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Autore: Eneri_Mess    03/07/2022    1 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 23

You can only trust him





 

憧れ、抗い、生きる理由探してんだ 
欲した答はもう昨日には無いだろう 
新しい頁は迷う果ての自分自身が 
綴ってく存在理由(レゾンデートル)

 

Desiderando, resistendo, sto cercando una ragione per vivere
La risposta che voglio non si troverà più nel passato, giusto?
Questa nuovissima pagina è la mia ragione d’essere
Che io stesso, non più perduto, comporrò

[Reason Living - SCREEN mode]






 

⎯ Stiamo per raggiungervi.

Mori e Fukuzawa osservarono la trasmittente mentre il segnale tornava statico dopo il messaggio di Dazai. Il Boss riattivò la comunicazione e si portò l’apparecchio alle labbra. 

«È davvero un sollievo sapere che stiate bene» disse leggero, affettato, con un’alzata di spalle all’occhiata affilata che il Presidente dell’Agenzia gli rivolse. 

La risposta arrivò immediata, nel medesimo tono e cadenza. 

⎯ Stiamo per raggiungervi.

«È una trappola.»

Fukuzawa fu astioso nel dirlo, nel ricordare lo stesso trucco usato per depistarli e rapire Yosano. Il sorriso di Mori, al contrario, fu accomodante, con una sfumatura quasi divertita.

«Non ho ancora avuto il piacere di approfondire la conoscenza dell’amichetto russo di Dazai-kun, salvo quel breve e spiacevole episodio in mezzo alla strada dove mi ha pugnalato qualche tempo fa.»

Abbandonò la trasmittente sul tavolo, trovandola inutile. 

«Ha un senso dell’umorismo molto antipatico. Tentare lo stesso inganno due volte solo per aumentare la tensione…» Sospirò, recuperando da un cassetto un elastico per capelli e raccogliendoci la maggior parte delle ciocche. «Ormai ho una certa età e questi giochetti non mi divertono più» concluse, sgranchendosi collo e spalle. 

L’attesa stava scorrendo inesorabile, ma questo non la rese meno tediosa. Il trucchetto con la trasmittente portava con sé scenari con poche alternative, la maggior parte delle quali non li mettevano in una buona posizione. 

Fukuzawa non diede segni di averlo ascoltato. Il suo sguardo restò fisso sulla porta di ingresso collegata alle scale e all’ufficio di Mori. L’ambiente non era spazioso per gli standard della Port Mafia, poco più di uno stanzone corredato di un piccolo bagno. Era arredato come un secondo ufficio non dissimile dal principale, senza restituire l’idea di una panic room completamente isolata, autonoma e costruita per quel genere di situazioni di assedio. 

Il Boss della Port Mafia si portò al suo fianco con uno sguardo incuriosito. 

«Qualcosa la turba, Fukuzawa-dono? Non era così serio per un attentato alla mia vita neanche dodici anni fa. Invecchiare le fa perdere fiducia nelle proprie capacità?»

Lo sguardo con cui il Presidente lo ricambiò non perse il proprio taglio severo e per nulla divertito. Tuttavia, allentò la tensione, buttando fuori l’aria in uno sbuffo dal naso. 

«Perché ci siamo chiusi in una trappola per topi?»

La perplessità che fiorì sul volto di Mori divenne presto una risata, anche abbastanza gustosa, portandolo ad appoggiare una mano sulla spalla della guardia del corpo per bilanciarsi. 

«Una metafora interessante per un amante dei gatti. Si sente in trappola, Fukuzawa-dono?»

Il modo in cui la cadenza calcava le sillabe del nome diede a intendere quanto Mori trovasse lecito, al limite del piacevole, nominarlo. Per un momento, il Presidente ebbe a balenargli in mente il pensiero di quanto intensamente Dazai e il Boss si somigliassero nei modi di fare. 

«Dazai ha in mente qualcosa» proseguì il Ginrou e quel pensiero lo riportò alla realtà. A come quei due demoni avessero sempre in mente qualcosa che, a chi li circondava, fosse precluso conoscere. 

Mori si prese il mento tra le dita, facendosi meditabondo. 

«Dazai ha sicuramente in mente qualcosa» concordò, mentre con la mano libera estraeva un bisturi dal cappotto. Lo esaminò, giocando con l’inclinazione per rubare i bagliori della luce soffusa della stanza. «Dalla prima volta che l’ho visto ho capito che non sarei stato in grado di mettergli un guinzaglio al collo o cogliere il suo essere per intero.» 

Ricordi balenarono nel fondo dei suoi occhi, ma nessuno spettatore fu invitato a venirne a conoscenza. 

«Se siamo in questa situazione» riprese, con garbo, ma con un una nota che suonava dissonante. «È in buona parte colpa mia, devo riconoscerlo.»

L’alzata di spalle con cui accompagnò le parole fu un mea culpa con cui si sciacquò la coscienza per proseguire. 

«Dazai rivuole Oda, questa è l’unica certezza su cui possiamo basare ogni mossa nei suoi confronti.» 

Sottilmente, il demone si intravide nelle parole e nel gesto secco con cui ruotò il bisturi, catturando ogni chiarore presente e illuminandone completamente la superficie. 

«Per quanto sia un desiderio semplice, porta con sé la complicatezza più ingestibile di tutte: i sentimenti.» 

Sospirò attingendo a tutta l’aria nei polmoni per rinnovarla e tornare a fissare il proprio ospite e collega in quella commedia dalle tinte tragiche. 

«Se c’è qualcosa con cui detesto avere a che fare è l’imprevedibilità e l’illogicità che i sentimenti si trascinano dietro. Ci sono già passato una volta con Dazai senza rendermene conto.» 

E ne rise tra sé, tracce di allegria sbiadite in un suono non diverso dal ticchettio che li separava dall’arrivo del Destino. 

«Dazai lo chiamò balsamo per l’anima e io non capii. Sono davvero sciocco, non trovi, Yukichi?»

L’essere chiamato per nome diede a Fukuzawa un nuovo parametro per misurare la dimensione della situazione. 

«Ne sei rimasto ferito?» 

Lo chiese prima di rendersene conto. Mori abbandonò il contatto visivo. 

«Trasmetto questa impressione?»

L’ex samurai non rispose, ma tra di loro aleggiò un Sì. 

«Quando Taneda-san mi presentò Dazai la prima volta, mi decantò tutte le ottime prospettive che una risorsa come lui avrebbe portato all’Agenzia.»

«Senz’altro un ottimo acquisto. Prima Yosano, poi Dazai…» 

C’era dell’antipatia nel tono di Mori, ma non fu una frecciatina delle sue. Avevano già abbandonato ogni formalismo e la distanza tra di loro era rimasta prettamente fisica. Fukuzawa ignorò quel capriccio.

«Più lo guardavo più vedevo te, Ougai.»

Il Presidente si aspettò di ricevere in risposta una risata di scherno. Il silenzio restò inalterato per quei secondi sufficienti a far sottintendere di aver fatto centro. 

«Dovrei prenderlo come un complimento?» 

Il tono faceto uscì manchevole di verve. L’unica barriera che restò, e che Fukuzawa rispettò, fu il modo in cui Mori continuò ostinatamente a dargli le spalle. Il Boss strinse uno dei propri polsi con le dita dell’altra mano, in una rigida posizione di riposo militare. 

«Mi sono occupato di indirizzare Dazai verso alcune letture propedeutiche alla sua formazione strategica, ma non ho mai dovuto calcare la mano nell’insegnargli qualcosa. O meglio, quello che avrei voluto insegnargli lui l’ha rifiutato o ha trovato un modo alternativo per impararlo.» 

«Chi volevi che fosse per te?» 

La spada che portava al fianco non era l’unica arma affilata in possesso del Presidente dell’Agenzia. Fu un pensiero che Mori non esternò, anche se lo avrebbe aiutato a smontare quell’atmosfera densa, una cappa soffocante quanto una coperta sul viso che perdeva la sua funzione di conforto. 

