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Autore: Nao Yoshikawa    03/07/2022    4 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo ventotto
 
 
«Momo? Momo, puoi parlare?»
Toshiro sentiva degli strani rumori dall’altro capo del telefono. Sarebbe stato assurdo nascondersi adesso che erano stati scoperti, ma rimaneva comunque il fatto che Rangiku non lo sapeva. E non aveva il coraggio di dirglielo, magari lo avrebbe fatto più avanti, quando la situazione si sarebbe aggiustata (se si fosse aggiustata).
«Sì, Toshiro. Sosuke nemmeno c’è. E anche se ci fosse, oramai…»
Per Momo tutta quella situazione era strana: aveva deciso di porre fine al suo matrimonio, lo aveva deciso dal momento in cui si era lasciata andare a Toshiro. Si era detta pronta ad affrontare le conseguenze ma, stava scoprendo, era tutto molto più difficile di quanto pensasse.
«Non possiamo vederci?» domandò. Era sciocco pensare ad una cosa del genere, ma aveva bisogno di vederla, di parlare con lei, una telefonata non gli bastava.
«Ora no, Toshiro. C’è mio figlio in casa. Ma non ti preoccupare, ci vedremo presto.»
«Se quel bastardo ti tocca, farmelo sapere» sibilò tra i denti. Nella maniera più assoluta non si fidava di Sosuke Aizen, ora meno che mai.
«Non preoccuparti di questo. Sosuke non è un violento, almeno di questo sono sicura. Ma le cose tra sono tese e vorrei evitare che vi incontraste.»
Toshiro sospirò. Ottimo lavoro, si disse. Sei riuscito ad incasinarti, a incasinare tutti e due.
«Va bene, va bene, non preoccuparti. Non preoccuparti, ne verremo fuori.»
Non poteva vederlo, ma Momo stava sorridendo dall’altro capo del telefono. E nel frattempo, Toshiro era in grande difficoltà. Non era un bugiardo patologico e si sentiva in colpa: Aizen era il capo di Gin, lui e Momo avevano frequentato casa sua e le cose si sarebbero potute complicare e non di poco. Tutto ciò perché si era innamorato.
Rangiku, dal canto suo, qualcosa aveva intuito, ma non osava chiedere (anche perché in piccola parte credeva che non fossero fatti suoi). Quella era una bella giornata: la finestra era aperta, un leggero vento scuoteva le tende e lei era con la sua famiglia. Rin teneva Sir Biss arrotolato sul suo braccio, nonostante sua madre l’avesse pregata più volte di non portare un serpente a tavola mentre mangiavano. E poi c’era Gin con loro, Gin che quella mattina aveva deciso di prendersela più comoda.
«Ho parlato con Aizen» disse rivolgendosi sia a Rangiku che alla piccola. «Patto annullato. È stato facile.»
Rin sollevò un braccio.
«Evviva. Così finalmente potrò sposare Toshiro. O Kira. Però lui è fidanzato, ma va bene uguale, non sono gelosa.»
Rangiku sorrise, allungando una mano e stringendo quella di Gin. I loro anulari sinistri luccicavano per via della fede in oro bianco.
«Inoltre» continuò Gin. «Pensavo che magari potrei prendere… un periodo di pausa da lavoro. Non crollerà il mondo, Aizen ce la può fare anche senza di me e poi… credo di dovermi dedicare a qualcosa di molto più importante.»
Rangiku capì. Lo capì anche Rin, che tutta contenta si alzò e lo abbracciò.
«Non ci posso credere, era proprio quello che volevo. Possiamo guardare un film? Possiamo andare a passeggiare in spiaggia? Possiamo dipingere la mia camera di rosa, verde e giallo?»
Rin, come la maggior parte dei bambini, desiderava cose semplici. Cose normali, ma vere.
«Tutto quello che vuoi, Rin. Sono tutto vostro.»
«Oh, Gin» Ranigku lo guardò innamoratissima, come se fosse la prima volta. Finalmente Gin stava imparando a rilassarsi. A capire che il mondo non sarebbe crollato se avesse mollato un po’ la presa.
