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Autore: Nao Yoshikawa    10/07/2022    4 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo trenta
 
 
Masato aveva notato il cambiamento in Yuichi.
Il suo migliore amico, la sua persona speciale, adesso sembrava aver riacquistato la serenità, non aveva più lo sguardo malinconico che celava dietro gli occhiali.
«Ma ci pensi che avrà una sorellina? Sono proprio contento, era quello che volevo» gli raccontò Yuichi. «E anche la mia mamma e il mio papà… io spero che non si lascino più. Sarebbe brutto, vero?»
Masato, come era solito a fare, s’incantava a guardare Yuichi parlare. Gli era sempre piaciuto perché aveva una dolcezza e una sensibilità simili alla sua.
«Sì, certo. Ma non credo che si lasceranno. Non so come lo so… però lo so» disse, facendo spallucce. E Yuichi gli sorrise.
«Se me lo dici tu, ci credo. Io credo sempre a tutto quello che mi dici e sarà sempre così,»
Masato arrossì. Sotto il banco strinse la sua mano e rimasero così, senza nemmeno guardarsi, mentre il mondo intorno a loro cambiava. In molti avevano iniziato a cambiare: Naoko, Kiyoko e Ai, ad esempio, sembravamo più serene. Anche se il cambiamento più grande stava avvenendo in Rin, oramai migliore amica indiscussa di Miyo. Anche se le due avevano interessi molto diversi, riuscivano a coinvolgersi l’un l’altra. E sia Masato che Yuichi sussultarono quando udirono un tonfo: Rin aveva poggiato dei pesanti libri sul loro banco, facendoli spaventare.
«E questi?!» esclamò Yuichi sistemandosi gli occhiali.
«Gliel’ho prestati io, qui ci sono gli altri» spiegò Miyo posandone altri due davanti a loro. «Però trattali bene.»
«Certo che li tratto bene!» esclamò Rin, che anche se era un po’ arrabbiata con Toshiro e anche se sua mamma era un po’ arrabbiata sia con lui che con suo papà, stava piuttosto bene. Salutò le altre bambine. Naoko constatò soddisfatta che indossava il fiocco che lei le aveva regalato.
C’era un’atmosfera piuttosto rilassata, come non era da tempo. A stonare un po’ era Hayato. Dopo la sua fuga a casa Kurosaki, Rukia era stata costretta a telefonare a Momo. Il bambino non era stato molto felice di doversene tornare a casa, ma alla fine si era dovuto arrendere. Adesso era arrabbiato: aveva bisogno di dare la colpa a qualcuno. Perché se i suoi genitori si erano lasciati, doveva per forza essere colpa di qualcuno, no?
Entrò in classe e puntò Miyo. Poi l’afferrò per un braccio.
«Ahi! Che c’è, che ho fatto?» domandò lei. La sua reazione attirò l’attenzione dei suoi altri amici. Rin e Kaien in particolari si erano fatti molto attenti.
«Dimmi la verità. È vero? Mio padre e il tuo, loro…? Stanno insieme insieme?» domandò diretto. Miyo arrossì mentre i suoi amici si guardavano l’un l’altro un po’ confusi, possibile che Hayato avesse perso la testa?
«Questi non… sono fatti nostri, non lo so» sussurrò Miyo, a disagio.
«Bugiarda, tu sai! Allora è vero! È colpa vostra se la mia famiglia è rotta! Rovina famiglie, ma perché non ve ne andate?»
Miyo strinse i pugni così forte che si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Le capitava raramente di piangere, era sempre molto solare e allegra, ma adesso le veniva difficile, perché sapeva che in parte Hayato aveva ragione.
«Ehi!» gridò ad un tratto Rin. «Guarda che non è mica così che funziona. Anche tua madre sta con un altro. Con quel traditore di Toshiro! Quindi prenditela anche con me, se vuoi!»
Hayato arrossì, arrabbiato. Era finito in una situazione che lo aveva messo a disagio.
«Tu fatti gli affari tuoi! Non sei più mia amica, non ti voglio più parlare!» Hayato guardò Miyo, gli occhi ridotti a due fessure. «E poi due maschi che stanno insieme… mi fa proprio schifo.»