«Mi chiedi chi e non cosa. Sei più subdolo di quel che sembri, Yukichi. Dimmi tu invece se l’impressione di Dazai che hai avuto all’inizio è cambiata» svicolò Mori, anche se suonò a metà tra una domanda e un’affermazione esacerbata. «Chi è tornato qui alla Port Mafia non era il diciottenne che ho lasciato andare. Qualcuno dei tuoi è riuscito ad avere un’influenza particolare su di lui? Magari quel Quattrocchi tanto preciso?» 

Fukuzawa non ribatté a quella sequela di domande con cui il Boss della Port Mafia seppellì la sua. Apprezzò poco il riferimento a Kunikida, ma lo archiviò per quel che era, una provocazione non dissimile da un sasso lanciato troppo vicino. Tuttavia, quel cambio di discorso gliene riportò alla mente un altro. 

Lo sforzo di cambiare la strada in cui ci siamo ritrovati, o siamo stati costretti, non ha davvero alcun peso? 

Dazai era stato sincero nel porre quella domanda, quanto lo era stato lui nel tacere i propri dubbi e non sapere cosa rispondergli. Perché non c’era una risposta logica ai sentimenti, come aveva detto il Boss stesso. 

«Oda è il motivo di Dazai. Di tutto. È troppo importante per lui.» 

Mori sbuffò, stringendosi il ponte del naso con stanchezza. 

«Siamo tornati al punto di partenza senza risolvere nulla.»

A mettere un fermo alla discussione fu lo sfavillare delle luci e il loro conseguente spegnimento. Ancora una volta, Mori alzò il viso al soffitto con espressione perplessa. 

«Questa stanza non ha un sistema autonomo?» indagò Fukuzawa, stringendo il fodero della spada e facendo tremolare appena la lama al suo interno. 

«Pare che Oda conosca casa mia meglio di me.»

Il tono del Boss rasentò lo spazientito, ma non trasparì alcuna reale preoccupazione. Sollevò un palmo in aria e, in un sussurro che suonò come un invito, pronunciò Vita Sexualis, materializzando Elise nel suo completo da infermiera. Il bagliore della bimba-abilità gettò un chiarore ultraterreno sul buio dell’ambiente limitrofo, permettendo a entrambi di scambiarsi un’occhiata di intesa.

Muovendosi con calma, senza perdere d’occhio la situazione, il Boss si portò vicino alla scrivania e accese due piccoli globi a batteria. Il perimetro della stanza fu appena rischiarato, delineando i confini in cui muoversi. Fukuzawa non si mosse dal fissare la porta da cui erano entrati, ma non gli sfuggì come il medicastro stesse tenendo d’occhio un altro punto. 

«Quanti sono gli ingressi a questa stanza?»

«Uno dal mio ufficio e un secondo da un ascensore privato.»

«E quanti lo sanno?»

«Solo i Dirigenti. Non si trova in alcuna planimetria ufficiale o non ufficiale.»

Una risatina riecheggiò tra le mura, tintinnante come le campanelle di una trappola infantile. 

«Qualcuno ha fatto la spia» cantilenò Elise, fluttuando nell’aria e stringendo lo sguardo con malizia. «C’è un traditore tra di noi

«Via, Via, Elise-chan, non è il momento» la ammonì Mori. 

Il silenzio permeò snervante e l’attesa marcì nell’aria, mettendo alla prova i nervi tesi a concentrarsi. 

Quando avvertirono il primo rumore fuori posto, che divenne subito ripetitivo, entrambi puntarono l’attenzione al secondo ingresso. 

Chiedere cosa fosse sarebbe stata la domanda più facile, ma Fukuzawa, memore di momenti simili appartenenti al passato e come gli si fossero ritorti contro con ironia, la tenne per sé, limitandosi a guardare l’espressione pensosa del Boss. 

Quel suono, ormai costante, si sovrappose al ticchettio dell’orologio nella stanza.

«Elise-chan, ti dispiacerebbe andare a controllare?»

La bambina smise di fluttuare e si depositò a terra con grazia e leggerezza, senza perdere la propria violacea patina soprannaturale anche quando sbuffò e marciò indispettita verso la parete. 

«Voglio una torta dopo questo casino! È tutta colpa tua, Rintarou!»

«Certamente, mia cara.»

Elise si piantò davanti al muro fissando ogni centimetro con attenzione, finché non si alzò sulle punte per premere il punto esatto e aprire il passaggio. Le si schiuse davanti un corridoio fiocamente illuminato solo da alcune luci di cortesia. Dall’altro capo c’era l’ascensore e il rumore ritmico provenne indubbiamente da lì. La bambina assottigliò lo sguardo in cerca di trappole, ma il corridoio era stretto e lineare, rendendo impossibile nascondersi da qualche parte. 

«Elise-chan» la incoraggiò Mori. 

«Lo so, lo so!» sbuffò lei. Si slanciò in avanti, senza calpestare il pavimento e puntando direttamente al fondo. 

A sbattere ritmicamente era la porta dell’ascensore, nel tentativo di chiudersi. La luce interna era stata accecata ed Elise fu costretta a usare il proprio bagliore per capire cosa incastrasse il meccanismo. Allungando la mano vide un cilindro metallico. Una flash bang con la sicura ancora inserita. 

Fece per raccoglierla, ma un altro particolare distolse e attirò la sua attenzione. All’interno della cabina vide che mancava buona parte del pavimento. Un buco circolare lo sfondava, irregolare ma dal taglio netto che lasciava intravedere lo strapiombo avvolto nell’oscurità del vano dell’ascensore. 

«Che diavolo…»

I dettagli trasudavano il sentore di una trappola, ma non c’era nessuno. Elise riguardò la granata accecante lasciata a bloccare le porte dell’ascensore e la prese in mano. Queste finalmente si chiusero, eppure non successe nulla. 

«Non capisco! Rintarou!» vociò la bambina, voltandosi. «Non c’è-»

Sbarrò gli occhi e la vide. La trappola. 

Un sensore di movimento lampeggiante. Un timer quasi allo zero. Dell’esplosivo sulla cornice del passaggio. 

«Rintarou!»

Il tempo non bastò e l’esplosione coinvolse lo stretto corridoio e parte della panic room

Nello stesso istante, la porta dell’ingresso principale fu abbattuta. Sulla soglia, Oda alzò le pistole e iniziò a sparare. 



 

Fukuzawa non abbassò mai la guardia.

I suoi gesti furono invisibili. Tagliarono l’aria, il polverone dell’esplosione, i proiettili. 

Oda si preparò a riceverlo. In un gesto preciso sostituì una delle pistole con un pugnale militare. Le lame cozzarono con un rumore spiacevole e la forza di entrambi si misurò e si eguagliò, impedendo all’uno e all’altro di avanzare. 

«Sei stato cattivo!» strillò Elise, apparendo a mezz’aria dalla polvere che si stava depositando, armata della sua siringa gigante. 

Una sequenza di visioni si unirono tra loro, formando un flusso continuo in cui Oda tenne testa all’ex samurai e all’abilità bambina. Nessuno dei due ebbe la meglio, ma neanche il Fantasma Rosso riuscì ad avanzare. Elise stava compensando qualsiasi fianco scoperto del Presidente dell’Agenzia e viceversa, come se entrambi avessero provato una sequenza di passi in vista della battaglia. 

A Oda non sfuggì un terzo sguardo che lo fissava, in disparte e a distanza. Quello che stava orchestrando i movimenti della bambina. Il suo obiettivo. Mori Ougai

Per spezzare l’impasse, il giustiziere si concentrò sul Ginrou, lasciando un fianco scoperto per qualche secondo. Quanto bastò a Elise e alla punta della sua siringa per tentare di trapassarlo. 

Il braccio prostetico di Oda si liberò della pistola, lanciandola in aria, e afferrò l’ago fuori misura; nello stesso momento, caricò il fendente del pugnale verso l’alto, sbilanciando Fukuzawa. 

