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Autore: nachiko_nene    05/07/2022    0 recensioni
Nina è una cacciataglie piuttosto vivace e, ancor prima, un'umana. Annoiata dalle questioni politiche, riesce ad accendersi solo quando si parla di missioni avvincenti, feste scatenate e storie romantiche, di quelle che fanno battere il cuore.
Ormai rassegnata all'idea che nella galassia non ci sia più posto per gli umani, civiltà alla quale è stata inferta una grave ingiustizia, volge lo sguardo al futuro consapevole che nulla potrebbe più sorprenderla ormai.
E se, durante una missione, Il ricercato più pericoloso e irriverente che abbia mai conosciuto dovesse iniziare a mettere in discussione ogni sua certezza?
DAL CAPITOLO 1:
" Si avvicinava con calma. La visiera della maschera luccicava nell'oscurità donandogli un'aura ancora più sinistra; Indossava un lungo mantello nero dall'aspetto piuttosto pesante che celava armi di vario genere.
(...)
«Sei un completo disastro» La prese in giro, osservandola rantolare sul pavimento, esausta e dolorante. «Dovresti assicurarti di essere all'altezza del nemico prima di uno scontro.»
«Ma stai un po' zitto... » Boccheggiò tenendosi lo stomaco con entrambe le mani. "
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tre: ¡VIVA DYSTÒPIA!

 


Dystòpia era un mero surrogato della Terra.
Un luogo dove l'umanità aveva messo radici nel disperato tentativo di ritrovare un senso di normalità.

Un piccolo satellite, con ogni presupposto per accogliere forme di vita: abbastanza distante dalla propria stella per garantire la presenza di acqua allo stato liquido e un'orbita stabile attorno al pianeta Xirria. La superfice, cotta dalla luce stellare, era per lo più arida e terrosa, affollata da città che rievocavano il vecchio Mondo.

Per quanto potesse sembrare arcaico, nell'era Dystopiàna, la religione rappresentava una colonna portante per gli abitanti che ciclicamente si riunivano in pellegrinaggio presso il Sacrario dei Devoti, una terra santa circondata da santuari e templi maestosi.

Più a sud si erigeva La Trenza, un dedalo di edifici tinteggiati da colori sgargianti, con elaborate e fantasiose decorazioni in rilievo su muri e porte.

Esisteva una vera e propria competizione tra gli abitanti della città i quali eleggevano come vincitore chi possedeva la dimora più stravagante.
Erano soprattutto i bambini che armati di pennello e fiera determinazione contribuivano ad abbellire le proprie case, aggirandosi per i quartieri con le vesti inzaccherate di vernice.

Verso ovest, a cavallo della Valle Monjak, era situato il più grande archivio di Dystòpia, il quale conservava le testimonianze materiali della civiltà umana e della Terra: raccoglieva seicento milioni di volumi cartacei consultabili più materiale audio e video. Erano presenti musei archeologici e di scienze naturali, mostre d'arte e giardini botanici protetti all'interno di gigantesche serre.

Si trattava di un complesso di strutture dall'aspetto massiccio, popolate da orde ricercatori ed eruditi, talvolta da comitive in gita scolastica.

E così via.

Dystòpia era questo: un crogiolo di culture, di persone, di divinità.

Gli umani nativi della Terra si potevano ormai contare sulla punta delle dita, gravati dal peso degli anni e dediti a passare gli ultimi giorni della propria esistenza in un mondo straniero. Erano considerati il punto di riferimento degli uomini e avevano il compito di rappresentarli ufficialmente al cospetto di Shunna Ra'a.

La maggior parte dei giovani non avendo mai conosciuto le condizioni umane antecedenti all'esodo, presentavano una naturale rassegnazione e disinteresse per la perdita subita; in fondo, non era possibile sentire la mancanza per qualcosa che non si aveva mai visto, toccato, assaporato.

Agli occhi delle altre civiltà aliene, Dystòpia, appariva senz'altro un luogo bizzarro e curioso, ma ciò che più suscitava sbigottimento e meraviglia era il suo evento principale: il Carnevale.

Ogni anno si presentavano visitatori da qualsiasi angolo della galassia, impazienti di ammirare le parate in maschera, le danze frenetiche e gli spettacoli pirotecnici.
In quell'occasione anche gli umani occupati ai vari angoli della galassia si impegnavano a tornare in patria per ricongiungersi ai propri cari e omaggiare le origini.

Nina era tra questi.

Quando si avvicinava quel periodo dell'anno diventava ogni giorno più irrequieta. Passava intere ore a tessere vestiti, truccarsi e sfilare nella sua stanza.
Spesso si ritrovava a canticchiare sovrappensiero per i corridoi della nave inciampando di tanto in tanto davanti allo sguardo scocciato del suo capitano.
Releim sapeva benissimo che il Carnevale degli umani era alle porte, ma come ogni anno aspettava fosse Nina a fare richiesta formale di un congedo, pregando di concederglielo.
Infine, seppur con fastidio, accordava un breve periodo di ritiro con la promessa di farle recuperare ogni ora di lavoro persa.

