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Autore: Kimando714    20/07/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 25 - NEW DAYS




 
Era da quando era arrivato marzo che c’era profumo di primavera nell’aria, come a preannunciare che, ormai, ancora poche settimane e gli alberi e i fiori sarebbero rifioriti sotto un sole più tiepido di quello invernale.
A Caterina l’arrivo imminente della primavera aveva sempre messo allegria: odiava il freddo rigido e le giornate buie dell’inverno, e il solo pensiero dell’arrivo della luce e del caldo le risollevava l’umore. In parte era così anche quell’anno, anche se in quella mattinata ancora non aveva trovato del tutto la forza per affrontare la giornata che si trovava davanti.
Si era svegliata quasi di soprassalto circa dieci minuti prima che la sveglia segnasse le sette, senza un motivo apparente: Francesco non stava piangendo, e doveva essere ancora addormentato nella culla.
Caterina si stropicciò gli occhi lentamente, cercando di reprimere uno sbadiglio. Aveva dormito male durante la notte, e Francesco non l’aveva aiutata: si era svegliato urlante poco dopo le due, e non aveva smesso per più di un’ora. Nonostante fosse stato Nicola quello ad alzarsi per andarlo ad accudire, neanche Caterina aveva chiuso occhio durante quel lasso di tempo che le era sembrato infinito.
Quasi non fece in tempo a chiedersi dove era finito proprio Nicola – si era accorta appena sveglia che la sua metà del letto era ancora calda, ma vuota- che uno strillo acuto interruppe il silenzio placido della stanza in penombra.
Caterina chiuse gli occhi, tenendosi le mani sulla fronte e buttando la testa contro il cuscino. Doveva aspettarsi il risveglio di Francesco da un momento all’altro, dopo ben quattro ore passate a dormire; doveva solo trovare la forza di alzarsi dal letto e raggiungere la culla, anche se in quel momento le sembrava un’impresa quasi impossibile da compiere.
Prima che potesse anche solo muovere un muscolo la porta della camera si riaprì, rivelando un Nicola già sveglio, ma con ancora addosso la canotta e i pantaloncini usati per dormire: non doveva essersi alzato molto prima dal letto.
-Hai fame, piccoletto?- borbottò a bassa voce, piegandosi sulla culla e sollevando delicatamente Francesco, ancora urlante.
-In effetti è ora di colazione- replicò Caterina, poco prima che Nicola facesse dietrofront verso la porta. Fece forza sulle braccia, e si sollevò abbastanza per starsene seduta contro la testiera del letto.
-Pensavo non ti fossi nemmeno svegliata- Nicola si voltò verso di lei, cancellando l’espressione di sorpresa che era nata sul suo volto quando l’aveva sentita parlare – Speravo di portarlo di là prima che ti disturbasse, ma a quanto pare non è servito-.
-Ero già sveglia- Caterina sbadigliò di nuovo. Nicola si avvicinò al letto in qualche passo, raggiungendo la metà che di solito occupava. Solo dopo essersi seduto a sua volta, di fianco a Caterina, le porse il corpicino di Francesco tra le braccia.
-Sarà fame davvero o potrebbero essere delle coliche?- le chiese, osservando con cipiglio preoccupato il viso arrossato del figlio, che ancora piangeva incessantemente. Caterina si lasciò sfuggire un leggero sorriso: da quando era nato Francesco, Nicola sembrava essere preoccupato per qualsiasi cosa, anche per le cose minime.
-Lo scopriremo subito, credo-.
Caterina resse saldamente con un braccio il bambino, mentre andava a sbottonare la camicia da notte con un po’ di impaccio. Le prime volte che si era ritrovata a doverlo allattare erano state sicuramente le più strane e le più difficoltose: all’inizio aveva dovuto abituarsi un po’ al dolore che si provava, e aveva dovuto anche imparare come scostare facilmente i vestiti con il bambino in braccio. Tutte cose che, con la pratica, le stavano venendo sempre più naturali.
-Sai che giorno è oggi?- Nicola si avvicinò ulteriormente, rivolgendosi direttamente con un sorriso a Francesco.
-Ancora non sa come funziona il calendario, dagli tempo- Caterina lo guardò malamente, prima di scuotere la testa con aria rassegnata – Comunque auguri da parte di entrambi. Ti senti già più vecchio di un anno?-.
Nicola tirò un sospiro sconsolato, mentre appoggiava il mento sulla spalla di Caterina:
-Magari fosse solo un anno: mi sento più vecchio di dieci-.
-A chi lo dici- rise piano lei. Sentì Nicola iniziare a intrecciare un dito intorno ad una sua ciocca di capelli, lentamente e con fare delicato:
-Sai cosa ti dico? Sono stanco morto, ho delle occhiaie da paura, devo studiare e fare non ricordo nemmeno quante ore di lavoro … E nonostante tutto, credo che questo possa essere il miglior compleanno della mia vita-.
Caterina rise piano tra sé e sé, continuando a tenere lo sguardo basso rivolto a Francesco. Sia lei che Nicola si ritrovavano ad avere i visi pallidi e tirati di stanchezza, le giornate totalmente piene e quasi prive di momenti di tranquillità, eppure non se la sentiva di dargli torto. Forse, nonostante tutte le difficoltà, per la prima volta dopo mesi si stava ritrovando a pensare di aver preso la decisione giusta.
Quasi istintivamente, si ritrovò a stringere maggiormente a sé il corpo minuscolo e caldo di suo figlio.
-Sentito, piccoletto?- Caterina mormorò a bassa voce, facendo finta di non voler farsi sentire anche da Nicola – Tuo padre è in vena di sentimentalismi alle sette di mattina. Facciamo continui progressi-.
Sentì Nicola ridere a sua volta, contro la sua spalla. Quel momento sembrava uno dei pochi intervalli di calma da diversi giorni, ormai: Caterina avrebbe dato qualsiasi cosa per farlo durare il più a lungo possibile.
Le sarebbe bastato rimanere lì, in silenzio con Nicola e Francesco, un’ora ancora almeno, per sentirsi già più felice rispetto alle giornate precedenti.
Il silenzio durò poco oltre, interrotto dal vibrare di un telefono. Caterina si girò lentamente verso il comodino di Nicola, la direzione da dove era arrivata la vibrazione.
-Ti è arrivato un messaggio?- chiese, poco prima che Nicola si staccasse da lei per allungarsi verso la superficie del comodino e afferrare il telefono.
-È Pietro- spiegò lui, rimanendo qualche attimo a fissare lo schermo, probabilmente per leggere un messaggio appena arrivato.
-Ti avrà mandato gli auguri- liquidò la questione Caterina, senza però poter vedere l’espressione incuriosita stampata sulla faccia di Nicola.
-Non solo. Ha detto che domani ci invita da lui per pranzo-.
Caterina non fece nemmeno in tempo a rispondere, che anche il display del suo telefono si illuminò. Un altro messaggio, a poca distanza da quello inviato da Pietro: un tempismo perfetto.
-Puoi leggere tu il messaggio che mi è arrivato?- chiese. A Nicola non ci volle molto per alzarsi direttamente dal letto, circumnavigarlo ed arrivare al comodino di Caterina.
-È Giulia- lesse subito il messaggio, appena preso in mano il cellulare – Dice che l’hanno richiamata per un colloquio di lavoro-.
Caterina si ritrovò ad annuire compiaciuta alla notizia. Di sicuro Giulia ne avrebbe parlato a volontà l’indomani a pranzo da Pietro, se ci fosse stata, e la sua curiosità riguardo quel colloquio sarebbe stata di sicuro soddisfatta.
Quel che non capiva ancora era come mai Pietro avesse deciso di dare un pranzo a casa sua così all’improvviso. Caterina si ritrovò a sbuffare tra sé e sé:
-Si prospettano bene entrambe le cose-.
 
*
 
Quando aveva ricevuto il messaggio di Pietro aveva stentato a credere ai suoi stessi occhi. Eppure non era stata una finta, non era un messaggio falso o uno scherzo ben escogitato: quando aveva chiamato Nicola per fargli gli auguri di compleanno, il giorno prima, Alessio aveva avuto la conferma indiretta che quella domenica Pietro li aveva davvero invitati tutti a pranzo da lui. Tutti, Alessio compreso.
Un sottile strato di scetticismo lo aveva accompagnato per tutta la giornata di sabato, e anche in quella tarda mattinata domenicale, mentre lui ed Alice camminavano lungo le calli, non riusciva davvero a credere fino in fondo che Pietro desiderasse così tanto averlo in casa.
Probabilmente lo aveva invitato solo per non dover non invitare anche Alice e per evitare domande da parte degli altri circa la sua assenza. Un piccolo sacrificio per evitare ulteriori dicerie.
Non aveva idea di come sarebbe stato quel pranzo, e dopo tutti quei mesi passati ad essere evitato completamente da Pietro non si sentiva particolarmente fiducioso. Si aspettava qualsiasi cosa, tranne che le cose migliorassero da un giorno all’altro, improvvisamente.
-Era da tanto che non venivamo da Pietro- la voce di Alice lo distrasse dai suoi pensieri. Erano praticamente arrivati: aguzzando lo sguardo Alessio riusciva a intravedere il palazzo che, fino a circa un anno prima, era stato anche casa sua.
-Avrà avuto da fare- cercò di tagliare corto Alessio, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Alice non era mai stata stupida, ed immaginava benissimo che dovesse averci visto qualcosa di strano in Pietro il suo ignorarlo così prolungato. Non aveva comunque mai domandato nulla in proposito, e forse era meglio così: nemmeno Alessio avrebbe saputo bene come spiegare la situazione.
Alice non sembrò volere continuare la conversazione, e non aggiunse altro. Arrivarono al palazzo in silenzio, cosa che non aiutò Alessio ad ignorare la tensione che cominciava a sentirsi in corpo.
Pochi minuti dopo erano già davanti all’appartamento, a bussare contro la superficie scura della porta d’ingresso.
Alessio sperò ardentemente che non fossero i primi ad arrivare: sarebbe stato ancor più difficile cercare di intavolare una conversazione come se nulla fosse, per giunta davanti ad Alice.
-Credi ci sia anche Giada?- domandò Alice, sottovoce. Alessio la guardò per un attimo, indeciso: era piuttosto combattuto nel pensare che ci sarebbe potuta essere anche lei. Fece per rispondere ad Alice, ma la porta si aprì prima che potesse dire qualsiasi cosa.
Pietro comparì sull’uscio, i capelli leggermente arruffati e un velo di barba sul viso. Fu solo questione di un attimo fugace, ma Alessio ebbe l’impressione che avesse esitato prima di sorridere, e comunque rivolgendosi soprattutto ad Alice.
-Ti abbiamo portato qualcosa!- esclamò lei, sorridente, prima di mostrare la bottiglia di vino che avevano portato.
-Non dovevate disturbarvi- mormorò Pietro, ricambiando il sorriso solo verso di lei. Si chinò verso Alice per lasciarle due baci sulle guance, prima di scostarsi e lasciarla passare verso l’interno della casa.
Alessio si rese conto che erano rimasti praticamente da soli lì, sul pianerottolo di quello che era stato il loro appartamento. Si ritrovò a fissare dubbioso il viso di Pietro, sul quale il sorriso di poco prima era sparito del tutto. Gli rivolse solo un cenno veloce, prima di seguire Alice e lasciarsi alle spalle Pietro, in religioso silenzio. Non si era aspettato nulla di diverso da quello che aveva cercato di immaginarsi il loro incontro durante la giornata.
 