Toshiro si sedette accanto a Rangiku con fare pensieroso e cupo, che di netto contrastava con il resto dell’atmosfera allegra.
«Ah, eccoti qui, Toshi» le disse lei. «Devo forse iniziare a preoccuparmi?»
Toshiro guardò Gin, il quale ricambiò lo sguardo, facendo poi finta di niente.
«Non è… necessario…» disse pensieroso. Cercò di versarsi da bere, ma fece cadere la brocca sul tavolo. Rin assunse un’espressione seria.
«Toshi, hai la fidanzata?»
Diede per sbaglio una ginocchiata sotto il tavolo. A domande così dirette non sapeva mentire.
«… All’incirca» sussurrò.
«Va bene, adesso basta» disse Rangiku. «Toshiro, so che non sono fatti miei, ma mi stai facendo preoccupare. Cosa c’è che non va? Non frequenterai cattive compagnie? Hai combinato qualcosa e non sai come uscirne?»
Sì, mi sono innamorato di una donna sposata e ho incasinato tutto.
Era nervoso. Non riusciva neanche a guardarla.
«Beh, dai Rangiku, Toshiro non è certo un bambino» cercò di venire in suo aiuto, Gin. Ma sua moglie non era convinta.
«Toshi, che succede?»
Oh, merda. Non ce la faceva a mentirle, non ce la faceva a mentire in maniera così spudorata, e se avesse incasinato anche le loro di vite? Proprio ora che tutto stava iniziando ad andare bene? Lentamente alzò lo sguardo.
«Mi dispiace, Rangiku… però è successo che… mi sono innamorato di Momo Hinamori e sono diventato il suo amante. Ma adesso suo marito l’ha scoperto.»
Rangiku inarcò talmente tanto le sopracciglia che ebbe quasi l’impressione che potessero arrivarle dietro la testa. Toshiro, il suo piccolo migliore amico con Momo Hinamori? La donna con cui aveva condiviso pomeriggi, i cui figli giocavano insieme, i cui mariti lavorano insieme?
Guardò Gin, il quale invece distolse lo sguardo. E capì che lui sapeva.
«È… uno scherzo o cosa? Ma… Ma Toshi… con Momo? Cosa…? GIN.»
«Mi dispiace, Rangiku. Non potevo dirlo a nessuno.»
«A-aspetta, Gin non c’entra» disse subito Toshiro. «La colpa è mia, ho incasinato tutto, non sapevo come dirtelo, temevo ti saresti arrabbiata.»
«Io…» Rangiku si guardò intorno. «Non sono arrabbiata, ma impanicata. Aizen è… è lui, insomma.»
«Se è per questo non c’è da preoccuparsi, anche lui ha un amante, è solo ferito nell’orgoglio» borbottò rosso in viso. Quindi il sospetto che Gin aveva sempre avuto era vero: Aizen aveva un amante. Rangiku stava metabolizzando pian piano la cosa e più lo faceva più si rendeva conto di quanto fosse stata sciocca a non accorgersi di niente.
«Oh, Toshiro, ma perché? Lo so, al cuore non si comanda. Ma è una situazione così difficile.»
Aveva detto un’ovvietà, lo sapeva. Toshiro sapeva già del casino in cui si trovava. Rin li aveva ascoltati. Strinse un pugno. Toshiro si era innamorato della madre di Hayato? Ma questo non aveva senso.
«Sei cattivo, Toshi» disse lei. «Dovevo sposarti io. A te invece piacciono le donne vecchie!» Rin tirò fuori la lingua, colta da un attacco acuto di gelosia. Toshiro non le rispose. Con Rin ci avrebbe fatto pace, o almeno sperava.
Pronunciare certe parole ad alta voce rendeva sempre tutto più reale.
 
Hayato era rimasto ad origliare la conversazione di sua madre con l’altro.
