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Autore: Nao Yoshikawa    05/07/2022    2 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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Capitolo tre: Vicini

- Intermezzo -
Tamago
 
 
 
A Tamago scoppia la testa. Puntualmente le sembra di impazzire. Non sopporta di perdere il controllo, non sopporta essere in balia degli eventi, essere in balia di un potere che non ha voluto. Le hanno detto che il suo può essere un dono, ma lei riesce a vederlo solo come una maledizione. Le è stato dato qualcosa che non voleva e che non sa come gestire. Quanto ha pianto da bambina, terrorizzata di fronte quel potere sconosciuto? Avrebbe preferito che le fosse tolto qualcosa: una gamba, un braccio, un organo, la vista, l’udito, la possibilità di camminare. Invece le è stata data una capacità che la fa impazzire. Che la porta ad avere una percezione diversa del tempo.
 
- Io sono una maga! -
- Certo, Maga Tamago –
-  Maga! Mi piace come suona. Se un giorno diventerò un’eroina, mi chiamerò così –
- Ma il nome da eroe dovrebbe rappresentarti –
- Beh, io lo userò comunque perché ha un suono carino –
 
 
Le cose non si erano aggiustate né il giorno dopo né quello dopo ancora, tutto era rimasto uguale ma anche diverso. Genos non aveva più accennato né ad andarsene, né alla discussione. Faceva finta che non fosse mai successo e Saitama lo assecondava. Ma era tutta una messa in scena, perché il disagio che entrambi avvertivano era palese. Genos era sempre educato e rispettoso, ma Saitama notò come fosse diventato anche più gelido e distaccato. E cosa di aspettava? Doveva avergli spezzato il cuore, doveva aver ferito i suoi sentimenti. Come gli era passato per la mente di dirgli non sei nemmeno umano? Genos sapeva essere il più umano di tutti, anche più di lui. E allora aveva iniziato a pensare, a chiedersi come avrebbe potuto porre rimedio. Quella situazione non gli piaceva. Non solo perché era fastidiosa, ma perché – si era dovuto rendere conto – non gli piaceva quando Genos non era più sé stesso. Oramai si era abituato, affezionato, alla loro quotidianità. Pensava a questo per non essere costretto a fare i conti con i propri sentimenti: una matassa intricata e impossibile da sbrogliare. Comunque quello non era l’unico problema a cui doveva far fronte: nuovi esseri misteriosi erano apparsi e sin dall’inizio all’Associazione eroi era stato chiaro che prima di allora non avevano mai affrontato nulla del genere. Quindi erano stati inviati per sconfiggerli i migliori eroi di classe S, tra cui Genos, appunto. E Metal Bat, Tatsumaki, Emperor Child, King, Bang. Quando Genos aveva accettato tale missione (e dopotutto era suo dovere), avrebbe pensato che sì, sarebbe stato difficile, ma che ce l’avrebbero fatta. E in questo aveva avuto ragione, era alle conseguenze che non aveva pensato.
I mostri che avevano affrontato sembravano provenire da un altro pianeta e forse era davvero così. Era una supposizione, perché essi non parlavano, non comunicavano. Simili a meduse gigantesche, grigiastre e fluttuanti in aria, avrebbero potuto passare quasi per innocui. In effetti non avevano distrutto città, non avevano creato il solito scompiglio che facevano tutti. Ma ovunque passavano, toglievano qualcosa alla gente. Oppure la davano, senza un criterio preciso. Saitama, che volente o meno si trovava sempre in mezzo a battaglie che non gli competevano, quella volta non prese parte alla battaglia (che una vera battaglia poi non era nemmeno stata). E quando poi venne a sapere delle conseguenze, si chiese cosa sarebbe successo se anche lui ci fosse stato. Gli avrebbero tolto qualcosa? Un braccio, una gamba, la capacità di parlare? Oppure gli sarebbe cresciuto un terzo braccio o un terzo occhio? Sarebbe stato quasi divertente se solo non fosse stato così tragico.
Ma, andando con ordine, le cose cambiarono drasticamente dopo la suddetta battaglia. Saitama, scocciato e annoiato, si era presentato all’Associazione eroi. Era stato Genos ad essere decisivo per il successo della missione, poiché i suoi colleghi eroi non erano stati così fortunati.
