Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Kimando714    06/07/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 24 - CHOICES



 

C’era uno strano silenzio da qualche minuto, nell’appartamento: una condizione che, da più di un mese a quella parte, capitava ben di rado.
Giulia tirò un sospiro di sollievo, dopo aver posato cautamente il piccolo corpo di Francesco sul fondo della culla. Si era addormentato in fretta, in fin dei conti, ma aveva temuto che, rimettendolo disteso, si sarebbe svegliato di nuovo, ricominciando a strillare come era successo poco prima.
Francesco continuò a dormire come se nulla fosse, e Giulia tirò di nuovo un lungo sospiro, spostandosi con un gesto veloce una ciocca che le era finita davanti agli occhi. Fece qualche passo allontanandosi dalla culla, lanciando uno sguardo veloce fuori dalla finestra della camera: il cielo sopra Venezia era di un azzurro quasi bianco, e non si sorprese affatto nel notare che, in effetti, stava nevicando. Doveva aver iniziato da poco, o forse non si era nemmeno accorta fino a quel momento dei fiocchi di neve che cominciavano a ricoprire i tetti della città.
Cercò di fare meno rumore possibile, mentre usciva dalla stanza di Nicola e Caterina; si avviò infine verso il piccolo salotto dell’appartamento, dove vi trovò Caterina intenta a spolverare lo scaffale dove vi erano ordinati parecchi libri.
Erano un po’ di settimane che Giulia passava lì gran parte dei suoi pomeriggi – o comunque alcune ore libere che riusciva a ritagliarsi tra l’università, il lavoro, e la cura del suo stesso appartamento-, cercando di dare una mano a Caterina il più possibile, soprattutto quando Nicola non era in casa, a causa dei turni di lavoro e le poche lezioni frequentate. Non le pesava quella situazione: era stata lei stessa ad offrirsi, e poi si sentiva già legata a Francesco da un sincero affetto che la spingeva a tornare in quella casa ogni volta che poteva, anche solo per poco. E poi era innegabile anche che Caterina avesse bisogno di una mano: tenere tutto in ordine, con un neonato a cui badare tutto il giorno, non era cosa facile. Durante il weekend, a volte, i suoi genitori o quelli di Nicola arrivavano spesso a passare un po’ di tempo lì, ma durante la settimana era Giulia quella che poteva rimanere più ore con Caterina e Francesco.
-Il tuo dolce pargolo si è addormentato- fece Giulia, sedendosi sul divano, in attesa che Caterina concludesse.
-Pietro-.
-Che?- Giulia la guardò accigliata, mentre Caterina finiva di spolverare l’ultima mensola dello scaffale, e si girava verso di lei, ridacchiando:
-Mi sembravi Pietro, ad usare certi termini così ricercati-.
-Dev’essere la sua aura che mi influenza-.
Caterina fece qualche passo veloce verso la finestra, bloccandosi un attimo prima di aprirla e sbattere al vento per qualche secondo lo strofinaccio che aveva usato. Anche lei doveva aver notato solo in quel momento della neve che stava cominciando a scendere.
-Ha iniziato a nevicare proprio quando Nicola doveva staccare dal turno- borbottò più rivolta a se stessa che a Giulia – La solita fortuna-.
-Guarda il lato positivo: passerai ancora un po’ di tempo con me- esclamò Giulia, tirando un sospiro quando Caterina si girò a guardarla confusa – Aspetterò che la neve smetta di scendere, almeno, per tornare a casa. Quindi resterò ancora un po’ qui, temo-.
Caterina si bloccò di fronte a lei, le mani sui fianchi e l’aria esausta. Da quando era nato Francesco il suo corpo non era ancora tornato esattamente come prima della gravidanza: sebbene non avesse preso troppo peso, il ventre sembrava ancora leggermente gonfio.
-Vuoi un tè?- chiese infine. Giulia si ritrovò ad annuire senza nemmeno pensarci troppo:
-Sorseggiarne un po’ potrebbe essere un buon passatempo-.
Caterina scosse leggermente il capo, sbuffando piano:
-Ripeto: oggi parli come Pietro -.
 