Con un movimento che richiese un grosso quantitativo di forza e velocità, il Fantasma Rosso trascinò la siringa e la bambina contro lo spadaccino. Elise e la sua arma si dissolsero in scintille viola prima dell’impatto, ma ciò incrinò e offuscò la guardia del Presidente. 

La mano del giustiziere riacchiappò la pistola in caduta e sparò. 

Fukuzawa non arretrò. Digrignò i denti, lasciandosi sfuggire un verso di dolore, ma non si fece intimidire. Dei cinque colpi che gli erano stati rivolti, due erano andati a segno nella gamba. 

Degli spari diversi, provenienti dalle spalle del Presidente - e che gli sfiorarono i capelli - costrinsero l’ex tutto-fare a retrocedere e trovare riparo dietro uno dei divani della sala. 

«Hai volutamente rischiato, anche vedendo il mio attacco» constatò Mori, senza abbassare la propria arma puntata contro la spalliera del divano. Adocchiò gli indumenti del Presidente dell’Agenzia scurirsi per il sangue, ma tornò a concentrarsi sul riparo dietro cui si trovava il loro avversario. 

«Hai l’ordine di uccidermi, Oda-kun?»

Non ci furono repliche. Nulla si mosse. 

«Oppure desideri uccidermi?» riformulò Mori. Nonostante l’occhiata intensa che gli scoccò l’altra metà del loro Duo Nero, il Boss perseverò. «Hai del risentimento nei miei confronti? Sarebbe comprensibile. Sono stato io a distruggerti la vita e a mandarti a morire. Sempre che sia ancora nei tuoi ricordi.»

Mori stava incarnando la parte dell’attore in un teatro desolato, impegnato a recitare una commedia solitaria. L’unico spettatore con diritto a esprimersi si ostinò al silenzio e questo portò Fukuzawa a stringere di nuovo l’elsa della spada, nel tentativo di leggere quell’assenza di suoni e risposte. Le provocazioni finirono consumate dal vuoto, avanzi di ossa scarnificate lasciate a polverizzarsi senza importanza. 

«O forse…» riprese ancora una volta il Boss, ma il rumore netto di un caricatore riallogato lo fece tacere. 

«La mia missione è abbattere il Re del Castello più forte.»

«Complimento apprezzabile, quanto infantile» commentò Mori con un sorrisetto. «La tua voce e la tua calma sono delle costanti gradevoli, Oda-kun. È un peccato che il tuo modo di pensare sia cambiato.»

Ci fu un sospiro costernato sul finire, mentre il medicastro si appoggiava alla scrivania dietro di sé, soppesando con lo sguardo la pistola che aveva in mano. 

«Non ti potrebbe interessare tornare nella Port Mafia? Con una promozione, ben chiaro. Risolveremmo molte incidenze spiacevoli e tu e Dazai-kun potreste ricominciare da dove siete stati interrotti. Che ne pensi?»

Consapevole di aver premuto il tasto giusto, Mori si mosse prima di Oda. Evitò i proiettili che l’ex tuttofare sparò scattando dal retro del divano. Fukuzawa riuscì a occuparsi dei successivi, non senza stringere i denti per il dolore. 

«Lo interpreto come un rifiuto» dedusse ironico il Boss, alzando la mano libera. «Elise-chan, prenditi cura di lui. In maniera gentile.» 

La bambina apparve alle spalle del Fantasma Rosso, armata di un bisturi fuori misura e di un sorriso folle. 

Nonostante la visione dell’imminente attacco, le parole di Mori avevano scavato nella mente di Oda, deconcentrandolo. Parò all’ultimo la lama incombente con la protesi, ma i due metalli non cozzarono. Al ghigno cattivo e vittorioso della bambina, la sua arma mutò di forma, trasformandosi in una cinghia di cuoio, di quelle usate per immobilizzare al letto i pazienti. 

«Preso!» trillò l’abilità, restando immobile anche quando il giustiziere le sparò. I proiettili crearono nella bambina dei buchi come in una stoffa strappata, ma si richiusero dopo qualche secondo. 

Oda non ebbe il tempo di riprovarci. Vide il Presidente dell’Agenzia tornare all’attacco e dovette scansarsi per evitare di venir tagliato insieme al divano. Elise gli impedì movimenti fluidi, strattonandolo e ridendo con la sua vocetta da bambina. Sebbene sapesse dove Fukuzawa lo avrebbe colpito, gli strattoni dell’abilità non gli resero facile sfuggire a tutti gli affondi. Nessuna fu una ferita grave, ma il sangue schizzò comunque sulle pareti, lasciando traccia di quella lotta disordinata.

Oda finì con lo sbattere contro uno dei muri ancora trascinato dalla bambina, puntellata sulla superficie verticale come il fantasma di un horror. In un ferreo tiro alla fune, l’ex tuttofare radunò ogni energia per resistere, vedendo di nuovo arrivare Fukuzawa. Continuò a opporre resistenza fino al momento opportuno. 

Con la coda dell’occhio adocchiò l’arrivo della lama e smise all’improvviso di contrastare Elise. Gli strattoni della ragazzina ebbero la meglio sul vuoto di forza e questo lo spostò bruscamente, permettendogli di eludere il fendente all’ultimo. La katana del Presidente incontrò il muro, e, allo stesso tempo, la bambina perse mordente sulla cinghia. 

Un secondo di tempo per ricalibrarsi e Oda respinse la guardia del corpo con il braccio meccanico, mentre la mano libera volava all’arsenale sulla propria schiena, prendendo una delle armi e puntandola contro la bambina. 

Non ci furono suoni netti al click del grilletto, eppure Elise strillò di dolore, prima di scoppiare in una nuvola di scintille. 

Un gemito inaspettato incrinò l’attenzione di Fukuzawa, spingendolo a voltarsi. Il Boss della Port Mafia era piegato in avanti con le mani alla testa. 

«… sto bene» ansò Mori, ma non aiutò. 

Oda approfittò del vantaggio e si aprì un’opportunità con la protesi. In un movimento a ventaglio allontanò la lama della katana e alzò la pistola verso la faccia del Presidente. 

Schivare il colpo sarebbe stato impossibile, se l’ex samurai, preso in contropiede, non avesse scaricato il peso sulla gamba ferita, cedendo di conseguenza. 

Le onde direzionali dell’arma non lo presero in pieno, ma il riverbero fu come l’esplosione di una bomba nei suoi timpani. Sfasarono il suo equilibrio, facendolo crollare contro il muro. La spada cadde in terra con un suono limpido e di sconfitta, calpestata dall’anfibio del Fantasma Rosso

Oda puntò l’arma per un secondo colpo mirato, ma all’ultimo saltò indietro. Tre bisturi si piantarono nel muro all’altezza della sua testa dove era un istante prima. 

«In piedi, Fukuzawa-dono. Una guardia del corpo morta è inutile» ingiunse Mori con tono marziale. Con la propria pistola in mano, tenne sotto tiro l’ex tuttofare anche quando avvertì dei lamenti da parte del Presidente dell’Agenzia. Esibì una smorfia e le sue dita si strinsero sia sull’impugnatura dell’arma che sui bisturi che aveva nell’altra. 

Oda non si lasciò intimorire. Angolò le braccia e tenne entrambi nel mirino. La pistola a risonanza era rivolta ancora una volta alla guardia del corpo che si stava rialzando a fatica. Il Boss della Port Mafia fissò invece la canna della nove millimetri, ma senza esprimere alcuna emozione.

«È una seccatura dover parlare con un volto coperto» sbuffò Mori come se si stesse rivolgendo a un sottoposto indisciplinato. «Ma sei stupefacente come un tempo, Oda-kun» aggiunse, senza ombra di complimenti nel tono. «Ti stai dimostrando un soldato capace e meticoloso, che tuttavia cammina nella tela di un ragno.» 

«Che cosa intendi?» 

Mori accolse compiaciuto quell’interessamento, ma senza tradire neanche un guizzo nello sguardo. Mentalmente, i pezzi sulla sua scacchiera si mossero ad accerchiare la Regina avversaria. 