Quella frase turbò un po’ tutti. Miyo, che si trovava in mezzo, soprattutto Yuichi e Masato. Davvero c’era qualcuno a cui faceva addirittura schifo l’idea che due maschi stessero insieme?
«Non è vero…» intervenne infatti Yuichi, facendosi coraggio. «Non è vero, non fa schifo. Tu sei un cretino e basta!»
Come se fossero tutti nemici, Hayato sarebbe stato pronto ad attaccare. E Kaien capì che doveva intervenire.
«Ohi» disse dandogli un colpetto su una spalla. «Hayato, se noi adesso siamo amici, tu devi trattare bene anche loro. Perché non mi piace quando qualcuno tratta male i miei amici. E poi la cosa che hai appena detto…mmh» le sue guance si colorarono di rosso. «Tanto tempo fa le pensavo anche io, ora però penso che non è giusto.»
Hayato sospirò profondamente. Era ancora arrabbiato, ma Kaien Kurosaki (che per tanto tempo aveva trovato irritante) aveva anche la capacità di non fargli perdere la testa. Hayato guardò Rin – l’amica di sempre che ora non voleva più vedere – e guardò Miyo. Che con quegli occhioni innocenti e dolci, era insopportabile.
«Pff, vabbé. Non voglio parlare più con nessuna di voi due. Sceme!» disse infine.
«Scemo ci sarai tu. Stupido, imbecille, cretino!» borbottò Rin, ma Hayato se n’era già andato. «Non lo ascoltate. Non lo ascoltare soprattutto tu Miyo, siccome è arrabbiato deve prendersela con qualcuno.»
Miyo sembrava un po’ spaesata. I conflitti non le erano mai piaciuti.

«Sì, io… adesso vado in classe, quindi… a dopo.»
Rin la osservò preoccupata. Conosceva bene la lingua tagliente di Hayato e sapeva che in quella situazione tutte e tre le loro famiglie erano coinvolte. Si stava sforzando di capire come se ne potesse venire fuori, ma forse quella era una situazione che potevano risolvere solo gli adulti. O almeno lo sperava!
 
«Quindi Rangiku è arrabbiata di nuovo con te, vero?»
Kira era in assoluto la persona migliore con cui parlare, nonché uno dei pochi che avesse il privilegio di vedere Gin depresso, preoccupato.
«Sì, ma questa volta le ho nascosto questa cosa ha fin di bene. Non volevo incasinare tutto, ma ci sono riuscito lo stesso» Gin era già al terzo bicchierino di… qualcosa. Una roba straniera, tipo tequila, non gli era dispiaciuto. «Il migliore amico di mia moglie è l’amante della moglie di Aizen, che è il mio capo, con cui mi sono sempre sentito in debito. Non so lui come potrebbe reagire se sapesse che sapevo. Sai, ho capito che tenere segreti e nascondere le cose non fa al caso mio, è stressante. Ce n’è ancora di quella roba da bere?»
Gin era sempre stato bravo a mantenere i segreti e a nascondere qualcosa al momento opportuno. Era per questo che a molti non piaceva o risultava inquietante, perché non si capiva mai cosa gli passasse per la testa. Ma Kira, che lo conosceva bene, alla fine sapeva che era solo una persona come tante.
Shuhei Hisahi – il compagno di Kira – non era molto contento di quella incursione in casa propria.
«Il tuo amico depresso non se ne può andare a casa? O al massimo va ad ubriacarsi al bar!» si lamentò.
«Sssh, Shuhei. Non essere così indelicato» lo pregò Kira. Gin però non ci fece nemmeno caso, troppo concentrato sul suo dramma.
Ma Rangiku non era arrabbiata con lui. Non più almeno, adesso era più preoccupata per la situazione di Toshiro che per altro. Lui era solo un ragazzo che si era innamorato e si era messo in una situazione complicata. E poiché gli voleva bene come un fratello minore, qualcosa doveva pur fare. Anche lei si presentò a casa di Kira, seria e con una certa aria di rimprovero verso suo marito.
«Sei venuta a riprenderti tuo marito?» domandò Hisagi, un po’ scorbutico. «Sta diventando piuttosto insopportabile.
«Sì, posso immaginare» rispose lei giocherellando con i propri capelli. «Gin, non c’è bisogno di disperarsi, non sono arrabbiata con te.»