-Devo dirvi una cosa importante, prima che vi ubriachiate del tutto e non mi ascoltiate più-.
Giulia aveva alzato la voce per sovrastare il tintinnio delle posate sui piatti e delle voci degli altri. Alessio aveva sbuffato tra sé e sé, nel sentire quelle parole: aveva l’impressione che quello che Giulia volesse dire fosse strettamente legato al matrimonio, o qualcosa di simile.
Erano al dolce, segno che il pranzo era quasi giunto al termine. Due ore in cui Alessio si era ritrovato ad aprire bocca poche volte, quasi tutte per rispondere a monosillabi a qualche domanda che qualcuno gli aveva rivolto.
Quando lui ed Alice erano arrivati aveva scoperto con piacere che non erano stati i primi a raggiungere l’appartamento: Giulia e Filippo erano già arrivati un po’ di tempo prima. Giada sembrava essere dovuta tornare a Udine per qualche impegno famigliare, e ad Alessio non poteva andare meglio di così. Avevano dovuto solo aspettare Nicola e Caterina, con il piccolo Francesco al seguito, per iniziare a pranzare.
A tavola le cose non erano cambiate molto rispetto all’arrivo: Pietro non gli aveva rivolto praticamente nessuna attenzione, ed Alessio aveva preferito di gran lunga tenergli il gioco, ignorandolo a sua volta. A dir la verità, aveva ignorato quasi tutti; nonostante il suo ascendente non molto sviluppato sui bambini, aveva preferito rivolgere le sue attenzioni a Francesco, steso nel passeggino appostato dietro la sua sedia. Si era sentito un po’ stupido nel fare facce buffe ad un neonato di due mesi, ma era stato divertente osservare le smorfie del suo volto e i primi sorrisi che gli aveva rivolto in risposta.
-Stai per dire quello che hai anticipato a me ieri mattina?- domandò Caterina, prima di affondare il suo cucchiaino nella sua fetta di tiramisù preparato da Pietro.
-Esattamente- annuì Giulia, con un sorriso elettrizzato.
Alessio la guardò confuso. Per un attimo le sue certezze traballarono, e non fu più così sicuro che Giulia si stesse riferendo al matrimonio. Cominciò a temere un qualche annuncio di una gravidanza in corso, ma scartò quasi subito quell’ipotesi: Filippo era decisamente troppo calmo per essere così.
-Due settimane fa ho trovato un annuncio di un’agenzia di viaggi. Cercano un accompagnatore turistico- iniziò a spiegare lei, in fibrillazione – Così ho mandato il mio curriculum subito dopo averlo letto, e indovinate chi hanno richiamato per un colloquio conoscitivo giusto ieri mattina quasi all’alba?-.
Pietro la guardò sarcasticamente:
-Aspetta, lo so: non te-.
-Cretino- Giulia gli rivolse una linguaccia, e Pietro rise in tutta risposta – Ovviamente hanno chiamato me-.
-Ovviamente avevamo capito che avevano chiamato te, altrimenti non ci staresti parlando di questa cosa- la rimbrottò Pietro, ricevendo l’ennesima occhiata torva dall’altra.
-State calmi, per l’amor del cielo- intervenne Caterina, lanciando uno sguardo minaccioso ad entrambi.
-Quando avrai il colloquio?- chiese Alice, dopo un attimo di silenzio.
-Tra una decina di giorni circa- disse Giulia, sorridente – Li passerò tutti nell’ansia-.
Filippo le passò una mano sulle spalle, stringendola calorosamente e sorridendole mite:
-Andrà bene, vedrai-.
Alessio si ritrovò ad abbassare un attimo lo sguardo. Invidiava un po’ Giulia: avrebbe volentieri voluto essere al suo posto, con la tanto agognata laurea già in tasca e pronto ad avviare la carriera dei suoi sogni. Per il momento non poteva fare altro che detestare e sperare di lasciarsi presto alle spalle il lavoro part-time da programmatore, che aveva trovato – per una crudele ironia della sorte- nell’azienda di Mestre dove anche suo padre aveva cominciato.
-Anche io devo dirvi qualcosa-.
Stavolta era stato Pietro a parlare, dopo alcuni minuti. Alessio alzò nuovamente il capo, puntando gli occhi su di lui. Sembrava un po’ esitante, esattamente come gli era sembrato anche dalla voce un po’ tesa.
-Dobbiamo preoccuparci?- Filippo parlò allegramente, ma anche in lui Alessio vi aveva letto una certa dose di sorpresa e curiosità. Lui invece, sentiva solo una brutta sensazione avvicinarsi sempre di più.
-Non è nulla di così strano o assurdo- Pietro cercò di sorridere, ma non sembrò più così convinto rispetto a prima – Giada verrà a vivere qui, tra non molto-.
Trattene per un lungo attimo il respiro, Alessio, i tonfi sordi del cuore come unico segnale a scandire il tempo che inesorabilmente passava.
Quella notizia aveva avuto la forza di scaraventarlo contro il muro di certezze che si era costruito fino a quel momento, in maniera fin troppo violenta. Era sempre stato convinto che Giada non fosse la persona giusta per Pietro, e che prima o poi anche lui se ne sarebbe accorto. Arrivati a quel punto, però, sembrava davvero che l’unico ad essersi sbagliato sul loro conto fosse stato proprio lui.
-Quindi andate a convivere ufficialmente?- Nicola fu il primo a prendere la parola, dopo aver intercettato lo sguardo vacuo di Alessio, seduto di fronte a lui.
Pietro alzò le spalle, leggermente in imbarazzo:
-Direi di sì-.
-Questa sì che è una notizia! Ormai mancavate solo voi- aggiunse Alice, entusiasta. Alessio strinse i pugni sotto il tavolo, lottando contro la voglia di fulminarla con gli occhi.
-Ne avete parlato a fondo?- Caterina sembrava essere meno convinta di Nicola ed Alice. Teneva la fronte aggrottata, come a voler lasciar trasparire i suoi dubbi.
-Hai qualche dubbio in merito?- le chiese Pietro, assottigliando gli occhi scuri.
-Non ho detto questo-.
Fu Filippo ad interrompere agli albori quella specie di bisticcio che era appena cominciato:
-In ogni caso direi di brindare, no?- disse gioviale, alzando in alto il proprio bicchiere pieno di vino.
-Sì, avanti, versa- sospirò rumorosamente Giulia, reggendo il proprio calice quasi vuoto e protendendolo verso Filippo, il più vicino alla bottiglia del vino – Ho bisogno di bere, dopo tutte queste notizie-.
Anche Alessio sentiva di aver bisogno di farlo. Si sarebbe ubriacato volentieri, in quel momento, ma si trattenne dal bere anche solo un goccio. Dopo l’ultima ubriacatura tra lui e Pietro non era più andata bene nessuna cosa, e non era il caso di ripetere la stessa esperienza e peggiorare il tutto.
Erano parecchi minuti che non apriva bocca, ed era pronto a scommettere di essere diventato ancor più pallido dopo che Pietro aveva fatto quell’annuncio. Doveva avere una faccia da funerale, e non si stupì molto quando Alice si protese appena verso di lui, bisbigliando:
-Stai bene?-.
Alessio si sforzò di non lasciarsi scappare la risata amara che avrebbe chiarito benissimo quella che sarebbe stata la sua risposta.
-Benissimo-.