«Ho una vaga idea di quelli che potrebbero essere stati i tuoi ultimi quattro anni. È sufficiente osservare come ti muovi, le tue tecniche e le tattiche. Scuola dell’est Europa, per buona parte Russa, con poche sbavature che immagino dipendano dal tuo retaggio precedente e che il tuo nuovo compagno non sembra si sia preoccupato di correggere.»

La voce di Mori si ammorbidì insieme alla sua espressione, con una pietà famelica. 

«Hanno metodi interessanti da quelle parti, ma troppo brutali. Manipolare la psiche di un uomo è vantaggioso, ma è anche un’arma a doppio taglio. I ricordi non svaniscono mai del tutto. Al contrario della fedeltà.»

Non esistettero reazioni da parte di Oda, non con la maschera ad appiattire qualsiasi sentimento. Nulla in lui tremò, né si irrigidì. Le pistole restarono fisse sugli obiettivi. 

«Se questo è tutto quello che hai da dire posso farne a meno.»

«Il ragno…» riprese Mori, impedendo agli indici di premere i rispettivi grilletti. «Il ragno che da quattro anni ti tiene nella sua rete è Fyodor Dostoevskij. Accetti così di buon grado di essere un suo pupazzo? Ho una discreta esperienza in materia di suicidi, ma nulla è più avvilente di vedere un uomo combattere una causa che alla fine lo ucciderà.»

«La causa» ripeté invece Odasaku, alzando solo un po’ il tono, ma senza infonderci nulla. «È avere un mondo privo di peccatori.»

Qualsiasi sfumatura, derisoria o condiscendente, si asciugò dal viso del Boss della Port Mafia. Guardò il proprio nemico con l’occhio clinico del medico che aveva reciso la gola di un folle per ottenere un trono e per un piano più grande di sé. 

«Sei quindi concorde con l’obiettivo di Dostoevskij?»

La sua serietà avrebbe potuto scottare qualsiasi proprio sottoposto, dal più inesperto al più vicino in grado. Oda non lo era più e gli tenne testa. Il suo silenzio fu denso e suonò molto simile a un

«Capisco.»

Mori abbassò la pistola al fianco, guadagnandosi un’occhiata allarmata da parte di Fukuzawa. 

«Questo addolorerà molto Dazai, temo. Per quanto sia la riprova che sarai tu la causa per cui morirà» aggiunse con qualcosa di molto simile a un sussurro intimo, colmo di disappunto. Tornò a guardare le due fessure dietro cui si nascondevano gli occhi di Oda. 

«Un mondo privo di peccatori è una pagina bianca senza alcuna goccia di inchiostro. Il Verbo stesso sarebbe peccato.»

Sul suo viso si aprì un sorrisetto di compatimento che scivolò presto nel sarcasmo. 

«E poi saremmo noi i demoni

La linea delle sue labbra svanì nell’oscurità insieme alla stanza. 

Sulla scrivania, le due lampade autonome che rischiaravano l’ambiente si spensero all’improvviso. Un buio denso, quasi morbido, riempì ogni angolo, senza lasciare alcun punto di riferimento. 

Oda sparò con entrambe le pistole, ma non seguì alcun gemito. Un rumore attirò la sua attenzione e poi un altro, nella direzione opposta. Nessuna visione gli venne incontro, nessun sentore di pericolo. Seguirono suoni attutiti o blandi, come gli scricchiolii notturni di una casa, ma anche a puntare l’arma verso le presunte fonti, Flawless non si destò. 

Poi sobbalzò appena per una voce. 

«Odasaku non ha altri motivi. Ciò che si vede di lui è ciò che è.»

Un bagliore rischiarò fiocamente, come un segreto da custodire, la zona alle spalle del giustiziere. La mano che impugnava la pistola si mosse di propria volontà, ma quando si fermò a pochi centimetri dalla fronte di chi aveva parlato, anche qualcosa nella gola del Fantasma Rosso si bloccò. 

Dazai era davanti a lui. 

Un Dazai più giovane, vestito di scuro salvo per due lembi di camicia bianca e per le bende su occhi, gola e polsi, che spuntavano a dargli una parvenza di umanità. Era il Demone Prodigio al massimo del suo apice, in una luce ultraterrena che, tuttavia, sembrò passare in secondo piano agli occhi dell’ex tuttofare. 

La proiezione consumò un piccolo sorriso, quasi ingenuo e fuori luogo, eppure autentico, prima di parlare di nuovo.

«Ci vuole un po’ di tempo per abituarsi, ma una volta che ci riesci, Odasaku è come un balsamo per l’anima

Il Fantasma Rosso rimase intrappolato dalla visione reale e ignorò quella di Flawless

Fissò l’occhio non bendato di quel Dazai un po’ più basso, acerbo rispetto a quello incontrato al sessantesimo piano, eppure sempre lui, e non evitò la pugnalata che gli arrivò alle spalle. Emise appena un gemito, serrando i denti, malfermo sulle gambe. 

La proiezione si dissolse come il sogno che era, restituendo l’aspetto a Elise e al suo sguardo di compatimento. 

«Sei sleale, Rintarou.»

«In amore e in guerra, mia cara. La storia più vecchia del mondo. Ti dispiace andare a riaccendere le luci sulla scrivania?»

Mori lasciò andare la mano con cui ancora stringeva il manico del bisturi quando il giustiziere perse definitivamente l’equilibrio, accasciandosi contro il muro. Il Boss recuperò la propria pistola e con indolenza, al ritorno della luce, gliela puntò alla testa, avvicinandosi senza timore di ripercussioni. 

«Ho cosparso la lama di una soluzione a base di vecuronio, un rilassante muscolare, con l’aggiunta di qualche altra sostanza utile a velocizzare il processo e a scioglierti la lingua.»

Fukuzawa si avvicinò zoppicando appena e con una scia di sangue rappreso che colava dall’orecchio colpito di striscio dalla pistola a risonanza. Mori constatò prima lo stato della propria guardia del corpo, poi lo passò sull’arma in terra. 

«Hai dei giocattoli molto interessanti e non sono ancora riuscito a scoprire da dove provengano. È molto frustrante» cincischiò il Boss, per poi tornare a concentrarsi sul suo ospite. «Allora, da quale argomento vogliamo iniziare?»

«Che cosa…» La voce di Oda era strascicata, flebile. Aveva perso sia la propria fermezza che il proprio solito equilibrio. «Che cos’era quello…?»

Il Boss lo studiò per qualche secondo, inclinando la testa. 

«La forma di un rimorso» replicò con un’alzata di spalle per minimizzare il peso delle parole. «Più semplicemente, un mio ricordo. Dazai mi raccontò alcune cose su di te prima dell’incidente con la Mimic. Un tempismo perfetto, sebbene non gli prestai l’adeguata attenzione. Sono fortunato ad avere una memoria che funziona molto bene» spiegò, per poi abbandonare il tono leggero. «Per quanto tu possa ignorarlo, quello che hai visto è il tuo passato.» 

«Mimic…» ripeté Oda, per poi aggiungere altro, ma di incomprensibile. 

«Che sta dicendo?» domandò Fukuzawa. Si era chinato a raccogliere la pistola a risonanza per osservarla più da vicino, ma il mormorio aveva vinto sulla curiosità. 

«Presumo sia russo. Non rientra tra le mie conoscenze» sbuffò Mori, muovendo il collo per sciogliere un po’ della tensione accumulata. «Chuuya e Dazai dovrebbero essere già qui, ma presumo che il nostro ospite gli abbia reso complicato l’arrivo. C’è una cella che lo aspetta e a me un’intera giornata di riposo.»

Il Presidente dell’Agenzia ignorò l’ultima parte, corrugando la fronte. 

«Pensate di farlo rinsavire tenendolo prigioniero?»

«È l’accordo alla base del ritorno di Dazai, ma non nutro particolari risvolti positivi a riguardo.» 