Nessuno gli aveva spiegato niente, ma aveva capito tutto. Sua madre e suo padre stavano per lasciarsi, perché sua madre aveva un altro. Anche suo padre aveva un altro, un altro uomo, questo l’aveva sentito dire a Momo. Adesso sapeva cosa sarebbe successo: si sarebbero lasciati. Di questo ne sarebbe stato anche sollevato, visto che sapeva benissimo che i suoi genitori non si amavano. Molto meno gli piaceva quella guerra che era scoppiata per chi dovesse tenerlo con sé. Da un lato avrebbe preferito rimanere con sua madre, sempre più affettuosa. Ma l’idea di avere a che fare anche con l’altro non gli piaceva molto. Da un lato temeva che, allontanandosi da suo padre, avrebbe perso l’occasione di farsi volere bene. Ma anche lì, l’idea di avere a che fare con l’altro, che poi era Shinji Hirako, non gli piaceva affatto. Si era chiesto se Miyo avesse capito e in caso, ma come l’avesse presa. Perché lui si sentiva arrabbiato e non sapeva chi odiare per primo.
Momo si voltò e scorse suo figlio che la fissava, pensieroso e imbronciato.
«Hayato» sussurrò.
«Parlavi con quello. Lo detesto» borbottò stringendo i pugni. Doveva essere colpa dell’altro se sua madre era cambiata. Suo padre almeno era rimasto lo stesso.
Momo sospirò stancamente.
«Hayato… ci sono cose che non puoi ancora capire.»
«Io invece lo capisco bene. Tu lo hai tradito!» gridò puntandogli il dito contro. Momo corrugò la fronte. Non aveva intenzione di farsi accusare più, nemmeno da suo figlio.
«Ci siamo traditi a vicenda. Io mi sono innamorata, non mi aspetto che tu capisca, sei troppo piccolo.»
Hayato strinse i pugni. Era così stanco di sentirsi dire che era troppo piccolo e per capire. Lui invece capiva benissimo: capiva che a volte gli adulti facevano cose stupide.
«Non mi interessa! Io comunque adesso non voglio stare con nessuno dei due. Me ne vado…»  ci pensò su qualche attimo. Da Rin non poteva andare perché in casa sua ci stava anche l’altro. Da Miyo, peggio che mai. «Vado a stare da Kaien Kurosaki.»
Kaien non lo definiva un amico, però avevano smesso di litigare, di azzuffarsi. Chi poteva chiudere la porta in faccia ad un ragazzino, dopotutto?
Momo sapeva che doveva essere paziente, perché se c’era qualcuno che stava soffrendo, quello era proprio Hayato. E aveva ben ragione di soffrire. Quindi si fece più vicina, prese il suo viso tra le mani.
«Mi dispiace che sia andata così, Hayato. Lo so, ci siamo comportati da irresponsabili. Sto cercando di rimediare.»
Hayato corrugò la fronte. Non riusciva a credere più a niente. Perché doveva fidarsi, dopotutto?
«È tardi ormai» disse gelido. E Momo ne fu terrorizzata da quanyo gli ricordò Sosuke.
 
Rukia non aveva dormito molto, era sommersa dallo studio e anche un po’ stressata. E dire che generalmente non si stressava mai, nemmeno per i gemelli o altro, quella era più che altro prerogativa di Ichigo.
E Ichigo, che di studio matto e disperato ne sapeva qualcosa, aveva detto posso anche sacrificare qualche ora di sonno e aiutarti. In verità Ichigo stava cercando di farsi perdonate perché si sentiva in colpa. Anche Rukia in realtà si sentiva in colpa, perché lei e suo marito non si erano capiti. Quindi aveva accolto la sua proposta e si era lasciata aiutare, ripetendo pagine e pagine e pagine. E fu così che Ichigo si ritrova a scoprire un nuovo lato di sua moglie: era una vera secchiona, oltre che perfezionista.
«Rukia, direi che non devi preoccuparti» le disse mentre fissava i suoi appunti e cercava di venirne a capo. «Sono ignorante in materia, ma mi sembri preparata. E poi, non hai detto che il tuo insegnante, Ukitake, ti adora?»
