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Autore: agfdetre    10/07/2022    0 recensioni
Samantha Betz è un brillante ingegnere di rotta sulla nave interstellare USS Pardatchgrat che a tentoni cerca di tenere in piedi una vita fatta di fragili legami, una mente instabile ed una giovinezza tormentata.
Un'improvvisa missione segreta della nave forza Sammy a tornare in un luogo che pensava di aver dimenticato, sepolto nei ricordi di una vecchia vita. Sarà costretta a rivangare il suo passato ed affrontare l'orribile compito che le è stato imposto.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 5

Erano ormai quasi le sette di sera ed il sole stava calando sull’orizzonte di un mare cristallino. Una leggera brezza soffiava scuotendo le fronde degli alberi e creando piccole increspature bianche sull’acqua che rendevano quel panorama ancora più suggestivo. Sul fianco di una collina a picco sul mare, due giovani pony sedevano in silenzio ai piedi di un ulivo fissando il sole che scendeva.

«Sei pronta?»

«Va bene ma che palle sdraiarsi a terra, non voglio sporcarmi»

«Vedrai che sarà una figata»

Così dicendo le due si steserò sull’erba con lo sguardo rivolto al tramonto: pochi secondi dopo il sole iniziò a scomparire dietro il mare, fino a che non fu completamente sotto di esso. Immediatamente le due si alzarono e così poterono vedere il sole ricomparire sull’orizzonte e tramontare un’altra volta.

«Non ci credo!» esclamò quasi a bocca aperta la pony dal manto color crema e la criniera bionda che prima aveva tanto protestato per sdraiarsi.

«Te l’avevo detto» rispose Samantha ammiccando con fare un po’ saccente «E’ perché il nostro pianeta è tondo: se ti alzi di botto la curvatura fa sì che tu possa vedere il sole tramontare una seconda volta»

L’altra fece una smorfia imitando la spiegazione di Sammy e si accasciò nuovamente alla base dell’ulivo «Gne gne gne, tu sai sempre tutto, vero?»

L’espressione di Samantha cambiò improvvisamente ed un senso di ansia e di vergogna si impadronì di lei. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Perché aveva risposto così? Pensava che quella cosa del doppio tramonto le sarebbe piaciuta e invece si era probabilmente annoiata.

L’altra non fece caso agli assillanti pensieri di Sammy e le fece cenno serenamente di sedersi accanto a lei. La pony perlacea fece un respiro profondo e la raggiunse cercando di scacciare i brutti pensieri: probabilmente stava solo esagerando come sempre, vero?

Rimasero così sedute in silenzio per un po’ a godersi i colori rossastri del tramonto. Davanti a loro svettava imponente la siluette del Big Bridge, il mastodontico ponte lungo quasi duecento chilometri che collegava Rüa, la più settentrionale delle isole pimpaine, alla Tigraina meridionale. Da quando lo aveva visto la prima volta Sammy era rimasta stregata da quella costruzione dipinta di bianco: il modo in cui scompariva all’orizzonte inghiottito nella foschia rappresentava poeticamente il viaggio e l’ignoto. Per i Pimpaini quel ponte era un simbolo molto importante di potere, a tal punto da essere stampato sulle banconote: era stato costruito alla fine dell’ultima guerra contro i Tigraini, nella quale il popolo pimpico era riuscito a strappare loro un pezzo di terra nella punta estrema meridionale del continente. Con la firma del trattato di pace era stato eretto un gigantesco muro che cingeva l’intero confine, con un solo varco verso il paese nemico: il checkpoint Alpha.

La pony color panna si stiracchiò mollemente ed indicò il grande ponte con uno zoccolo «Pensa Sammy: quando sarai un pilota potrai portarmi a volare attorno al Big Bridge! Quella sì che sarebbe una figata»

Samantha ridacchiò dolcemente «Ma non sarò un pilota, Anna! Quante volte te lo devo ripetere? E poi volerò nello spazio, mica qui»

«Oh già è vero. Tu e le tue robe super spaziali mi fate girare la testa» rispose Anna mentre roteava le zampe nell’aria con fare confuso.

Dopo un sorriso le due rimasero ancora in silenzio per un po’, osservando le onde del mare che si muovevano lentamente. Sembrava che ci fosse un’aria pesante in realtà, un qualcosa di malinconico di cui le due stavano evitando di parlare.

