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Autore: benedetta_02    06/07/2022    0 recensioni
"Al mondo esistono 8 miliardi di persone, ma talvolta siamo presi così tanto da noi stessi, che noi ragazzi non siamo capaci di renderci conto di chi soffre, ride, ama e piange intorno a noi."
I problemi, gli amori, le amicizie, la vergogna, i dubbi degli adolescenti raccontate da diversi punti di vista e da diverse angolazioni.
NUOVO CAPITOLO OGNI VENERDI'.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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D’improvviso-Lorenzo Fragola
Quando l’autunno accenna ad arrivare te ne accorgi subito. Aldilà del colore delle foglie che sinceramente trovo fantastiche, il mutamento da uno stato vivo e acceso come le foglie verdi d’estate al lento passaggio di colore sulle sfumature dell’arancione o del marrone per poi esaurirsi in un nulla d’inverno. Si sente forte l’inizio della monotonia autunnale, il tempo piatto, quasi spento. Faccio fatica ad alzarmi con questo tempo, ma devo farlo per forza. Mi sveglio ce mi incammino verso la cucina quasi sbiascicando, trovo Emma ed Andrea in cucina. Emma, seduta al tavolo, sta versando tutte le lacrime che ha in corpo quasi come una bimba a cui hanno rubato la sua bambola preferita mentre Andrea sta al telefono posato sul vetro del balcone, ma non dice nulla. Mi avvicino immediatamente ad Emma toccandola quasi per attirare la sua attenzione e lei appena mi vede mi abbraccia iniziando a piangere sempre più forte e anche Andrea si accorge della mia presenza.
“Devo andare, ci aggiorniamo” dice Andrea al suo interlocutore dall’altro capo del telefono. Chiude subito la telefonata, premendo più volte sul tasto di chiusura come se quella telefonata non volesse terminare mai.
Mi guarda preoccupato. Andrea non è mai preoccupato. Si porta un mano in viso, facendola passare poi nei capelli ricci ancora con il telefono in mano. Poi il vuoto. Lancia il telefono contro il pavimento e urla.
“Finirà mai questa tortura?” Urla Andrea con tutto il fiato che aveva in gola.
Io ero in un palese stato di confusione, ma non osavo fare nemmeno una domanda o chiedere spiegazioni. Non avevo la forza, le parole non riuscivano ad uscire. Avevo già un brutto presagio, ero diventata una campionessa nel campo delle tragedie. In cuor mio potevo solo immaginare quale sarebbe stata la prossima sventura.
“Emma vai a sistemare Mattia per scuola.” Sussurra Andrea a mia sorella, ma lei non osava staccarsi da me. Avevo perso la sensibilità al braccio per quanto me lo stesse stringendo forte.
“Emma, ti ho detto di fare una cosa, cazzo!” Urla ancora Andrea.
Sia io che Emma sussultiamo quasi all’unisono e le prendo il viso in mano come a rassicurarla che tutto sarebbe andato bene, non sapendo nemmeno cosa sarebbe potuto succedere da lì ai prossimi 5 minuti. Emma nutrendo una forte fiducia in me , mi guarda con segno di paura e mi fa un mezzo sorriso, ovviamente finto. Conosco i miei fratelli, mi basta scrutarli anche solo di passaggio per capire il loro stato d’animo. Emma allora si alza e va per svegliare Mattia.
L’aria che si respirava in cucina era gelida. Anzi, siberiana. Non osavo guardare in faccia Andrea, sapevo che da lì a poco avrebbe parlato lui. E così fu. Si avvicina con le sue solite movenze da sfaticato e inizia a farmi quei suoi soliti massaggi tremendi che fanno solo male.
“Carla, mamma è in ospedale” Dice tutto ad un fiato con voce tremante.
Mamma è in ospedale. Perché? Troppo lavoro? Troppo stress? Si è sentita male? Hanno trovato papà in malo modo e mamma è andata a prenderlo? Si è ferita? È andata a trovare qualcuno? Cosa è successo?
“Stanotte è stata aggredita a Tiburtina.” Continua Andrea, ormai piangendo. “Mi ha detto Monica, la sua collega, che stavano facendo i soliti giri di pulizie. Si erano fermate davvero 5 minuti per prendere una cosa alla macchinetta. Non so poi cosa sia successo. Dice che dei tizi le hanno aggredite, le hanno tirato qualcosa in testa, mentre era di spalle.”