 
Caterina e Nicola furono i primi ad andarsene. Era una delle prime uscite che facevano con Francesco, e dovevano ancora prenderci la mano.
Alessio era rimasto a fissare il posto sul divano che avevano occupato fino a qualche minuto prima, nel salotto di Pietro. Stava ripensando a tutte le volte in cui lui stesso era rimasto seduto in quel posto. Tutte le volte in cui lui e Pietro avevano passato le serate a guardare qualche noioso film in tv, talvolta addormentandosi o passando tutto il tempo a sghignazzare. Stava ripensando anche alle volte in cui aveva colto Pietro steso e a tenere  in mano uno dei suoi libri proprio lì, in quell’angolo di divano, con l’aria concentrata e gli occhiali che usava sempre per leggere.
Era sempre su quel divano che Alessio aveva cercato di spiegargli, per la prima volta, come mai Giada non gli sarebbe mai andata a genio. Ed era sempre quello il posto quando aveva detto a Pietro che sarebbe andato a convivere con Alice, l’anno prima.
In un certo senso era contento che Pietro avesse annunciato durante il pranzo l’imminente trasferimento di Giada: non sarebbe riuscito a sopportare un ricordo così amaro legato a quella parte della casa, a quel divano che gli riservava sempre ricordi felici e dolorosi allo stesso tempo.
Non era ancora riuscito ad entrare nell’ottica che, di lì a poco, Giada si sarebbe appropriata di quell’appartamento. L’appartamento che una volta era stato suo, suo e di Pietro, e che ormai sarebbe  diventato di una donna che aveva sempre detestato con tutto se stesso.
Se ne stava in piedi, accanto alla finestra, ascoltando distrattamente le chiacchiere di Pietro, Alice Giulia e Filippo, e non poteva fare altro che combattere contro la voglia di prendere a pugni la parete contro la quale poggiava la sua schiena. Non ce la faceva a vederli parlare del più e del meno come se niente fosse.
Si staccò dalla parete di colpo, come se si fosse appena scottato, e passò davanti a loro velocemente, mormorando un distratto “Vado in bagno”.
Lontano dal salotto si sentiva già meglio, meno oppresso da tutti i ricordi concentrati tra quelle mura, e da tutti i pensieri che ne conseguivano. Non si diresse davvero in bagno, però: girò verso la cucina, ora deserta, cercando di fare il meno rumore possibile.
Pietro non aveva cambiato la disposizione degli oggetti da quando era rimasto a vivere da solo più di un anno prima: Alessio ci mise solo qualche secondo a ricordare in quale credenza tenevano gli alcolici, e gli ci vollero pochi altri attimi per versarsi un generoso quantitativo di vodka nel primo bicchiere che aveva trovato in un altro ripiano.
Il primo sorso gli bruciò la gola, il secondo fu già più piacevole. Il terzo gli regalò quel leggero senso di vertigine che dava l’alcool, facendogli chiudere gli occhi per un attimo.
Si rendeva conto che affogare i propri problemi negli alcolici era il modo più sbagliato ed inutile per uscirne, ma era l’unica arma che aveva contro di essi in quel momento. Con l’alcool tutto sembrava sempre più semplice di quel che era, ed era proprio quella la sensazione che stava cercando: il riuscire a guardare tutto in modo più sfocato, superfluo e non necessario.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, forse diversi minuti. Non si girò nemmeno nel sentire dei passi avvicinarsi: dava per scontato che fosse Alice, magari venuta a cercarlo per la sua assenza prolungata.
Fu solo quando sentì i passi arrestarsi a distanza di qualche metro che, invece, si lasciò trasportare dall’istinto di voltarsi verso l’uscio della cucina.
Pietro lo stava già fissando, ma fu svelto a nascondere la sorpresa con un’espressione di tacita indifferenza. Anche Alessio cercò di mascherare il più possibile la meraviglia di trovarlo lì, senza troppa fatica: in quel momento era troppo arrabbiato con il mondo intero per dare davvero peso al fatto di ritrovarsi da solo con lui, in maniera del tutto inaspettata.
-Non eri andato in bagno?- Pietro riprese a camminare, arrivando a poca distanza da lui. Teneva gli occhi puntati verso la credenza che stava aprendo, senza più badare all’altro.
-Ho deciso di fare anche un’altra tappa- mentì Alessio, trattenendo uno sbuffo: aveva dato per scontato che Pietro non avesse nemmeno fatto caso a quel che aveva detto quando si era allontanato.
-Ho notato-.
Anche Pietro aveva recuperato un bicchiere, che stava però riempiendo con semplice acqua. Non sembrava intenzionato ad aggiungere altro: si comportava come se Alessio non fosse nemmeno presente, senza guardarlo neanche per sbaglio. Era come se lo ritenesse invisibile.
Alessio cercò di ripagarlo con la stessa moneta. Riportò l’attenzione al proprio bicchiere, e buttò giù gli ultimi sorsi di vodka in un unico sorso; ignorò la gola che gli bruciava, ignorò anche il malumore che inevitabilmente era aumentato con l’arrivo di Pietro.
Gli sarebbe servito un altro bicchiere, e forse se lo sarebbe bevuto sul serio, se si fosse trovato da solo. Restò per qualche attimo a pensare: gli interessava davvero di cosa avrebbe potuto pensare Pietro, nel vederlo bere? D’altro canto a lui non gli era importato dargli spiegazioni per quel suo allontanamento repentino. Perché lui invece doveva curarsi se lo avrebbe considerato un ubriacone?
Fece per versarsi di nuovo della vodka, mentre Pietro sorseggiava con inconsueta calma l’acqua che si era versato. Sembrava così disinteressato al resto del mondo che Alessio rimase stupito nel sentirlo parlare ancora:
-La prossima volta preferirei non vederti andartene in giro per la casa senza dirmi nulla. Fino a prova contraria non abiti più qui-.
Stavolta aveva parlato con un’indifferenza del tutto finta, Alessio ne era sicuro: aveva sentito una nota di rabbia nella sua voce, non così distaccata come probabilmente avrebbe dovuto sembrare.
-Sul serio vuoi stare qui a vivere con Giada?-.
Alessio lasciò perdere il bicchiere di vodka, ben consapevole che quella di bere sarebbe stata comunque una strada più saggia di quella che aveva appena deciso di intraprendere.
Sapeva benissimo che tutto sarebbe degenerato nell’ennesimo litigio, e non gliene importava nemmeno molto. Forse era proprio quello il punto a cui voleva arrivare.
-Fatichi a crederlo?- Pietro si girò verso di lui per la prima volta da quando si era fermato a nemmeno un metro da Alessio, gli occhi neri gelidi.
-Un po’ sì, se penso che l’anno scorso, alla sua proposta di convivere, le avevi risposto di no-.
Pietro lo tenne fissato per un attimo, prima di scoppiare in una risata amara e tutt’altro che divertita:
-Non tutti rimangono sulle proprie posizioni come degli ottusi-.
-Io potrò anche essere ottuso, ma tu non sembri convinto in ogni caso- Alessio lo guardò dritto in faccia, l’offesa sottile di Pietro che gli era già scivolata addosso.
Fece per oltrepassare la figura dell’altro, avviandosi verso l’uscita, ma dovette fermarsi di colpo non appena si rese conto che Pietro lo aveva appena afferrato per un braccio, bloccandolo:
-È inutile dirti che non sono cazzi tuoi, vero? Tanto sei abituato a sentenziare sulla vita di chiunque- gli sibilò contro, il viso dai tratti deformati dalla rabbia più vicino di quanto non era mai stato negli ultimi mesi.
-Magari così ti rendi conto della cazzata che stai per fare-.
La stretta sul suo braccio si fece più stretta, ma durò solo il tempo di un attimo. Il secondo dopo la mano di Pietro aveva abbandonato il suo braccio, allontanata così velocemente come se si fosse appena scottato.
-Continua a fare la testa di cazzo così, ma sappi che è inutile. Non cado nelle tue provocazioni-.
Alessio fece per aprire bocca, senza nemmeno sapere bene cosa rispondere. Non fece nemmeno in tempo a pensarci: Pietro lo superò a sua volta, allontanandosi a grandi passi da lui, uscendo dalla cucina.
Il silenzio che era appena calato non era mai sembrato ad Alessio più frastornante come in quel momento.
 
*
 
Non era mai stata agitata quanto quel giorno in tutta la sua vita. O forse sì, quando Filippo le aveva chiesto di sposarlo, oppure ancora quando l’estate passata avevano dovuto dire ai genitori di lui del matrimonio.
Giulia, in quel momento, non aveva alcuna certezza, a parte il fatto che quell’agitazione l’avrebbe mandata all’altro mondo e che con quei tacchi si sentiva completamente insicura nel camminare, rischiando ad ogni passo di rompersi l’osso del collo cadendo.
Si sentiva leggermente in imbarazzo mentre camminava vestita così elegante e seriosa allo stesso tempo, diretta verso una delle calli non molto distanti da Piazza San Marco.
Aveva passato giornate intere, dopo la telefonata dell’agenzia di viaggi, a decidere come vestirsi per quel colloquio conoscitivo. Quando aveva sostenuto il colloquio da commessa nel negozio dove ancora lavorava – per poco ancora, sperava-, non vi aveva badato molto. Invece, in quella giornata, aveva indossato la sua migliore giacca, i tacchi che stava odiando con tutta se stessa, e perfino una gonna. Ringraziava soltanto che, in quella giornata di fine marzo, ci fosse un sole talmente pieno da averle fatto perfino venire caldo. Sperava solo di non iniziare a sudare copiosamente e finire comunque per fare una brutta figura già in partenza.
Stava ripassando mentalmente quelle che sarebbero state le sue risposte alle domande possibili che le avrebbero fatto – aveva passato interi pomeriggi facendo ricerche sulle domande più comuni ai colloqui, finendo per impararsele tutte a memoria, risposte comprese. Si sentiva a tratti patetica, ma d’altro canto chi non si sarebbe agitato così ad un colloquio per un lavoro che volevi a tutti i costi?
Arrivò in circa mezz’ora davanti all’agenzia. Era abbastanza lontana da casa sua, ma la zona le sembrava piuttosto bella, elegante e con diversi negozi costosi nei dintorni. Perlomeno trovò quasi subito il luogo preciso dove era diretta: la piccola agenzia di viaggi dove stavano cercando un tour operator.
Si bloccò un attimo, a meno di cento metri dalla porta d’ingresso, accanto alla quale c’era una targa dorata sopra la quale c’era inciso il nome dell’agenzia a lettere corsive. Prese un sospiro profondo, si riassettò meglio che poteva i propri vestiti – sperando di non sembrare troppo sudata-, passò una mano veloce tra i capelli, ed infine si mosse verso la porta.
Quando la aprì, si ritrovò catapultata in un ambiente quasi del tutto immacolato: mobili e pareti bianche, in cui solamente qualche soprammobile e vasi di piante finte non facevano parte di quell’ordine così candido.
Non sapeva bene dove andare: il posto era molto più grande di quello che si era immaginata, e nessuno sembrava averle riservato molta attenzione quando era entrata. Forse l’avevano scambiata per una cliente o qualcosa del genere. Notò un bancone qualche metro più avanti, forse una specie di reception, dove dietro se ne stava una ragazza dall’aria elegante e sofisticata. Forse doveva rivolgersi a lei per chiederle dove doveva dirigersi per il colloquio.
Giulia non fece nemmeno in tempo a fare due passi, che per un attimo sentì l’equilibrio venire a mancarle e, inevitabilmente, l’attimo dopo sentì il freddo del pavimento sotto il suo corpo.
“Sapevo che questi tacchi dovevo bruciarli molto tempo fa”.
-Le serve una mano?- la ragazza dietro il bancone le si era appena rivolta, guardandola con aria allarmata. Giulia non seppe nemmeno con quale forza riuscì a rimettersi in piedi in un batter d’occhio, e non seppe nemmeno cosa la trattenne dal lanciare chissà dove quei maledetti tacchi:
-No, grazie, sono a posto- si interruppe un attimo, prima di realizzare che in realtà aveva davvero bisogno d’aiuto – Ok, in realtà dovrei chiederle un’informazione-.
-Dica pure- la ragazza le rivolse un timido sorriso incoraggiante, mentre Giulia si avvicinava al bancone, con passo cauto:
-Sono qui per un colloquio conoscitivo. Sa dove devo andare?-.
 