«Sono felice che tu sia venuta sta volta» disse Anna dando un leggero buffetto sul viso di Sammy, la quale accennò un sorriso mentre teneva lo sguardo fisso verso il mare «Mia zia è stata molto contenta di conoscerti»

Samantha sospirò rilassata «Rüa è meravigliosa. È così bello staccare per qualche giorno dalla grande città e venire qui»

«Già» Anna fece una breve pausa sospirando «Sarebbe fantastico se tornassi qui anche per la festa di fine anno»

Samantha sentì di colpo un nodo in gola e la sua espressione cambiò «Anna, lo sai che i miei non vogliono. Mia mamma si sente troppo male ad avermi così lontana. Ne abbiamo già parlato»

Anna scosse la testa scocciata «Cazzo Samantha! È la festa della fine della scuola! Dopo non ci vedremo più! Già che praticamente non parli con nessuno in classe, almeno così avresti potuto provare a fare un po’ amicizia»

La pony color crema si alzò sbuffando affacciandosi sulla discesa a picco sul mare, lasciando sotto l’ulivo una Samantha triste ed ammutolita.

Poco dopo l’espressione della pony perlacea si tramutò in un ghigno di disprezzo «E quindi? Tanto non me ne frega un cazzo di quelli là. Sono tutti dei coglioni»

Anna roteò gli occhi sospirando «Si, certo. Se almeno avessi provato a parlarci decentemente in cinque cazzo di anni»

Samantha la ignorò alzandosi e raggiungendola sul bordo della scogliera. Il tramonto stava ormai per terminare ed il cielo si tingeva di un rosso sempre più scuro.

«Non puoi farti sempre condizionare dai tuoi Sammy. Abbiamo diciott’anni ormai» proseguì sconsolata Anna fissando il grande ponte davanti a loro.

«E’ per questo che andrò via. Già all’università avrò un sacco di trasferte e robe da fare, e poi l’accademia»

Anna sorrise accarezzando la criniera rossa di Sammy «L’unica di tutta la classe ad essere ammessa al PIT! Non sarai così simpatica ma almeno sei super intelligente, dai»

Samantha arrossì alla sensazione dello zoccolo di Anna che passava attraverso la sua criniera, non sapendo come reagire.

Improvvisamente un gabbiano prese a volteggiare sopra le loro teste, roteando sospinto dalle correnti ascensionali. Poco dopo planò elegantemente giù per la scogliera verso il mare, non prima però di perdere una piuma che cadde dolcemente qualche metro più sotto delle due giovani pony. Anna la seguì con gli occhi e un’idea le balenò in mente: si scapicollò giù per la collina per recuperare la piuma, rischiando quasi di scivolare. Samantha rimase a guardarla inebetita sul pianoro.

Tornata su ansimando ed un po’ sudata, Anna posò la piuma davanti a Samantha e sentenziò «Ecco! Tu volerai! Come il gabbiano, no? Così ti ricorderai di me anche all’università»

Samantha abbozzò un sorriso sarcastico «Anna, tu farai economia. Sarai solo dall’altro lato della città: perché non dovremmo più vederci?»

La pony color crema la guardò con occhi socchiusi «Non lo so, ho come l’impressione che una volta fuori da scuola non mi cagherai di striscio»

***

Samantha prese un asciugamano e catturò accuratamente tutte le sfere gelatinose di gel che lambivano la sua criniera. Subito dopo accese l’asciugatore automatico ed in pochi minuti essa fu asciutta e profumata. Finalmente poteva rilassarsi un po’ dopo quella terribile giornata: la prima cosa che aveva fatto dopo essere tornata in cabina era stata fiondarsi in bagno per farsi una doccia.

L’appuntamento era per l’indomani mattina presto. Come spiegato da Pimpez, avrebbero effettuato un briefing prima di imbarcarsi su uno degli shuttle di servizio della Pardatchgrat per lanciarsi nel vuoto verso Equestria sotto di loro. Era da un bel po’ di tempo che Samantha non volava in atmosfera: mancava poco alla fine del suo turno di tre mesi e poi i rientri su Pimpaina erano ormai standardizzati ed automatici per arrecare il minimo fastidio all’equipaggio; di certo non come il volo che stavano per fare. Alzò metaforicamente gli occhi al cielo al pensiero dei probabili conati di vomito che avrebbe dovuto affrontare.