Gin sollevò lo sguardo, i suoi occhi apparivano stranamente grandi.
«Davvero? Non sei arrabbiata perché io e Toshiro avevamo un segreto?»
«No, sono solo preoccupata per lui. Coraggio, vieni qui.»
Gin si rese conto innanzitutto di aver bevuto un po’ troppo, cosa che non era da lui. Secondo, era stato proprio stupido a disperarsi in quel modo. Afferrò la mano di sua moglie e poi l’abbracciò stretta.
«Scusa se mi sono rifugiato qui. Ho capito che mantenere i segreti è troppo stressante, e anche nascondere le cose.»
Rangiku sorrise intenerita e gli accarezzò i capelli. Quel suo lato così tenero e umano era ciò che amava di più, di lui.
«Non dovrai più farlo, sta tranquillo» sussurrò, mentre Kira commentava il fatto che fossero davvero una coppia adorabile, due anime gemelle destinate a trovarsi sempre nonostante le diversità.
Rangiku trascinò via Gin da casa di Izuru e lo fece sedere al sicuro in auto. Lì, Gin iniziò a riacquistare un po’ di lucidità.
«Non credo che dobbiamo preoccuparci per lui» disse. «Aizen sta con quel tipo… il padre di quella bambina, Shinji Hirako. A quanto pare è il suo amante.»
Rangiku inarcò le sopracciglia. Continuavano le sorprese, a quanto sembrava.
«Rimane comunque il fatto che sono preoccupata. Toshiro è giovane, ancora studia. Che cosa farà adesso? Avrà una relazione con Momo? Si occuperà anche di suo figlio? E che succede se le cose vanno male? E poi di Aizen non mi fido, orgoglioso per com’è potrebbe rendergli la vita un vero inferno, io…» si fermò un attimo e cercò di respirare. Non era da lei essere apprensiva o negativa, anzi, ma quella situazione l’aveva mandata in paranoia.
«Lui è in gamba, sa quello che fa. Comunque potrà contare su di noi» la tranquillizzò stringendole una mano. «Forse dovresti parlare con lui. Pensa che adesso lo odi.»
Rangiku strinse un pugno, nervosa.
«Da un lato lo prenderei a pugni! Ma da un lato so che al cuor non si comanda, quindi al diavolo, andiamo da lui. Ma se non è a casa nostra, né all’università, immagino ci sia un solo posto dove può essere.»
Nessuno dei due si era sbagliato in effetti e Toshiro aveva chiesto a Momo di incontrarsi, cosa che non era ancora successa da quando erano stati scoperti da Aizen. Adesso iniziava ad essere un po’ teso. Aveva sempre saputo di essersi cacciato in una situazione un po’ strano, eppure la consapevolezza non lo aveva preparato ad affrontare quegli eventi.
«Non pensi sarebbe stato meglio vederci fuori?» domandò mentre Momo lo tirava dentro. Non si sentiva molto a suo agio a tornare a casa sua, se avesse avuto davanti Aizen o anche suo figlio non avrebbe saputo come reagire.
«Sosuke non c’è. Adesso che è uscito allo scoperto, non ha problemi a passare più tempo col suo amante» disse, non riuscendo a nascondere un certo ribrezzo.
«E dai… lo so che è difficile, ma Shinji è mio amico. E tutto questo è molto strano» ammise, scompigliandosi i capelli. Doveva ancora capire come avessero fatto quei due ad innamorarsi, anche se non poteva giudicare. Si trovavano tutti sulla stessa barca. Momo sospirò.
«D’accordo. Comunque ti avevo detto di aspettare che le acque si calmassero.»
«E a che serve? Tanto oramai lo sanno tutti» Toshiro la guardò negli occhi, serio. «Per caso non sei più convinta? Di noi due, intendo.»
Dubitava che Momo avrebbe continuato la sua relazione con Aizen, ma non era nemmeno scontato che volesse continuare con lui. Lui era un ragazzino, alla fine dei conti. Magari lei aveva bisogno di un uomo.
Momo arrossì.