Andre si ferma, non credo ce la facesse più a proseguire il racconto o probabilmente non sa davvero nulla oltre a questo. Non avevo parole. Ero sveglia da 20 minuti e ancora non avevo detto neanche mezza parola.
“Dobbiamo andare”. Andrea proferisce l’ultima frase e si stacca bruscamente dalle mie spalle correndo verso il bagno.
“Io porto Mattia dalla signora Lucia.” Vedo la sagoma di Emma con in braccio Mattia che mi si palesa davanti la porta della cucina. Non le dico nulla. Acconsento solo con la testa.
Volevo vedere solo mia madre, volevo parlarle, vedere che stesse bene. Vado a mettere le prime cose che trovo e mi dirigo immediatamente fuori casa e avviso Aurora che non mi avrebbero dovuto aspettare perché tanto non sarei andata da nessuna parte, tantomeno a scuola. Prendo il bus che portava al Santo Spirito in Sassia e metto subito le cuffiette. Andrea continua a telefonarmi perché avrà capito che cosa ho intenzione di fare e ovviamente se lui non dà l’ok ultimamente in questa casa nessuno ha più capacità decisionale.
Rondini al guinzaglio- Ultimo
Man mano che l’autobus si avvicinava all’ospedale sentivo sempre di più una strana forma di ansia e una sensazione tremenda che si insinuava in ogni molecola del mio corpo. Persino fin sotto la pelle sentivo che qualcosa non stesse andando bene. Ma la mia forza interiore, mi diceva che la mamma stava bene, che era viva, che mi avrebbe vista e come se niente fosse mi avrebbe detto “ma si, so’ due graffi”.
E per la prima volta nella mia vita speravo con tutto il mio cuore che non mi stessi sbagliando, che il mio sesto senso non mi avrebbe tradita, che non mi avrebbe mai lasciata da sola.
Arrivata alla fermata, scendo come una gazzella inseguita da un leone affamato e con tutta l’adrenalina che avevo in corpo inizio a correre come mai avevo fatto verso l’entrata dell’ospedale nella speranza che tutto stia andando come deve andare. Ricevo subito le indicazioni che mi servono e continuo a scappare in giro per le scale di quella struttura gelida. Quando finalmente arrivo nel corridoio giusto e incrocio lo sguardo di Monica, la collega di mia madre con un collare al collo e delle garze in testa, lei inizia a correre verso di me e mi abbraccia come se avesse visto la Madonna.
“Dov’è la mamma? Posso vederla?” Dico io finalmente dopo una mattinata in silenzio.
“No tesoro, non puoi. Non è orario adesso. Torna stasera, sappi che la mamma sta bene. È stata miracolata, ha qualche angelo in paradiso.” Mi dice Monica con le lacrime agli occhi, sorridendomi.
E allora inizio a piangere anche io, come se avessi finito una maratona e finalmente avessi visto la meta. Inizio ad incamminarmi verso casa, non volevo prendere il bus, volevo camminare, godermi un po’ l’atmosfera. E poi prima sarei tornata e prima Andrea avrebbe potuto rompere le palle.
Drops of Jupiter- Train
Mentre camminavo, non sapevo nemmeno io dove stessi andando. Un lato di me era ancora in pensiero per quanto successo, mentre l’altra me avrebbe solo voluto vivere una vita senza nessun tipo di preoccupazione, esattamente come vivevo prima. Ma tutti sapevamo benissimo che non sarebbe più tornato nulla come prima. Papà non c’era più, ormai non lo vedevo da troppo tempo, e la mia più grande paura è poter dimenticare i tratti del suo volto, le sue grandi mani e la sua voce che seppur calda sempre tenera e dolce nei nostri riguardi. Se lui fosse stato qui con noi in questa situazione, avrebbe sicuramente preso la macchina e sarebbe andato girovagando per Roma a trovare un presunto colpevole del maledetto che aveva distrutto sua moglie e la aveva ridotta in quelle condizioni. Poi sarebbe tornato da noi, ci avrebbe abbracciati tutti e 4 insieme come era solito fare e avrebbe detto “i Gargano si piegano ma non si spezzano”. Guardaci ora papà, come siamo messi. Siamo quasi polvere. Io non ho mai creduto nemmeno per un attimo che mio padre potesse essere colpevole di estorsione o quelle cose lì, non che io ci capisca poi più di tanto. Ma ho sempre rifiutato anche solo l’idea lontana che questa possa essere la realtà dei fatti, non ho mai nemmeno lasciato che si potesse avvicinare alla mia mente. Spesso vorrei che però lui fosse morto, o quel giorno o chissà in quale angolo di mondo. Sarebbe più semplice da concretizzare. Invece no, mi ha lasciata con la speranza che un giorno lo veda arrivare dal portone di casa con la solita borsa della palestra, con le braccia spalancate e urlano “Carletta di papà!”. Io non posso nemmeno immaginare dove tu sia, ma Carletta è scomparsa da un bel po’.