Non riusciva a stare ferma, seduta su quella sedie in quel corridoio così bianco da sembrarle anonimo. Muoveva in continuazione il piede, producendo un rimbombo piuttosto fastidioso. Giulia era perfettamente cosciente che un ragazzo in attesa come lei – sedutole accanto e già presente quando lei era arrivata- le aveva lanciato diversi sguardi truci, senza però sortire alcun risultato. Giulia aveva continuato a sbattere il tacco contro il pavimento, in una sorta di tentativo di scaricare la tensione accumulata fino a quel momento.
In una qualsiasi altra occasione avrebbe cercato di attaccare bottone con il ragazzo seduto lì vicino. Parlare con gli sconosciuti era sempre stato interessante: potevi fingere di essere tutt’altra persona e di avere una vita totalmente diversa senza conseguenze. Invece, in quel momento, non riusciva a spiccicare parola: sentiva la gola e le labbra secche, e non le veniva in mente nulla per intavolare una conversazione.
Sapeva solo che il cuore le palpitava troppo velocemente e che doveva dare il meglio per avere quel lavoro.
Cercò di distrarsi controllando qualcosa sul telefono – aprì e richiuse almeno dieci app senza davvero prestarvi attenzione-, ma senza buoni risultati.
Non seppe quanto tempo passò da quando si era seduta lì, fino al momento in cui, finalmente, si aprì la porta di uno degli uffici dall’altro lato del corridoio. Seppe solo che, quando accadde, si irrigidì sulla sedia, la schiena dritta e gli occhi puntati su quella porta che si stava aprendo sempre di più.
Un uomo, abbastanza giovane e in giacca e cravatta, vi fece capolino. Lanciò un’occhiata sia a Giulia che all’altro ragazzo seduto accanto a lei, prima di schiarirsi la voce, fermare gli occhi su Giulia e pronunciare:
-La signorina Pagano? Può entrare, prego-.
Giulia sentì il respiro bloccarsi, le gambe farsi molli. Le ci volle un secondo prima di realizzare che quel colloquio sarebbe iniziato di lì a pochi minuti, e che doveva percorrere quegli ultimi passi prima di arrivare alla meta. Cercò di alzarsi cautamente, e sperò con tutto il cuore di non avere ulteriori problemi con i tacchi.
Non sapeva come sarebbe andato quel colloquio, o se non l’avrebbero presa anche in caso di esito positivo; in quegli ultimi passi, prima di varcare la soglia di quell’ufficio, sapeva solo che per dare una svolta alla sua vita, una svolta che voleva e che le serviva per sentirsi davvero realizzata ed in pace con se stessa, doveva solo pensare di dare il meglio che poteva.
Doveva … E poteva.
 
*
 
Era strano ripercorrere le strade di Torre San Donato con Giada. Mentre camminavano a piedi in quei luoghi così famigliari, Pietro non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione di trovarsi fuori posto, lì con lei.
Erano arrivati alla stazione di Torre San Donato sotto il sole tiepido di fine marzo solo dieci minuti prima. Pietro aveva deciso sul momento di non dirigersi subito verso casa – o come avrebbe dovuto ormai definirla, verso casa dei suoi genitori e di suo fratello minore-, ma di far fare una sorta di giro turistico a Giada. Era la prima volta che si recavano insieme lì, e sarebbe stato un peccato perdersi il mercato tipico del sabato mattina, con le bancarelle colorate collocate nelle piazze principali e lungo il canale.
Giada l’aveva seguito sorridendo per tutto il tempo, guardandosi intorno incuriosita e divertita. Forse era davvero felice come sembrava, o forse riusciva a dissimulare l’agitazione che, per Pietro, era invece incredibilmente palpabile.
Quella passeggiata per Torre San Donato era servita anche per rimandare ancora un po’ l’incontro imminente di Giada con la sua famiglia, incontro per il quale non si sentiva minimamente sicuro o pronto. Aveva passato tutta la mattina, da quando si era svegliato, a rimuginare su cosa dire ai suoi genitori; di Giada sapevano poco niente, complice il fatto di aver detto loro di lei non troppo tempo addietro. Forse all’epoca ancora sperava di troncare quella relazione che si basava sulla fiducia di Giada totalmente mal risposta in lui.
Non nutriva grandi speranze in quella giornata.
-E così è qui che sei cresciuto- disse Giada, d’un tratto – È carino, come paese-.
Stavano passeggiando verso casa di Pietro, lasciandosi sempre di più alle spalle la piazza principale; in pochi minuti sarebbero giunti a destinazione.
-Non è male- rispose lui, cercando di reprimere il tremore della voce – Ma a lungo andare diventa monotono. Soprattutto quando cresci, e finisci il liceo … Provi il desiderio di andartene-.
-Non ti mancano neanche un po’ gli anni passati qui?-. Giada gli strinse la mano, con fare affettuoso, e lanciandogli un’occhiata veloce.
Per un attimo a Pietro tornarono in mente pomeriggi lontani, passati in quelle stesse strade. Aveva passato gran parte dell’infanzia e praticamente tutta l’adolescenza a percorrere quelle vie, sempre in compagnia di Filippo, Nicola e Gabriele. Ora che, nonostante gli anni passati, erano ancora insieme, sembrava tutto così simile e tutto così diverso allo stesso tempo.
-Un po’ sì. Era tutto più semplice-.
 


Suonare il campanello fu una delle cose più difficili della giornata. Pietro, mentre vi premeva sopra il dito, con l’altro mano aveva stretto quella di Giada talmente forte che, per un secondo, aveva pensato di avergliela rotta. Giada non si era fatta sfuggire nemmeno un lamento, limitandosi a lasciargli una carezza leggera sul braccio, in una sorta di muto incoraggiamento.
Pietro non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare a cosa dire, una volta che la porta si fosse aperta. Era stata aperta quasi subito dopo, rivelando sua madre sulla soglia, fasciata da un vestito più elegante del solito e con il volto incorniciato dai capelli scuri e lunghi.
Aveva rivolto un sorriso mite a Pietro, e poi era passata a Giada. Aveva sorriso anche a lei, prima di presentarsi, anche se Pietro era abbastanza convinto di aver notato una certa esitazione iniziale.
Ora, seduto in salotto da almeno una decina di minuti, gli sembrava tutto così irreale: sua madre che conversava come se nulla fosse con Giada, e lui che se ne stava lì, in silenzio, a domandarsi se quella era stata la scelta giusta.
“Il momento migliore per farsi venire i dubbi”, si ritrovò a pensare tra sé e sé, seccamente.
-E così sei una professoressa, eh? E pensare che Pietro si lamentava costantemente dei suoi insegnanti, quando andava a scuola- Alessandra, seduta sulla sponda del divano, sembrava ancora leggermente in imbarazzo. Pietro la stava osservando da un po’, nei suoi movimenti insolitamente insicuri.
-I professori universitari sono molto diversi da quelli che si trovano a scuola- rispose Giada, che anche in una situazione del genere riusciva a sembrare perfettamente sicura di sé – O almeno, io cerco di essere il meno noiosa e rigida possibile durante le mie lezioni-.
-Evidentemente questo ha sortito un certo fascino-.
Pietro si voltò verso la soglia del salotto, rosso in viso. Maledisse tra sé e sé suo padre, appena sbucato fuori da chissà dove, all’improvviso: se ne stava accanto alla porta, con i suoi capelli ormai brizzolati e gli occhi nocciola, sorridente e ridendo tra sé e sé per la battuta appena fatta.
-Luca, non metterli in imbarazzo- lo rimproverò Alessandra, facendo finta di guardarlo severamente, ma sforzandosi di non scoppiare a ridere a sua volta.
Pietro si ritrovò a sbuffare tra sé e sé: suo padre aveva sempre avuto un modo strano di fare sarcasmo. Il più delle volte non riusciva a capirlo, o a trovarci qualcosa di davvero divertente.
-È un piacere conoscerla, finalmente!- Giada si alzò dal divano, dove era rimasta seduta fino a quel momento, allungando la mano destra verso Luca, che le sorrise cordialmente di rimando:
-Piacere mio, ma facciamo subito un patto: non darmi del lei, o mi sentirò terribilmente vecchio-.
-Beh, un po’ cominci ad esserlo sul serio- borbottò Pietro, non curandosi troppo di non farsi sentire da suo padre.
Luca sembrò non averlo udito, al contrario di Alessandra: lanciò un’occhiataccia al figlio, prima di tornare con lo sguardo verso gli altri due.
-Vado a chiamare Andrea, deve ancora essere in camera a studiare … E poi, direi che potremmo trasferirci tutti in sala da pranzo-.
Pietro si lasciò sprofondare nel divano per qualche secondo, il cuore che ricominciava a palpitargli un po’ più velocemente. Aveva come l’idea che quel pranzo sarebbe stato una sorta di presentazione ufficiale di Giada alla sua famiglia, e quell’impressione non faceva altro che dargli ansia.
Si sentiva quasi un animale in gabbia.
 