«Mi dispiace, ti ho dato questa impressione? Non è questo, sono solo preoccupata. Intanto voglio divorziare, questo è sicuro. Sosuke non ha motivo per dirmi no, nemmeno lui vuole più questo matrimonio. È il dopo che mi spaventa. Sono terrorizzata all’idea che tutto potrebbe andare male, di nuovo. Perché mi sono innamorata di te e non voglio… non voglio che vada tutto male.»
Momo aveva con sé il trauma dell’amore che finiva, che si spegneva inesorabilmente sotto i suoi occhi senza che potesse fare nulla. Aveva paura che con Toshiro fosse solo uno di quegli incendi violenti ma che si estinguevano in fretta. E non lo voleva, nella maniera più assoluta. Toshiro, dal canto suo, aveva paura diverse: sarebbe stato in grado di essere l’uomo che lei meritava? Strinse le sue spalle, tremando appena.
«Non lo voglio nemmeno io, ma se non tentiamo non lo sapremo mai. Se dovrà finire, finirà sia che ci preoccupiamo o no.»
Poi le baciò la fronte e Momo ricordò perché lui l’aveva conquistata. Perché era diverso da lei, ma in senso positivo. Perché le alleggeriva la vita. Già si vedeva: loro a vivere insieme e lei che suonava il piano.
Poi squillò il cellulare di Toshiro, una chiamata da parte di Rangiku.

«Eh?» rispose lui. «Sì?»

«Apri la porta. Sì, siamo qui dietro» disse risoluta.
Momo avrebbe voluto sparire. Lei era amica di Rangiku, chissà cosa avrebbe pensato di lei, ma quando se la ritrovò davanti non vide nei suoi occhi né giudizio né pietà. In realtà sia lei che Gin convennero silenziosamente che quei due insieme stavano meglio di quanto fossero mai stati Momo e Sosuke.
«Eeehi. È tutto a posto, Toshiro. Rangiku non è più arrabbiata con te. Ma soprattutto non è più arrabbiata con me» disse Gin allegro. Sua moglie invece era seria. Sollevò un dito e poi prese a parlare.
«Io non sono qui per giudicare, figurarsi. Sono l’ultima persona che può farlo, ma una cosa la voglio dire. A tutti e due» e guardò prima Toshiro e si rese conto di quanto fosse cresciuto oramai. «Lo ammetto, forse ti ho sottovalutato. Sei giovane, ma non sei stupido. Sei sempre stato maturo per la tua età. Sei… anche stato sempre più maturo di me in effetti. Ti sei messo in una situazione difficile e sono preoccupata per te, però… Gin mi ha fatto riflettere sul fatto che tu sei… in gamba, e ha ragione.»
Toshiro arrossì e guardò Gin. Non molto tempo prima non lo aveva mai sopportato. Adesso però erano amici. Sì, di sicuro lo erano.
«E tu, Momo» disse rivolgendosi a lei, che sussultò. «L’amore ci rende pazzi, alle volte, so cosa vuol dire amare in maniera totale un uomo. Però voglio solo che tu sappia che se farai soffrire Toshiro, non ti perdonerò. È come se fosse mio fratello minore e anche se è un adulto in grado di cavarsela da sola, io lo proteggerò sempre. E questo è quanto.»
Se non avesse avuto un carattere poco incline alle lacrime, Toshiro sarebbe scoppiato a piangere. Commosso però ci si sentiva comunque: Rangiku gli voleva bene. E lui le voleva bene, come se fosse stata sua sorella.
«Rangiku…» la chiamò.
«Lo so, non devo immischiarmi, ma sappiate solo questo. Poi insomma, non mi meraviglia che Momo si sia innamorata di te.»
Momo arrossì. Avrebbe voluto dire che aveva ragione, che c’erano tanti motivi per cui si era innamorata di lui e che l’ultima cosa che voleva era farlo soffrire. Un groppo alla gola però le impedì di parlare. Non era triste. Stava solo iniziando a sentirsi meglio.
 
 
Rukia aveva il suo primo esame quella mattina. E Ichigo aveva preso la sua decisione non solo di accompagnarla, ma anche di assistere. Riguardo a questo, sua moglie aveva cambiato idea svariate volte.
No, non puoi rimanere, mi sentirei troppo in imbarazzo.
Rimani, per favore. Se ci sei tu mi sento più coraggiosa.
