Quando entrai nel locale la
musica mi investì
sparata dagli altoparlanti a tutto volume. Mi chiesi come avrei fatto a
parlare
con lei, mentre mi guardavo intorno cercando scorgere il suo volto.
Tutto era cominciato circa
una settimana fa.
Ero nel parco, come mio solito, a guardare i bambini giocare. Hanno
un’energia
incredibile, i bambini. Ma improvvisamente il cielo fu oscurato da un
nuvolone
grigio. Cominciò a piovere, e pensai che fosse strano. Il
sole che fino a poco
prima brillava timido, incorniciato da poche pecorelle bianche su uno
sfondo
celeste, era stato coperto di pesanti coltri, impenetrabili per i
tiepidi raggi
di quella mattina primaverile. Neanche le previsioni avevano avvertito
di un temporale.
Non che io ci creda molto, nelle previsioni, in effetti; una la
indovinano e
due no.
Nel giro di pochi minuti il
parco era deserto,
oltre me ovviamente. Non avevo voglia di rientrare in casa, se
così si può
definire quella specie di tugurio preso in affitto in cui vivo.
C’è sempre
puzza di gatto lì, e dire che io i gatti li detesto; vallo a
spiegare a quella
poveraccia della mia vicina di casa. Credo che sia ancora convinta di
essere in
guerra.
Elucubrazioni sulla
sanità mentale di una
ottantacinquenne a parte, decisi di rimanere. Tanto ero già
completamente
bagnato.
Solo adesso mi rendo conto
di quanto avessi
perso la cognizione della realtà. Non riuscivo a rendermi
conto di ciò che
accadeva attorno a me, intontito dall’odore della terra
bagnata che mi arrivava
in piacevoli ondate. Sapevo solo che finalmente ero felice.
Potrà sembrare
strano, molto in realtà, ma era così. Finalmente
potevo essere me stesso, e
tutti i miei problemi sembravano scivolare via assieme alle gocce
d’acqua.
Respirai l’aria a pieni polmoni. Ed ancora una, e
un’altra volta. Ero libero.
Libero dalle catene della vita, finalmente. Scaricai in un attimo la
tensione
accumulata in anni di finti sorrisi, in anni di una vita vissuta solo a
metà.
Quello che successe dopo
resta tutt’ora
confuso nella mia mente. Una musica riempì l’aria.
Era una musica dolce, e poco
dopo me ne accorsi, cantata da una voce paradisiaca. Fu un attimo; la
vidi. Il
corpo esile, i capelli biondi mossi dal vento, la pelle lattea. Tutto
di lei
sembrava appartenere ad un angelo. Teneva gli occhi chiusi e continuava
a
cantare, apparentemente senza che si fosse accorta di me. Indossava una
semplice vestina bianca, corta fino alle ginocchia, con sottili
bretelline
poggiate sulle spalle minute. I piedi erano lasciati nudi e polsi e
caviglie
erano ornati da braccialetti.
La pioggia che le rimbalzava
addosso creava
un’aura spettrale attorno al corpicino, contribuendo a farla
sembrare un sogno,
o una visione. Pensai che non dovesse avere più di una
quindicina d’anni, ma se
ci rifletto ora mi rendo conto di non esserne affatto sicuro. Si
può dare età a
un angelo?
Fu allora che notai una
cosa, e rimasi di
sasso più di quanto non lo fossi stato prima: lei era sotto
l’acqua scrosciante
del temporale proprio come me; ma nonostante tutto, non era minimamente
bagnata, né i suoi piccoli piedi erano sporchi del fango che
ricopriva tutto il
parco.
Fui interrotto nel flusso
dei miei pensieri da
un lampo di azzurro vivo. Aprì di scatto gli occhi, e mi
sembrò che il tempo si
fosse fermato. Smisi di respirare, il mio cuore mancò
più di un battito. Lei,
che si era bloccata tanto quanto me, in un istante mi diede le spalle.
Corse
qualche passo e poi scomparve. Scomparsa. Come era arrivata era
scomparsa. Nel
più fitto dei misteri, in un soffio di vento. Svenni.
L’ultimo ricordo che ho
di quel posto sono due occhi più azzurri del cielo; poi, il
vuoto.
Mi sono risvegliato questa
mattina. Il mio
letto era caldo, confortevole. Non riuscivo più a sentire
l’odore della
pioggia, fuori dalla finestra brillava il pallido sole primaverile.
Sogno o realtà?
Casualità o destino? Cosa era
lei? Il mio bellissimo angelo senza nome… Non saprei
definirla in modo
differente. Lei… semplicemente lei. Come può
d’altro canto esistere una parola
per descrivere l’eternità del viso di un angelo?
Il mio cuore è
diviso. Sento nel profondo che
lei era lì per nessun altro che me. Ma la mia mente, i cui
pensieri non posso
fermare, mi suggerisce che tutto è stato frutto della mia
immaginazione. Che
tutto è nato dal mio profondo bisogno di libertà
in questo surrogato di vita. Eppure
da dentro al suo pensiero avverto un calore confortevole…
Lei era vera? Io non
lo so. Ma è importante alla fine? Per me, per nessun altro,
lei è la fresca
ventata di vita di cui avevo bisogno per tornare a sorridere. Mi sento
vivo.
Sento di esistere, sento il mio cuore battere.
E sento dopo quella che mi
è parsa un’eternità
che non è finita. Che posso ancora fare qualcosa per
rialzarmi dalla fossa in
cui sono caduto.
La puzza di gatto non
è più così disgustosa
ora. Mi guardo attorno e vedo una stanza spoglia, fredda. Questa non
è casa
mia; qui non c’è il calore dell’affetto
delle persone che tengono a me. L’orologio
segna le otto e ventisette del mattino. Sono in ritardo per il lavoro,
ma non mi
importa. Quel che conta è ciò che sento crescere
in me ora. Una nuova
consapevolezza. Io posso. Posso cambiare il corso della mia vita. Ora
lo so.
Grazie Angelo.
Quello che però
lui non sapeva, era che in
quel momento due occhi più azzurri del cielo lo fissavano,
mentre un sorriso
compariva sul volto angelico di lei, che spariva dalla sua vita.
Ma… la morte sarà
la fine di tutto? La parola "vita" è sinonimo di
“per sempre”? Forse…