*
 
La prima boccata data alla sigaretta bastò subito a fargli calare la tensione nei muscoli. La seconda fece diminuire l’ansia, alla terza riuscì a sentirsi già più rilassato di quanto non lo era mai stato in tutta la mattinata.
Pietro si pentì subito di non essere uscito a fumare ben prima: non aveva guardato il pacchetto di sigarette dalla sera precedente, ed ora si ritrovava a dover scaricare la tensione accumulata fumandone almeno una. Probabilmente se sarebbe seguita anche un’altra subito dopo.
In fin dei conti non poteva dire che il pranzo fosse andato male. Andrea aveva continuato a lanciare occhiate stranite a Giada, ma non c’erano stati momenti di imbarazzo o particolarmente difficili da superare. Come primo pranzo in famiglia, nonostante l’agitazione costante durata per tutto il tempo, poteva addirittura ritenersi soddisfatto. Quella sigaretta che stava fumando, dopo il pranzo, fuori in terrazzo, sembrava essere il premio adatto per concludere quella prima fase critica.
Giada aveva insistito per aiutare a riordinare la sala da pranzo, e Pietro non aveva potuto fare molto per farle cambiare idea. Alla fine l’aveva lasciata lì con Alessandra e Luca, tutta sorridente mentre faceva la spola dalla sala da pranzo alla cucina, tenendo dei piatti sporchi in mano o talvolta reggendo i bicchieri appena usati. Si era chiesto, standosene nel silenzio di quel primo pomeriggio primaverile, se quell’immagine di Giada, pronta ad aiutare i suoi genitori in quelle faccende domestiche come se fosse sempre stata abituata a farlo, si sarebbe ripetuta altre volte in futuro.
Cominciava quasi a sentirsi pervadere da una certa serenità, sentimento che non avrebbe mai pensato di poter associare a quella giornata solo fino a poche ore prima.
-Ecco dov’eri finito-.
Pietro si voltò verso sua madre, cercando di nascondere in automatico la sigaretta accesa, in un gesto che risultò troppo lento:
-Dovresti smettere fin che sei ancora giovane, lo sai?- Alessandra, fermatasi sulla soglia del terrazzo, lo guardò malamente, le braccia incrociate contro il petto con aria severa. Potevano passare anche dieci anni, ma a Pietro sembrava sempre di tornare bambino, in quella casa con sua madre che lo rimproverava anche per le cose più banali.
-Non è esattamente facile-.
Alessandra gli si mise a fianco, la schiena appoggiata contro la ringhiera del terrazzo e il viso rivolto al figlio, in un’espressione che a Pietro sembrò vagamente preoccupata.
-Posso parlarti sinceramente di una cosa?- fece lei, dopo alcuni secondi passati in silenzio, durante i quali Pietro era rimasto indeciso se continuare a fumare come se niente fosse, o lasciare che la sigaretta si spegnesse mentre la teneva tra le dita.
-Che succede?- le chiese, aggrottando la fronte. Cominciava già a sentirsi preoccupato: c’erano sempre guai in vista quando una madre doveva parlare di qualcosa.
-Nulla, è che … - riprese Alessandra, alzando le spalle – Volevo solo capire una cosa-.
Sembrò per un attimo a disagio, e come un fulmine a ciel sereno a Pietro venne il sospetto di conoscere già quale sarebbe stato l’argomento di dibattito:
-Riguardo Giada?-.
-In parte- Alessandra schioccò la lingua, abbassando per un attimo gli occhi scuri così simili a quelli di Pietro – Riguarda soprattutto te-.
-Aspetta, prima che tu dica qualsiasi cosa, voglio dire io qualcosa prima- Pietro lasciò perdere la sigaretta, appoggiandola sopra al tavolino del terrazzo, prima di tornare a guardare in volto sua madre – Non mi importa della differenza d’età, se è a questo che ti riferisci. Ci abbiamo pensato a lungo, e siamo giunti alla conclusione che non ci interessa. Quindi, per favore, evita di farmi la ramanzina su questo-.
Aveva affrontato così tante volte quell’argomento che ormai sapeva quella frase a memoria. Certo, era diverso parlarne con sua madre piuttosto che con un amico, ma in quel momento si sentiva così stanco di dover ascoltare sempre le stesse obiezioni che non riusciva nemmeno a sopportare l’idea di dover ripetere per l’ennesima volta che la loro differenza d’età non era un problema.
Sua madre sospirò a fondo, prima di parlare:
-Non era di questo che volevo parlarti, anche se ammetto che all’inizio non mi aspettavo di ritrovarti con una donna con dieci anni più di te-.
-Allora di cosa volevi parlare?- Pietro la guardò accigliato, stupito e totalmente spiazzato.
Alessandra si staccò dalla ringhiera, e fece qualche passo prima di fermarsi di nuovo, stringendosi le braccia incrociate contro il petto:
-Io non ho nulla contro Giada. Dico davvero: da quel poco che ho potuto notare, mi sembra una donna in gamba, forte. È molto diversa da te, ma mi piace molto comunque- sospirò di nuovo, scuotendo il capo in un gesto che a Pietro non dette nessun buon presentimento per quello che stava per aggiungere – Ma Pietro, te lo devo proprio chiedere: sei sicuro che lei sia la persona giusta per te?-.
-Cosa ti fa pensare il contrario?- domandò Pietro, cautamente, dopo qualche secondo di silenzio.
-Mi dai l’impressione di non essere convinto tu per primo di fare un passo così grande con lei-.
Pietro si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi per quelli che gli sembrarono secondi interminabili. Si sentiva addosso lo sguardo di sua madre, ma non riusciva a trovare del tutto il coraggio per poterle rispondere razionalmente.
Una parte di sé, una parte che aveva deciso di reprimere per sempre qualche mese prima, lo stava spingendo a dire che sì, era esattamente così che stavano le cose: la storia con Giada era pura convenienza. Le voleva bene, ma tutto il resto era solo finzione.
E poi c’era l’altra parte, quella che aveva deciso di andare fino in fondo con Giada, quella che lo stava spingendo a non rovinare proprio in quel momento tutta quella recita a cui, in un modo o nell’altro, cominciava a rassegnarsi ed abituarsi per davvero.
-Ci ho pensato a lungo, non l’ho deciso così di colpo- mormorò infine, cercando di apparire convincente, ma pensando di non sembrarlo affatto.
Alessandra si fece avanti, appoggiandogli una mano sulla spalla:
-Ascoltami, per favore. Io lo vedo che lei è innamorata di te e che ci tiene. Quello che mi preoccupa è che non mi sembra di vedere lo stesso sentimento anche da parte tua-.
-E io non capisco da dove derivino queste tue convinzioni- Pietro alzò lo sguardo, cercando di reprimere con tutto se stesso la fragilità che si sentiva addosso in quel momento – Ci hai visti insieme solo oggi, non ti sembra avventato dare dei giudizi simili?-.
-È che … - Alessandra si strinse nelle spalle, d’un tratto in difficoltà – Continuo a non capire una cosa su di te. Insomma, pensavo che con Alessio … -.
Pietro si bloccò di colpo, guardandola senza capire. Si sarebbe aspettato di tutto da sua madre, qualsiasi obiezione possibile sulla sua storia con Giada, ma in quell’attimo si ritrovò, per la prima volta, davvero senza parole, e senza capire dove volesse andare a parare.
-Che c’entra lui ora?- chiese, realmente allarmato. Di Alessio, con i suoi genitori, non parlava quasi mai, se non quando gli domandavano qualcosa riguardo lui. Lo conoscevano, e aveva sempre saputo che, in fondo, Alessio piaceva loro. Ma anche calcolando tutte quelle cose non riusciva a rimettere insieme i pezzi del puzzle, che gli sembravano così confusi da lasciarlo destabilizzato.
Alessandra si dondolò per qualche secondo, a disagio, spostando il proprio peso da una gamba all’altra. Stava prendendo tempo, e a Pietro quell’attesa cominciava a dare il nervoso.
-È che dopo tutti questi anni che hai passato con lui, non mi sarei aspettata di vedersi divisi, e te con qualcun'altra-.
Sua madre alla fine aveva parlato, di scatto ed in fretta, rendendolo ancora più disorientato.
-Continuo a non capire-.
Alessandra sospirò a fondo, gli occhi scuri puntati in quelli del figlio:
-Pensavo che tra voi due … -
Pietro quasi si soffocò con la sua stessa saliva, quando cominciò a realizzare dove stesse andando a parare sua madre:
-Tu pensavi che stessimo insieme? Sei seria?-.
Sbuffò sonoramente, cercando di combattere contro l’improvviso bisogno di urlare e piangere nello stesso momento. Si limitò a voltarsi, camminando in circolare nel poco spazio del terrazzo, più nervosamente di quel che avrebbe voluto sembrare:
-Non sono gay, fino a prova contraria. Quindi direi proprio di no-.
Si sentì come se stesse morendo dentro nel pronunciare quelle parole, che non erano altro che una bugia volta solamente a nascondersi, a non provare ancora più vergogna. Cercò di relegare nelle profondità della sua memoria i baci con Alessio e Fernando, le sensazioni che gli avevano suscitato entrambi, e la consapevolezza amara che, dopotutto, essere gay era esattamente ciò che era, e che stava negando perché qualcosa in lui gli diceva che era tutto sbagliato. Erano quei momenti in cui non avrebbe voluto fare altro che scappare da se stesso, il più lontano possibile.
-Pietro, io credo che ... –.
-Ti sei sbagliata, ok?- insistette lui, cercando di non alzare la voce –Eravamo amici, tutto qui. Ora a malapena ci parliamo, ma non è come pensi tu. Non è mai stato come pensi tu-.
-Non ci sarebbe stato nulla di male, in ogni caso-.
Sua madre cercò di posare una mano sulla sua spalla, ma Pietro si scostò bruscamente. Si stava rendendo conto di non aver reagito come avrebbe voluto: non sapeva come poteva sperare di dissimulare un completo disinteressamento, se continuava ad agitarsi sempre di più.
Si fermò, distanziato da lei, le guance che sentiva bruciare e il cuore che palpitava fin troppo veloce.
-Mi chiedo solo da dove ti sia venuta in mente un’idea del genere- borbottò. 
Sua madre provò a dire qualcosa, ma lui scosse energicamente il capo, alzando una mano:
-No, non lo voglio sapere sul serio-.
Si avviò verso la porta-finestra che dalla terrazza portava a quella che, fino a qualche anno prima, era la sua stanza. Gli sarebbero bastati solamente cinque passi per arrivare alla portata della maniglia, e poi abbassarla e rientrare. Si sarebbe potuto richiudere la porta alle spalle, in un tentativo di segregare fuori i suoi stessi demoni e le paure, almeno per un po’.
-Quattro anni fa ricordo di una sera in cui Alessio era rimasto qui-.
Sua madre aveva parlato a bassa voce, quasi si stesse rivolgendo a se stessa piuttosto che a lui. Pietro restò fermo comunque, la mano bloccata sulla maniglia della porta-finestra, tutto il suo essere che si tendeva verso la voce di Alessandra. Le dava le spalle, eppure era sicuro che, girando, avrebbe notato un piccolo sorriso appena accennato, malinconico come sembrava essere la sua voce.
-Dopo cena vi siete messi a guardare un film, e alla fine vi siete addormentati lì, l’uno accanto all’altro. Mi eravate sembrati molto complici, lo siete sempre sembrati. Stavate bene insieme … C’era qualcosa tra voi che vi faceva sembrare qualcosa più che amici- fece un’ulteriore pausa, e Pietro dovette combattere contro se stesso per non voltarsi verso di lei – Ma devo essermi sbagliata-.
Se la ricordava, quella sera. Ricordava bene tutto, nonostante fosse passato così tanto tempo. Ricordava di essersi svegliato, il film che lui ed Alessio avevano iniziato a guardare e che era già finito, arrivato ai titoli di coda. Ricordava il calore di Alessio, il suo profumo, la sua vicinanza. Ricordava anche che si era preoccupato, per un momento, di essere visto in quella posizione. Forse qualcuno avrebbe potuto intuire qualcosa di troppo, vedere oltre quella semplice vicinanza fisica. Ma poi gli era importato poco, perché avrebbe preferito di gran lunga far durare quel momento il più a lungo possibile, piuttosto che allontanarsi per negare a chiunque che ci potesse essere dell’altro, oltre l’amicizia.
Aveva ragione sua madre: stavano bene, insieme, in quel periodo. Era un benessere così lontano nel tempo, e che sentiva così lontano da sé, ormai, che stentava a credere fosse mai esistito.
Stentava perfino a credere che, nonostante tutto, quel momento non era durato affatto a lungo. Era stato fugace, come la sensazione di libertà che aveva sentito in quel momento, e che ormai aveva deciso di soffocare.
Pietro serrò con forza gli occhi, cercando di allontanare da sé quei ricordi che sua madre aveva appena riportato a galla, ricordi che non facevano altro che portare con sé altro dolore.
 