Ma alla fine Ichigo era rimasto, per calmare l’ansia di Rukia. Per rassicurarla, nel suo modo un po’ impacciato e all’apparenza burbero.
«Ma dai, cosa ti preoccupi a fare? Sai tutto e io ti ho ascoltato tanto che potrei sostenere l’esame al posto tuo.»
«Puoi farlo?» chiese Rukia seduta accanto a lui, un po’ tremante. Solo due volte era stata così nervosa, il giorno del suo matrimonio e il giorno in cui aveva atteso che il test di gravidanza le dicesse se fosse incinta o meno. Stessa sensazione di nodo allo stomaco, stessa nausea.
«Su, non fare la scema. Guarda che ora tocca a te. E se ti dimentichi qualcosa, vai avanti lo stesso» gli disse Ichigo, che di esami universitari era un esperto. Anche lui un tempo aveva passato nottate sui libri, ma a differenza di Rukia affrontava tutto con un’apparente strafottenza che gli rendeva le cose più facili.
«E va bene, vado!» disse alzandosi in piedi di scatto. «N-non ti muovere di qui finché non ho finito!»
«Non mi muovo, promesso» la rassicurò, rimanendosene seduto in mezzo agli altri studenti che nervosi sfogliavano i libri e ripetevano a mente. Rukia era piccola nell’aspetto, ma allo stesso tempo sembrava grande. Ichigo la vide sospirare, poi sedersi davanti la commissione d’esame e dopodiché la sentì parlare. Le aveva raccomandato di non andare troppo veloce, cosa di cui Rukia doveva essersi dimenticata a causa dell’ansia (e probabilmente si era anche dimenticata di respirare). Era una macchina da guerra, anzi di informazioni. E si rasserenò anche lui quando la sentì rispondere ad ogni domanda. Tutto quel lavoro era servito, alla fine e Rukia riuscì ad ottenere quasi il massimo dei voti.
Quando finì, gli andò incontro e quasi si lasciò cadere.
«Sono distrutta, stanca, sfinita» sussurrò, sentendosi improvvisamente debole sulle proprie gambe. Ichigo l’afferrò e l’avrebbe presa tra le braccia per sollevarla, ma evitò.
«Sei stata brava. Ma su questo non ho mai avuto dubbi.»
Rukia arrossì e lo abbracciò.
«Ma non ce l’avrei mai fatta senza di te» sussurrò, abbracciandolo. Ichigo si disse che in realtà non è che avesse fatto granché, anzi, non si era nemmeno comportato troppo bene ultimamente. Lui aveva fatto solo quello che chiunque avrebbe fatto, sostenerla.
«Ma sì che ce l’avresti fatta, tu sei in gamba anche senza di me» disse e ringraziò che Rukia non potesse vedere il rossore sulle sue guance. Insieme uscirono fuori e trovarono vicino alla scalinata che conduceva all’edificio universitario, Renji e Byakuya seduti sulla moto.
«Ma come, l’esame è già finito? Hai visto, siamo arrivati in ritardo» si lamentò Renji. Byakuya guardò la sorella.
«In realtà siamo venuti in ritardo di proposito. Renji avrebbe fatto un tifo fin troppo sfegatato. Com’è andata?»
«Ehi, non ti rivolgere a me come uno che non si sa controllare, capito?» borbottò, in imbarazzo. Rukia e Ichigo si guardarono, sorpresi. Si sbagliavano o c’era forse un’intesa particolare tra quei due?
«È andata molto bene. E vedo che va molto bene anche fra voi due, eh?» domandò alludendo a chissà cosa. Byakuya guardò verso l’alto, facendo finta di niente.

«Sì, va bene…»
«Benissimo!» aggiunse Renji. «Scusatelo, è timido, ma questo lo sapevate già. Allora, mangiamo qualcosa? Sto davvero morendo di fame.»
Quella era senza dubbio una bella giornata. Per tutti.
 
Quel pomeriggio era stato Sosuke ad andare a prendere Hayato a scuola. Sapeva che avrebbe dovuto parlargli, ma non era mai stato bravo a rivolgersi a lui. Hayato, dal canto suo, sembrava ostile. Se ne stava seduto sul sedile di fianco a lui a braccia conserte, imbronciato, come se fosse sul punto di esplodere. Ovviamente suo figlio sapeva. Di lui, di Momo, del loro divorzio. In quella situazione, Shinji sarebbe stato molto più bravo di lui.