IL GIORNO DOPO
La banalità del mare- Pinguini Tattici Nucleari
Guardavo le mie amiche che ridevano per un meme della Calossi, la nostra professoressa di filosofia, che i rappresentanti di istituto avevano pubblicato sulla pagina della scuola.
Leonardo aveva continuato a tartassarmi di messaggi nei giorni successivi a quando mi aveva costretta a far parte del comitato studentesco, ovviamente contro la mia volontà. Tutti i messaggi non riceveranno mai una risposta. I ragazzi come Leonardo, sono quei tipici ragazzi che se vogliono una cosa, la ottengono sempre. Io sono certa che Leonardo Spata non voglia uscire con me perché io gli possa anche un minimo interessare o addirittura piacere, credo lo faccia semplicemente mi ha vista come una gran bella sfida da portare a casa come vincitore. Non voglio darli nemmeno la possibilità, anche solo lontana, di potere entrare nella mia vita e poterci giocare in base allo stato d’animo della giornata.
“Tua mamma?” I miei pensieri vengono improvvisamente interrotti dalla voce squillante di Alice.
“Sta meglio. Per fortuna non è stato nulla di che. Ha perso un po’ i sensi, ha avuto qualche graffio, ma ora sta bene. È già tornata a lavorare” Ho detto tutto ad un fiato quasi come se stessi vomitando le parole. Non ne potevo più di raccontare quella storia.
“Va bene.” Mi risponde lei, quasi fredda.
Alice non mi aveva ancora fatto passare il fatto che, almeno apparentemente, io avessi un rapporto fantastico con Leonardo Spata. Infatti non era così. Ma nella sua testa tutto questo era stata dipinto come me, l’amica stronza che non voleva assolutamente farle fare una figura di merda con Lorenzo.
“Ali, che dici se parliamo un po’?” Le propongo io con un sorriso a 32 denti.
Lei mi guarda insospettita. “Dimmi, dai.” Dice lei.
“Ali mi sembra quasi scontato dirti che io e Leonardo non abbiamo nessun tipo di rapporto.”
“Carla, sai qual è la cosa più grave? Che tu hai finto per tantissimo tempo di non sapere nemmeno chi fosse tale Leonardo e adesso vengo a sapere che vi fate le battutine, che sei nel comitato della scuola grazie a lui, che organizzate feste insieme e che lui ti guarda sempre come se fossi nuda!”
Mi coprii istintivamente con il cardigan beige che avevo addosso e le risposi. “ Ma Alice ti giuro che avremo parlato due volte, anzi è già tanto probabilmente.” Poi sospirando forte continuai “Tutto questo sconvolge anche me, credimi. Il signor Spata sa perfettamente che fra me e lui non ci sarà mai niente, per questo continua a torturarmi, perché si diverte. Se vuoi ora che devo stare con loro per sta festa, posso provare a parlare con Lorenzo di te, vedere che ne pensa e se mi perdonerai potrei proporre di sostituire me con te all’interno del comitato. Ah, che dici?”
Inutile dire che con l’ultima battuta avevo conquistato subito Alice. Mi abbraccia fortissimo continuando ad urlare cose incomprensibili accompagnata dalle risate di Aurora e Giulia.
“Regà, sono le 8:25. Siamo in ritardissimo, dai” Dice Giulia, iniziando a raccogliere tutte le cose sul tavolo del bar, aiutata dalle altre . Velocemente ci dirigiamo tutte verso l’ingresso della scuola e prima che possa accorgermene Leonardo mi placca all’ingresso.
“No. No. No. Tu non entri finchè non mi dici perché mi stai evitando così?” Mi dice convinto di aver detto ancora una volta la cosa giusta.