Questo a Nina bastava. Non aveva intenzione di avanzare altre richieste oltre a quelle già pattuite, avrebbe rischiato di indispettire ulteriormente il suo capo e non era ciò che desiderava; al contrario, la giovane umana si prodigava continuamente per ottenere la sua approvazione e per dimostrare il proprio valore.

Nina fece un respiro profondo. Era giunto il momento.
Si era preventivamente preparata un discorso che ripeteva da giorni e finalmente aveva trovato il coraggio di chiedere un colloquio con Releim.
Bussò timidamente alla porta per palesare la sua presenza e una voce all'interno della stanza ricevimenti le rispose in tono annoiato:
«Quante volte devo dirti che quel gesto non ha alcun senso per noi? Entra e basta.»
Nina si morse la lingua, entrando titubante nella sfarzosa sala adornata di specchi e luci brillanti.
«È l'abitudine, chiedo scusa.» ridacchiò nervosa, poi si mise sull'attenti aspettando che il capitano le facesse cenno di iniziare a parlare.
Vide il proprio riflesso sulla superfice lucida del pavimento e l'attenzione le cadde sulle ferite non ancora rimarginate alle guance. Cercò di coprire goffamente i graffi con le corte ciocche ramate, ma con scarsi risultati.

«Immagino tu sia qui per chiedermi un periodo di congedo» disse atono rompendo il silenzio, «Congedo per aggregarti ai tuoi simili.» precisò anticipandola.

Il viso le si illuminò dalla sorpresa.

«Sissignore, sono onorata ve ne siate ricordato. Come ben saprà il Carnevale Dystopiàno è una delle ricorrenze più importanti per noi umani e come tutti gli anni è una buona occasione per ricongiungerci alla famiglia...»

Esitò qualche attimo insicura di quello che stava per chiedere:

«Ovviamente il Capitano è invitato a partecipare se ne avesse il piacere. Sarebbe un grande onore presentarvi alla mia gente, e sicuramente mio nonno-»

«Non ho alcun interesse a partecipare alle vostre usanze primitive, per cui risparmiami i tuoi racconti dettagliati sulle tue origini»

Il bagliore negli occhi della ragazza si affievolì e avvertì uno strano formicolio al cuore.

«Ora vai. Non ho bisogno di sapere altro.»

Quattro paia di occhi affilati osservarono le labbra tremanti di Nina mentre mormoravano qualche parola di ringraziamento e si stringevano in una piega dura.

Chinò il capo e uscì da quella stanza.

***

DYSTÒPIAKronen

Tra tutte le città del globo, Kronen, era certamente il luogo migliore dove passare il Carnevale: gli scatenati numeri di danza e le scenografie delle sfilate non avevano eguali e si protraevano per un lunghissimo periodo, giorno e notte.

Le strade brulicavano di persone e a stento si riusciva ad avanzare tra le bancarelle.

L'aria era perennemente torrida e Nina, particolarmente sensibile al calore, sventolava energicamente un grosso ventaglio camminando mollemente sotto i fuochi d'artificio.
I vestiti erano divenuti come una seconda pelle, completamente appiccicati al corpo e le gocce di sudore colavano copiose sugli occhi facendoli bruciare.
Infine, stufa di sentirsi pestare i piedi, decise di rifugiarsi in un locale per attendere l'arrivo dei suoi amici.

Appena varcò la soglia del pub avvertì l'aria refrigerata sfiorarle la schiena e un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra.

Ma sì, all'inferno la parata.

Raggiunse il banco e dopo avere inviato rapidamente un messaggio, ordinò da bere.
Con sgomento comprese che il suo viso ammaccato doveva suscitare parecchia curiosità tra i presenti, e lo capì grazie ad una serie di occhiate insistenti e commenti divertiti che ricevette mentre aspettava il suo drink.
Innervosita da tutta quella attenzione frugò in mezzo ad una pila di riviste e scegliendone una a caso iniziò a leggerla, nascondendo il naso graffiato tra le pagine, rossa dalla vergogna.

•••


«In nome di Odino, sei caduta dalle scale?»

Una voce profonda attirò l'attenzione di Nina, che ormai stufa di sentirsi ripetere la stessa frase nell'arco di un'ora ignorò completamente l'uomo seduto accanto a lei.

«Hai fatto a botte con qualcuno? Te ne ha date di santa ragione.» insistette lui con una nota divertita, bevendo un sorso di birra.

Nina digrignò i denti guardando di sottecchi lo sconosciuto chiacchierone che non sembrava intenzionato a lasciarla contemplare il vuoto in pace.
«Potresti smetterla di infierire? Sono già occupata ad autocommiserarmi.»

L'uomo rise di gusto.
Passò qualche attimo, poi Nina fece un profondo sospiro di rassegnazione: «È successo durante una missione, dovevo catturare...un tipo.»
«Un tipo?» la incalzò curioso.
«...un uomo.»
«Un uomo?»
Lei esitò un attimo pensierosa, fissando le bollicine sul fondo del bicchiere.
«Sì...credo di sì.»
L'estraneo tamburellò con le dita sul tavolo dopodiché si girò completamente verso di lei ruotando sullo sgabello: «Ed eri sola?»
Nina si strinse nelle spalle a disagio, voltando il viso dalla parte opposta.
«No, ovvio che no, anche la mia squadra si trovava lì. Diciamo che ho agito impulsivamente provando a sbrigarmela da sola.»
Fece una breve pausa, «Mi capita spesso di commettere errori simili e questa volta, devo dirlo, poteva andare decisamente peggio.»