Aspettarono una quindicina di minuti prima che il tè caldo fosse pronto. Caterina aveva approfittato dell’attesa per andare a controllare velocemente Francesco, prima di tornare nel salotto e buttarsi a sua volta sul divano. Giulia l’aveva raggiunta poco dopo, reggendo le due tazze fumanti.
-Sei andata in quel negozio di vestiti da sposa che ti avevo detto?- Caterina parlò con voce a tratti assonnata. Stava ancora bevendo il tè lentamente, dopo cinque minuti che lo teneva in mano, facendo ben attenzione a non scottarsi. Giulia ripensò velocemente ad un pomeriggio della settimana scorsa, quando proprio in quel salotto Caterina le aveva parlato di un negozio di vestiti da sposa a Mestre, dove i prezzi non erano troppo esorbitanti e gli abiti piuttosto carini.
-Ci andrò nel weekend, forse- fece Giulia, con aria vaga – Sempre se Filippo non vorrà andare a Verona in cerca di un posto adatto per il rinfresco-.
-Vi prendete per tempo-.
Giulia sbuffò incredula, gli occhi verdi sgranati:
-Hai idea di quante cose ci sono da organizzare? È un matrimonio!- roteò gli occhi verso l’alto, al suono della risata trattenuta dell’amica – E poi dobbiamo stare attenti: dobbiamo scegliere un posto che non ci costi un occhio della testa, e lo stesso vale per il vestito … Serve tempo per prendere le decisioni giuste. Non possiamo aprire un mutuo solo per un matrimonio. Dobbiamo risparmiare dove è possibile farlo-.
Lei e Filippo avevano convenuto di non sposarsi a Venezia: sarebbe stato troppo costoso, e decisamente più scomodo che farlo sulla terraferma. Il passo successivo era stato quello di contattare il municipio veronese, e cercare un posto dove fare il rinfresco; dovevano ancora pensare agli invitati e al vestito, e a Giulia già scoppiava la testa alla sola idea di passare i futuri sei mesi così in tensione ogni singolo giorno.
-Almeno Filippo ha quasi finito l’università, così non dovrà più pagare le tasse- buttò lì Caterina, dopo aver bevuto un altro sorso.
-Già, a lui manca così poco … - Giulia sospirò a fondo, sconsolata. A Filippo mancavano solo due esami e la tesi, e a luglio si sarebbe potuto considerare libero, con una laurea magistrale in tasca.
Lo invidiava da morire al solo pensiero che a lei, invece, di strada ne mancava ancora parecchia.
-A te come stanno andando gli esami?-.
Giulia si ritrovò ad arrossire di colpo, borbottando qualcosa:
-Insomma. A dire il vero non mi sono impegnata troppo- spostò lo sguardo altrove, mentre sentiva quello indagatore di Caterina su di sé – Ho preferito fare qualche turno in più al lavoro. E poi c’è sempre il matrimonio da organizzare. Rischio un esaurimento nervoso-.
In effetti era vero: in quel periodo, così strano e così intenso, l’università era stato l’ultimo dei suoi pensieri. Non sapeva bene come spiegarsi quell’improvvisa svogliatezza: aveva dato tutti gli esami della sessione, studiando il minimo sufficiente a permetterle di passarli senza risultati eclatanti.
Era come se le avessero affidato un compito che non le interessava: l’aveva portato a termine, perfettamente puntuale, ma senza alcuna gratificazione e voglia di impegnarsi di più.
Forse era dovuto al matrimonio, al lavoro che cominciava a non darle più alcuno stimolo, o alla fatica mentale di passare le giornate con Caterina e Francesco, benché quello fosse tra tutti l’impegno che preferiva di più.
-Vedi che succede, a fare tutte quelle cose più la baby-sitter a tempo pieno?- la prese in giro Caterina, scuotendo il capo e trattenendo una risata. Giulia si chiese se a lei, invece, mancasse l’università. Forse a Caterina mancava quella normalità quotidiana che a Giulia, invece, cominciava a stare stretta.
Si era resa conto, nelle ultime settimane, di stare soffocando, in quella monotonia fatta di libri da studiare e clienti da aiutare nel negozio d’abbigliamento dove faceva la commessa.
-Magari potrei anch’io prendermi una pausa dall’università-.
Giulia aveva parlato sottovoce, quasi tra sé e sé. Non si era nemmeno resa del tutto conto di aver davvero parlato a voce alta, fino a quando non si ritrovò ad alzare gli occhi verso Caterina, dopo vari secondi di silenzio: la stava guardando con occhi sgranati ed increduli:
-E perché mai? Ormai ti manca un anno e mezzo, poi saresti a posto per sempre!-.
-Un anno e mezzo nella migliore delle ipotesi- la corresse Giulia, quasi pentita per essersi lasciata sfuggire quel pensiero che ormai la attanagliava da giorni – La verità è che quando mi sono iscritta alla magistrale ero ancora entusiasta per la fine della triennale, e forse non ho ponderato bene se continuare o lasciare-.
Tirò un respiro profondo, bevendo un lungo sorso di tè per trattenersi dal parlare a ruota. Non aveva pensato di parlare con Caterina di una cosa simile, almeno non quel giorno. In fin dei conti, nemmeno lei sapeva bene cosa voleva fare della sua vita, in quel periodo.
-Quindi stai dicendo che non sei più convinta che fare la magistrale sia stata la scelta migliore?-.
-Dico solo che ora come ora non ho alcuna motivazione per continuare- Giulia ricambiò lo sguardo ancora meravigliato dell’amica – Forse dovrei prendermi una pausa per pensare meglio a certe cose. Magari cercare un lavoro migliore, e vedere come va-.
Giulia si morse il labbro inferiore, nervosamente. Le faceva strano esternare a qualcuno quei pensieri: era la prima volta che succedeva, dopo settimane che ci aveva pensato e ripensato, e perfino a lei risultava sorprendente aver espresso quelle sue idee finalmente ad alta voce.
-Non lo stai dicendo solo perché ora stai pensando a troppe cose tutte insieme?- Caterina la guardò corrugando la fronte per alcuni secondi, e di fronte a quello sguardo così dubbioso anche Giulia sentì la confusione farsi strada in lei:
-Può darsi, ma è così che mi sento. In fin dei conti prendermi un’aspettativa di un anno non equivarrebbe a lasciare per sempre l’università. Potrei sempre decidere di riprendere e dare gli ultimi esami-.
-Non è che c’è anche dell’altro, oltre a tutti gli impegni a cui devi stare dietro?-.
Caterina appoggiò la sua tazza, ormai vuota, sopra il tavolino di fronte al divano, producendo un piccolo rumore di ceramica sbattuta sulla superficie di vetro del tavolo. Giulia si ritrovò ad abbassare ancora una volta lo sguardo, indecisa se aprirsi del tutto o no: in fondo, un po’ temeva di apparire troppo strana.
Forse, in fin dei conti, rischiava anche di apparire completamente fuori di senno, con quello che avrebbe voluto dire veramente a Caterina.
-Forse. È che ultimamente sto pensando ad una cosa- fece un altro respiro profondo, decidendosi ad alzare lo sguardo per studiare l’espressione dell’altra – Tutti i giorni che ho passato qui con te e Francesco, a darti una mano, a badare a lui … Ho pensato che sarebbe bello, un giorno, avere un figlio mio-.
Probabilmente, se Caterina avesse ancora avuto in mano la tazza, dopo quelle parole le sarebbe scivolata a terra, producendo un fragore che, in ogni caso, avrebbe destato meno scalpore di quel che Giulia aveva appena detto.
Caterina la stava guardando con gli occhi spalancati, e Giulia non seppe capire se sul suo viso c’era dipinta più preoccupazione o più sorpresa.
-Stai dicendo che il tuo istinto materno si è svegliato proprio ora?- esalò Caterina, dopo alcuni secondi in cui Giulia aveva passato in rassegna, tra sé e sé, tutte le possibili ramanzine che si sarebbe potuta sorbire. Fu il suo turno di rimanere di sasso, dopo quella frase vagamente ironica di Caterina.
-In un certo senso- borbottò Giulia, presa di contropiede.
Fu a quel punto che Caterina le si fece più vicina, portando le mani sulle sue spalle e scuotendola violentemente:
-Sei impazzita, per caso? Devi finire l’università e sposarti, e tu pensi a volere un figlio? Sei una donna da tutto o niente, sul serio!-.
-Era solo un’idea! Una riflessione! Magari Filippo non sarebbe affatto d’accordo con me- Giulia si ritrovò a farfugliare le prime cose che le erano venute in mente, aspettando che Caterina si calmasse e la smettesse di scrollarla.
A Caterina bastarono pochi altri secondi per lasciarla andare, e tornare a sedersi al posto di prima. La guardava ancora con lo stesso sguardo scioccato, ma perlomeno Giulia poteva definirsi salva dai suoi istinti omicidi del minuto prima.
-Lasciare l’università e cercarti un lavoro migliore è una tua scelta, ma quella di aver un figlio adesso … - la vide passarsi una mano sul viso, quasi esausta – Forse ne dovresti parlare seriamente con lui. Non gli hai mai accennato una cosa simile?-.
Giulia sbuffò trattenendo a stento una risata amara:
-Non gli ho nemmeno accennato dell’università-.
Caterina la guardò a lungo, con gli stessi occhi pieni di angoscia e incredulità mischiate insieme. In una qualsiasi altra situazione, Giulia avrebbe trovato quello sguardo estremamente buffo; in quel momento, invece, non riusciva a dare torto a Caterina per sentirsi così.
-Allora forse è giunto il momento di parlargli di qualcosa che non riguarda l’organizzazione del matrimonio-.
 
*
 
E' più bella questa città quando sale la luna
Mentre dormono tutti già
Tutti tranne me
Tutti tranne me
Io mi scordo di dimenticarti
Non ho mai avuto occhi profondi
Sei negli occhi e via da li non scendi
Come fai
Tu lo sai
A restarmi addosso se non ci sei mai
 