«Hayato, c’è forse qualcosa che vorresti dirmi? Qualcosa che dovrei sapere?» domandò.
Hayato aggrottò di più le sopracciglia. Sì, in effetti c’erano molte cose che avrebbe voluto dire.
«Tu lo sai cosa voglio dire. Lo so cosa hai fatto, cosa avete fatto tu e la mamma. Quindi vi lasciate?»
«È così» disse diretto. Girarci attorno sarebbe stato inutile. «So che non ti piace la situazione, ma non puoi scappare come hai fatto l’altra volta.»
Non poteva? Hayato si sentiva in diritto di fare quello che voleva. Come i suoi genitori del resto, no?
«Io invece lo faccio. Perché non lo sopporto. Mamma vuole quel… quel ragazzino. E tu vuoi stare con quello!»
Aizen corrugò a sua volta la fronte.
«Quello ha un nome, Hayato. Le cose sono più complicate di quanto pensi.»
«E chi se ne importa. Io non voglio stare né con te né con mamma. Anzi, non voglio stare proprio con nessuno!»
Aizen si sorprese di non riuscire a gestirlo. Era sempre bravo a gestire tutto, meno che suo figlio a quanto pareva.
«Hayato, smettila con questi capricci.»
Hayato però non era disposto a scendere a compromessi. Così mentre si trovavano ad un semaforo, aprì lo sportello ed uscì, iniziando a correre.
«Hayato, fermo, dove…? Dannazione, quel ragazzino» si lamentò Aizen, scendendo a sua volta dall’auto.
 
Hayato non sapeva dove stava andando, voleva solo allontanarsi il più possibile. Non molto lontano da lì, una ragazzina bionda stava uscendo dal magazzino dove i Vizard facevano le loro prove.
«Torno subito, vado nella libreria qui di fronte!» gridò aprendo la porta. Mentre si girava, qualcuno le venne addosso.
«Ahi! Ma che… cosa?!» esclamò Miyo massaggiandosi la testa. Era Hayato, rosso in viso e con il fiato corto per la corsa, che la fissava.
«Ancora tu?» si lamentò il ragazzino. «Possibile che t’incontro ovunque?»
«E io che c’entro, tu mi sei venuto addosso. Perché mi guardi così?» domandò indietreggiando. Non le piaceva come Hayato la guardava. Era arrabbiato. Lo era da quella mattina, ma adesso aveva perso il controllo.
«Ti guardo così perché non ti sopporto. Perché io sono invisibile e tu invece no!»
Miyo indietreggiò ancora, ma non capì. Cosa aveva fatto stavolta? Se lo chiedeva mentre Hayato le afferrava i capelli e lei si lamentava ad alta voce. Shinji la sentì subito e quando li vide non ci pensò due volte prima di intervenire.
«Ehi, ehi, lasciala subito, ma sei impazzito? Cosa ci fai tu qui da solo?» chiese liberando Miyo dalla presa di Hayato.
«Guarda che ti prendo a pugni, è tutta colpa tua!»
Shinji lo guardò, lo osservò. Ah, eccolo lì il piccolo Hayato, figlio dell’uomo che amava, che di sicuro vedeva in lui la causa di tutti i suoi mali. E non poté dargli torto. Strinse Miyo a sé con un braccio, mentre cercava di capire come fosse arrivato da solo quel ragazzino.
«Non è necessario prendermi a pugni. Piuttost,o come sei arrivato qui?» domandò
Ma la risposta arrivò poco dopo proprio con Sosuke. Quest’ultimo non era a lui che rivolse l’attenzione, ma ad Hayato: lo afferrò per il colletto della maglietta.
«Come ti sei permesso a scappare così? Può essere pericoloso!»
Poi alzò la mano e fece per colpirlo sul viso. Shinji lo capì prima che potesse agire, così strinse il suo braccio e lo fermò. Solo a quel punto Sosuke si accorse di lui.
«Shinji.»