«Ma appunto per questo voglio andare bene!»  esclamò lei, che si aggirava per la stanza come una pazza. «Va bene, d’accordo, non c’è bisogno di stressami. Un esame si può ripetere. Tu ne hai falliti tanti quanto studiavi medicina.»
«Oh, grazie Rukia» disse Ichigo inarcando un sopracciglio. Rukia arrossì.
«Scusa, non intendevo dire questo. Dico solo che ce l’hai fatta e… non so se te l’ho mai detto, ma io ti ammiro molto. Per quello che fai e per quello che sei diventato.»
Ichigo arrossì tanto che il colorito del suo viso creò un contrasto particolare con i suoi capelli arancioni. E cos’era quella dichiarazione tanto sentita completamente a caso? E poi, se c’era qualcuno da ammirare, quella era lei.
«Sinceramente, Rukia… non credo sarei arrivato così lontano senza il tuo sostegno. Sei tu quell’ammirevole dei due. Quella altruista, paziente, dolce. Io ho un brutto carattere, perdo subito le staffe, tu sei… beh… mi stringi per mano e mi riporti alla realtà.»
Ichigo non la guardava nemmeno. Non era bravo a improvvisare romanticherie varie, però ci provava. Rukia si avvicinò e si sedette in braccio a lui.
«Allora forse siamo entrambe due persone da ammirare» sussurrò, gli accarezzò i capelli e poi lo baciò. Andavano avanti a studiare da ore e forse una più che meritata pausa avrebbe fatto bene ad entrambi.
A Kaien e Masato era stato detto di non fare confusione né di disturbare, ma nessuno dei due aveva tenuto conto dell’imprevisto.
«Mamma, papà!» gridò Kaien battendo contro la porta dello studio. Ichigo imprecò, staccandosi dalle labbra di sua moglie.
«Kaien, spero sia qualcosa di urgente!»
Il bambino aprì la porta e li guardò.
«Qua fuori c’è il mio compagno Hayato Aizen che mi ha chiesto se può vivere con noi.»
Ichiro e Rukia si guardarono straniti. Di certo quello contava come imprevisto.
 
Kaien e Masato fissavano Hayato, il quale se ne stava seduto a braccia conserte. Ichigo non era da meno, quel ragazzino era un Aizen in miniatura, stesso aspetto e stesso brutto carattere. Ma era pur sempre un bambino e loro degli adulti.
«Come facevi a sapere dove abitavo? Come sei venuto?» domandò Kaien.
«Con l’autista» rispose Hayato come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Mio padre ha un agenda con su scritto i nomi, i numeri di telefono e gli indirizzi delle persone importanti che conosce, l’ho trovato lì.»
«Questo è inquietante» commentò Rukia.
«… Aizen mi considera importante? Beh, io sono un chirurgo molto bravo, è vero» commentò invece Ichigo, stupito e un filino lusingato. Rukia lo guardo: non è questo il punto, gli comunicò silenziosamente.  E poi tornò ad Hayato.
«I tuoi lo sanno che sei qui?»
«Mia mamma se lo immagina, anche se non pensava venissi qui davvero. Io comunque a casa non ci torno. I miei si stanno lasciando perché mio padre si è innamorato di quel manager col taglio di capelli osceno e mia madre di quel ragazzino basso.»
Ichigo assimilò quelle informazioni e poi assunse un’espressione che era la definizione di shock.
«… Aspetta… ma stai parlando di Shinji? Cioè, il nostro Shinji? Questo non è… non ci posso credere, mi dovrà raccontare un bel po’ di cose. Ma giuro che lo sfotterò a vita se…»
Rukia gli diede una gomitata sul costato ricordandogli poi che il punto non era quello. Poteva immaginare come Hayato si sentiva. Non lo conosceva se non dai racconti dei suoi figli, e sebbene avesse un’aria un po’ arrogante, alla fine le sembrava solo un ragazzino senza punti di riferimento e che stava soffrendo.
«Io… capisco che è una situazione difficile. Però non puoi scappare, non è così che funziona. E io devo per forza avvertire i tuoi genitori. Ma non ti preoccupare, non ti cacciamo certo via. Solo che bisogna trovare una soluzione, capisci cosa intendo?»