Aveva iniziato a nevicare già da un po’ di minuti. Era raro, negli ultimi anni, vedere nevicare in quel periodo  di febbraio: ormai aveva perso la speranza di vedere la neve scendere almeno per quell’inverno.
Pietro rimase a guardare i fiocchi candidi cadere fuori dalla finestra, riuscendo a distinguerli solamente grazie alla luce tenue dei lampioni. Non voleva perdersi la magia del momento, non quando già alla mattina seguente, di quella neve, sarebbe rimasto solo qualche resto mezzo sciolto a terra.
Era già passata la mezzanotte, eppure non si sentiva stanco. Non fisicamente, almeno; era tutto il resto a farlo sentire estremamente stanco. Erano passate appena due settimane dal suo ventiquattresimo compleanno, e a tratti gli sembrava di avere il doppio degli anni e il doppio della stanchezza che invece avrebbe dovuto avere un qualsiasi suo coetaneo.
Un mugolio proveniente dal divano lo distrasse appena, portandolo a girarsi verso quella direzione.
Giada era ancora stesa sulla superficie morbida, muovendosi lentamente mentre si risvegliava. Era crollata almeno più di un’ora prima, mentre guardavano un film qualsiasi che davano per tv: Giada si era addormentata lì, stretta a Pietro, scivolando poco a poco lungo il divano ed occupando quasi tutto lo spazio. A lui non era rimasto che rimanere a fissare lo schermo, gli occhi puntati verso le immagini in movimento del film, e la mente altrove, lontana da quella stanza e da lei.
Giada si lasciò sfuggire un altro mugolio, mentre si rigirava sul divano, mettendosi a sedere a fatica. Pietro si allontanò dalla finestra, avvicinandosi e osservandola distratto: in quel momento, con i lunghi capelli biondi scompigliati e gli occhi assonnati e struccati, Giada sembrava tutto fuorché la ligia professoressa universitaria quale era. Stavano insieme da tre anni, eppure Pietro ancora rimaneva sorpreso come la sua immagine potesse essere tanto camaleontica: la Giada che spesso e volentieri passava del tempo in quell’appartamento, rilassata e sorridente, non sembrava quasi la stessa Giada che ogni giorno sfoggiava tailleur impeccabili, e spiegava complicati argomenti di matematica a centinaia di studenti con rigore e determinazione.
-Ben risvegliata- Pietro fece il giro del divano, andando a sedersi in un angolo che Giada aveva appena lasciato libero, dopo essersi messa seduta all’altra estremità.
-Stavo dormendo da tanto?- chiese lei, stropicciandosi gli occhi e reprimendo uno sbadiglio.
-Un’ora e mezza, più o meno-.
-Non reggo le ore piccole, ormai- fece lei, sorridendo con l’aria assonnata – Non ho più l’età per certe cose-.
-L’età che avanza, insomma- Pietro si sforzò di sorridere, riuscendoci a stento. Abbassò per un attimo lo sguardo, ma sapeva già che Giada, per quanto insonnolita potesse essere, doveva aver di certo notato qualcosa. Forse non lo conosceva a fondo come poteva pensare, ma Pietro aveva sempre fatto caso a come fosse brava nel notare anche i suoi più piccoli cambi d’umore.
-Stai bene? Hai una faccia strana-.
-Stavo solo pensando- borbottò Pietro, passandosi una mano sul viso.
Non era una bugia, in fin dei conti. Aveva passato le ultime settimane cercando di svuotare la mente il più possibile: aveva cercato di evitare Alessio in qualsiasi modo, e non vederlo spesso l’aveva aiutato ad accantonare anche il suo pensiero. Ed aveva cercato di relegare in un angolo profondo della sua mente anche le parole di Fernando, e solo ogni tanto tornavano a ronzargli in testa, come un mantra che gli ricordava che tutto quello che stava vivendo era, inevitabilmente, solo una grande e grossa bugia.
Quella sera, invece, era tornato tutto a galla in un secondo. Aveva passato quella serata silenziosa con gli occhi puntati sullo schermo della televisione, ricordando tutto quello che era successo in quegli ultimi mesi. Ed aveva pensato anche a ciò che gli aveva detto Giada quella sera stessa a cena, quando quasi per caso erano finiti di nuovo, ad un anno di distanza, sul discorso convivenza.
-A cosa?-.
La voce di Giada si era fatta più attenta, mentre si avvicinava piano a Pietro, tenendolo osservato con i grandi occhi azzurri. Pietro tenne lo sguardo altrove, torturandosi le mani con fare nervoso:
-Alla tua proposta. In fin dei conti ti avevo promesso che ne avremmo riparlato quest’anno- disse infine, più sincero di quanto si sarebbe aspettato da se stesso. Non aveva più ripensato a quel discorso per un anno intero, ma a quanto pareva ora era finalmente giunto il momento di affrontare la questione, nel momento in cui si sentiva più vulnerabile che mai.
-Avevi anche promesso che mi avresti presentato alla tua famiglia- mormorò Giada, lasciandosi sfuggire un piccolo sbuffo. Non parlavano anche di quella questione da tanto tempo, anche se Pietro aveva sempre saputo che, nonostante tutto, Giada ci teneva in modo particolare a conoscere i suoi genitori.
Si sentì un po’ in colpa per averla sempre tenuta così a distanza da quella parte di sé.
-È quello che ho intenzione di fare- le concesse, sospirando a fondo – Finita questa sessione d’esami sarò più libero, e potremo trovare un weekend per andare dai miei-.
-Va bene- Pietro si voltò verso Giada, osservandone il volto stanco – Lo sai che cerco sempre di non metterti fretta, di assecondare i tuoi spazi … Ma vorrei solamente mi lasciassi entrare un po’ di più nella tua vita-.
-Credo che sarà proprio questo che succederà prossimamente-.
Pietro sperò che Giada non cogliesse la punta di riluttanza che gli si doveva leggere nello sguardo in quel momento. Le voleva bene, di questo era sicuro, ma era altrettanto sicuro che non erano quelle le parole che avrebbe dovuto dirle. Fernando gli passò fugacemente in mente, e Pietro cercò di non badare troppo al rimorso che cominciò a provare subito dopo aver pronunciato quella frase a Giada, né al senso di colpa verso Fernando e le sue raccomandazioni.
“Non la ami. E non lo farai mai, perché lei non potrà mai darti quello che stai cercando sul serio”.
-Ora stai parlando solo dei tuoi genitori o anche della convivenza?- domandò Giada, aggrottando la fronte. Era evidente che si sentiva presa in contropiede, e che non si sarebbe aspettata qualcosa del genere. A Pietro venne quasi da ridere: in fin dei conti, forse nemmeno lei si fidava così tanto di lui come lasciava credere. Forse, in fondo, anche lei non aveva così tanta fiducia in loro due insieme.
“E come darle torto”.
-Anche della convivenza- Pietro sospirò a fondo, prima di posare una mano su una di Giada, stringendogliela appena – Te l’ho detto: stavo ripensando alla tua proposta. E stavolta ci stavo pensando sul serio-.
Di fronte allo sguardo stupito – piacevolmente stupito- di lei, Pietro sentì il cuore stringersi. Le stava facendo solo del male, a causa della sua codardia, e nonostante quella consapevolezza non ci poteva fare niente: non avrebbe ritrattato quelle sue stesse parole il giorno dopo, già lo sapeva.
-Aspetta- Giada si mise con la schiena dritta, avvicinandosi a lui con cipiglio deciso – Forse hai ragione a voler prima chiudere il capitolo università per fare un passo del genere. Lo posso capire. Forse ho insistito troppo su questo punto … -.
-No, va bene così. In fin dei conti mi laureo a giugno. Per quel periodo potresti già esserti spostata qui in pianta stabile-.
Pietro si morse un labbro, come a voler soffocare la voglia di urlare che no, non era proprio il caso di continuare quella farsa che era andata avanti già troppo a lungo.
Rimase invece in silenzio, senza correggersi e senza dare l’impressione a Giada che, in realtà, non andava affatto bene così.
-Ne sei sicuro?-.
La guardò per alcuni secondi che gli parvero un’eternità. Giada teneva le sopracciglia aggrottate, e qualcosa nel suo sguardo diceva a Pietro che lei per prima non sembrava credergli fino in fondo. Forse non se ne rendeva conto nemmeno lei, di come nei suoi occhi azzurri e limpidi si leggesse così tanto dubbio tutto insieme. Forse, in quegli anni, si era abituata a pretendere così poco da lui, che ora non le sembrava nemmeno possibile poter aspirare ad un cambiamento simile.
-Non è quello che vuoi?- le chiese, a mezza voce, il tono incolore di coloro che si arrendono a vivere una vita che non è la loro.
Giada lo guardò più intensamente, tornando a stringergli la mano:
-Sì, ma non sono sicura che sia anche quello che vuoi tu-.
Non era quello che voleva davvero, aveva ragione. Avrebbe voluto dimenticare la rabbia verso Alessio, il senso di tradimento che provava verso di lui, e anche verso se stesso per quella sua mancanza continua di coraggio che gli sarebbe servito per cambiare. E avrebbe voluto anche sotterrare il senso di colpa che in quel momento stava provando verso chiunque, anche verso Giada e le bugie continue con le quali la costringeva a convivere.
Ma era sempre troppo difficile volere tutte quelle cose, ed era troppo difficile anche solo pensare di riuscire a raggiungerle.
-Lo è. È quello che voglio-.
Per un attimo fugace Fernando gli tornò di nuovo in mente, lui e i suoi occhi scuri ed indagatori. E subito dopo ripensò ad Alessio, a quel loro bacio che forse gli avrebbe dato la forza sufficiente per smettere di fingere, e che invece lo aveva solo condannato ancora di più a portare avanti quella vita così finta.
“Meglio un amore fondato su una bugia, o il rancore fondato sulla verità?”.
Forse, semplicemente, era troppo debole per affrontare la verità.
 