Si fissò per un’istante allo specchio, lo stesso nel quale si era guardata quella mattina quando ancora era ignara di tutto quel disastro. L’immagine di una composta ed ordinata ingegnere di rotta aveva lasciato spazio ad una stanca, stordita e disordinata Sammy. Neanche la doccia ed il balsamo erano riusciti davvero a domare la sua criniera che in qualche modo portava ancora i segni di profondo stress della giornata. L’unica cosa rimasta invariata era la tuta arancione brillante delle IF.

Con una smorfia di disappunto nel notare il suo aspetto, la pony uscì dal bagno per appoggiarsi alla sua cuccetta e appisolarsi un po’: in quel momento di disperazione l’unica cosa che voleva fare era dormire.

Si posò sulla branda con un profondo respiro cercando di rilassarsi, mentre i suoi occhi vagano senza meta nella cabina. Ma nel momento in cui li chiuse per cercare di prendere sonno la sua mente fu invasa da un solo ed unico pensiero. Non poteva restare lì.

Pochi minuti dopo Samantha si trovava davanti alla porta. Era la quarta volta che il suo zoccolo si trovava a pochi centimetri dal pulsante del campanello sotto la scritta Ashley Reed senza il coraggio di premerlo. Per fortuna quella sera la nave era deserta per via dei SOG, altrimenti avrebbe sicuramente fatto una figura ridicola davanti a quelli che passavano.

La pony fece un profondo sospiro e si allontanò leggermente dalla porta fissando il vuoto: odiava quella sensazione. Odiava sapere di aver torto e di non poter far nulla per rimediare. Era colpa sua d’altronde, no? Magari Ashley non avrebbe più voluto avere a che fare con lei, e non avrebbe avuto tutti i torti. Il modo in cui si era comportata era assurdo, non erano neanche molto in confidenza.

Nel pensare queste cose il suo battito cardiaco accelerò e i suoi muscoli sembrarono pietrificarsi. Conosceva bene quella sensazione: essere così vicini al fare qualcosa che crea disagio, eppure sentirsi impotenti ed incapaci. Pensò a sé stessa sul trampolino di una piccola piscina pubblica alla periferia di Pimpaina City, nel North End: da piccola la baby sitter la portava lì ogni settimana per nuotare e puntualmente l’istruttore voleva che si tuffasse. La piccola restava minuti interi a fissare il vuoto sotto di lei, incapace di agire per darsi lo slancio. Forse era la paura del salto, forse lo shock dell’acqua freddolina, ma in ogni caso Sammy doveva subire svariati minuti di urla prima di riuscire effettivamente a tuffarsi.

Tossì fissando il vuoto davanti a lei. La sua vita era sempre uguale, lei cresceva ma non cambiava mai davvero. Come una puledrina sul trampolino era bloccata davanti a quella porta, con le stesse emozioni e lo stesso torpore che la immobilizzava. Era patetica. Di sicuro suo padre l’avrebbe detto se fosse stato lì.

Improvvisamente un rumore meccanico risvegliò Samantha dai suoi ragionamenti e la porta si spalancò rivelando gli occhi interrogativi di Ashley. Le due rimasero così a fissarsi per qualche secondo. Di sicuro la cosa non sarebbe stata facile penso Sammy, tra lei bloccata nei suoi pensieri e Reed timida e paurosa pure della sua ombra.

«Sentivo dei rumori fuori dalla porta e non capivo cosa stesse succedendo» abbozzò la pony verde acqua dopo un po’ con fare poco deciso, non sapendo cosa dire.

Sammy rispose con una leggera smorfia mentre si guardava intorno, cercando di evitare lo sguardo dell’assistente. Il farsi vedere dal suo secondo in quelle condizioni la faceva sentire sempre peggio, lei che era sempre stata un punto di riferimento, una guida.

Ma forse Samantha sottovalutava la piccola e timida assistente, la quale raccolse il suo coraggio e la sua maturità invitando con un cenno il suo superiore ad entrare. La pony dalla criniera rosso fuoco non disse nulla e si limitò a fluttuare dietro Ashley mentre la porta si richiudeva alle loro spalle.

La cabina di Ashley era un po’ più piccola di quella di Sammy, e aveva giusto uno striminzito oblò che dava sullo spazio profondo: nulla a che vedere con la grande vetrata della capo ingegnere. Per il resto l’arredamento ed i confort erano più o meno gli stessi. Le pareti erano tappezzate di poster di ogni tipo raffiguranti aerei, navi spaziali e qualsiasi forma di volo: vedendo tutto ciò la pony perlacea si ricordò di quando si era ripromessa di abbellire ed arredare un po’ la sua cabina, cosa che si era sempre dimenticata di fare.