«Accidenti, Genos. Non mi ricordo di averti mai visto così in forma dopo un combattimento» gli aveva detto Saitama nel vederlo. Si sentiva stranamente sollevato.
«Io non ho avuto conseguenze perché non ho un corpo umano. Quei mostri non hanno potuto menomarmi in nessun modo.»
Saitama si era fatto serio. C’era qualcosa di molto inquietante in tutta quella situazione. Si chiese cosa volessero quei mostri, quale fosse il loro scopo.
«Li hai fatti tutti fuori?» gli domandò.
«Tutti tranne due. A quanto pare vogliono studiarli, vogliono capire cosa esattamente sono in grado di fare. Di sicuro non sono di questo pianeta. Ma non parlano. In realtà non sembrerebbero nemmeno ostili. Il fatto è in qualche modo sono capaci di cambiarti.»
«Cambiarti come?» domandò Saitama confuso. Genos non ebbe bisogno di spiegarlo a parole. Subito dopo avevano sentito Metal Bat gridare, sembrava furioso.
«No, cazzo. Non vedo un cazzo di niente. Non mi toccate, lo so che mi state attorno. Ridatemi la vista. Ridatemi la mia vista, maledizione!»
Metal Bat non ci vedeva. I suoi occhi – iridi e pupille – erano bianche e immobili. Sembrava in un profondo stato confusionale.
«Ma cosa…?» chiese Saitama. Metal Bat aveva perso la vista in battaglia? No, non l’aveva persa, gli era saltata tolta e non era nemmeno l’unico ad aver perso qualcosa: in seguito vide Tatsumaki che aveva perso una mano e il vecchio Bang su una sedia a rotelle. Aveva perso la capacità di camminare, proprio quell’uomo anziano dalla forza straordinaria, ora era costretto su una sedia a rotelle, anche se non aveva perso la sua dignità.
Come del resto Tatsumaki non aveva perso il suo carattere forte.
«… Non siete molto in forma, eh?» aveva domandato Saitama, non sapendo bene cosa dire. Certo, capitava spesso che gli eroi riportassero gravi ferite, ma quelle erano mutilazioni, erano condizioni forse permanenti.
«Tu dici?» domandò Tatsumaki. «Poteva andare molto peggio, è grazie a Demon Cyborg se non c’è stato tolto altro.»
Ganos si schernì.
«L’unica mia fortuna è di essere un cyborg, non potevo essere mutilato in nessun modo.»
In lontananza si sentiva ancora Metal Bat sbraitare. Poi silenzio e poi singhiozzi. Saitama adesso iniziava a capire. Ad ognuno di quegli eroi era stato tolto qualcosa, una parte del proprio corpo o una possibilità. Questo era bastato a lasciarlo senza parole, anche se il più turbato era proprio Genos. Demon Cyborg, che aveva salvato la situazione. Eppure qualcosa era cambiato in lui, solo che ancora non lo sapeva, non se ne rendeva conto e ciò si manifestava in una perenne sensazione di malessere. Poteva forse essere quella che veniva comunemente chiamato disturbo post traumatico da stress? O una cosa del genere? Genos non ne aveva idea, ma come al solito non ne parlava. Non si sarebbe più esposto, né nella vita da eroe, né nella vita privata. Saitama se n’era reso conto e per quanto si sforzasse di farsi i fatti propri, gli risultava difficile. Perché di fatto Genos era assente, c’era ma non c’era. E cosa si faceva in certi casi? Si parlava, si offriva il proprio supporto? Lui in quello non era mai stato bravo.
Ma doveva tentare qualcosa, se non voleva rendere ancora più soffocante l’aria del loro minuscolo appartamento, che sembrava molto più piccolo del solito.
«Emmmh. Senti, Genos. Non cucinare, non c’è bisogno» gli aveva detto Saitama. Era passato qualche giorno dalla sconfitta di quei mostri e ancora ai notiziari non si parlava d’altro. Esseri misteriosi pericolosi sono stati sconfitti dall’eroe di classe S Demon Cyborg. Due esemplari catturati per essere studiati da un team di scienziati. Tali essere misteriosi causano menomazioni e cambiamenti negli esseri umani che vengono a contatto con loro. Si pensa a delle radiazioni o del veleno contenuti nei loro peduncoli. Circa centocinquanta feriti e nessun morto. Tra i feriti anche gli eroi di classe S Tatsumaki, Bang e Metal Bat.