Non ricordo di non ricordarti
Sei negli occhi e via da lì non scendi
Inseparabili ma separati

Come fai
Tu lo sai
A restare in superficie
E non sprofondi mai [1]
 
*
 
Cominciava a sentire caldo, ferma in piedi davanti ai fornelli accesi. Non che ci fosse davvero tutto quel calore, in cucina: per essere fine febbraio quella sera era abbastanza mite, ma ad accaldare così tanto Giulia era forse l’agitazione che si sentiva in corpo e che cercava inutilmente di ignorare dal giorno prima.
Era da quando aveva parlato con Caterina che si era detta di dover far partecipe Filippo dei suoi progetti: prima o poi avrebbe comunque dovuto farlo, e a quel punto era meglio agire il prima possibile.
Aveva passato ore intere ad immaginarsi fantomatiche conversazioni con lui, a creare il possibile dialogo che ne sarebbe potuto nascere. La verità era che, inevitabilmente, non aveva idea di come iniziare a parlare e, soprattutto, non aveva idea di cosa Filippo si sarebbe ritrovato a risponderle.
Anche in quel momento, mentre preparava la cena per quella sera, non riusciva a non pensarci. Si era sforzata di apparire il più naturale possibile con lui, ma in realtà covava una certa tensione già da più di ventiquattro ore.
-Facendo un po’ di ricerche in internet ho trovato un bel ristorantino appena fuori Verona-.
Giulia sussultò al suono della voce allegra di Filippo. Si voltò verso la soglia della porta, che lui aveva appena oltrepassato. Se ne era rimasto in camera per ore, seduto alla scrivania, intenzionato a scrivere almeno un intero capitolo della tesi.
Evidentemente, come Giulia poteva capire dal suo sorriso stanco, doveva essere riuscito nell’intento. E, a quanto pareva, era addirittura riuscito a ritagliarsi qualche minuto per delle ricerche.
-Non è molto grande, ma potrebbe fare al caso nostro- proseguì Filippo, raggiungendola. Non sembrava essersi accorto di averla spaventata per quel suo comparire improvviso.
-Allora ricordiamoci di farci un salto quando andremo- rispose vagamente Giulia, tornando con lo sguardo verso la padella dove stava cucinando del petto di pollo, tagliato in piccoli pezzi.
-Dovremo comunque provare a contattare vari posti, per decidere quale ci costerà meno senza avere un servizio misero-.
Filippo sembrava davvero allegro, al di là della stanchezza che gli segnava il viso. Giulia si sentì quasi in colpa: quasi le dispiaceva rischiare di rovinargli il buonumore con tutte le sue pare e i suoi dubbi, ma doveva pur rischiare.
-Ti devo parlare-.
Si morse il labbro subito dopo essersi sfuggita quella frase. Aveva studiato mille modi per iniziare il discorso con una parvenza di tranquillità, ed era finita comunque per scegliere il modo peggiore possibile per farlo.
Filippo sgranò gli occhi dopo un attimo di disorientamento, e Giulia dovette quasi trattenersi dal dirgli di far finta di non avere sentito nulla.
-Oddio. Ti stai ricredendo sul matrimonio?- la faccia disperata di Filippo sarebbe risultata comica in qualsiasi altra situazione diversa da quella – Oh, lo sapevo che era troppo presto, troppo azzardato! Dovevo … -.
-Filippo, frena- Giulia alzò entrambe le mani, cercando di calmarlo e farlo smettere di parlare – Non intendevo parlarti di questo. A dire il vero sono cose che non riguardano il matrimonio. Almeno non strettamente parlando-.
Filippo la guardò ancora una volta sorpreso, anche se senza quell’aria preoccupata che invece poco prima risultava più che evidente:
-Davvero? Mi sfugge di cosa vorresti parlarmi, allora. Devo preoccuparmi?-.
Giulia si voltò verso il fornello, con la scusa di dover girare il pollo per evitare che si bruciasse.
-Forse no- mormorò, sospirando.
Calò il silenzio, e si ritrovò inevitabilmente a chiedersi cosa e come avrebbe potuto continuare a parlare. Filippo la stava ancora fissando: sentiva il peso del suo sguardo alle spalle, senza alcuna via di fuga. A Giulia sembrava quasi di essere appena stata inchiodata al muro, impossibilitata a ritirare le parole appena pronunciate.
-Ascolta, non te ne ho parlato prima perché … - si sentì impacciata, ma si sforzò di tornare a voltarsi verso l’altro – Il perché non lo so, forse mi sentivo stupida io stessa. Ma Caterina mi ha consigliato di parlarne con te, e ha ragione: devo parlarne con te, perché sebbene ti stia per dire alcune scelte che vorrei intraprendere per la mia vita … Beh, devi saperle anche tu, perché ormai la mia vita è legata anche alla tua. E poi voglio sentire anche la tua opinione-.
Si era ritrovata a gesticolare febbrilmente, e smise solo quando Filippo le ebbe posato una mano sulla spalla. Di nuovo le sembrava più preoccupato che altro:
-Mi stai un po’ spaventando così. Sei sicura che vada tutto bene?-.
Giulia si morse ancor di più il labbro, lo sguardo abbassato sulla padella e sul pollo che stava rigirando lentamente con un mestolo.
Non era sicura della risposta che avrebbe voluto dare. Andava tutto bene? Non lo sapeva davvero. Sapeva solo che in quell’ultimo mese tutte le sue certezze sembravano essere crollate su se stesse, come carta pesta.
Sapeva solo quello. Non sapeva nemmeno come avrebbe potuto reagire Filippo, al solo dirgli che stava cercando annunci di lavoro da almeno una settimana, e che sempre più spesso finiva per immaginarsi loro due con un bambino in braccio.
In quel momento le sembravano più i deliri di una ragazzina confusa, ma tirarsi indietro una volta giunta a quel punto, forse, sarebbe stato ancora peggio.
-Voglio lasciare l’università dopo la sessione estiva. E per lasciarla non intendo abbandonare gli studi definitivamente, solo rimandarne la conclusione-.
Non trovò subito il coraggio di girarsi a guardare Filippo. Riusciva comunque ad immaginarsi il suo viso in quel momento: se lo raffigurava in mente come un dipinto di sorpresa, né in negativo né in positivo. Solo sorpresa.
-Ma perché?- lo sentì domandare dopo alcuni secondi, la voce più bassa e a tratti esitante.
Giulia si ritrovò a sospirare a fondo, spegnendo il fornello e allontanandosi dal bancone della cucina velocemente:
-Perché sento che non è più quello che voglio-.
Riempì i due piatti già in tavola con il pollo, e si sedette dopo aver riposto la padella nel lavandino.
Non aveva più fame, e non dovette sforzarsi molto per trattenersi dall’iniziare a mangiare, mentre aspettava che Filippo la raggiungesse a tavola.
-Giulia, credo che per te sia importante finire gli studi, non puoi sottovalutare l’importanza di una laurea magistrale- Filippo se ne stava ancora in piedi, di fianco a lei, come se non si fosse nemmeno accorto della cena pronta nel piatto.
-Lo so, ma ora come ora vorrei far fruttare la laurea che già ho- Giulia si passò una mano sul viso, nervosamente – Ho guardato qualche annuncio di lavoro in giro-.
-Vuoi trovarti un secondo lavoro?- Filippo la interruppe, guardandola interessato. Si sedette all’improvviso, di fronte a lei, continuando a fissarla con lo stesso cipiglio incuriosito e angosciato allo stesso tempo.
-Non un secondo, uno nuovo- spiegò Giulia, rigirandosi la forchetta tra le dita, senza però toccare il cibo nel piatto – Uno che abbia a che fare con la mia laurea, perlomeno. Che sia pagato meglio, che mi dia più soddisfazioni-.
Sperava di riuscire a convincere Filippo con quelle parole. Probabilmente avrebbe continuato a cercare altri annunci anche senza la sua approvazione, ma in quel momento avrebbe desiderato il suo appoggio più di qualunque altra cosa.
-Mi sono segnata alcuni annunci, per ora. Proverò a mandare via qualche curriculum-.
-E se … Se non ti chiamassero per un colloquio?- Filippo sembrava già meno agitato rispetto a qualche minuto prima. Doveva aver digerito il senso di disorientamento dovuto alla sorpresa, passando alla fase successiva: cercare di comprendere quella che era l’idea di Giulia.
Aveva perfino cominciato a mangiare, quasi fosse una normale serata e quella una conversazione quasi superficiale; Giulia non sapeva se considerarla una cosa positiva o meno.