*
 
I don't know what it is that makes me feel alive
I don't know how to wake the things that sleep inside
I only wanna see the light that shines behind your eyes
 
-Come fai a non annoiarti?-.
Lo sbuffo piuttosto offeso che ricevette in risposta da Fernando gli fece già presupporre quale sarebbe stato il tono delle sue parole: tutt’altro che accomodante.
-Potrei farti la stessa domanda- Fernando aveva una voce calma, ma Pietro sapeva che in quel momento era tutta apparenza – Come fai a non annoiarti nel guardare ventidue tipi che corrono dietro una palla?-.
Pietro usò il metodo più veloce per far morire quella conversazione il prima possibile: rise scuotendo il capo, come se Fernando non potesse comprendere appieno il fascino del calcio. D’altro canto lui, a quanto pareva, non coglieva l’attrazione del motorsport allo stesso modo.
Non gli era mai capitato di guardare una gara di Formula 1: ne aveva certamente sentito parlare, coglieva qualche notizia quando capitava che ne discutessero Caterina e Giulia, ma non aveva mai visto una competizione dall’inizio alla fine. Forse non ne aveva mai visto nemmeno un giro completo.
Quando era arrivato a casa di Fernando quella domenica, quando il pomeriggio stava ormai virando alla sera, non si era aspettato di trovarlo già davanti alla tv, intento a cambiare i canali per arrivare a quello dove sarebbe stata trasmessa la gara di quel giorno. Incontrava Fernando regolarmente ormai da più di un mese – poteva quasi azzardarsi a dire che stavano diventando amici-, ma non era mai saltato fuori il fatto che fosse un appassionato anche lui. Era stata una scoperta inaspettata, e ancora doveva abituarsi al fatto di vedere Fernando uscire dalla sua solita calma per trasformarsi in un fan spesso al limite di attacchi isterici.
-Quanti giri mancano?- si azzardò a chiedere Pietro, appollaiato in un angolo del divano. Visto che mancava ancora un po’ all’orario di cena, Fernando si era premurato di preparare una ciotola piena di popcorn, da cui di fatto stava pescando solo Pietro, l’unico sufficientemente rilassato per riuscire a mangiare senza la paura di soffocare per qualche parolaccia da urlare.
-Circa una ventina- spiegò Fernando, puntando il dito verso l’angolo in alto a sinistra del televisore – Là in alto sono segnati quelli già percorsi-.
Pietro aguzzò lo sguardo, ed in effetti si rese conto che Fernando aveva perfettamente ragione.
-Per ora non sembra essere successo granché- commentò. Il countdown dei giri mancanti segnava che erano al 33° su 57, e Pietro non riusciva a non domandarsi se sarebbe riuscito a restare sveglio fino alla fine. Non riusciva a distinguere le macchine tra loro, anche se alcune livree spiccavano per colori vivaci e differenti, né sapeva nulla sui piloti. Gli sembravano solo una lunga fila di macchine molto simili tra loro che ripetevano lo stesso tracciato a ripetizione, senza un reale obiettivo. Si tenne però quella riflessione per sé: aveva come l’impressione che Fernando non sarebbe stato per niente d’accordo.
-Per ora- sottolineò infatti lui – Il bello, e anche il brutto, della Formula 1 è proprio questo: un giro prima va tutto alla grande, e magari al giro dopo il pilota che tifi è fuori dai giochi-.
Senza staccare gli occhi dalla tv allungò una mano verso i popcorn, afferrandone una manciata.
-Potrebbe essere una grande metafora della vita, se ci pensi-.
Pietro su quel punto poteva anche essere d’accordo, invece. Se doveva pensare alla sua, di vita, quella similitudine sarebbe stata senz’altro calzante.
Aveva tenuto aggiornato Fernando sugli ultimi eventi solo per messaggio, visto che la settimana prima era stato impossibilitato a trovare una sera in cui potersi vedere di persona. Sapeva che, molto probabilmente, avendo ancora diverse ore libere davanti a loro ne avrebbero parlato più tardi, e che si sarebbe dovuto preparare alle riflessioni di Fernando sulla scoperta di sua madre convinta che lui ed Alessio stessero insieme, o sulla reazione avuta da Alessio alla notizia della sua prossima convivenza con Giada. Per messaggio non si era sbilanciato più di tanto su quell’ultimo argomento, ma era probabile che fosse solo perché aveva tutta l’intenzione di farlo quella sera stessa, dal vivo.
E a Pietro andava bene così, in fin dei conti: aveva iniziato a voler frequentare più spesso Fernando proprio perché lui era l’unica persona che potesse capirlo appieno, ancor più di Alberto che, per quanto fosse stato un buon amico e l’avesse ascoltato senza pregiudizi, non avrebbe mai saputo cosa significasse essere gay e non riuscire ad accettarsi.
Trovare Fernando era stato completamente inaspettato, e all’inizio nemmeno voleva avere a che fare con lui, ma ora, a distanza di quasi due mesi, si rendeva conto che incontrarlo era stata una vera manna dal cielo.
Si voltò verso di lui quando lo sentì brontolare sottovoce, di certo poco entusiasta di qualcosa.
-Tifi Ferrari?- gli chiese distrattamente, solo perché il silenzio aveva cominciato ad infastidirlo. La Ferrari era l’unica scuderia che gli fosse venuta in mente, forse perché era quella più famosa e l’unica riconoscibile tra le tante in pista, con le sue due macchine dalle livree rosse che, a quanto ricordava, erano partite dalle prime posizioni.
Fernando acuì lo sguardo:
-Non esattamente-.
-Non c’è qualche pilota spagnolo?- riprovò Pietro. Per quel che sapeva lui, i piloti in pista potevano anche essere tutti spagnoli.
-Ci sono Alonso e Sainz [1]- gli rispose Fernando, voltandosi a guardarlo per la prima volta da quando il GP aveva avuto inizio – Ma non è che devo tifare per forza loro solo perché sono spagnolo anch’io-.
Pietro annuì, tornando a guardare lo schermo. Ora il conteggio dei giri ne segnava 36, e la regia seguì una macchina rossa – inequivocabilmente una Ferrari, la numero 7- entrare in quella che, da quel che aveva capito, dovevano essere la pit lane [2]. L’attenzione di Fernando tornò di nuovo a concentrarsi sulla gara, in evidente agitazione.
-Adesso zitto, che qua se va male … -.
I meccanici fermi ai box si stavano apprestando al cambio gomme, ma prima ancora che Pietro potesse commentare dicendo che era andato tutto bene e poteva tornare a rilassarsi – almeno relativamente-, vide la macchina partire prima che l’ultimo meccanico si allontanasse, trascinandolo con sé e facendolo atterrare brutalmente sull’asfalto.
-Coño!- urlò Fernando e, senza sapere minimamente lo spagnolo, Pietro seppe che quella doveva essere senz’altro un’imprecazione non molto entusiasta.
Fernando si buttò sullo schienale, come se fosse stato drenato di ogni energia, le mani al viso e gli occhi alzati al cielo.
-La solita fortuna di Kimi [3]- lo sentì mormorare Pietro, che riuscì a malapena a trattenere le risate nel vederlo così in crisi:
-Qualcosa mi dice che tifi lui-.
Per tutta risposta, Fernando tirò un sospiro estremamente profondo:
-Essere raikkoniano da anni ti prepara a qualsiasi genere di delusione. Sono tremendamente allenato a prospettare sfiga in qualsiasi occasione-.
Pietro dovette fare uno sforzo immane per non scoppiargli a ridere in faccia.
-Cazzo, un podio buttato nel cesso- si lamentò ancora Fernando, che però riuscì a rialzarsi e tornare a guardare lo schermo della tv, dove ora si vedeva la Ferrari ferma, le ruote fumanti, a pochi metri dal punto del disastro. Pietro immaginava che la gara di Raikkonen non sarebbe proseguita oltre.
-Il meccanico credo se la stia passando peggio- commentò.
-Probabile- convenne Fernando – Bella gara del cazzo-.
 
