più facile quando eravamo bambini.» Shiho chiuse gli occhi, li riaprì. «Bambini per finta. Ma era più facile»
 Shinichi parve genuinamente confuso. «Mentirgli?»
 Shiho si strinse nelle spalle. «Tutto quanto.»
 Perché i bambini sono spontanei, non hanno malizia. Ayumi, Genta e Mitsuhiko erano riusciti a farsi amico persino uno come Shinichi.
 Una come lei.
 «Non è che mi piaccia mentirgli», disse Shinichi con voce cauta, «ma penso che sia davvero la cosa migliore. Non credo l’avrebbero presa bene se gli avessimo detto: “Ehi, ragazzi, ricordate Conan e Haibara? Eccoci qui!”.»
 Se il suo era un tentativo di farla ridere, funzionò.
 Tuttavia, pochi secondi passarono e di nuovo Shiho s’incupì. Erano sempre le bugie e trattenerla a un passo dalla felicità, o quantomeno dalla libertà, una prospettiva di vita più realistica.
 Ai Haibara? Una bugia. Se anche fosse rimasta bambina, poi cosa sarebbe successo? Le fughe sono belle proprio perché la temporaneità è la loro caratteristica; fuggire sempre è peggio che non essere mai scappati.
 Con i bambini rideva e scherzava e allora pensava che quelle fossero le sue prospettive di vita, ma la verità era che pure in loro presenza lei era la ragazza diciottenne che sarebbe stata senza la minaccia incombente dell’Organizzazione: spensierata, innocente, insomma simile a una bambina, ma comunque una diciottenne. 
 Ai Haibara, rifletteva, non era solo la bambina di sei anni, la fuga da Sherry; piuttosto, Shiho Miyano senza Sherry. Quanto tempo sarebbe passato prima che trovasse insostenibili i programmi scolastici che l’aspettavano dalle elementari alle superiori, lei che pure era laureata? Quanto prima che si rendesse conto che la piccola Ayumi era una sorella minore prim’ancora che una migliore amica, e che le bambine parlano di giocattoli e cartoni animati?
 Shinichi le aveva detto una volta, scherzando, che quando si parlava di Higo Ryusuke lei sembrava «quasi normale». Eccola, dunque: una ragazza che si era presa una sbandata violenta per un bel ragazzo in televisione, non allo stesso modo in cui avrebbero potuto ammirarlo Ayumi e altre bambine che fossero tali anzitutto per mentalità.
 In un certo senso, lei sei anni non li aveva mai avuti, non glieli avevano concessi. Se non aveva funzionato la prima volta, cosa la illudeva che la seconda sarebbe andata meglio?
 Una voce nella sua testa le ricordava che anche Shiho Miyano era l’ennesima bugia, ma mentre lei avrebbe dovuto mentire solo sul suo passato, Ai Haibara avrebbe mentito sempre. E dunque, cos’era meglio? Mentire una volta ai bambini o mentirgli per sempre?
 Si morse il labbro. Anche Shiho Miyano, per loro che l’avevano conosciuta prima, era una bugia: ogni giorno o quasi li avrebbe visti e ogni giorno o quasi avrebbe tenuto per sé i mesi trascorsi insieme.
 Tornò a guardare Shinichi. «Pensi che un giorno gli diremo la verità?»
 Shinichi si strinse nelle spalle. «Vorrei dirti di sì, perché se lo meritano. Ma più passa il tempo e più temo che non troveremo il coraggio.»
 Tra di loro, nel vuoto, si dilatò un silenzio scomodo, sgradito. Rimase lì, soffocante e immutato, finché Shinichi non chiese:  «Non vai più da tua sorella?»
 Con l’arrivo improvviso dei bambini, che erano rimasti lì per pranzo, Shiho se n’era dimenticata. Scoccò un’occhiata all’orologio e si stupì che fossero già le due di pomeriggio. Si era ripromessa, solo qualche ora prima, che niente le avrebbe impedito di far visita ad Akemi, ma ora si sentiva come svuotata di ogni buona intenzione ed energia.
 «La mia offerta è ancora aperta.»
 Shiho inarcò un sopracciglio. «Davvero, da dove viene tutta questa gentilezza?»
 Shinichi mostrò i palmi. «Mi hai beccato, sto cercando una scusa per liberarmi di mia madre.»
 
 (Una volta incamminati, poco più tardi, l’argomento di conversazione introdotto da Shinichi sarebbe stato: «Quando parlavi di quell’effetto collaterale… stavi scherzando, giusto?»)
   
 
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