-Continuerei a provarci per un altro po’ di tempo, e se non dovesse funzionare forse rivedrei le mie idee riguardo l’università- rispose lei, che a quella domanda, in realtà, non aveva ancora trovato una risposta certa –Però prima di mollare voglio almeno provarci-.
Passarono alcuni secondi, prima che qualcuno tra loro dicesse qualcosa. Giulia si era convinta a mangiare un pezzetto di pollo, lo stomaco ancora chiuso; Filippo, invece, sembrava essere completamente assorbito dai suoi pensieri e dalla cena. Non spiccicò parola per alcuni minuti, prima di spezzare il silenzio:
-Va bene-.
Giulia sgranò gli occhi, non sicura di aver capito:
-Va bene?-.
-Nel senso: continuo a credere che forse non dovresti buttare all’aria tutto quello che hai fatto finora- Filippo si schiarì la voce, gesticolando febbrilmente – Ma se troverai un nuovo lavoro che ti piacerà, e ti sentirai più realizzata così … Allora va bene-.
Giulia si ritrovò a tirare quasi un sospiro di sollievo. Rilassò il corpo, fino allora rimasto rigidamente fermo in attesa di una qualsiasi risposta di Filippo. Avrebbe voluto alzarsi per abbracciarlo, ma qualcosa la costrinse a rimanere dov’era. La consapevolezza che quella discussione non era affatto finita non le lasciò molti altri attimi di serenità.
-Vorrei parlarti anche di un’altra cosa- stavolta la voce le uscì meno sicura, a malapena udibile – Una cosa un po’ difficile da spiegare-.
Di nuovo Filippo si ritrovò ad osservarla disorientato:
-Ti ascolto-.
Giulia prese l’ennesimo respiro profondo. Le tornò in mente la reazione che aveva avuto Caterina quando le aveva rivelato ciò che stava per dire anche a Filippo, e quasi scoppiò a ridere per il nervosismo.
Forse Filippo avrebbe reagito allo stesso modo, o forse si sarebbe messo a ridere anche lui, credendola impazzita.
-Ti ricordi l’anno scorso, quando pensavi fossi io quella incinta, e non Caterina?-.
Le sfuggì un sorriso fugace, nel rievocare la giornata in cui Filippo le aveva confessato di averla creduta incinta. In quel momento le era sembrata una situazione buffa. Adesso, invece, ci ripensava e trovava una nota di dolcezza nel modo in cui Filippo le aveva parlato agitato ed emozionato com’era.
In un certo senso sperava di ottenere una reazione simile anche quella sera.
-Mi ricordo eccome- anche Filippo si lasciò sfuggire una risata leggera –Ero terrorizzato e felice allo stesso tempo-.
La sua risata allegra ed imbarazzata le infuse una sorta di coraggio che le era mancato fino a quel momento. Giulia alzò un po’ il viso, incrociando fugacemente gli occhi dell’altro:
-Ultimamente penso spesso a come potrebbe essere avere un figlio. Un figlio nostro-.
Non si aspettava una risposta immediata, per niente. Non rimase quindi sorpresa nel constatare che, in effetti, Filippo sembrava essere appena caduto in trance: la teneva osservata con gli occhi spalancati, d’un tratto sbiancato in viso e i muscoli facciali tesi in un’espressione totalmente scioccata.
Giulia si chiese se non fosse il caso di tranquillizzarlo e dirgli che stava solo scherzando, prima che varcasse anche l’ultimo passo verso l’aldilà.
-Aspetta. Comincio a non seguirti- Filippo sembrò ritrovare la voce un minuto dopo, durante il quale Giulia si era trattenuta a stento dall’alzarsi per capire se ancora respirava. Forse avrebbe quasi preferito ottenere una reazione come quella di Caterina.
-Penso solo che mi piacerebbe avere un figlio, tra non molto- Giulia si sforzò di non gesticolare e di non parlare troppo in fretta, anche se i suoi tentativi furono quasi del tutto inutili – Oddio, non lo so quando! Solo... Tra non molto-.
-Non riesci a dare una definizione più precisa di “tra non molto”?- domandò Filippo, la voce stridula e a tratti isterica. Giulia lo guardò scettica, pentendosi amaramente di aver intrapreso quell’argomento:
-Non credo di poterti dire la data esatta in cui rimarrò incinta- .
Aveva parlato troppo acidamente, e Filippo non aveva potuto fare altro che scuotere appena il capo, con fare confuso:
-Non so cosa dire-.
Giulia si ritrovò inconsapevolmente a stringere nella mano il tovagliolo, appallottolandolo nervosamente. Lo sguardo perso di Filippo era probabilmente la cosa che temeva di poter vedere di più dopo quello che gli aveva appena rivelato; avrebbe preferito mille volte una posizione contraria e decisa a quegli occhi disorientati che la tenevano fissata.
-Allora fa parlare me- le tremò un attimo la voce, e si schiarì la gola per camuffare quel tentennamento che, però, Filippo di sicuro doveva aver notato – Non so bene perché mi sia venuto in mente. O meglio, ho sempre pensato che avrei voluto dei figli con te, più avanti. Ma ultimamente, forse perché ho avuto a che fare con Francesco quasi ogni giorno, o per qualsiasi altro oscuro motivo, ci sto pensando davvero molto-.
Sentì Filippo sospirare a fondo, mentre si lasciava scivolare contro lo schienale della sedia. Lo osservò mentre si passava una mano tra i corti capelli ricci, l’aria riflessiva di quando pensava troppo:
-Dobbiamo ancora sposarci- borbottò infine, ancora esitante.
-È vero- si ritrovò a convenire Giulia – Ma tra poco tu ti laureerai, forse per quel tempo io starò già lavorando da un po’ … -.
-Non ti sembra presto in ogni caso?-.
Giulia non riuscì più a trattenersi: si alzò quasi di scatto, forse troppo velocemente per non far trasalire Filippo. Lo raggiunse in due passi, abbassandosi alla sua altezza e congiungendo le mani alle sue:
-Ascolta, non voglio convincerti a fare qualcosa che non vuoi, soprattutto una cosa del genere. Se non te la senti posso capire e  … -.
-È che in realtà ultimamente non ci avevo pensato- la interruppe lui, ricambiando la stretta alle mani di Giulia – Dopo quell’equivoco sì, ma non negli ultimi mesi-.
Dopo qualche secondo le labbra di Filippo si incurvarono in un piccolo sorriso, come se gli fosse appena tornato in mente un ricordo piacevole:
-Sai, quando l’anno scorso pensavo tu fossi incinta è stato strano. All’inizio non capivo niente, assolutamente niente. Forse non avevo realizzato come sarebbe potuta essere la nostra vita da quel momento in poi, neanche quando te l’ho chiesto. Ma almeno in quel momento avevo capito una cosa: sarei rimasto qualunque cosa sarebbe successa. E lo penso tuttora-.
Il sorriso di Filippo non appariva più esitante ed appena accennato: quello che in quel momento stava rivolgendo a Giulia era, stavolta, un sorriso luminoso e sicuro. Sembrava quasi essersi infuso forza con le sue stesse parole, dopo lo smarrimento iniziale.
Inevitabilmente, anche Giulia sentì un sorriso nascerle in viso:
-Non sai quanto sia importante per me sentirtelo dire-.
Filippo le strinse maggiormente le mani, trascinandola più vicino a sé; a Giulia venne quasi naturale sedersi sulle sue gambe, buttandogli le braccia al collo per tenersi più vicina a lui. Era una bella sensazione, quella di cullarsi tra le braccia di Filippo, strette intorno alla sua vita, dimenticandosi per un attimo della tensione che l’aveva tenuta rigida fino a quel momento.
-Senti davvero di voler un figlio?-.
Quella domanda di Filippo era risuonata nel silenzio della stanza quasi come una carezza delicata, la voce bassa e che Giulia non avrebbe udito se si fosse trovata anche solo dall’altro lato del tavolo.
-È difficile da spiegare- mormorò lei, senza staccarsi dal capo dell’altro, con i capelli ricci di Filippo che le solleticavano la pelle della guancia – Penso che se capitasse a breve ne sarei terrorizzata, ma anche felice. Certo, se capitasse quando tu ti sarai laureato e io trovato un nuovo lavoro sarebbe magnifico-.
Un attimo dopo si trovò a staccarsi di qualche centimetro da lui, giusto lo spazio per riuscire a guardarlo in viso:
-Ma non sono l’unica che deve volerlo. Non sarei da sola in una situazione del genere-.
Non si sarebbe aspettata di incrociare di nuovo il sorriso di Filippo. Era come se il disorientamento dovuto alle scelte che Giulia gli aveva appena chiesto di fare fosse passato in secondo piano, sostituito dal bisogno di farle sapere che, nonostante tutto, ci sarebbe sempre stato.
-Credo ci dovrò pensare. E vedremo cosa succederà quando sarà il momento-.
 