*
 
I hope that I can say the things I wish I’d said
To sing my soul to sleep and take me back to bed
Who wants to be alone when we can feel alive instead
 
Il malumore per la gara non era durato molto oltre, o forse la proposta che gli aveva fatto Fernando era stata un modo proprio per curare la delusione dovuta al Gran Premio. Pietro non ne aveva idea, ma il risultato poco cambiava: erano comunque usciti di casa, avevano raggiunto il grande parcheggio che vi era vicino alla stazione di Santa Lucia, e avevano recuperato l’auto di Fernando, per poi partire in direzione di Jesolo. Aveva tentato più volte di farsi dire cosa diavolo avrebbero dovuto andare a fare a Jesolo ad inizio aprile, ma Fernando l’aveva guardato tutte le volte con un sorrisetto stampato in viso, e quella era stata l’unica risposta che Pietro aveva ottenuto.
Era ovviamente rimasto sorpreso – e perplesso- quando si erano ritrovati di fronte all’entrata di un luna park, dopo poco meno di un’ora di strada percorsa.
Era ancora confuso da quel cambio di scenario quando ormai stavano finendo di cenare, con due hot dog presi da una bancarella nelle vicinanze, seduti fianco a fianco su una panchina nella zona più vicina all’entrata del luna park.
-Avevi progettato di venire fin qui da sempre, o è stata un’improvvisazione?- gli chiese Pietro, addentando il suo hot dog. La sera era già calata, ma non faceva più così freddo come poche settimane prima, motivo per il quale non era un problema mangiare all’aperto.
-Entrambe le cose, direi- fece Fernando, dopo qualche secondo – Volevo portartici, ma non avevo progettato quando. Stasera sembrava una buona opzione-.
In effetti lo era, pensò Pietro. Non aveva un orario di rientro preciso a casa, motivo per il quale non era stato un problema prolungare l’incontro con Fernando, e non aveva altre ragioni per andarsene da dove si trovava. E poi dovevano ancora parlare sul serio: nemmeno durante il viaggio in auto era riuscito a racimolare sufficiente coraggio, e quindi si era limitato a qualche conversazione leggera, e ad ascoltare Fernando che canticchiava le canzoni che passavano in radio.
-Era da troppo tempo che non mangiavo questo tipo di schifezze- Fernando lo disse con voce piena di soddisfazione, dopo aver addentato il suo hot dog quasi finito, ed alzando gli occhi al cielo per la beatitudine – Adesso sono davvero soddisfatto-.
Pietro rise debolmente:
-Mi vuoi far credere che non sei andato in qualche fast food anche la settimana scorsa?-.
-Ehi, ci tengo a mangiare sano. Sennò non sarei così guapo- fece Fernando, con tale serietà che Pietro capì che non era per niente serio – Ci vuole una certa manutenzione per rimanere sempre a questo livello-.
Pietro si limitò a scuotere la testa, come se avesse appena ascoltato la cosa più assurda di sempre. Con la coda dell’occhio, però, sbirciò davvero Fernando: non aveva idea se facesse anche palestra, ma aveva un fisico tonico, seppur non particolarmente muscoloso, ed era decisamente in buona forma. Ma era altrettanto probabile che sarebbe stato attraente anche con qualche chilo in più.
-Hai della maionese lì- gli mormorò, indicandogli l’angolo sinistro della bocca. Avvertirlo era un po’ come ammettere che lo aveva appena osservato, ma sarebbe stato un po’ sgarbato lasciarlo andare in giro in quello stato.
-Dove? Qui?-.
-No, più in qua-.
Fernando mosse ancora la mano, ma di nuovo non nel punto giusto:
-Qui?-.
-Aspetta, ci penso io- replicò Pietro, e prima di fermarsi a ragionare semplicemente allungò una mano, arrivando con le dita a sfiorare quella parte del viso di Fernando pericolosamente vicino alle sue labbra. Mentre toglieva quel residuo di maionese cercò di non pensare al gesto intimo che aveva appena compiuto.
-Fatto- disse frettolosamente, ritraendo la mano.
Sapeva di essere arrossito, ma Fernando non sembrò turbato:
-Oh, grazie-.
Pietro distolse lo sguardo subito, tornando a mordere il suo hot dog come se nulla fosse stato. Non erano più capitate situazioni a contatto ravvicinato con Fernando, non dopo la prima cena a casa sua e al bacio che c’era stato tra loro poco prima che se ne andasse. Non si era nemmeno più soffermato a pensarci, almeno fino a quel momento, in cui i suoi occhi si erano bloccati sulle labbra di Fernando, piene e morbide. Era una sensazione completamente diversa da quella di brama e desiderio che provava quando pensava ad Alessio, ma non poteva nemmeno negare a se stesso di esserne del tutto indifferente.
-Allora, che mi dici di tua madre? Non mi hai accennato molto finora-.
Fernando aveva spezzato quel silenzio d’imbarazzo dopo un po’. Pietro non capì se l’avesse fatto solo per toglierli da quella situazione vagamente scomoda, o anche per reale curiosità. Forse, semplicemente, se non ci fosse stato quel momento di disagio glielo avrebbe chiesto più tardi con calma, una volta finito di cenare.
-Ho capito solo che eri mezzo sconvolto- aggiunse, con nonchalance.
Pietro si sentì la gola ancora più chiusa:
-Sì, ecco … - si schiarì la voce, insicuro su cosa dire. Era vero che aveva solo accennato alla cosa a Fernando fino a quel momento, senza entrare nei particolari se non lasciando presupporre dalle parole che aveva usato nei messaggi che gli aveva inviato una situazione piuttosto inaspettata.
-In soldoni, diciamo che non è molto convinta della mia relazione con Giada- si costrinse a dire – Non per Giada in sé, ma perché crede che io non sia molto felice-.
-Tua madre è perspicace- fu la risposta fulminea di Fernando, che si guadagnò un’occhiata confusa – Dico sul serio: ha capito tutto solo guardandoti. Anche perché immagino che tu non abbia assolutamente aperto bocca in proposito-.
Fernando cominciava a conoscerlo un po’ troppo bene, molto più rispetto a quanto Pietro fosse in grado di ammettere.
-Quella era la cosa meno scioccante, comunque- disse, dopo qualche secondo di esitazione – A quanto pare credeva che io e Alessio stessimo insieme-.
Per i primi secondi non accadde nulla: nessuna risposta, nessun commento da parte di Fernando. Solo quando Pietro si costrinse a girarsi verso di lui, disorientato, si rese conto che aveva il viso contratto. E poi, dopo un altro secondo, Fernando gli scoppiò a ridere fragorosamente in faccia.
Nemmeno l’occhiataccia che gli rifilò Pietro bastò per farlo smettere subito.
-No, ecco … - Fernando era ancora senza fiato quando cominciò a parlare – Tua madre ha davvero capito molto-.
“Un po’ troppo”.
Pietro sospirò a fondo, la fame che ormai se n’era del tutto andata, non tanto per la reazione di Fernando, ma al ricordo delle parole di sua madre. Erano passati già diversi giorni, e continuava a ricordare quel momento come uno degli eventi più complicati da gestire degli ultimi anni.
-Dovresti esserne contento, però: vuol dire che ti conosce bene, e che ti comprende anche senza che tu dica nulla-.
Pietro sbuffò:
-È stato imbarazzante-.
Fernando non demorse:
-Cosa le hai detto?-.
-Sono andato nel panico e le ho detto che era impossibile perché non sono gay- Pietro si strinse nelle spalle, un po’ vergognandosi di quel che stava riportando – Credi che sappia che è una bugia?-.
“Potrebbe sempre pensare che mi piacciano sia le ragazze che i ragazzi” si ritrovò a pensare, come spesso era capitato nei giorni che erano seguiti dopo quello scambio con sua madre. Non aveva ancora capito se quell’ipotesi lo consolasse o lo facesse ancor più sprofondare.
-Non lo so- rispose Fernando dopo qualche secondo, con sincerità – Magari potrebbe pensare che ancora non l’hai capito … O che l’hai capito e non te la sentivi di fare coming out. E questa sarebbe anche l’interpretazione più corretta-.
A Pietro venne voglia di piangere.
-Però hai avuto la conferma che se dovessi fare coming out, molto probabilmente tua madre non ne farebbe un dramma- mormorò Fernando – Come dovrebbe essere, d’altro canto-.
Pietro annuì poco convinto. Sì, forse sua madre non avrebbe reagito male, ma dall’avere un dubbio alla certezza ci passava di mezzo un oceano intero. E se l’avesse vista delusa, dopo averglielo detto? Come si sarebbe sentito?
Forse, tra tutte le persone che aveva intorno, i suoi amici più stretti erano quelli più probabili sul fatto che non avrebbero avuto problemi con un suo coming out come ragazzo gay. Non avevano mai discriminato Alessio in alcun modo, e non gli sembrava che nemmeno con Fernando ci fossero problemi … Ma se ne avessero avuti con lui? D’altro canto, se lui per primo non riusciva a farsene una ragione, non vedeva come mai avrebbero dovuto farsene una gli altri.
-Lei è solo una delle tantissime persone a cui dovrei dirlo, però-.
-Tantissime persone?- Fernando lo guardò un po’ perplesso – Puoi dirlo a chi ti pare, Pietro. Mica devi attaccare i manifesti ai muri per dire al mondo intero che sei gay, se non ti va-.
Prima che potesse rispondere qualsiasi cosa – e probabilmente non sarebbe riuscito a farlo, visto quanto gli si era chiusa la gola, tanto da non riuscire nemmeno a proseguire a mangiare-, Fernando si spostò lungo la panchina, avvicinandoglisi. Non fece nulla: non lo toccò, non lo sfiorò nemmeno, limitandosi a restargli seduto accanto. A Pietro bastò per calmarsi almeno un po’.
-Sarà bello quando un giorno potremo tutti vivere la nostra sessualità senza queste pare e queste paure- sussurrò Fernando, come se oltre a lui lo stesse dicendo anche a se stesso – Forse quel giorno arriverà, prima o poi-.
In quel momento, forse per la prima volta da quando lo conosceva, Pietro si rese conto che anche Fernando non doveva sentirsi del tutto libero. Era vero che lui non aveva più una doppia vita e che non si nascondeva dietro certe bugie, ma gli sembrò come se anche lui si tenesse dentro certe cose che lo ferivano.
Erano così simili che pensò ancora che era stato fortunato ad incontrarlo. Ora che Alberto era all’estero a lavorare, così lontano e impossibile da rivedere a breve, sentiva come di aver trovato rifugio in Fernando. Ed era, immancabilmente, un rifugio più famigliare, perché per quanto diversi lui e Fernando erano molto più simili di quanto si sarebbe mai aspettato. E anche lui la pensava allo stesso suo modo: sarebbe stato bello quando, finalmente, nessuno si sarebbe più dovuto tenere dentro una parte di sé così importante.
 