E ho fatto la figura dell'incapace agli occhi di Releim, ancora una volta.
Poteva chiaramente ricordare lo sguardo di disapprovazione sul suo volto mentre faceva rapporto della missione. Sospirò di nuovo, abbattuta, avvertendo una fitta dolorosa al costato.

«Capisco. Ad ogni modo quel tipo non è stato proprio un gentiluomo.» considerò con semplicità, scatenando l'irritazione della rossa che si voltò di scatto verso di lui come un cane rabbioso: «Ma che dici, guarda che in realtà lui avrebbe dovuto uccider-» la voce le si asciugò in gola quando guardò lo straniero in faccia, per la prima volta.

Si trattava di un ragazzo, probabilmente poco più grande di lei, che la stava osservando con uno strano sorriso sul volto.
I capelli corvini erano raccolti in un alto chignon dal quale alcune ciocche ribelli sfuggivano ricadendo sul viso chiaro, incorniciato da una fitta barba scura.
Un paio di sottili occhi grigi studiavano il viso meravigliato di lei, che dopo qualche secondo di smarrimento distolse lo sguardo.

«Co-cos'hai da fissare in quel modo?» balbettò imbarazzata impegnandosi a spazzare dal tavolo briciole inesistenti.
«...ad ogni modo sono fortunata ad essere ancora viva.»

Non ne comprendeva il motivo ma quella situazione la stava agitando più del dovuto, e lo capì dal martellare violento del proprio cuore.
Improvvisamente sentì la testa girarle violentemente, probabilmente per via dell'alcool o per la puzza di sigaretta che aleggiava nell'aria.
Tra quella moltitudine di odori pungenti però ve n'era uno che aveva attirato la curiosità di Nina, e proveniva dal boccale di quell'uomo: era dolciastro e profumava di spezie, simile alla bevanda che aveva ordinato poco prima lei.

«Che cosa dovrebbe essere quella brodaglia? Sembra buona...» chiese sbirciando nel bicchiere.

«Si chiama medovukha, prendi, assaggiala.»
Con un movimento secco fece slittare la bevanda sul bancone passandogliela; Nina la afferrò goffamente colta alla sprovvista. Prima la annusò, riconoscendo il profumo dei chiodi di garofano e la cannella, dopodiché prese un piccolo sorso di quella bevanda ambrata: era dolce e leggera.

Le labbra le si arricciarono in un sorriso.
«Woah, ma è dolcissima!» esclamò restituendo il boccale, «Cosa c'è dentro?»
«È a base di miele.» rispose, divertito dall'entusiasmo di Nina «Sospettavo ti piacesse, è idromele, simile a ciò che hai ordinato tu prima.»

Lei si ammutolì di colpo; da quanto tempo se ne stava lì ad osservarla?
Forse da parecchio, ma essendosi concentrata così intensamente sull'articolo di giornale si era completamente estraniata dalla realtà.

Rimase in silenzio qualche attimo, vergognosa, studiandolo di sottecchi.
Al contrario lui sembrava essere assolutamente a proprio agio: se ne stava appoggiato con un gomito sul banco sorreggendo la testa con la mano, rilassato.

Nina fece vagare lo sguardo sui suoi lineamenti, studiando gli zigomi alti, il naso dritto, gli angoli della bocca leggermente sollevati in un sorriso.

Decise che era bello.

Un pensiero emerse, indugiando nella sua coscienza per qualche secondo e poi svanì.

Continuò a dialogare con quel ragazzo, soffermandosi spesso sul suo tono di voce e sulle gestualità: ancora una volta quel pensiero fece capolino più insistentemente, come un'interferenza.

«Sai io...credo di averti già incontrato da qualche parte...» mormorò sovrappensiero Nina, accarezzandosi il mento graffiato.

Uno strano bagliore attraversò gli occhi cinerei dello sconosciuto.
«Tu dici?» soffiò piano.

«NINAAA!»

Delle voci schiamazzanti fecero trasalire la rossa.
Erano i suoi amici, che dalla parte opposta del locale si sbracciavano facendole segno di raggiungerli.
«Sono arrivati i miei amici.» disse, salutandoli con la mano, «Devo andare.»
Si sbrigò a pagare il conto e sollevò la borsa da terra, poi si voltò timidamente verso il ragazzo.
«Buon Carnevale!» salutò facendo un cenno impacciato con la mano.
«Addio Nina.» rispose piano lui, ponendo enfasi sul suo nome.
Lei rimase imbambolata, in silenzio, fissando ancora per qualche attimo quel sorriso beffardo.

Poi, improvvisamente, fu colta da una scossa di consapevolezza e si rese conto di avere già sentito quella voce, in un'altra occasione.

Trattenne il respiro, si voltò bruscamente e sparì tra la folla.

 

  
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