«Sosuke. Questo genere di cose non mi piacciono molto. Quindi ti prego di non colpirlo»
Aizen, che non ascoltava nessuno tranne che lui (anche se solo ogni tanto), allora abbassò il braccio. Hayato se ne stava ancora sulla difensiva, Miyo anche. Era una situazione strana, imbarazzante, più per i due adulti che per i due bambini.
«Va bene, allora adesso andiamo» disse Sosuke. Ma suo figlio si era impuntato.
«Io non vado da nessuna parte. A casa con te, con voi, non ci torno. La colpa è vostra!»
Shinji alzò gli occhi al cielo. Oh, ragazzino insopportabile. Ma non ce l’aveva con lui, in realtà lo capiva. Era solo un bambino. Ferito, confuso, probabilmente con una carenza d’affetto da parte di suo padre.
«Colpa mia, Miyo non c’entra mica con questa storia» ci tenne a precisare. Non si era accorto che a sua figli veniva proprio da piangere. A lei che non erano mai piaciuti gli scontri, tutta quella situazione risultava stressante. E poi uscì anche Hiyori, allertata da tutta quella confusione.
«Oh! Si può sapere cosa è tutta questa… confusione?»
Shinji desiderò sparire. Hiyori sapeva dei suoi trascorsi con Aizen e – tanto per cambiare – la cosa non gli era mai andata a genio. Gli aveva sempre detto che andare con un uomo sposato non era proprio il massimo e che come persona non gli ispirava la minima fiducia. Tutte cose che non gli sarebbero interessate, se non avessero avuto una figlia in comune
«Tu!» esclamò indicandolo. «Tu sei quel… bastardo, Sosuke Aizen.»
«Ci conosciamo?» domandò il diretto interessato. In realtà lui Hiyori la conosceva bene perché Shinji gliene aveva parlato.
«Shinji, ma cosa sta succedendo qui? Ah, ora capisco, è con lui che stai. Con questo tizio snob e pure sposato?» domandò, già arrabbiata.
«Questi non sono affari che ti riguardano, non stiamo insieme» reagì Shinji. Anche quello era un incontro che si sarebbe evitato volentieri.
«Infatti non me ne frega nulla di te, ma hai idea della situazione in cui hai messo anche Miyo?» lo accusò.
Ma nessuno guardava Miyo. Che aveva sgranato gli occhi e aveva indietreggiato.
«L’abbiamo tenuta fuori, infatti» s’intromise Sosuke.
«Già, lo sto notando, eccome!» ribatté lei.
Miyo non voleva sentire nulla. Voleva solo che tutti la smettessero di litigare, che andassero oltre. Lei non era fatta per sopportare questo. E quindi sentì il bisogno di scappare anche lei. Solo Hayato la guardò e la trovò strana.
«Ma che c’è?»
Miyo fece cadere il suo libro di mano. E non molto presente a sé stessa attraversò la strada, si mise a correre e accadde tutto velocemente e lentamente al contempo. Non aveva visto il semaforo rosso e qualcosa le era venuto addosso.
Un’auto. E aveva fatto così male che per un attimo le era mancata l’aria. Poi cadde sull’asfalto e non sentì più nulla. Né le grida, né le parole. Finalmente un po’ di meritata tranquillità.
Hayato gridò perché aveva visto tutto. Era stato come guardare un film, ma molto peggio. Quello era successo per davvero. A lei. A quella bambina della sua età a cui aveva detto di sparire.
Io sono invisibile e tu no.
«MIYO!»
Il secondo grido fu quello di Hiyori, che si era gettata in strada per raggiungere il corpo della sua bambina inerme sull’asfalto.  Sosuke fu molto più controllato, anche se quell’immagina aveva scosso anche lui, per qualche attimo. Mise la mano davanti gli occhi di Hayato.
«Non guardare. Chiudi gli occhi, chiudili. Shinji, chiamo un’ambulanza. Shinji?»
Shinji però non lo sentiva. Aveva smesso di vedere ogni cosa, di sentire ogni cosa. Aveva smesso anche di respirare.
 

Nota dell'autrice
Stava andando tutto bene, doveva succedere il casino indicibile. Povera Miyo, lei è sempre stata così buona e io sono così crudele. Infatti il prossimo capitolo è bello peso, almeno per me lo è stato, Non ho altro da aggiungere, sigh.
   
 
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