“Ma fra tutte le ragazze che ci sono, tu mi devi spiegare perché io?”
“Perché emani una luce elettrizzante quasi come l’alba.”
Oh Dio mio. “Leonardo Spata inizi a spaventarmi sul serio.” Lui ride ma io vorrei solo ucciderlo. “Mi dici che vuoi ora?”
“Vorrei solo sapere se ci sei stasera alle 21:00 per sistemare il Byte.”
“Ma non hai degli amici con cui fare queste cose?”
“Ovviamente si, ma le tue mani mi sembrano più funzionali. A stasera pupa!” Dice mentre si allontana.
“Eh no, eh. Pupa no!”
Si gira, sorridendomi e per un instante anche io ho dovuto trattenere un sorrisetto.
Dopo la lezione tornai direttamente a casa accompagnata da Aurora. La saluto con il mio solito fare veloce come se il tempo non fosse mai abbastanza per fare tutto. E salgo in casa, dove inspiegabilmente non c’è nessuno. Ne approfitto per mangiare con i miei tempi, studiare con i miei tempi, sistemare casa con i miei tempi. Insomma, un pomeriggio dedicato solo ed esclusivamente alla sottoscritta e poi verso le 20.30 esco di casa per prendere il bus e vado verso il Byte.
Finalmente arrivo con la bellezza di 5 minuti di anticipo e ovviamente non c’era nessuno. “Aspetterò” pensavo fra me e me. Fino a quando da che l’appuntamento era alle 21:00, alle 23:30 non c’era ancora nessuno. Ho anche aspettato troppo. Prendo il mio zaino e decido di andare via a casa, rammaricata di aver sprecato una serata in un locale vuoto ad aspettare un emerito coglione.
“Ok ci sono. Iniziamo.” Dice Leonardo, oltre la tenda che ci divideva.
“Ma io spero che tu stia scherzando.” Dico io intenta ad andarmene. “Io me ne vado.”
“Eh? Ma come te ne vai? Dai, non fare la melodrammatica ho fatto giusto un po’ di ritardo.”
“Un po’ di ritardo?” Sbraito tirando la tenda che ci separava. La faccia di un cane bastonato. Ma che cazzo aveva fatto? “Che hai fatto finora?” dico con voce più rilassata.
“Potrei aver perso la concezione del tempo, avevo promesso a mio nonno una cena veloce ma forse mi sono dilungato” Mi continuava a guardare con fare dispiaciuto.
Ma avevo imparato troppo bene a scrutare le persone. “Sei un cazzaro.” Dico io andando verso l’uscita, seguita da lui. “E sei pure fatto.” Aggiungo ormai in preda alla rabbia. Mi tira per un braccio e mi ritrovo nello stesso punto iniziale rivolta verso di lui.
“Ok hai ragione sono un cazzaro. Scusa.”
“Tutto qui? Voglio la versione vera e integrale.” Dico sedendomi su un tavolo, mentre lui se ne stava al centro di quella che sarebbe stata la pista , guardandomi come un pesce lesso. “Me lo devi” rincaro la dose.
Accenna un sorriso e poi abbassa lo sguardo verso quelle scarpe di merda che aveva messo ancora una volta, poi torna a guardarmi e si avvicina verso di me. “Vuoi la versione intera o tagliata?”
“Intera, Spata.”
“Ok. Ale e Lo mi hanno chiamato verso le 20.00 per un kebab e una cannetta e allora ho pensato ‘vabbe una cannetta e un kebab non hanno mai fatto male a nessuno’. Così accettai la loro proposta.”
“Avete aiutato anche il kebbaro a ripulire o avete menato lo spacciatore e vi siete fumati tutto?”
“No, non è finita. Verso le 21.00 stavo per prendere la macchina, quando mi chiama Beatrice per dirmi che i suoi erano appena andati via, che aveva voglia e allora…”
“E allora sei un porco.”
 
Basket case – Green day
“Io avrei detto pervertito.”
Non riuscivo a smettere di sorridere, nonostante avessi avuto voglia di picchiarlo fino a ridurlo una merda, in quel momento mi faceva solo ridere, ma non so nemmeno perché. Non so se fosse perché effettivamente in cuor mio lo stessi sfottendo, o mi faceva sorridere la situazione e che si fosse scusato con me per essere andato a letto con la sua pseudo fidanzata o perché effettivamente mi piaceva stare lì con lui a parlare come se ci conoscessimo da tempo.