Hayato arrossì, annuendo. Lei gli stava simpatica. In realtà tutti e quattro gli ispiravano molta simpatia, erano una famiglia diversa dalla sua.
«Però non ho capito perché sei venuto proprio qui» commentò Kaien.
«Kaien Kurosaki, sii un po’ più educato» borbottò Rukia. Hayato guardò da un’altra parte.
«… Io non ho molti amici, ho pensato che tu eri la cosa più simile ad un amico. Anche se ci siamo picchiati tante volte.»
Kaien arrossì, sorpreso dalle sue parole. Certo che quell’antipatico di Hayato di passi in avanti ne aveva fatti. Masato sorrise e disse.
«Ah, non ti preoccupare. Tutti litigano, questo non vuol dire che non ci si può volere bene.»
E poi si convinse che Kaien e Hayato sarebbe potuta nascere una solida di amicizia.
 
«Un… ragazzino si è presentato a casa tua e vuole vivere con voi?»
Karin era rimasta piuttosto stupita nell’apprendere cosa il fratello le aveva detto.
«Già. Ma perché? Aizen non mi sta simpatico, perché proprio suo figlio?» sospirò Ichigo al telefono. «Non lo so, capita tutto a me. Ma lamentele a parte… a te come va?»
Karin si guardò intorno. Quand’è che Chad sarebbe tornato? Si sentiva nervosa come una ragazzina, il che era assurdo – se ne rendeva conto – ma che poteva farci?
«Va… bene? Sto aspettando che Chad torni. Papà è passato a prendere Kohei poco fa, per cui…» lasciò la frase in sospeso e arrossì. Ichigo capì e s’imbarazzò a sua volta, visto che non ci teneva molto a immaginare sua sorella e uno dei suoi migliori amici in atteggiamenti intimi, per quanto normale fosse.
«Va… va bene, d’accordo, ho capito. Allora divertiti.»
«Ichigo, ma insomma!» borbottò lei. Poi sentì un rumore: Chad doveva essere tornato. «Aaaah. Devo andare, a dopo!» esclamò chiudendo la chiamata. Chad effettivamente era appena rientrato da lavoro: si bloccò un attimo quando vide Karin tutta agghindata con un bell’abito scuro ed elegante. Karin odiava quel genere di abbigliamento, lo trovava scomodo, ma quella sera aveva voluto fare qualcosa di speciale, una cena a lume di candela e poi chissà…
«Karin» la chiamò, sorpreso in modo piuttosto piacevole. Karin arrossì.
«Ciao, Yasutora. Allora, che ne pensi? Sto bene?» domandò allargando le braccia. Karin era minuta, aveva il seno piccolo, non era cambiata molto rispetto a quando era una ragazzina. Quello che non sapeva era che per suo marito lei era sempre stata l’unica, la più bella, a prescindere da tutto.
«Bene? Bene è riduttivo. Ma guarda, sei… sei bellissima» disse afferrando con dolcezza la sua mano.
«G-grazie! Allora… Kohei non c’è. L’ho lasciato a mio padre e a Yuzu. Quindi siamo soli» sussurrò. Chad si guardò intorno.
«Intendi proprio soli?» domandò sottovoce. Tra lui e Karin ultimamente non era andata benissimo. C’erano state incomprensioni, anche un allontanamento importante dal punto di vista emotivo. Ma Karin aveva deciso che non voleva più sentirsi così pesante. Forse gli eventi della sua vita non erano stati tutti rosa e fiori, ma voleva attingere alla forza che aveva sempre avuto, ma di cui si era dimenticata. E anche se non aveva proprio un’anima romantica (al contrario di Chad) voleva comunque fare qualcosa di carino.
«Già. Quindi ho pensato… perché non fare una cena a lume di candela? Non è troppo banale, vero?» domandò portandosi le mani sui fianchi. Chad avrebbe voluto risponderle che in realtà non aveva molta fame, che lei gli aveva causato ben altri desideri, ma rispose in tutt’altro modo.