Lo sguardo di Samantha fu catturato da un poster in particolare: fece una smorfia fermandosi a mezz’aria. La gigantesca nave ammiraglia U.S.S. Pimpez della flotta interstellare spiccava nella sua magnificenza sopra la cuccetta di Ashley. La foto la ritraeva poco dopo aver lasciato il Comando Stellare, il quale faceva capolino dietro la parte posteriore della nave.

La pony tornò velocemente col pensiero per l’ennesima volta a tutto quello che era successo quel giorno. Quel dannato pallone gonfiato era riuscito addirittura a far chiamare una nave col proprio nome. Non era praticamente mai successa una simile cosa con un personaggio ancora in vita: solitamente questo trattamento era riservato ad eroi di guerra postumi.

Dopo un po’ Sammy si rese conto di essere nella cabina di una pony che aspettava un segno da lei, e che forse non poteva semplicemente rimanere a fissare un poster in silenzio. D’altronde era lei che si era presentata lì. Ashley Reed fluttuava sul lato opposto della stanza, vicino al bagno, e teneva i suoi grandi occhi rosa fissi sulla pony perlacea: la sua espressione era indecifrabile.

Un bel respiro, «Ashley…io» una pausa lunga, «Mi dispiace, non…» un’altra pausa. Il cuore di Samantha martellava nel suo petto mentre la pony cercava di trovare le parole giuste.

Mentre Sammy apriva per l’ennesima volta bocca probabilmente per bofonchiare qualcosa, Ashley la interruppe «Un giorno, quando ero piccola, mio zio mi fece una sorpresa portandomi sulla spiaggia di Lower Castle»

Samantha si ammutolì osservando con attenzione la piccola pony verde acqua che proseguiva il suo discorso con un’espressione marmorea «Da quel quartiere la vista sulle isole artificiali dell’aeroporto è magnifica»

«Lo so» rispose Sammy con un filo di voce, formulando per la prima volta una frase di senso compiuto «I miei vivono lì»

Ashley la ignorò «Mi aveva portato di prima mattina. All’inizio non succedeva nulla e mi stavo annoiando, ma poco dopo un aereo gigantesco si posò sulla pista così vicino a noi con un rombo assordante»

La pony verde acqua imitò con le zampe le dimensioni di quel gigante del cielo. Samantha ascoltava senza capire dove volesse andare a parare con un filo di ansia: non aveva mai sentito la sua assistente parlare così.

«Da allora rimasi stregata da quella visione. Cominciai ad informarmi un sacco sugli aerei, a comprare riviste, a guardare documentari». Si diede un lieve colpo in testa con una zampa «Cavolo, costrinsi anche i miei a comprarmi un computer apposta per volare con un simulatore!»

Ashley si avvicinò un po’ di più a Sammy e spostò lo sguardo fuori dal suo piccolo oblò «Avevo capito qual era il mio posto nel mondo: sarei stata un pilota»

Al sentire quelle parole Samantha capì che il discorso stava per prendere una brutta piega. Non sapendo cosa fare rimase immobile fluttuando mentre Ashley continuava a muoversi nella cabina per il nervosismo.

«Ma a quanto pare non sapevo ancora che il pilota non era esattamente considerato un lavoro da femmina a Pimpaina City» si girò di botto fissando Sammy «A nessuno importava niente delle mie passioni. I miei compagni mi sfottevano e le ragazze dicevano che sarebbe stato meglio dedicarsi ai ragazzi, come facevano loro. Devi curarti di più, sciatta!»

Nel dire l’ultima frase la pony imitò una voce ridicola in falsetto e fece una smorfia. Samantha annuiva silenziosamente: almeno lei ci parlava con i suoi compagni di classe, pensò.

«E poi quando scopri che sei troppo piccola fisicamente e la tua vista non sarà mai troppo acuta per farti prendere neanche come pilota civile, che cazzo fai?» inveì Ashley fissando Sammy con espressione sconsolata. La pony perlacea non aveva mai conosciuto questo lato della sua assistente.