«Dazai

Oda lo mormorò più fermamente, riattirando l’attenzione. 

«Dazai Osamu è la spia della Port Mafia» e il suo tono tornò meccanico, impostato, per quanto indebolito. 

«È questo che ti ha raccontato Dostoevskij?»

Non c’era più alcuna nota accomodante nella voce del Boss della Port Mafia, quasi più un’inflessione rigida e militare. La testa dell’ex tuttofare ciondolò. 

«Avrei dovuto ucciderlo dopo che la mia finta tomba è stata scoperchiata… Lui e Sakaguchi Ango, l’altra spia…»

Quello di Oda suonò come un copione imparato a memoria. Tentò di muoversi, senza ottenere risultati. 

Mori sembrò colto da un’ispirazione a quelle parole. Senza perdere di mira l’obiettivo con la pistola, e sotto l’occhio vigile di Fukuzawa, si chinò e tolse la maschera cremisi al Fantasma Rosso

Gli occhi annebbiati e astiosi di Oda incrociarono quelli vigili del Boss, sebbene dolciastri nel porsi mentre affondavano nello sguardo del giustiziere come fosse una porta spalancata. Mori gli dedicò persino un sorriso, frugandogli dentro. 

«Quattro anni e i tuoi lineamenti si sono ulteriormente definiti, oltre a essersi scheggiati» e le sue dita gli sfiorarono una delle cicatrici sul volto. «Ma sei il tipo di uomo a cui certe ferite donano.» 

Il medicastro si rimise dritto in piedi. 

«Torniamo a noi. Ti è stato ordinato di uccidere le uniche due persone in grado di restituirti il tuo passato.» Una smorfia gli piegò le labbra, come se avesse appena visto sulla scacchiera una mossa infantile e priva di eleganza. «Al tuo compagno russo deve piacere il dramma, ma qualcosa è cambiato nel piano. Perché ora non puoi uccidere Dazai?»

Oda parve fare appello alle proprie forze per tenere la bocca chiusa, arrivando a picchiare la testa contro il muro dietro di sé, sebbene con pochissima forza. Il veleno serpeggiò intorno ai suoi muscoli come ai tuoi pensieri, corrodendo l’autocontrollo. 

«Il contratto è cambiato… il pagamento. La Testa vuole Dazai Osamu vivo insieme alla donna.»

«La donna è Yosano?» scattò Fukuzawa, risvegliato da una rabbia che si riscaldò molto velocemente, facendogli ignorare qualsiasi tipo di dolore. «Dove la tenete!?»

Il Boss lo placò appoggiandogli la mano libera sul braccio. 

«Adagio, Fukuzawa-dono. E con ordine» lo redarguì gentilmente, senza malizia, tornando al loro ospite. «Chi o cos’è la Testa?» 

«Sarà il suo mandante?» intervenne di nuovo la guardia del corpo rivolto al medicastro, cercando risposte in occhi che non lo stavano guardando, ma restituendo una concentrazione che stava passando al vaglio i dettagli. 

«Qualcuno al di sopra di Dostoevskij senza dubbio. C’è del raziocinio lì dove quel ratto avrebbe preferito eliminare gli ostacoli scomodi, come Dazai. Riguardo quest’ultimo…»

Mori soppesò le idee, senza preoccuparsi di prendersi del tempo. Il bandolo della matassa era celato lì da qualche parte. 

«Dazai è una garanzia sul Libro» rifletté a voce alta. «La sua abilità è l’antidoto al veleno, probabilmente. I poteri di quelle pagine sono tremendamente fecondi e nefasti, tuttavia, avere No Longer Human promette la possibilità di un piano b. Mentre avere il controllo dell’abilità di Akiko-kun mette nella posizione di poter schioccare le dita dinanzi alla morte, facendosene beffe. Chiunque sia… o qualsiasi cosa sia La Testa ha fatto i propri conti.»

«Dazai…» ripeté Oda, chinando la testa con pesantezza, le dita intorpidite e ridotte a brevi scatti. «Dazai Osamu… Non doveva mettersi in mezzo…»

«Ascoltami» riprese Mori, cercando la sua attenzione. «Ricordi di essere morto tra le braccia di Dazai?»  

L’ex tuttofare si irrigidì. Alzò lo sguardo e fissò il Boss oltre la canna della pistola. C’era ancora un odio adamantino nel suo sguardo, che tuttavia sfumava nella necessità recondita di sapere. Irrigidì la mascella e il medicastro lo prese come un segno per continuare. 

«Quelle parole che hai sentito prima erano autentiche. Che Dazai lo ammetta o meno, in te ha trovato una ragione per vivere. Tu riempivi il suo vuoto. Hai continuato a farlo anche dopo che per lui, per chiunque ti conoscesse, sei morto.»

«Il suo vuoto…» 

Gli occhi di Oda vagarono alla ricerca di qualcosa che non era fisico e non era lì. 

«Le persone…» sussurrò confusamente, teso a trovare il seguito di quella frase che aveva il suono della sua voce, ma che si perse nelle stanze buie della sua mente. Perfino quel bar dall’odore dolciastro di whiskey restò spento e vuoto. 

«Questo potrebbe essere un buon momento per iniziare a ricordare» lo incoraggiò Mori, senza spenderci davvero del sentimento reale se non un mellifluo suggerimento tattico. «Devono averti addestrato a non dipendere dalle risposte, ma io ne ho di interessanti. Tutti i fascicoli su di te sono nel mio ufficio. E avrai la possibilità di parlare con Dazai stesso, a breve.»

«Dazai… Dazai Osamu…» 

Oda diede l’impressione di non aver ancora del tutto raggiunto un verdetto su quel nome, ma le sue parole si fecero più ferme, come il tremore del suo corpo, quando la voce di Dostoevskij gli tese la mano in quell’oscurità. 

Il pensiero di Dazai Osamu ti tormenta?

«Dazai Osamu è una spia» ripeté ancora una volta come un automa. 

«E Mori Ougai è un peccatore che non può essere redento.»



 

Avevano abbassato la guardia e il Fantasma Rosso approfittò di quella falla. 

Successe in maniera veloce e finì come sarebbe dovuta andare dall’inizio, come i cerchi di sangue lasciati nelle settimane precedenti avevano suggerito.



 

Oda si mosse invisibile per una persona con del paralizzante in circolo. Falciò sia Mori sia Fukuzawa, i cui riflessi erano ancora rallentati. Il Boss sparò, ma Flawless fece il suo dovere mostrando al giustiziere ciò di cui aveva bisogno.

Il polso di Mori finì tra le fauci del braccio prostetico. Trattenne la pistola finché le dita meccaniche non si chiusero a morsa e le ossa del polso si incrinarono. 

«… Elise-»

L’ex tuttofare lo lasciò andare di colpo e raccolse la pistola a risonanza mentre l’ennesima visione affiorava nella sua mente. Il Presidente dell’Agenzia lo avrebbe trafitto al fianco, mentre l’abilità bambina avrebbe attaccato alle spalle. Prima che ci riuscissero, Oda sparò a entrambi i suoi proiettili invisibili. 

L’eco invase la panic room, assorbito poi dalla penombra. 

Solo quando Fukuzawa e Mori furono entrambi a terra, in preda degli spasmi, si concesse un momento per riprendere fiato e appoggiarsi con una spalla al muro. Estrasse il bisturi dalla ferita e lo strinse nel pugno. 

«Hai una resistenza invidiabile…» biascicò il Boss, tenendosi ancora il viso con la mano sana, mentre l’eco del colpo che aveva dissolto la sua abilità rimbombava nella sua mente pungendolo come aghi. «… E seccante.» 

Si mise a sedere a fatica, non senza gemiti per il polso fratturato. Continuò a tenere l’attenzione fissa su Oda, nonostante sentisse l’ex samurai alle proprie spalle contorcersi per il dolore. 