“Beh diciamo che sei perdonato, ma il lavoro più pesante lo fai tu.”
Passammo tutto il tempo a ridere e a scherzare. Avevamo messo a nuovo quel posto. Era da mesi che nessuno entrava più al Byte, ormai si può dire che questo locale vive solo grazie a noi del Leopardi. Infatti all’interno del locale c’eravamo solo noi due, nemmeno il proprietario era venuto. Aveva detto a Leonardo di avvisarlo quando avevamo finito così sarebbe passato a chiudere lui o almeno così credevamo.
“Oh finalmente abbiamo finito.” Esorto io lanciando la pistola per la colla a caldo.
“Si adesso avverto Marcello, così chiude. Noi iniziamo ad andare. Vuoi un passaggio?”
“Si, magari. Anche perché sono quasi le 3 e bus non credo ce ne siamo di qua.”
“Si tranquilla, cominciamo ad uscire.”
Ma il peggio stava per accadere. Marcello ci aveva chiusi dentro. Era stanco di aspettarci e allora verso mezzanotte aveva deciso che noi eravamo andati via senza nemmeno controllare che ci fosse rimasto qualcuno o qualcosa dentro, nonostante avessimo anche una luce abbastanza forte. Dopo vani tentativi di scassinamento, decidiamo che ogni cosa sarebbe stata vana e non ci resta che avvisare che non saremmo tornati a casa. Mi siedo su una sedia nella speranza che qualcuno ci venga a salvare e Leonardo fa lo stesso mettendosi di fronte a me.
“Per fortuna ho questa.” E toglie una canna già girata dal taschino della giacca. Poi mi fa cenno di prenderla e accenderla.
“No, grazie.”
“Ma va’, lo so che ti drogavi.”
All’improvviso un flash. Ma se non mi conosceva, che ne sa che mi drogavo?
Tentenno un attimo mentre lui si accende una canna. E poi mi lancio. “Scusami Leona’.” Lui alza lo sguardo con la canna in bocca “E tu che ne sai che me drogavo?”
Lui mi guarda e sorride mentre butta via il fumo. “Ma come che ne so. Ah Ca’, non è che abitiamo tu a Budapest e io ad Atene. Semo a Roma. Nello stesso quartiere per giunta. Nella stessa scuola per dirla tutta.”
“E allora perché quando ci siamo presentati mi hai detto che non mi conoscevi?”
“E perché me lo hai detto pure tu?”
“Touchè.”
“Carla. Io so tutto di te. So che eri sempre a ballare. So che pippavi nei cessi delle discoteche. So chi era tuo padre e pure che è successo. So chi sono i tuoi fratelli e conosco anche le tue amiche. So pure che te la facevi con Tommasino.”
“Ah , sai il meglio insomma.”
“So quello che raccontavano tutti.”
“E che raccontavano tutti?”
“Raccontavano che eri la regina delle serate. Che non te ne perdevi una manco a morì. Che ti piaceva essere sedotta ma che alla fine la davi solo a Tommaso. O almeno nell’ultimo periodo. Eri sempre fatta ed eri sempre ubriaca. Poi c’è stata una metamorfosi. Dopo il casino di tuo padre ti sei raddrizzata, hai smesso di ballare, hai smesso di bere, hai smesso di tirare e hai anche smesso di darla a Tommaso.”
“Diciamo che è verosimile.”
“Diciamo che ti credo.”
“Diciamo che è così e basta.”
“Mi sarebbe piaciuto conoscerti ai tempi.”
“Meglio ora fidati.”
“Ma anche volendo non  mi sarei mai potuto avvicinare a te, o almeno non fino a metà terzo. Eri praticamente sotto la scorta di Simone.”
“Vabbe Simone…”
“Ma come mai vi siete lasciati?”
“Era diventato opprimente. Mi vedeva come una più piccola e pensava di avere il totale controllo su di me, e io l’ho lasciato ma lui non l’ha accettato subito.”
Leonardo si fa serio. “Purtroppo lo so.”
“In che senso lo sai?”
Lui mi guarda paralizzato. Poi spegne la canna e mi guarda per un po’. “Carla.” Non continuava a parlare e questo iniziava ad innervosirmi ma prima che potessi controbattere lui mi precedette. “L’ho visto anche io il video.”
Il video lo aveva visto anche lui.
   
 
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