*
 
-Credo che se dovessi scendere le scale, finirei per rotolare giù fino al pianterreno- disse Fernando, con una serietà tale che per poco Pietro non scoppiò a ridergli in faccia.
Rimaneva sempre più allibito dalla capacità dell’altro di dire le cose più ridicole con l’espressione più seria e composta possibile, e lasciarsi andare invece a pensieri intricati e profondi come se stesse parlando del meteo.
-Sei proprio melodrammatico- gli bofonchiò alle spalle, pur lasciandosi scappare comunque un mezzo sorriso che, grazie al cielo, Fernando non avrebbe potuto scorgergli in faccia.
-No, è il mio stomaco che sta per scoppiare- insistette lui, facendo girare le chiavi nella toppa e finalmente aprendo la porta d’ingresso del suo appartamento. Pietro varcò quella soglia consapevole che quella seconda volta il suo animo non era agitato e tormentato quanto la prima. Rimaneva sempre un po’ di imbarazzo, soprattutto se si fermava a considerare con chi stesse passando il suo tempo, ma stavolta andava molto meglio. Perlomeno non gli stava venendo voglia di scappare come era successo la sera in cui Fernando l’aveva invitato a cena lì dentro.
Avanzarono fino al piccolo salotto, dove Fernando non attese altro tempo prima di buttarcisi quasi a peso morto, sedendosi così stravaccato da sembrare svenuto. Pietro lo imitò in maniera molto più sobria, sedendoglisi accanto, e osservandolo di sottecchi mentre l’altro teneva gli occhi chiusi.
-Ero convinto che avresti detto di no alla mia proposta di uscire- mormorò Fernando con fare pensieroso, dopo alcuni secondi di puro silenzio.
Pietro poteva capire come mai lo credesse. Era rimasto stupito lui stesso quando, qualche giorno prima, aveva ricevuto il messaggio di Fernando in cui gli chiedeva se per caso gli andasse di uscire ancora con lui. Sempre in amicizia, come aveva specificato alla fine del messaggio.
Per quanto la prima volta che si erano incontrati da soli fosse stata una serata difficile da affrontare, Pietro non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stata la sua risposta a quella proposta. Aveva così tanto bisogno di parlare con qualcuno senza alcun filtro, di raccontare gli sviluppi con Giada e di tutta la turbolenza che si portava dietro da allora, che probabilmente se Fernando non si fosse fatto vivo sarebbe stato lui stesso a contattarlo.
-Anzi, a dire il vero ero convinto che mi avresti bloccato il numero-.
Pietro rise leggermente:
-Forse ci ho pensato- disse, più per stuzzicarlo che per sincerità – Ma non l’ho fatto. Non sono così stronzo-.
Gli venne facile scherzare a quella maniera. Era stato facile parlare dal primo minuto in cui si erano incontrati quella sera, davanti alla pizzeria dove avevano cenato. Pietro era rimasto sorpreso anche di quello, ma non si era posto troppe domande: forse, semplicemente, bastava non sentirsi troppo in ansia per trovare Fernando una persona a cui parlare era facile.
-Perché pensavi che non sarei venuto?- gli chiese, curioso di sapere il suo punto di vista sulla questione.
-Perché quando te ne sei andato l’altra volta mi sembravi parecchio scioccato- rispose Fernando, senza remore – E forse perché credo di essere sembrato un po’ stronzo-.
-Per avermi fatto parlare di Alessio anche se non volevo?- lo incalzò Pietro.
Fernando annuì, finalmente riaprendo gli occhi:
-Esatto. Volevo farti capire che con me ti potevi aprire e che ti potevi fidare, ma non credo di aver scelto il metodo migliore. Mi dispiace-.
Pietro lo guardò con un sopracciglio alzato: non si era aspettato del tutto un risvolto del genere. Era vero che, sin dal primo momento in cui si erano incontrati quella sera, Fernando aveva avuto un atteggiamento molto più rilassato rispetto alla cena che avevano condiviso un mese prima, ma non l’aveva ricollegato ad un volere preciso. Ed era altrettanto vero che sì, era stata dura parlare di Alessio con qualcuno che era pressoché un totale sconosciuto, ma gli era servito.
-No, in realtà credo sia stato un bene averne parlato- ammise, abbassando per qualche secondo lo sguardo – Anche se effettivamente me ne sono andato che ero un po’ sotto shock-.
Ommise totalmente il fatto che lo shock fosse più dovuto al loro bacio, che non all’aver parlato apertamente di quel che provava per Alessio. Era piuttosto convinto che Fernando sapesse comunque a cosa si riferiva.
-Ci sono stati sviluppi tra voi due in questo mese?-.
A Pietro venne quasi da sbuffare ironicamente:
-Circa … Credo fosse quasi sul punto di volermi parlare, tempo fa. Ma ovviamente non l’ha fatto-.
“Come sempre, d’altro canto”.
Fernando annuì, di nuovo con aria riflessiva. Sembrava perso in chissà quali pensieri, e Pietro si ritrovò a domandarsi se li avrebbe mai condivisi. La risposta arrivò dopo un minuto di silenzio, quando ormai pensava che quella parte di conversazione fosse inevitabilmente finita in un punto morto.
-Sai, ci ho riflettuto- esordì Fernando, ora completamente voltato nella sua direzione – Tu sei convinto che lui faccia finta di non ricordarsi niente per non dovere dare spiegazioni, ma non è che magari crede che tu ce l’abbia con lui? In fin dei conti, se lui ti crede etero, potrebbe pensare che il fatto che ti abbia baciato ti potrebbe aver fatto schifo e di conseguenza lo stai evitando. Le persone bi e pan affrontano parecchia discriminazione e pregiudizi, sotto alcuni punti di vista anche più di noi omosessuali-.
Pietro scosse il capo, piuttosto convintamente:
-Non lo penserebbe mai, non conoscendomi. Magari sarebbe imbarazzante, ma non mi comporterei mai così e lo sa-.
Fernando non sembrò altrettanto certo:
-Non lo so. È una situazione complicata anche dal suo punto di vista, se ci pensi-.
-Ci eravamo baciati anche un’altra volta, anni fa. Non come a dicembre, stavamo facendo il gioco della bottiglia. Ed è stato lui a reagire male, anche quella volta- disse, ricordandosi perfettamente degli eventi in Puglia – Come se si sentisse insicuro-.
“Come se non volesse cedere all’idea che, forse, tra noi potrebbe esserci più di un’amicizia”.
-Il tuo amato ha una psiche un po’ complicata, allora-.
Pietro rise, ma solo in parte: sapeva che Fernando l’aveva detto con sarcasmo, e in parte non poteva nemmeno dargli torto, ma non poteva ignorare certi eventi del passato di Alessio. Non a cuor leggero.
-Non ha avuto una vita semplice-.
-Neanche tu, però- obiettò Fernando – Credo che nessuno, seppur in modi diversi, può dire di aver sempre avuto una vita facile-.
“La mia è descrivibile come un inferno, che sto plasmando con le mie stesse mani”.
Pietro tenne quelle parole per sé. Non ebbe il coraggio per pronunciarle apertamente, e forse in fondo era consapevole che Fernando potesse intuire da solo quella che sarebbe stata la sua risposta. Potevano essersi visti solo una manciata di volte, ma era come se Fernando riuscisse a leggerlo con una semplicità disarmante.
Era contento di aver lasciato perdere l’ansia e l’ostilità con cui gli si era rivolto la sera della cena un mese prima: era di gran lunga meglio parlare apertamente senza troppe pare.
-Volevo vederti anche per dirti una cosa-.
Fernando si girò di nuovo verso di lui, evidentemente incuriosito.
-Ho proposto a Giada di venire a vivere da me- esalò Pietro, con voce monocorde – So che non apprezzerai la scelta, ma non sapevo che altro fare. È come se quel che è successo con Alessio mi avesse spinto a soffocare ancor di più tutto quello che ho dentro-.
Non sarebbe dovuta essere quella la motivazione per spingerlo ad iniziare una convivenza con la persona che aveva accanto, ma la vita era imprevedibile. E la sua, di vita, non aveva nulla di ordinario, non in quegli ultimi anni.
-Innanzitutto, anche se non condivido non vuol dire che possa giudicarti- Fernando parlò con sorprendente dolcezza, come se stesse cercando di incoraggiarlo – Certo, il mio primo pensiero è che ti stai facendo del male deliberatamente da solo, ma la vita è tua e fai quel che ti pare-.
Pietro quasi rise nell’avere la conferma che Fernando aveva capito benissimo cosa stesse combinando, senza che fosse lui a doverlo ammettere.
-Lei ne è stata felice?-.
Pietro alzò le spalle:
-Penso di sì. Me l’aveva chiesto già l’anno scorso-.
-E avevi temporeggiato-.
-Sì. Ma le cose erano diverse allora-.
“Alessio non mi aveva dato l’ennesima illusione”.
-Se lo dici tu … - Fernando non sembrò molto convinto – Fai ancora in tempo a tirarti indietro-.
-Poi dovrei dare spiegazioni che non voglio dare-.
-Puoi sempre dirle almeno una parte della verità, almeno al momento- gli fece notare Fernando. Pietro lo guardò incerto:
-Cioè che non la amo? Non lo so … - si morse il labbro inferiore – La presenza di Giada mi fa sentire al sicuro. Non sono solo. Ed è come se rappresentasse l’ultimo ostacolo prima di fare una pazzia-.
-Che tipo di pazzia?-.
Pietro aveva la risposta pronta:
-Tipo andare da Alessio e dirgli tutto-.
A quelle sue parole, inaspettatamente, Fernando scoppiò a ridere di gusto:
-Allora non è tanto una pazzia, tío-.
-Lo è- replicò Pietro, rosso in viso, imbarazzato da morire dal modo in cui l’altro aveva reagito – Non sono ancora pronto a … A farlo sapere a troppa gente. A volte me lo immagino e mi sembra un incubo-.
Aveva scelto forse parole troppo forti, ma non troppo lontane da quella che era davvero la sua realtà. Quasi faticava ad immaginarsi un coming out, tanto era il terrore che attorniava anche solo il pensiero di farlo.
Certo, magari tra tutti Alessio sarebbe stato il meno problematico, ma di certo aggiungere il dettaglio che era innamorato di lui avrebbe riportato in pari il livello di difficoltà di quella situazione.
Pietro sospirò a fondo, lasciandosi crollare contro lo schienale del divano. Era calato il silenzio immobile che vi era prima che rientrassero nell’appartamento, anche se mancava il disagio che aveva riempito i momenti morti la prima volta che era entrato lì dentro.