«No, credo sia perfetto invece.»
Karin sospirò, sollevata. Ma c’era anche altro che doveva dire.
«Yasutora, senti» disse facendo un passo in avanti. «Io… volevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace per come mi sono comportata, credo di essere uscita fuori di testa ad un certo punto. Ero e sono tutt’ora preoccupata per Kohei, e so che non dovrei, perché lui è fantastico e non sarà di certo la mia apprensione a renderlo forte. Questa situazione lo fa star male, ma la cosa peggiore è che ho fatto star male te. Non sei solo l’uomo che amo, sei anche il mio migliore amico e io non voglio che si rovini tutto!»
Aveva parlato senza riprendere fiato. Ora si mordeva le labbra mentre Chad la guardava. Lo sapeva, lui aveva un animo profondamente buono e altruista, si arrabbiava di rado ed era molto incline al perdono. Certo aveva avuto ragione ad arrabbiarsi con lei.
«Karin…»
«I-io mi chiedevo se potevi darmi una seconda possibilità» alzò gli occhi al cielo. «Insomma, io non voglio diventare come quelle coppie in cui si sta insieme per abitudine e dove si finisce con l’odiarsi l’un l’altro. E chiariamo, io sono facile da odiare.»
Smise di parlare quando la mano di Chad si posò sulla sua testa. Mano che poi scese sul suo viso, sul suo mento.
«Io non ti odierei mai, non ti odierei nemmeno se decidessi di lasciarmi, se non mi amassi più. Però nemmeno io voglio finire… in quel modo. Tu mi sei mancata tanto. Mi è mancata la mia piccola Karin.»
Lei arrossì, sentiva gli occhi lucidi e non sapeva più se fosse per la commozione o per il mascara che la stava irritando. Lui le dava sempre l’appellativo di piccola Karin perché accanto a lui sembrava sempre una bambina. E invece era una leonessa.
E dopotutto, lui era una tigre*, per cui funzionavano bene.
«Sono qui, non me ne andrò più, promesso» sussurrò. E poi lo guardò. «Non sono sicura che quello che ho cucinato sia commestibile però. Ho avuto qualche problema col forno» ammise, trattenendo a stento le risate.
«Ah, non credo che ci saranno problemi, perché era ad altro a cui stavo pensando…» ammise Chad. Karin fece spallucce e lo guardò come una bambina dispettosa che faceva una smorfia ad un adulto. Gli disse di seguirlo e lui obbedì subito.
 
Dopo quanto successo, Tatsuki aveva lasciato il suo appartamento da single per tornare a vivere con Uryu nella casa in cui si erano sposati, dove Yuichi era cresciuto e dove adesso avrebbero cresciuto un altro figlio. Mentre Yuichi faceva il bagno, Uryu fissava le carte del divorzio sopra il tavolo. Erano ancora lì, proprio come loro erano rimasti in quel limbo per tanto tempo, senza sapere che fare. Avrebbe dovuto strapparle? O forse doveva tenerle lì, perché non era certo che le cose sarebbero andate bene? Non lo sapeva e poiché non era a questo che voleva pensare, aveva preso la scusa per dedicarsi ad una delle sue passioni per cui a scuola a volte era stato preso in giro: l’uncinetto. Molti dei vestiti che Yuichi aveva indossato da neonato era stato lui a farli, alla faccia dell’hobby inutile o da femmine come dicevano alcuni trogloditi sessisti.
«Ahi» si lamentò all’improvviso. Si era punto con l’ago e si era portato il dito alle labbra per succhiarlo. Tatsuki era appena rientrata e quando lo vide le cadde la borsa di mano.
«Uryu, ma quanta roba hai fatto? Sono mancata solo un paio d’ore!» esclamò indicando i vari calzini, babbucce, cappellini e quant’altro. Lui sollevò lo sguardo, corrucciato.
«Lo sai che l’uncinetto mi rilassa.»
Tatsuki si sedette davanti a lui e poi tirò fuori una busta.