«Quell’errore di calcolo non sembra abbia intenzione di farmela scontare…» celiò Mori, osservando il giustiziere avvicinarsi. Il cremisi della sua tuta non era che un abbellimento all’aura che aleggiava intorno a lui e che, più che mai in quel momento, possedeva la poesia nera della morte. 

Riposta la pistola a risonanza, Oda si chinò e raccolse la propria maschera, appendendola momentaneamente alla cintura. Afferrò quindi il Boss per la camicia e lo costrinse in piedi, anche se l’intero peso dell’uomo fu retto dal solo braccio meccanico. 

«Non ho alcun ricordo di come sono morto» mormorò fissando Mori negli occhi con una rabbia gelida, la prima reale emozione volontaria che lasciò le sue labbra. Il pugno in cui aveva il bisturi scattò una prima volta, piantandosi nello stomaco del medicastro. Seguirono in sequenza, in punti diversi, altre pugnalate. 

«Mi hanno raccontato cos’è successo. So che è stata colpa tua.»

Un altro affondo. Mori gemette e il sangue gli rigò il lato della bocca. 

«So che ho perso quello che avevo per i tuoi scopi, ma non ho memoria di niente.»

La lama tagliò stoffa e carne altre tre, quattro, cinque volte. 

«Non ti odio, Boss della Port Mafia. Sei solo lavoro.»

Un ultimo colpo e Oda lasciò il bisturi dov’era, nell’addome tremante. 

«… ma sei un lavoro irritante e pieno di chiacchiere, come Dazai Osamu.»

Le dita metalliche sciolsero la presa e Mori cadde a terra. 



 

* * *



 

«Boss!»

Dazai e Chuuya sbucarono dal secondo ingresso della panic room. C’era una sorta di filtro surreale apposto alla scena: la luce calda e calmante delle lampade sulla scrivania rischiarava imparziale sia la zona della sala intatta, sia quella dove si era consumata la lotta. 

Una parte del divano divelto giaceva rovesciato in terra, con fori di proiettile e imbottitura sparsa in giro, mentre l’altra parte, illesa, rimaneva appoggiata in obliquo, come se si fosse a malapena accorta di quello che era successo. 

Mori e Fukuzawa erano inerti. 

Li raggiunsero in brevi falcate, calpestandone il sangue. Dazai fu il più pratico dei due. Si accovacciò con un ginocchio in terra e appoggiò indice e medio prima sulla gola di uno e poi dell’altro. Furono solo secondi, ma viaggiarono pesanti come l’aria ferruginosa che si respirava. 

«Sono vivi.»

Chuuya buttò fuori un respiro rabbioso insieme a una bestemmia carica di sollievo. 

«La trasmittente. Sulla scrivania» indicò nel mentre Dazai, afferrando uno dei cuscini del divano e sistemandolo con cautela sotto la testa del Boss. «Contatta Hirotsu per-»

«Ohi! A chiunque sia in ascolto!» gli parlò sopra il rosso, l’apparecchio già a un soffio dalla bocca. «Serve l’équipe della Kagemori nella panic room del Boss immediatamente! Protocollo Nero! Da adesso chi vi intralcia è da abbattere! Non mi importa come arriverete quassù, il Boss ha la priorità

Il fruscio statico che seguì non fu incoraggiante per la pazienza esaurita e frustrata del giovane Dirigente, ma una risposta non tardò troppo. 

⎯ Sono Hirotsu. Arriviamo

Chuuya avrebbe spaccato la trasmittente, o qualsiasi altra cosa, pur di alleviare la pressione che sentiva dentro. Se la fece invece scivolare in tasca per tornare dal partner. 

«Puoi fare qualcosa?» domandò, mentre il suo sguardo non vedeva altro che un rosso troppo scuro e senza fine. 

«L’ho visto medicare centinaia di ferite» replicò Dazai con della tensione fuori posto nella voce. Le sue dita non tremavano, anche se erano in difficoltà nel liberare il torace dai brandelli di stoffa zuppi di sangue. C’era un sorrisetto sghembo sulle sue labbra e non alzò mai gli occhi per incrociare quelli della Lumaca. «Ma se dovessi dirti cosa fare mentirei. Odiavo leggere i libri di medicina che mi propinava.»

«… il tuo metodo si limitava a girarti le bende sulle ferite finché non smettevano di sanguinare…»

I due sobbalzarono alla voce lieve di Mori. 

«Boss!» Chuuya gli si inginocchiò al fianco, entrando nel suo campo visivo. «La Kagemori sta arrivando. Resista!»

«… molto bene» tossì l’uomo e il tremore lo fece contorcere. «C’è… c’è un kit di primo soccorso… nell'armadio a muro…»

Il rosso lo recuperò in un battito di ciglia, passandolo allo Sgombro. 

«Fukuzawa-dono…?» domandò il Boss, reclinando la testa per vedere, ma distinse solo una macchina verde informe e immobile. 

«È svenuto. Dal sangue all’orecchio presumo sia-»

«Quell’arma a risonanza…» completò Mori a fatica, stringendo i denti. 

«Non si sforzi» lo placò subito Chuuya, teso dal non riuscire a fare nulla. Dazai gli mise in mano bruscamente alcuni pacchi di garze sterili. 

«Applicale sulle ferite» istruì, ma il partner esitò, rimbalzando gli occhi da un taglio all’altro. Si riebbe nel vedere Dazai procedere e prese a imitarlo. Le sue mani si tinsero presto di rosso. 

«Cazzo, cazzo, cazzo» ringhiò tra i denti, avendo l’attanagliante sensazione che fosse tutto inutile e processando un pensiero dietro l’altro, senza trovarne nessuno valido. «Credevo che Odasaku sparasse e basta» se ne uscì, imprecando alle parole che avevano preso corpo senza consenso. 

«… non ha gradito le mie chiacchiere» spiegò il Boss con l’ombra di un sorriso di compatimento e ironia. La sua espressione si incrinò di nuovo per il dolore quando afferrò Dazai per un braccio. I suoi occhi risultarono fermi, quasi lucidi. 

«È soltanto… un fantasma…»

L’ex detective si irrigidì e interruppe le medicazioni. 

«Ohi! Che cazzo-»

«Dov’è andato?» 

Dazai ignorò Chuuya e fissò solo il Boss come se il resto non esistesse. 

«… il tuo amichetto russo… ha fatto davvero un buon lavoro con la sua… mente…»

«Dov’è ora?» scandì Dazai. Mori gemette quando il Demone Prodigio premette le dita in una delle ferite, indifferenze al sangue che arrivò al polsino della giacca e alle bende. 

«Che cazzo fai!?» gli urlò Chuuya, afferrandolo e strattonandolo per la camicia, ma anche così non ottenne nulla, se non osservare lo sguardo vacuo e senza fondo del partner. 

«… è bene che i fantasmi scompaiano, Dazai…» esalò Mori con un filo di voce che sembrò arrampicarsi a fatica per uscirgli dalla gola. «… o continueranno a tormentare i vivi…»

Perse conoscenza. 

«Merda!»

Chuuya tentò di scuotere l’uomo da una spalla, ottenendo solo una testa ciondolante. Si abbassò con l’orecchio sulla sua bocca, osservandone il torace. Anche se di poco, si mosse. 

«Ohi, Sgombro! Non è il momento delle cazzate! Dobbiamo fare qualcosa!» 

E nel dirlo, riprese febbrilmente ad apporre le garze sulle ferite e fissarle con lo scotch medico. 

Dazai si stava guardando in giro. I suoi occhi si soffermarono su ogni oggetto, fuori posto o meno, integro o rotto, ricostruendone gli ultimi momenti. Dall’ascensore con il pavimento sfondato che li aveva rallentati, ai due ingressi esplosi, fino alle lampade innocue sulla scrivania e al bisturi ancora conficcato nell’addome di Mori. Comprese le dinamiche e si alzò. 

«Ohi!» 

Chuuya mollò tutto e gli fu dietro in un baleno, afferrandolo per il polso. 

«Tu non vai proprio da nessuna parte! La priorità è il Boss!» 