-Con Alessio ci hai più parlato?-.
Quella domanda a bruciapelo sorprese Pietro non poco. Erano su uno dei sedili della ruota panoramica del parco, che girava lentamente e stava per raggiungere il punto più alto del suo tragitto circolare. Tra tutti i momenti in cui si sarebbe potuto aspettare quella domanda, di certo Pietro non avrebbe messo la mano sul fuoco per quello.
-In generale o della convivenza con Giada?- chiese, un po’ per prendere tempo e un po’ per reale dubbio.
-Entrambe le cose- rispose Fernando, scrollando le spalle – Anche se visto come vi siete lasciati l’ultima volta, ne dubito-.
Pietro schioccò la lingua:
-Hai intuito bene-.
Era vero che lui ed Alessio non si erano più parlati dal giorno in cui aveva ospitato il pranzo tra amici a casa, ma era altrettanto vero che non aveva nemmeno avuto occasioni per incontrarlo. Era piuttosto probabile che anche se avessero incrociato le loro strade non si sarebbero parlati, ma con Alessio non poteva mai dirsi sicuro di niente.
-La detesta proprio, eh?-.
“Dovresti vedere quanto gli sei simpatico pure tu”.
-Crede che lei se ne sia sempre approfittata- si limitò a dire Pietro, guardandosi attorno, più per evitare lo sguardo di Fernando che per reale interesse nel paesaggio che circondava il luna park. Non si vedeva ormai granché, a parte le luci delle altre giostre, con i loro colori fluorescenti, e più in là le luci accese nelle abitazioni.
Fernando sembrò mugugnare debolmente, e Pietro se lo immaginò mentre annuiva tra sé e sé, preso dai suoi stessi pensieri.
-Non pensi mai che possa essere geloso?-.
Quella domanda lo mise in difficoltà. Ricordava perfettamente la reazione che aveva avuto Alessio quando avevano parlato di Fernando stesso il giorno del compleanno di Caterina. Pietro si era domandato se fosse gelosia quella che aveva fatto comparsa nel tono risentito della voce di Alessio, e nelle sue parole pungenti.
-Anche se lo fosse? Tanto lui sta ancora con la sua ragazza- Pietro lo disse un po’ troppo seccamente, ma non gliene importò – Non ne ha il diritto-.
-A volte non si è troppo razionali-.
Pietro avrebbe invece detto l’esatto contrario: Alessio era fin troppo razionale, fin troppo calcolatore in ciò che più gli conveniva e ciò che lo avrebbe potuto ostacolare. Era sempre stato così, o almeno da dopo tutto ciò che era successo con suo padre. Era piuttosto sicuro che fosse un suo meccanismo di difesa, un mero mezzo per proteggersi, ma non poteva fare a meno di pensare che detestava quel lato di Alessio.
Di colpo la ruota panoramica si bloccò, proprio quando il sedile suo e di Fernando aveva raggiunto il punto più alto della circonferenza da compiere. Non che il moto della ruota fosse mai stato particolarmente veloce, ma ora erano del tutto fermi.
-Che cazzo sta succedendo?- si fece sfuggire Pietro, guardingo.
Avvertì il vociare delle altre persone sugli altri sedili, porsi la sua stessa identica domanda, e fu allora che capì che quell’essere fermi non era in programma.
-Forse siamo bloccati- provò a suggerire Fernando.
Pietro si girò verso di lui di scatto:
-Cosa?-.
Non soffriva di vertigini, o almeno non così tanto da rischiare di avere un attacco di panico, ma non era comunque un grande fan dell’altezza. Soprattutto, non poteva dirsi entusiasta di rimanere bloccato lì per non si sa quanto tempo ancora.
Avvertì il proprio respiro farsi accelerato, e cercò di controllarsi il più possibile.
-Sì, vedrai che sistemeranno tra poco- disse Fernando, che non sembrava per niente turbato. Pietro, invece, avrebbe volentieri urlato per la frustrazione:
-Cazzo! Ci mancava solo questa-.
Pietro si guardò intorno, sperando di percepire un lento movimento della ruota. Erano ancora immobili.
Si portò una mano sul viso, ma prima che potesse dire qualsiasi altra cosa si accorse del braccio con cui Fernando ora gli stava cingendo le spalle.
-Su, vieni qua, fatti consolare-.
Lo strinse verso di sé, e sebbene quell’improvvisa vicinanza ebbe il potere di farlo arrossire – da quel punto di vista era più che felice che fosse buio, ormai-, Pietro non si divincolò. Lasciò che Fernando lo facesse accoccolare contro di sé, il braccio ancora intorno alle sue spalle, il suo profumo ora decisamente più percepibile.
-Sai di zucchero filato-.
Era già il secondo momento, durante quella serata, in cui si ritrovava così vicino a Fernando. La prima, in cui gli si era avvinghiato addosso unicamente per colpa sua, era stata nella giostra degli orrori. A circa metà percorso da un angolo buio era sbucata fuori una mummia così tremendamente spaventosa che, un po’ per la sorpresa e un po’ per l’atmosfera, aveva spinto Pietro letteralmente tra le braccia di Fernando. Che aveva commentato con un “Non pensavo fossi così simile ad un koala” che lo aveva fatto letteralmente sprofondare nell’imbarazzo. Non era riuscito a guardarlo in faccia, ma era piuttosto sicuro che in quel momento Fernando avesse avuto stampato in viso un sorriso a metà tra il soddisfatto e il malizioso.
In quel momento, invece, stava semplicemente sorridendo. Si azzardò a guardarlo un po’ meglio, e gli sembrò – ma non ne fu del tutto sicuro- che anche le sue gote avessero assunto una colorazione rosata.
-Sai perfettamente che l’ho mangiato prima di salire qui- mormorò Fernando, che però rise sommessamente – È un modo intricato per dirmi che ho un buon odore?-.
“E il tuo un modo non troppo implicito di provarci?”.
Pietro non dette voce a quelle parole. Si limitò a lanciargli un’occhiataccia, che lo fece ridere ancora di più.
-Va bene! Ti ringrazio, Pietro, la mia autostima ne esce decisamente rafforzata-.
Stavolta alla risata vi si unì anche Pietro, scuotendo il capo:
-Ma smettila-.
E nonostante nei primi secondi avesse comunque avvertito il bisogno di mettere qualche centimetro di più tra lui e Fernando, quella sensazione svanì poco a poco.
 
Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul
Because we need each other
We believe in one another
I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul
What's sleepin' in our soul*



 
[1] Fernando Alonso (nel 2018 pilota per la McLaren) e Carlos Sainz Jr (all'epoca pilota per la Renault) sono, appunto, due piloti spagnoli di F1.
[2] La gara che Fernando e Pietro stanno guardando è il GP del Bahrain del 2018, di cui potete trovare un riassunto cliccando qui
Al minuto 4.36 troverete esattamente il punto descritto nel capitolo (e la ragione per cui Fernando rimane così deluso da questa gara 😂)
[3] Kimi Raikkonen, pilota finlandese che nel 2018 gareggiava per la Ferrari.
 
*il copyright della canzone (Oasis - "Acquiesce") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
... Sappiate che, dopo la scena della gara, avete sufficienti elementi per capire da dove deriva il nostro nickname #sapevatelo 😂 E sappiate anche che le reazioni di Fernando alla gara andata male sono totalmente credibili, e anzi ... Decisamente ispirate alle sottoscritte (ve lo può assicurare la nostra Greyjoy).
A parte gli scherzi, nuovo capitolo e parecchie novità da commentare!
Diciamo che ci siamo prese qualche licenza poetica, e nella realtà all'interno della narrazione il mondo del lavoro in Italia non fa così schifo come nella realtà nostra di tutti i giorni (regaliamoci qualche gioia ogni tanto) ... Ed è per questo motivo che Giulia può trovare un lavoro decente in poco tempo 😂
La vediamo qui quasi arrivata al colloquio vero e proprio, con qualche caduta lungo il tragitto... Ma la nostra Giulia è una tipa tosta, quindi nemmeno un paio di tacchi possono fermarla! Riuscirà ad ottenere quel lavoro? Giulia riuscirà a vedere i propri progetti andare a buon file o sarà solo una delusione?
E poi passiamo a Pietro, che nel giro di un paio di settimane prima dà la notizia ai suoi amici dell’imminente convivenza con Giada (per la gioia di qualcuno in particolare), e poi la porta a conoscere la sua famiglia. E questa giornata in particolare è decisamente intensa, ed è in questo frangente che si svolge il dialogo con Alessandra, che si dimostra una donna dotata di ottime capacità di osservazione. "La mamma è sempre la mamma" sembra quindi un'espressione azzeccata da associare a una donna che ci ha visto  lungo sul proprio figlio, nonostante le continue negazioni da parte di Pietro … Forse un giorno riuscirà ad aprirsi ed essere sincero anche con lei.
E per finire, ritroviamo il nostro golden duo del momento: il legame tra Pietro e Fernando si sta facendo sempre più stretto, tant’è che Pietro, ormai, lo considera a tutti gli effetti un confidente e una persona di cui si fida, confessandogli tutti i dubbi e le paure legate alla sua vita. 
E poi, a quanto pare, sembrerebbe esserci una certa tensione tra di loro 👀
Come si evolverà ulteriormente il loro rapporto? E soprattutto, Pietro riuscirà a risolvere qualche suo conflitto interiore e pure qualche problema tra i tanti di cui è costellata la sua vita attuale?
Lo scopriremo solo andando avanti, e perciò ci rivedremo mercoledì 3 agosto con l'inizio di un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
   
 
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