-Ti ricordi quando ti avevo detto che anche io ho avuto un’esperienza simile alla tua?-.
La voce di Fernando non era sembrata tesa, ma nemmeno serena come prima. Pietro si voltò verso di lui, scrutandolo curioso, ed annuì.
Fernando era serio in viso, e anche se non dava l’aria di essere agitato, era evidente che non sapesse bene come cominciare a parlare. Perché era quello che stava per fare, Pietro ne era sicuro: aveva la sensazione che stavolta sarebbe toccato a lui ascoltare.
-Adesso tu mi hai conosciuto come una persona che non si fa assolutamente problemi a mettere in chiaro da subito di essere gay- disse Fernando, dopo un po’ – Non fingerei mai di essere qualcosa di diverso da quello che sono, ma non è sempre stato così-.
Tacque di nuovo, e Pietro capì che non gli stava venendo del tutto facile lasciarsi andare a quelle confidenze. Gli venne istintivo aprire bocca per dirgli che non gli doveva spiegazioni, ma Fernando parlò di nuovo prima che potesse farlo:
-È difficile parlarne, ma la scorsa volta tu hai parlato di Alessio anche se era complicato- Fernando lo guardò intensamente, come se stesse cercando ancora sufficiente coraggio per proseguire – Ti sei fidato di me, e ora sono io che voglio fidarmi di te. Ricambierò il favore con una storia che non racconto mai-.
Aveva concluso quella frase con un sorriso malinconico, e in un certo senso Pietro pensò che quel tipo di sorriso gli si adattasse molto. C’erano lati di Fernando che ancora non conosceva, ma che sembravano nascondere del coraggio striato da un velo di malinconia che non se ne andava mai. Era qualcosa che non si notava subito, ma che Fernando lasciava trasparire in momenti fugaci.
-Quando avevo sedici anni mi sono reso conto per la prima volta di essere gay-.
Fernando era tornato a poggiare il capo contro lo schienale, e non stava guardando direttamente Pietro, come se stesse iniziando a raccontare più a se stesso che a lui.
-Era piuttosto palese anche prima, ma tra omofobia interiorizzata e paura di quel che avrebbero pensato gli altri non lo ammettevo nemmeno a me stesso. Così a diciotto anni mi sono trovato persino una ragazza- si lasciò andare ad una risatina priva di divertimento – Inutile dire che è durata poco ed è andata malissimo-.
A Pietro venne quasi da piangere nel rendersi conto quante cose, in realtà, loro due avessero in comune. Per Fernando non era più così, ma un tempo era stato esattamente come Pietro. Cominciava a capire come mai avesse intuito così tante cose di lui senza conoscerlo da molto tempo.
-Ho sofferto molto, non per causa sua, ma perché mi stavo imponendo qualcosa che mi faceva stare male- Fernando riprese a parlare, un po’ più disteso – Non è stato tutto automatico, ovviamente, ma poco dopo la fine delle superiori decisi di parlarne con i miei genitori. Mi ricordo ancora perfettamente il momento: eravamo a Tarragona per le vacanze, come ogni estate da quando avevo cinque anni, l’età che avevo quando siamo venuti qui a Venezia. E gliel’ho detto. L’ho detto senza giri di parole, e mi sono sentito bene per la prima volta in vita mia-.
“Mi sentirei così anche io, se ci provassi?”.
-E loro che ti hanno detto?- azzardò a chiedere Pietro, in ansia.
C’era qualcosa nell’espressione di Fernando che gli faceva supporre quale potesse essere la risposta, ma cercò di non essere troppo avventato nelle sue conclusioni. Il sorriso mesto di Fernando, però, sembrava parlare da solo.
-Niente-.
Fernando lo disse con una naturalezza tale, come se fosse ormai abituato a rispondere a quella domanda in quel modo, che fece ancor più tristezza a Pietro di quanto non lo avrebbe fatto un racconto drammatico.
-Assolutamente niente- disse ancora Fernando – Credo di aver cominciato ad odiare il silenzio da quel momento-.
“Il silenzio può fare male più delle parole, a volte”.
-C’era qualcosa di stonato, e dalla loro mancata risposta avevo già capito che li avevo sorpresi-.
E nonostante tutto, nonostante il dolore che quelle parole lasciavano trasparire sebbene la voce calma di Fernando, Pietro chiese ancora:
-E poi?-.
Fernando lo guardò per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare:
-Secondo te perché vivo qua da solo?-.
Pietro non rispose, limitandosi a ricambiare lo sguardo con espressione attonita. Era tutto fin troppo intuibile.
-Nulla di tragico, in realtà- Fernando scosse il capo con lo stesso sorriso di sempre, come a voler tranquillizzare più lui che se stesso – Diciamo che non hanno mai detto nulla di omofobo esplicitamente, ma mi hanno fatto capire quanto mi rifiutassero con il silenzio. Era come se fossi sparito. Non hanno fatto nulla di eclatante, ma sono stati tanti piccoli gesti che alla fine mi hanno fatto capire che non avrei avuto il loro appoggio. Quando ho iniziato l’università hanno preferito pagarmi un appartamento dove starmene da solo, nella loro stessa città, piuttosto che farmi restare a vivere con loro-.
Pietro si chiese se potesse essere peggiore la reazione dei genitori di Fernando, o un rifiuto palese e definitivo. Forse lui non sarebbe mai riuscito a sopravvivere in nessuno dei due casi: cercò di immaginarsi una situazione simile tra lui e i suoi genitori e i suoi fratelli, o addirittura con i suoi amici, e gli venne la nausea.
-Se vivi ancora qui immagino che non sia ancora cambiato niente- lasciò andare quelle parole a mezza voce.
-No, non è cambiato- Fernando scosse di nuovo il capo – Non dico che il sapere che i miei genitori segretamente mi disprezzano mi lasci indifferente, perché mentirei. La cosa mi ferisce molto-.
Ecco cosa c’era dietro il sorriso malinconico di Fernando. Pietro si ritrovò ad osservarlo come se fosse la prima volta, rendendosi conto di quanto Fernando nascondesse dietro un’apparenza di tranquilla vivacità. Si chiese se anche lui, agli occhi degli altri, apparisse in un modo così distante da ciò che in realtà si teneva dentro ogni giorno.
-Ma non tornerei mai indietro-.
Fernando sembrò quasi intuire i suoi pensieri, e la mano che gli posò sulla spalla sembrò voler consolare più lui che non se stesso.
-E ho trovato molte altre persone che mi vogliono bene in questi anni, e che non trovano alcun difetto in me. O almeno, il mio essere gay non è visto come un difetto- disse, prima di ridere – Ho tanti difetti, in realtà. Non posso peccare di superbia in modo così esplicito-.
Pietro avrebbe voluto ridere alla battuta, ma non ci riuscì:
-Quindi non te ne sei pentito?-.
Sapeva già la risposta: bastava guardare il viso fiero di Fernando.
-Per niente-.
Pietro rimase in silenzio. Ricordava la sensazione di invidia che aveva provato nei suoi confronti la prima volta che l’aveva incontrato, quel suo essere libero e menefreghista dei possibili giudizi. Si era chiesto come sarebbe potuto essere come lui tante volte, senza mai giungere ad una risposta.
Ma ora l’ammirazione sovrastava di gran lunga qualsiasi altro sentimento. E c’era anche riconoscenza, perché nessuno gli aveva mai rivolto parole in cui si rispecchiava così tanto come quelle dette da Fernando.
Non ebbe il tempo di trovare qualcosa da dire, perché Fernando sembrò riprendersi subito dal silenzio appena calato: si batté le mani sulle cosce, e poi si alzò subito dal divano, scattando come una molla.
-Vieni. Ho voglia di fumare una sigaretta- gli disse, lanciando un cenno con la testa nella direzione del terrazzino raggiungibile dal salotto.
Pietro lo seguì ancora in silenzio. Non aveva voglia di fumare, non mentre aveva ancora tutti quei pensieri in testa, ma non aveva nemmeno voglia di rimanere solo.
Quando uscirono fuori l’aria della sera invernale gli sferzò il viso. Si ritrovò a ringraziarsi mentalmente per aver recuperato la giacca pesante, prima di uscire in quel terrazzino in cui non c’era spazio nemmeno per una sedia. La vista era una delle più comuni di Venezia: altri tetti dei palazzi vicini, un canaletto che nella notte era a malapena visibile quando si abbassava lo sguardo.
Fernando tenne il cellulare in mano fino a quando non ebbe deciso che musica far partire, e solo dopo lo posò sul piccolo tavolino nell’angolo del terrazzo. E poi, solo dopo quella serie di operazioni, tirò fuori due sigarette dal pacchetto che teneva in tasca, insieme ad un accendino giallo.
La notte si riempì delle note di una canzone dalle sonorità anni Ottanta, e Pietro si ritrovò a pensare che si adattava particolarmente alla figura di Fernando.
-Oh, siamo fortunati con la riproduzione casuale, stasera- rise lui, allegro.
Pietro non conosceva la canzone, ma sapeva – e gli bastava osservare il suo sorriso allargarsi sempre di più, e il volto farsi felice- che per Fernando non era lo stesso.
-“Let's dance in style, let's dance for a while, heaven can wait, we're only watching the skies hoping for the best but expecting the worst. Are you gonna drop the bomb or not?”- Fernando si mise a cantare con sempre più convinzione, gli occhi chiusi e concentrato - “Let us die young or let us live forever, we don't have the power but we never say never. Sitting in a sandpit, life is a short trip, the music's for the sad men”-.
A Pietro venne quasi da ridere, non perché Fernando fosse stonato, ma per il trasporto con cui aveva seguito le parole della canzone. Era un entusiasmo tipico di chi non apprezza solo la musica in sé, ma di chi vi ha ricordi legati.
-La conosci?-.
Pietro scosse il capo:
-Credo di averla sentita qualche altra volta, ma non ne sono troppo sicuro-.
Fernando gli sorrise dolcemente, e Pietro seppe che era pronto a condividere un’altra parte di sé con lui:
-Questa è la canzone che ascoltavo in quel periodo. Quello in cui ho deciso di smettere di nascondermi-.
Lo disse piano, ma nonostante la musica continuasse ad andare a tutto volume, rompendo l’atmosfera solitaria della sera, Pietro udì ogni sfumatura delle sue parole.
 