Saitama spense la TV. Dovette ripetere a Genos ciò che aveva detto poco prima. Allora il cyborg gli aveva riposto in modo distratto.
«Cosa? Ma no, va bene, mi tengo impegnato.»
«Ah, prenditi una pausa, ma non ti riposi mai?» domandò Saitama. Era in evidente imbarazzo poiché, dopo aver peccato d’insensibilità, stava cercando di comportarsi almeno da persona decente. E no, in effetti Genos non riposava mai, non ne aveva bisogno.
«Per… per caso ne vuoi parlare?» domandò poi Saitama. Non doveva per forza pronunciare grandi parole, però poteva ascoltare. Genos allora si tolse il suo immancabile grembiulino rosa che gli dava tanto l’aria da casalinga.
«Di cosa?»
«Di cose. Insomma, come ti senti?» tentò Saitama. Genos se ne accorse e ne fu sorpreso, perché Saitama non gli chiedeva mai come stava. Perché Genos stava sempre bene. A livello fisico, almeno.
Dannazione. Perché glielo domandava proprio ora che si era deciso a farsi i fatti propri?
«Sono solo un po’ turbato dall’ultima missione» ammise.
«Ma va’, davvero? Com’è possibile? Hai affrontato molto di peggio.»
E questo era vero. Ma non aveva mai affrontato niente come quello. Genos gli si sedette davanti e da che teneva lo sguardo basso, lo sollevò.
«Lo so. Però mi ha lasciato addosso una sensazione strana. Per fortuna sono sopravvissuti tutti, ma mi ha turbato vedere degli eroi di classe S, inespugnabili, venire rotti in questo modo. Lo so, dovrei essere abituato, io perdo pezzi continuamente. Ma io posso essere aggiustato, le persone no. Metal Bat mi ha impressionato, ho visto la luce sparire dai suoi occhi. Forse non riuscirà più a vedere, ci pensi? E Bang non potrà più camminare. Tatsumaki non ha più una mano. Non saprei dire che strano potere quegli essere misteriosi hanno, però ti cambiano. Fuori, quanto dentro.»
Saitama lo ascoltò fino alla fine senza mai interromperlo. E si sorprese nel rendersi conto che Genos era sensibile. Era profondo, era molto più umano di tanti esseri umani. Su questo non si era mai soffermato, non lo aveva mai ascoltato per davvero. Ed era assurdo, perché lo conosceva da tanto tempo; eppure, allo stesso tempo non lo conosceva.
«Accidenti. Questa è una roba pesante, non avrei mai pensato avessi tutto questo… dentro. Ma non devi preoccuparti, ora è andato tutto bene grazie a te. Non che avessi dubbi, ovviamente. Di te non dubito mai.»
E mai Saitama faceva dei complimenti così espliciti a Genos. Ma gli era venuto dal cuore di te non dubito mai. E aveva provato imbarazzo subito dopo. Ed anche Genos, che però si era sentito anche lusingato. Ma immeritevole di tali complimenti.
«Io… grazie. Però non sono niente di-»
«Ah, smettila. Tu sei forte, non occupi un posto in classe S per niente.»
«Sono forte perché ho sempre seguito te.»
«Sbagliato di nuovo. Sei forte a prescindere da me. E su questo non intendo contrattare.»
Saitama gli aveva sorriso e Genos si era sentito sciogliersi. Come poteva pensare di disinnamorarsi di lui in quel modo?
«Va… va bene, d’accordo. Grazie, maestro.»
Genos non era l’unico a farsi certi pensieri. Saitama era anche più confuso, perché lui sui suoi sentimenti non si era mai interrogato di proposito perché ne era terrorizzato. Il fatto era che amare Genos era facile: lui era coraggioso, era forte. Sì, lo trovava anche bello e affascinante. Spesso era fastidioso e testardo, ma era anche tenero e dolce. Invece non capiva perché Genos amasse lui, cosa poteva avere che gli interessasse? Niente, e forse questo lo aveva già capito, anche se in parte sperò di no.
«Comunque io, emh… per l’altro giorno… potevo risparmiarmela quella cosa. Quando ti ho detto che non sei umano, non intendevo dire niente di male. Spesso dico cose stupide.»
Senza che se ne fossero accorti, si erano avvicinati. Erano spinti uno verso l’altro da chissà quale forza. Chissà com’era baciare Genos? Lui non aveva mai baciato nessuno, chissà se anche per lui era lo stesso? Guardò i suoi occhi e poi guardò le sue labbra, poi di nuovo i suoi occhi. La grande incognita dell’attrazione e della sessualità, robe assurde che sfuggivano al suo controllo.