«Sta bene» sospirò. «Il bambino, intendo. Sta bene, non ha nessuna malattia genetica, niente di niente.»
Ishida rilassò le spalle, poiché era stato teso per un pezzo.
«Meno male, non sai che peso mi… Perché mi guardi così? C’è altro che devi dirmi?»
Sua moglie sventolò la busta, pensierosa.
«Con questo esame si vede anche il sesso. Vuoi sapere cos’è?»
Lasciò perdere gli strumenti per l’uncinetto e la guardò.
«Lo voglio» disse subito. Tatsuki sorrise e aprì la busta, porgendogliela. Quando Uryu lesse, rimase immobile scosso da un leggere fremito.
«Umh… stai bene?» domandò Tatsuki, preoccupata nel non vederlo reagire. Uryu si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Si diceva che non poteva commuoversi per tutto, però di fatto era così.
«Scusami, è solo che io… speravo proprio fosse una bambina, ed è così.»
Tatsuki sorrise. Yuichi era proprio tale e quale a suo padre, non c’erano dubbi. Di questo ne era molto fiera.
«Sì, sono contenta anche io» disse accarezzandogli un ciuffo di capelli. Ishida cercò di ricomporsi. Avrebbe avuto una bambina, era così felice che avrebbe fatto qualche pazzia, ma non era nel suo carattere. No, lui faceva sempre qualcosa che fosse anche utile.
«Le farò un vestito. Anzi, gliene farò tanti. E ci metterò dei lustrini.»
«Uryu! Solo perché è femmina non vuol dire che debba portare i lustrini.»
Lui la guardò confusa.
«Non lo faccio per questo, lo faccio perché piacciono a me!»
Tatsuki sgranò gli occhi e poi rise. Poi la risata scemo e si morse il labbro, un po’ preoccupata.
«Tatsuki, che c’è?»
Si era così entusiasmato da essersi dimenticato che per Tatsuki quella gravidanza era motivo di gioia e anche di preoccupazione. Non che per lui fosse poi così diverso.
«Sto bene. Davvero, io sono molto contenta. Sono contenta di aver deciso di portare avanti la gravidanza, sono contenta perché posso immaginare come lei sarà, però… sono anche terrorizzata. Più della prima volta. E se starò male?»
Tatsuki di solito non aveva paura di niente. Ma già una volta le era capitato di avere la depressione post-parto, che poi aveva mandato in rovina tutto il resto. Non voleva che accadesse di nuovo, era terrorizzata al solo pensiero. Ishida le accarezzò una guancia e la guardò negli occhi.
«Se starai male, questa volta sapremo come fare. Ma non lo sappiamo, la vita è fatta di rischi. Come quando ci si innamora.»
Loro stavano rischiando tutto decidendo di riprovarci, di provare ad essere ciò che non erano riusciti ad essere. E anche se aveva paura, non era codarda. Tornare indietro sulle proprie decisioni le aveva richiesto un coraggio non indifferente.
«E io dal canto mio cercherò di non riversare tutto su di te. Depressione o meno, non è stato giusto la prima volta, non lo sarebbe neanche la seconda. Lo sai che ti amo, vero?» domandò. Ishida arrossì e constatò che gli ormoni della gravidanza rendevano Tatsuki estremamente dolce e languida.
«Lo so e ti amo anche io. Allora, diamo la notizia a Yuichi?»
«Certo, immagino che avrà una reazione molto simile alla tua» disse con un sorriso, mentre si lasciava stringere un fianco.
 
Renji e Byakuya non vivevano propriamente insieme. Sarebbe stato troppo presto, ma oramai Renji si ritrovava molto spesso a passare la notte da lui come qualsiasi coppia (eccezion fatta per il non condividere il letto). Tuttavia i passi in avanti c’erano stati. Renji aveva cucinato per tutti e due e da amante del cibo piccante non era proprio riuscito a trattenersi.
«Questa roba si chiama kimchi, è coreana. Ma è la prima volta che la preparo, non so come sia venuta fuori» disse a Byakuya, il quale aveva comunque deciso di superare la sua avversione per il piccante e di assaggiarlo.