Non controllò il tono di voce. Gli argini si erano rotti e il rosso mescolò insieme le emozioni. Strinse le dita tanto da lasciare il segno, ma tremò con qualcosa che non era rabbia o urgenza. L’oscurità del primo ingresso davanti cui aveva bloccato Dazai gli apparve come la soglia ultima di quella notte. 

«Mori-san non morirà.»

La voce dell’ex detective fu così atona e flebile che il partner faticò a sintonizzarla.  

«E se morirà, non potremo farci nulla comunque.» 

Nonostante le parole per niente incoraggianti, Chuuya allentò la morsa delle dita, ma non lo lasciò.

«Stai andando da lui

Odasaku, Odasaku, Odasaku. 

Fu una constatazione intrisa di troppi sentimenti diversi e caotici. 

«Che cosa pensi di fare? E smettila di propinarmi piani e strategie. Tu vuoi-»

Dazai lo interruppe liberando il braccio con uno strappone minimo, non irruento. Non si avviò. Restò fermo, senza guardarsi indietro, né a Chuuya né a tutto il resto. 

«Odasaku è nell’ufficio di Mori-san.»

Addolcì il tono, come se tutto quello che si apprestava a fare fosse semplicemente raccontare una favola della buonanotte.

«Se intendi seguirmi, farai ciò che ti dico. Ti fiderai di me.» 

Non sarebbe stata l’ultima volta in cui Chuuya avrebbe dovuto sentirsi dire quella frase, quell’invito che aveva la consistenza di due manette e un bavaglio sulla bocca. Non sarebbe stata l’ultima volta finché lo avesse assecondato. 

«Dannazione…»

Quando Dazai si mosse, il rosso lo seguì. 





 

«Perché dovrebbe andare nell’ufficio del Boss?» 

La Lumaca diede voce al proprio scetticismo e tentò, al contempo, di sciogliere la rigidità generale che provava. Dazai era troppo focalizzato per essere d’aiuto, ma sentirlo parlare era meglio che ascoltare il silenzio dei suoi ragionamenti. 

«Presumo sia l’unica via di fuga rimasta.»

Chuuya non ci spese più dell’ascolto e passò alla successiva - e più urgente - domanda. 

«Cosa vuoi fare una volta che ce lo avremo davanti?» 

Tutte le opzioni che venivano in mente a lui collidevano con un’evoluzione totalmente disastrosa. Non vedeva soluzioni. Non vedeva più possibilità. 

«Ha combattuto contro tutta la prima linea della Port Mafia. Per quanto abbiano fatto di lui un super soldato, è stanco e ferito. Al contrario, tu hai ancora diversa energia, o sbaglio?»

«Seh…»

Cosa Dazai stesse realmente pensando non trasparì dalla sua risposta. Chuuya tentò di non ammetterlo, ma lo sentì scivolare via. 

«La prima cosa da fare sarà disarmarlo» riprese lo Sgombro, soffermandosi per un momento su un gradino per passare le dita su una macchia di sangue sul muro. I suoi occhi elaborarono, ma la sua bocca proseguì col discorso. «Dobbiamo togliere di mezzo la pistola a risonanza.»

«Giuro che la accartoccio…» borbottò Chuuya, per poi stranirsi quando Dazai non riprese a salire le scale. 

«Che hai?»

«Mori-san ha detto… “È bene che i fantasmi scompaiano”» ripeté, continuando a fissare il sangue sulle dita. «Mi sfugge qualcosa…» 

«Credi che-» ma Chuuya fu zittito da un palmo alto. 

Dazai tese l’orecchio e il rosso fece altrettanto. 

Anche se minimo, avvertirono la presenza di una persona da alcuni fruscii provenienti dall’ufficio di Mori. Facendo il meno rumore possibile, salirono gli ultimi gradini e sbirciarono l’ambiente buio. 

Trovare Oda fu la parte più semplice. 

In piedi in mezzo alla stanza, dava la schiena al passaggio. Non aveva armi in mano, perché era impegnato a scartabellare alcuni fogli. 

Dazai e Chuuya si scambiarono uno sguardo. 

Non pensare di attaccarlo.

Guarda che lo so! Cosa diavolo sono quei documenti? 

Tuttavia, l’ex detective aveva spostato la propria attenzione oltre il rosso. Qualcosa lo aveva attirato e si mosse senza distogliere gli occhi, rischiando di produrre qualche suono accidentale e farli scoprire. Chuuya poté solo imprecare mentalmente, senza perdere di vista il loro nemico. 

Intanto, nell'oscurità del corridoio, di fianco all’ingresso, qualcosa lampeggiava debolmente. Dazai riconobbe il pannello di accesso alla stanza, nonostante la luminosità fosse stata ridotta al minimo. 

Apertura porta.

Era il comando che appariva a intermittenza, in verde. 

Fu leggendo le scritte a seguire, ancora più fioche, piccole, all’apparenza innocue, che gli si mozzò il respiro. 

Accesso biometrico non riconosciuto. Soggetto ostile.

Avvio contromisure in

00:00:16… 00:00:15…

È bene che i fantasmi scompaiano…

Dazai comprese. 



 

Non ci furono avvisaglie. Chuuya vide solo il partner scattare al suo fianco e si tese di riflesso. Le sue dita scivolarono sulla stoffa della giacca e della sua spalla, senza trovare un appiglio per fermarlo. 

L’irruzione di Dazai non fu priva di rumori. Non fu pensata. Agì e basta, attirando l’attenzione di Odasaku e facendolo voltare repentinamente, nonostante i fascicoli ancora tra le mani. 

«Sta per esplodere tutto!»

Un attimo a seguire, Flawless diede ragione all’avvertimento dell’ex detective. 

I documenti caddero sul tappeto con un tonfo attutito. In quei rimanenti nove secondi avrebbero potuto tentare qualcosa, ma il Fantasma Rosso diede retta all’istinto e afferrò la pistola quando vide comparire Chuuya alle spalle di Dazai. 

Nonostante non ci fosse ostilità negli occhi del rosso, ma soltanto la caparbietà di tentare un’ultima mossa inutile nel cercare di trascinare il partner nel passaggio segreto, o buttarsi su di lui, Oda sparò lo stesso un colpo, costringendolo a difendersi. 

Gli ultimi secondi si esaurirono. 

Dopo lo zero, fu solo rumore. 



 

* * *



 

Il cuore di Yokohama era avvolto dall’oscurità. 

Sotto il cielo di stelle solitarie, i palazzi della Port Mafia erano monoliti neri privi di luce. Il blackout in cui erano immersi era stato l’inizio di una fine preannunciata da settimane, che aveva avuto il suo apice nell'esplosione a uno degli ultimi piani, illuminando per un attimo la scena di quel tetro teatro.

Il fragore con cui i pezzi del palazzo piovvero sulla strada sottostante riempirono l’aria notturna, insieme alle urla di chi aveva ancora abbastanza fiato. Tuttavia, lì dove era, Chuuya non sentì nulla. 

Non sentì il panico negli schiamazzi dei suoi uomini, né il dolore in corpo. Era sospeso oltre il bordo dell’ufficio appena esploso, in balia del vento, svenuto. Due mani erano aggrappate ai suoi vestiti, impedendogli di volare nel vuoto privo di coscienza. 

Le dita di Dazai tremavano, come ogni centimetro del suo corpo, mentre si riempiva i polmoni di grandi boccate d’aria e teneva cementata la presa sul partner. Le cose non erano andate esattamente come aveva pianificato, ma, finché erano vivi, il margine di errore era accettabile. Doveva inventarsi qualcosa di nuovo, ora che tutte le sue strategie erano state annullate da quell’esplosione. Mancava poco. Mancava solo di sistemare la Regina

«Da… zai» rantolò Chuuya con uno spasmo. Gli fischiavano le orecchie. Aprendo gli occhi si rese conto del nulla sotto di sé e constatò la situazione con un tch infastidito. Raggiunse le mani dell’altro, registrandone la rigidità. «Dazai... lasciami andare.»