«Aaaah. Senti, Genos. Ma tu come funzioni? Visto che hai questo corpo riesci a sentire qualcosa?
Saitama non ebbe bisogno di specificare cosa fosse quel qualcosa. Genos aveva capito che erano appena entrati in un campo minato.
Nessuno, per discrezione o perché non avevano abbastanza confidenza, gli aveva mai domandato come funzionasse il suo corpo. Lui ricordava bene cosa volesse dire provare dolore a livello fisico o anche sensazioni più piacevoli come l’eccitazione e il piacere. Il fatto che Saitama glielo avesse domandato in modo così diretto lo aveva lusingato e sorpreso.
«A modo mio… sento… sento l’eccitazione e tutto il resto. Solo che lo sento in modo diverso. È un po’ difficile da spiegare, se non lo provi.»
Genos era sempre stato timido e riservato da questo punto di vista. Ecco perché parlava a bassa voce, senza nemmeno guardarlo negli occhi. Saitama invece, che non era più esperto di lui, affrontava tutto con una certa sicurezza. O semplicemente non ci pensava.
«Ma non hai un’erezione, giusto?»
Genos ebbe la sensazione di andare in cortocircuito.
«… No…» ammise, serio. Ma dentro di sé avrebbe voluto sotterrarsi da qualche parte, perché lui e Satama parlavano di certi argomenti.
«Lo hai mai fatto?» domandò.
«Cosa?» domandò Genos ingenuamente.
«Come cosa? Il sesso. Lo hai mai fatto?»
Ora era ufficiale, Saitama si era messo in testa di farlo impazzire. Eppure poneva le sue domande con una tale serietà che era difficile non rispondere.
«N-no, io no. E tu?»
In effetti di quelle cose loro non ne avevano mai parlato, si erano sempre limitati a farsi i fatti propri. Questo non voleva dire che non avessero la curiosità.
«Mai, non sono mai stato interessato» disse Saitama. La vicinanza tra loro era sempre di più. Genos l’avvertiva. Voleva farsi stringere, voleva sentire qualcosa, voleva sentire lui.
«E adesso?» domandò Genos. Saitama avvicinò piano la mano al suo viso. Aveva un po’ di timore, era abituato a distruggere tutto con un solo colpo. A lui non voleva fare male, gliene aveva fatto anche troppo.
Sfiorò il suo viso. La sua pelle artificiale non era poi così diversa da quella umana. Genos socchiuse gli occhi. Era incredibile come non avessero mai avuto un contatto fisico pur vivendo insieme.
«Chiamami col mio nome.»
Genos avvertì qualcosa. Come poteva provare un brivido?
«S-Saitama… che vuoi fare?»
«Capire» sussurrò. Era molto controllato in quella situazione, ma il suo controllo sembrava uno di quelli destinati a non durare molto a lungo.
«Non ho mai baciato nessuno. Potrebbe non piacerti.»
Genos era terrorizzato. Dall’idea che fosse tropo bello per lui e non abbastanza per Saitama, dall’idea di toccare i paradiso e poi sprofondare nell’inferno. Quelli erano giorni assurdi. Genos non si sentiva nemmeno se stesso.
«Sono fermo!»
«Sta più fermo.»
Saitama, goffo, lo baciò. Lo tenne stretto a sé, ma non troppo. Era davvero difficile controllarsi. Genos era stato ad un passo dallo scostarsi. Ma non c’era riuscito e adesso di certo non si tornava indietro. E Saitama? Lui doveva aver perso la testa! Non ci capiva niente e quindi si era buttato. Ora lo sentiva. Pensava che Genos sarebbe risultato duro e rigido, invece era stranamente sciolto tra le sue braccia. E Genos, d’altronde, lo sentì tutto. Sentì la sua bocca sulla propria, la sua lingua che poi trovava la propria. Lo baciò con una certa pazienza, perché stavano imparando a conoscersi. E Genos lo sentì, quel qualcosa che era simile all’eccitazione, anche se in modo diverso.
Poi Saitama si staccò e lo guardò con un certo modo di fare interrogativo. Genos si chiese se ne pentirà subito?
«Io non sono bravo a parlare di sentimenti, non li capisco nemmeno in fondo. Questa cosa, qualsiasi cosa sia, però mi piace.»
E Genos si sentì così estremamente grato e anche spaventato. Avrebbe voluto dire calma, non corriamo.
Saitama gli avrebbe risposto non intendo correre, perché non so nemmeno da dove partire.
Non se lo dissero, ma lo capirono comunque.
 
   
 
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