«Oh, mio…» disse tossendo. «È…»
«Brucia troppo?» chiese preoccupato.
«Un pochino, ma è sopportabile. Circa» Byakuya si asciugò una lacrima. «Non era necessario darsi così da fare.»
Renji arrossì mentre si stiracchiava.
«Figurati, mi sembra il minimo, tu mi ospiti sempre, per cui…»
«Già» Byakuya aveva ancora la gola che bruciava. Mise giù le bacchette e poi lo guardò. «Stavo pensando che magari potremmo… dormire insieme.»
A Renji per poco non andò di traverso il cibo. Si mise a tossire davanti lo sguardo serio (e per questo molto divertente) di Byakuya.
«Ti ho sconvolto?» domandò infatti.
«No… cioè sì. Ma in senso buono. Per me va bene» rispose cercando di ricomporsi. «Tu sei uno che non ama essere toccato mentre dormi, vero?»
Renji di solito dormiva abbracciato ad un cuscino. Dubitava però di poter strizzare Byakuya allo stesso modo.
«Dipende» ripose Byakuya in un tono che Renji non capì se voleva essere misterioso, provocante o chissà che altro. Essendo entrambi molto stanch,i decisero di andare a dormire piuttosto presto e Renji dovette ammettere di essere più in imbarazzo di quanto credesse. Dormire con qualcuno era anche più intimo del sesso. Lui e Byakuya si stesero l’uno accanto all’altro. Uno a destra e uno a sinistra. Byakuya soffriva più il freddo e tendeva a coprirsi, Renji invece aveva caldo e dormiva scoperto. Entrambi fissavano il soffitto senza guardarsi negli occhi. Per Byakuya era molto strano tornare a condividere il letto con qualcuno, avvertire la sensazione di calore accanto a sé. Era estraniante, ma piacevole.
«Ti da fastidio se mi muovo? Tendo ad avere un sonno un po’ agitato» ammise Renji. Byakuya scosse la testa.
«No, non preoccuparti.»
«Mmh, b-bene. Allora, buonanotte!» borbottò Renji spegnendo la luce. Si voltò dall’altro lato e Byakuya fece lo stesso. Ma nessuno dei due riuscì a chiudere gli occhi. Senza rendersene conto, si voltarono nello stesso momento, di nuovo, e si ritrovarono a guardarsi negli occhi, ad ascoltare il respiro l’uno dell’altra. Renji gli accarezzò una guancia, poi i capelli.
«Tu sei… te l’ho mai detto che sei bello? Molto più che bello, anzi.»
Byakuya aveva assottigliato lo sguardo ed era arrossito.
«Lo sei… anche tu…»
Renji si avvicinò e lo baciò. La baciò con delicatezza, perché aveva sempre paura di ferirlo o di dargli dispiacere. Ma lo baciò anche con passione e Byakuya rispose, abbracciandolo e sentendo qualcosa. Sia all’altezza dello stomaco, che un po’ più giù.
Sospirò.
«Penso di essere eccitato, adesso» ammise Renji.
«Già, anche io.»
«Davvero? Ma allora non ti sono indifferente.»
«Questo non l’ho mai detto. Comunque non c’è bisogno che ti volti dall’altra parte. Soffro il freddo» gli confidò. Vide appena il sorriso di Renji, che adesso lo stava abbracciando con delicatezza.
«Non dovrai più soffrirlo, non preoccuparti»
Byakuya chiuse gli occhi. E si riscoprì al sicuro tra le sue braccia.
 
*ovviamente perché Yasutora =tora = tigre
 
Nota dell’autrice
Beh che dire, grandissimi passi in avanti per Karin e Chad e per Byakuya e Renj, eh? In realtà oramai quasi tutti fanno progressi, eccetto le nostre due coppie coinvolte in tradimenti. Hayato intanto scappa e si rifugia a casa di quello che oramai considera un amico. Forse una grande amicizia nascerà, ma adesso cosa succederà? Non perdetevi il prossimo capitolo 😊
   
 
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