La presa si fece ancora più serrata, strattonandolo appena. Chuuya lo avrebbe allontanato scalciando, ma così il rischio era di sbilanciarli entrambi. Se fosse stato il solo a cadere non ci sarebbero stati problemi, ma se Dazai fosse andato giù con lui le possibilità di sopravvivenza avrebbero rasentato lo zero. 

«Molla la presa!» abbaiò di nuovo, più forte, più incazzato man mano che ricordava cosa fosse appena successo. La rabbia gli stava scaldando il sangue, oscurando il dolore. Poteva sentire la bestia nel suo corpo sobillare per emergere. Aveva bisogno di mettere le mani intorno al collo del responsabile. 

Al contrario, Dazai, facendo appello a ogni briciola di energia e lucidità, lo tirò su con le proprie forze, finché entrambi non furono sul bordo dell’ex ufficio.

Restarono fermi, l’uno ancora aggrappato all’altro, riprendendo fiato. Chuuya aveva perso il conto del tempo che era passato dall’inizio dell’attacco, ma quella esplosione era stata la goccia che aveva fatto traboccare la sua pazienza. Lo sguardo spaziò i detriti che li circondavano, senza trovare nulla di ancora integro. Il pavimento stesso sembrava rimanere saldo per miracolo. Poi si accorse del dettaglio più importante. 

«Merda

Il fautore di quella Notte Nera era dall’altra parte della stanza, riverso anche lui tra le macerie, e dava segni di ripresa. Chuuya scattò per mettersi in piedi e sfruttare il momento, ma le mani di Dazai, ancora una volta, lo trattennero. Erano entrambi esausti; Chuuya non si rese conto di quanto fosse all’estremo se non proprio dalla presa debole con cui Dazai lo rimise seduto in terra, poggiandogli la fronte sulla spalla. «Aspetta… Non puoi ucciderlo.» 

«Non hai ancora capito che quello ucciderà noi! Non mi suiciderò con te!» sbottò di rimando Chuuya, mentre i suoi tentativi di spingerlo via incontravano la sua resistenza e la sua testardaggine.

Dazai scosse la testa, nonostante il movimento gli provocasse delle fitte lancinanti e stesse cercando di concentrarsi. «Fidati di me. Ho ancora un piano.»

«No, Dazai, basta!»

Il rumore dei detriti dall’altro lato della stanza fecero battere il cuore di Chuuya più velocemente. La gravità dentro di lui era come un accendino bagnato, aveva bisogno che Dazai lo lasciasse andare per riattivarla. 

«Cristo, levati di dosso!»

Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole. 

«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»

«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!» 

Il loro giustiziere li aveva individuati e stava alzando la pistola col braccio prostetico, in parte distrutto ma ancora funzionante. Oltre al senso di urgenza che Chuuya già provava, iniziò a percepire anche una spiacevole e fredda sensazione, simile alla paura, tendergli i muscoli. Aveva riconosciuto il tipo di pistola. Non era quella a proiettili. 

«Hai ragione» convenne Dazai, dopo una lunga pausa in cui aveva regolarizzato il respiro. «Ma, se il mio piano funziona, ti offrirò il miglior vino che conosci.» 

Chuuya era sul punto di tirargli un pugno, ma si irrigidì e un brivido lo percorse dall’alto verso il basso, quando sentì il fiato caldo del partner direttamente nell’orecchio. 

«Ora però ho bisogno di qualche secondo da solo con lui.»

Chuuya realizzò quando lo decise Dazai, ossia troppo tardi per permettergli di reagire. La mano che l’altro gli stava premendo sul petto si circondò di una famigliare luce azzurrognola, per poi spingerlo indietro, sfruttando, ironicamente, la gravità. Il pavimento del palazzo finì e Chuuya fu solo nel vuoto sotto di sé. 

No Longer Human lo avvolse, impedendogli di rilasciare la propria abilità. Dazai sparì alla vista prima che potesse gridargli contro. 

«Concentrare tutto quel potere è sfiancante, abbiamo pochi minuti» spiegò Dazai, rimettendosi in piedi a fatica e cercando un appiglio a cui reggersi. Si voltò, dando le spalle alla notte e al bordo del palazzo a pochi centimetri dai suoi talloni. Sorrise al suo interlocutore come avrebbe sorriso alla morte. 

«Se ho calcolato bene i tempi, la mia abilità si dissolverà appena prima che tocchi il suolo. Si farà male, ma tornare qui sarà più forte di lui» proseguì, alzando lentamente le mani a resa mentre fissava il nemico. La maschera che portava era ammaccata, ma ancora integra, non lasciando trasparire alcuna espressione. La sua pistola era alta e, se avesse premuto il grilletto, l’ex detective non avrebbe avuto scampo. Dietro di lui c’era un baratro a cui non sarebbe sopravvissuto. 

Dazai stese le labbra in un’espressione da mediatore, rimarcando le proprie buone intenzioni. 

«Per te sono tornato a sedermi sulla poltrona da Dirigente della Mafia. Ho fatto in modo che potessi agire e infiltrarti a tuo piacere. Probabilmente sei anche riuscito a uccidere Mori-san. E tutto grazie a me.»

Le parole di Dazai calarono di un tono, carezzevoli, come un invito, nonostante quella che seguì fosse una richiesta. 

«Penso di essermi guadagnato il diritto a un’ultima parola, prima di morire. Posso?»

Ricevette un cenno di assenso.

«Ho una proposta per te, Odasaku.»

 

 

 

Il sentimento che venò il grido di Chuuya quando volò verso l’ufficio distrutto di Mori, circondato da una gravità così vibrante di collera da far tremare e incrinare le finestre ancora integre al suo passaggio, fu indecifrabile. 

Tuttavia, non poté sfogarlo né contro Dazai né contro il loro nemico.

Di entrambi non c’era più traccia. 




 

To be continued 

 

Mi sono fatta attendere con questo (quasi) finale. Manca ancora l’epilogo, domani, o tra un paio di giorni. Ma i giochi sono compiuti. Eh sì, il finale era “già scritto”, il bello dei preludi. Il tutto stava nel capire come c'eravamo arrivati. Al prossimo giro non sarà lo stesso però, perché la seconda parte sarà la fine fine. Qui ho potuto “giocare” un po’, diciamo. Non tiratemi nulla!

Un paio di notarelle veloci: 

1. Quello che dice la proiezione di Dazai a Odasaku è una battuta tradotta dalla light novel della Dark Era. Sì, pagarona Odasaku a un balsamo per l’anima. Come faccio a non essere innamorata di loro?

2. Il potere di Mori lo sto “inventando”. Sappiamo che ha Elise, ma mi piace pensare che Elise non sia solo una figura ‘combattiva’ o qualcosa tipo i demoni di Kouyou e di Kyouka. Elise per me è un’estensione della coscienza di Mori, che lui può modellare (e sappiamo che ha un po’ il carattere di Yosano), motivo per cui quello che dice spesso è una parafrasi infantile dei pensieri di Mori stesso (le sue battute non sono quasi mai a caso in questa storia), o anche la ragione per cui, quando Odasaku la colpisce con la pistola a risonanza, Mori subisce un contraccolpo. Nelle mie idee, sforzandosi (o inconsciamente…) Mori può far acquisire a Elise altri aspetti, tipo, appunto, quello di “Dazai”... che è un “rimorso”. Ho un cuore debole. 

 

Se ci sono cose della Notte Nera che non vi tornano scrivetemi pure! Sarà tutto materiale buono per l’inizio della prossima parte ;) 

Un grazie speciale a Shiroi per la traduzione dal giapponese della strofa di Reason Living *love*

Al solito mi trovate su IG nel profilo @nolongerflawless.fanfic o su twitter come @enerimess o fb se vi va sotto Enerimess ~ Nefelibata =) 
Fatemi sapere cosa ne pensate *love*

 

Prossimo capitoloEpilogo: Not the last page

   
 
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