Ashley scosse la testa «Ti iscrivi all’università, anche questa piena misteriosamente di gente a cui non frega un cazzo ed è lì solo per il nome altisonante del corso di laurea. E vai a fare l’unico lavoro in cui gli ingegneri sono ancora a bordo di qualcosa che vola»

La pony verde acqua aveva le lacrime agli occhi: forse aveva visto nello sfogo di Samantha l’aprirsi di una porta. Un qualcosa che aveva in realtà liberato dei sentimenti anche in lei.

Sammy deglutì, cercando di rincuorare la sua assistente «Ma sei davvero brillante Ashley. Il lavoro che svolgi qui è notevole, ne ho conosciuti pochi di ingegneri come te. Sono sicura che tra qualche anno avrai anche tu il tuo post-»

«Non me ne frega niente, ingegnere! Non lo capisce? Io non volevo essere qui» rispose di botto Ashley interrompendo la pony dalla criniera rossa. Samantha era sbigottita e totalmente impreparata a vedere Reed in quel modo.

L’assistente si avvicinò di colpo a Sammy e le pose uno zoccolo sulla spalla «Tutto questo per dirle che forse capisco come si sente. Anche io vivo una vita che non vorrei con gente che non mi ha mai capita, a parte lei magari»

Istintivamente, per un nanosecondo, la terribile ansia di Samantha sembrò diradarsi dal suo cuore e la pony ebbe la forza di cogliere in un grande abbraccio la sua assistente che singhiozzava lievemente «Quello che mi ha detto prima è stato orribile. Ma poi ci ho pensato e ho capito che non sta bene, con tutto quello che starà passando. Mi dispiace di essere scappata via»

Samantha sussultò al sentire che Ashley potesse pensare che lei non stesse bene, ma alla fine annuì stringendola. Ebbe quasi l’istinto di accarezzarle la criniera blu che ondeggiava libera, ma si trattenne ritenendolo inopportuno: era pur sempre la sua assistente.

«Perché non me lo hai mai detto?» chiese dopo un tempo che parve interminabile. Le due ancora abbracciate nel mezzo della cabina.

«Perché…le voglio bene. È così brava nel suo lavoro e amo vederla all’opera» Ashley scosse la testa «E poi non è proprio vero che odio questa roba. Cioè, stiamo pur sempre guidando una nave spaziale, no? Certe volte mi piace…non lo so, è troppo complicato»

Dopo qualche altro secondo le due sciolsero l’abbraccio e tornarono l’una di fronte all’altra forse un po’ imbarazzate.

«Grazie, Ashley» disse Samantha dal profondo del cuore. Quel gesto le aveva infuso un senso di tranquillità e pace: malgrado le dispiacesse molto che la sua assistente soffrisse in quel modo, poteva davvero capire cosa volesse dire il rigetto ed il rifiuto altrui. E soprattutto per la prima volta qualcuno si era interessato profondamente a lei, a come stava. Semplicemente, come Ashley stessa aveva detto, le voleva bene davvero.

Improvvisamente l’assistente strabuzzò gli occhi fissando il fianco di Sammy con fare interrogativo. Ella si girò a guardarsi e si rese conto di non aver riflettuto prima di recarsi in quella cabina: sulle sue cosce spiccava il disegno di una lunga piuma di gabbiano quasi argentea che rifletteva debolmente la luce artificiale della stanza.

Cazzo. Adesso Ashley avrebbe preteso delle spiegazioni: la pony verde acqua sembrò rianimarsi con la vitalità di sempre e cominciò ad inondare la povera Samantha di domande, ancora di più di come aveva fatto la volta prima. Lei le volse un’occhiata così seria da farla ammutolire immediatamente.

«Devi giurarmi che non dirai nulla a nessuno. Niente deve uscire da questa stanza: ne va della nostra vita» sentenziò Sammy mentre teneva per le spalle la sua assistente. L’altra deglutì rumorosamente e un brivido le percorse la schiena al sentire quella minaccia. Annuì, trepidante di sapere cosa stava attanagliando il suo superiore da tutta la giornata.

Samantha fece un cenno di risposta e cominciò lentamente a vuotare il sacco: ripercorse l’intera giornata dal momento in cui era stata convocata in sala riunioni fino a quando Waxford le aveva applicato quel cutie mark farlocco. Ashley ascoltava con gli occhi sempre più sgranati e non emetteva neanche un suono, concentratissima ad ascoltare. Man mano che andava avanti, Sammy iniziò ad aggiungere sempre più dettagli, a gesticolare e ad essere impetuosa nel suo racconto.