It's so hard to get old without a cause
I don't want to perish like a fading horse
Youth's like diamonds in the sun
And diamonds are forever
 
-È letteralmente la colonna sonora del me adolescente che stava decidendo di non sprecare altro tempo- proseguì Fernando, gli occhi che gli brillavano – Perché fingere era questo: perdere tempo-.
Pietro questo lo sapeva, e forse fu quella consapevolezza a spingerlo a rimanere in silenzio. Fernando era riuscito a prendere in mano la sua vita appena diciannovenne, facendo dei sacrifici, rischiando e alla fine perdendo anche la sua stessa famiglia, eppure non c’era traccia di pentimento in lui. Avrebbe tanto voluto avere anche lui quella forza, e il coraggio di non guardarsi indietro.
Fernando gli posò ancora una volta la mano libera dalla sigaretta su una spalla:
-E ho capito che cercare di essere diverso da me stesso mi faceva stare molto peggio del pensiero di quel che sarebbe potuto succedere nel fare coming out-.
 
So many adventures couldn't happen today
So many songs we forgot to play
So many dreams swinging out of the blue
We let them come true
 
-Ti ci vedo a cantarla a squarciagola con una bandiera arcobaleno addosso- lo prese in giro Pietro, anche se dentro di lui avrebbe tanto voluto dire la stessa cosa di sé.
Fernando rise di gusto:
-Non ho mai fatto qualcosa di così tanto eclatante, ma grazie per avermi dato l’idea. Magari al prossimo Pride lo faccio-.
“Chissà se riuscirò mai anche solo a prendere in considerazione l’idea di metterci piede, ad un Pride”.
Eppure, si ritrovò a pensare Pietro, a quando pare c’era stato un tempo in cui anche Fernando aveva finto di essere qualcos’altro diverso da se stesso. Solo che lui poi aveva avuto sufficiente fegato per cambiare le cose.
Doveva aver assunto un’espressione abbattuta visto il modo in cui Fernando lo stava osservando. Gli si fece più vicino, non mollando il contatto sulla sua spalla.
-Prima o poi arriverà anche la tua canzone che ti farà capire che hai il diritto di vivere la tua vita come sei-.
Pietro lo sperava, lo sperava davvero. Si aggrappò con così tanta forza a quelle parole, a quell’espressione di fiducia nei suoi confronti, che pensò che non se le sarebbe mai dimenticate.
Forse aveva ragione Fernando: anche per lui sarebbe venuto il momento giusto.

 
Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever?
Forever, and ever
Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever?
Forever, and ever
Forever young, I wanna be forever young
Do you really want to live forever? [2]
 

 
[1] Emma - "Occhi profondi"
[2] Alphaville - "Forever young"
*il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantante e ai loro autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
È proprio il caso di dire "un titolo, un programma". E alla fin fine, proprio di questo si tratta: di scelte.
Diverse sono le scelte che devono essere prese, e la prima a cui tocca questo arduo compito sembra essere proprio Giulia. Una Giulia pensierosa, titubante, che non sa bene cosa sia meglio per lei ora: finire gli studi che aveva intrapreso oppure ascoltare l'istinto e seguire altre strade di vita. Dopo un primo confronto con Filippo, quest’ultimo non sembra comprendere pienamente le scelte e le volontà della sua ragazza, ma nonostante ciò non le fa mancare il suo appoggio. Il futuro di Giulia, dunque, è ancora molto nebuloso, e chissà se in un futuro più o meno prossimo arriverà questo pargolo tanto menzionato!
E poi, veniamo al tasto dolente: Pietro, che sembra aver preso determinate scelte per la sua vita futura. Ha, infatti, scelto forse la via più socialmente accettata (ma non necessariamente la più facile) cedendo alla paura e accettando di iniziare una convivenza con Giada. Di certo quel che è successo con Alessio non ha fatto altro che portarlo ancora di più verso questa scelta (quanto è azzeccata la citazione "Inseparabili ma separati" per questi due?). La sua seconda scelta, invece, è quella di rivedere Fernando.
Il loro secondo incontro ha toni decisamente più amichevoli, e vediamo come entrambi decidano di confidarsi l'uno con l'altro sancendo definitivamente l'inizio di un legame d'amicizia. Scopriamo anche qualcosa di più su Fernando stesso, come il suo coming out in famiglia e molte altre sfumature della sua persona... E visto che entrambe noi autrici abbiamo un soft spot per lui, non potevamo non fargli cantare una delle nostre canzoni preferite quale è Forever young! Canzone che, in più di un senso, gli si adatta molto...
Come proseguiranno le avventure dei nostri eroi?
Lo scopriremo mercoledì 20 luglio con l'inizio di un nuovo capitolo (sperando che la nostra Greyjoy sopravviva al matrimonio in cui deve fare da damigella d’onore giusto sabato… Tanto per rimanere in tema matrimoni 😂)!
Kiara & Greyjoy
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Kimando714