Dopo quasi dieci minuti ininterrotti di spiegazioni, la pony dalla criniera rosso fuoco si posò sulla cuccetta della sua assistente esausta ma sollevata: era contenta di aver potuto condividere quel peso con qualcuno, e sentiva che Ashley Reed fosse la persona giusta. L’iniziale paura a condividere quelle informazioni con lei aveva presto lasciato il posto all’impeto della frustrazione e della paura per ciò che ancora doveva affrontare.

Ashley era rimata in silenzio dall’altra parte della cabina, appoggiata ad un poster di un aereo acrobatico che volteggiava sopra i grattacieli della grande P. Aveva la fronte aggrottata, il volto chiuso in un’espressione pensierosa e giocava nervosamente con la sua lunga criniera blu come la notte. Samantha si rincuorò mentre aspettava un segno dalla sua assistente: almeno quella conversazione aveva distratto Ashley dal pensare ai suoi problemi e sembrava tornata quella di sempre.

«Perché una piuma di gabbiano?» fu la domanda della pony verde acqua.

Samantha sobbalzò «Non so, era la prima cosa a cui avevo pensato in quel momento»

Ashley percepì la malcelata bugia della pony e lasciò perdere. Scosse la testa sbuffando «Questa storia è assurda. Davvero ha conosciuto il generale Pimpez in persona?»

«Già. E non è stato così piacevole» rispose Sammy con una smorfia. Possibile che Reed si concentrasse solo su quelle stupidaggini? Non capiva il peso che le avevano messo addosso?

«E poi quella tizia…Watts, giusto? Da come l’ha descritta fa venire i brividi» continuò Ashley dirigendosi verso il suo piccolo dispenser di bevande al muro. Raccolse due sacchettini con beccuccio che riempì di thè e ne fece fluttuare uno verso Samantha, la quale lo afferro al volo.

La pony perlacea annuì mentre succhiava un sorso di infuso: quella maledetta aria secca all’interno delle navi spaziali faceva sembrare qualunque cosa senza sapore. Non c’era da stupirsi se in mensa le salse piccanti erano sempre le prime a finire.

«Ingegnere, ma davvero ha intenzione di andare laggiù con loro? Atterrare in quella base? Diamine, dovranno assassinare una principessa!» chiese Ashley finalmente preoccupata.

Samantha scrollò le spalle «Non ne ho intenzione, io devo. Pimpez ha richiesto la mia presenza come guida, ricordi?»

«Ma non può farlo! Sono sicura che esista un protocollo di reclutamento ben preciso. Se ci appellassimo al tribunale di Turo…»

Samantha la interruppe con una risata isterica e disillusa «Ashley, stai parlando del più importante generale di tutte le forze armate universali, secondo solo forse al fottuto generale supremo». Bevve un altro sorso di thè indicando con la zampa il poster della grande nave ammiraglia intitolata a John Pimpez «Quello fa colazione col segretario della difesa un giorno sì e l’altro pure: credi davvero che avrebbe qualche problema a distruggermi la vita?»

L’assistente restò interdetta fissando sconsolata Sammy, cercando disperatamene un’altra soluzione nella sua mente «Ma è un folle! Lei non sa nulla di combattimento, non è un militare! Se non riusciranno a proteggerla…»

«Forse è meglio morire così che tornare a Pimpaina» disse rabbrividendo Samantha. Quella frase le era uscita dalla bocca in modo spontaneo, senza averci davvero ragionato sopra. Non sapeva neanche lei se lo pensava davvero oppure no. Lo sguardo delirante di sua madre in presa ad una profonda crisi isterica le occupò la mente. Scosse la testa «Questo lavoro è tutto quello che ho»

Le due rimasero così in silenzio per un tempo che parve interminabile. Dopo quelle frasi Ashley Reed non sapeva davvero più cosa dire. Era terribilmente scossa di scoprire dei lati del suo superiore che non poteva neanche immaginare. Certo, sapeva che fosse un tipo particolare, molto dedita al lavoro, poco incline ai rapporti amichevoli e aveva assistito al suo crollo psicologico di quel pomeriggio, ma non poteva immaginare l’oscurità e la sofferenza che tormentavano il suo cuore: solo quel giorno, per la prima volta, Samantha ne aveva rilasciato un poco all’esterno, e lei aveva intravisto la superficie di un pozzo nero e senza fondo. Fissò la pony dal manto perlaceo e si chiese se avrebbe mai potuto capirla fino in fondo, se sarebbe stata in grado di aiutarla: forse lei era davvero l’unica persona che Samantha avesse in tutto l’universo.

«Comunque mi hanno dato una pistola» disse Sammy rompendo il silenzio assordante. Un sorrisetto di circostanza comparve sul suo volto, nella speranza di scacciare via i suoi brutti pensieri.

«Davvero? A lei che a stento non versa in terra il caffè la mattina?» ridacchiò Ashley cogliendo la palla al balzo ed incalzando il suo superiore. Dopo quella conversazione si sentiva in diritto di prendersi qualche libertà in più.

«Oh già, e anche bella grossa» rispose l’altra stando al gioco. «Ho bisogno di esercitarmi un po’ con le azioni base prima di domattina. Ti andrebbe di venire da me e darmi una mano?»

Ashley annuì immediatamente sorridendo e poi si fermò un attimo a pensare «Cavolo, non sparo un colpo da due anni ormai: quell’addestramento in accademia era agghiacciante»

«Non dirlo a me» rispose Sammy rabbrividendo al pensiero dei suoi orrendi compagni, ma per fortuna riuscì velocemente a togliersi quei pensieri dalla testa e a concentrarsi sul da farsi: Ashley le aveva infuso fiducia.

Dopo qualche minuto le due uscirono dalla cabina e cominciarono a muoversi lungo i vuoti corridoi della Pardatchgrat. Ashley rimase alquanto inquietata dal profondo silenzio, non essendo mai uscita dalla sua cabina come tutti gli altri quel giorno. Poco dopo raggiunsero la porta di Sammy ed entrarono velocemente all’interno.

Ad Ashley piaceva sempre andare nella cabina del suo superiore: era più grande, più bella e poi aveva quella gigantesca vetrata che lei poteva solo sognarsi. Quando guardavano una serie tv insieme, lei passava minuti interi a guardare l’esterno come incantata da quelle stelle, e spesso Sammy doveva tornare indietro con il video quando si accorgeva che Ashley non stava seguendo. Ma quella volta il caso volle che nella vetrata della cabina ci fosse il grande pianeta d’Equestria illuminato dal sole.

Samantha sospirò rumorosamente mentre osservava quella che a poche ore da lì sarebbe diventata la terra del suo inferno personale. Fissata al muro con un magnete c’era la cinta con la grossa pistola semiautomatica che le avevano dato: Ashley si diresse autonomamente verso di essa e la prese in zoccolo osservandola bene.

Dopo qualche secondo sganciò il caricatore, notò anche lei con sollievo che era vuoto, e provò a mirare scegliendo come bersaglio la luce della cuccetta di Sammy.

«Farlo qui è facile. Con la gravità sarà tutta un’altra cosa» disse poi porgendo l’arma a Sammy.

«Già, soprattutto se invece di una luce hai davanti un pony che vuole ucciderti» rispose la pony perlacea con una risata sarcastica che nascondeva un brivido di terrore.

Ashley intuì che forse l’idea di maneggiare quella pistola non fosse buona. Non nelle ultime ore che quella povera pony aveva per sé stessa. Forse era stata solo una scusa per stare insieme e lei l’aveva presa alla lettera rovinando tutto.

«Forse è meglio se ci guardiamo un film» disse finalmente l’assistente verde acqua togliendole nervosamente l’arma dagli zoccoli «Come una sera normale!»

Samantha annuì mentre guardava fuori dalla vetrata «Come una sera normale» ripeté.

Fu così che le due fluttuarono l’una accanto all’altra sulla branda di Sammy. Con un tasto il grosso televisore scese dal soffitto. Non c’era bisogno di parlarsi: entrambe sapevano che avrebbero rivisto per l’ennesima volta il loro film preferito, mancava solo un po’ di gelato sintetizzato dai macchinari della nave e sarebbe stata la serata comfort perfetta.

Sentire il contatto fisico con il fianco di Ashley provocò in Sammy un senso di quiete e serenità: per la prima volta si chiese davvero se quello che stavano facendo fosse opportuno. In realtà erano mesi che organizzavano le loro serate tv, ed erano state abbastanza brave e discrete da non farsi notare dalla maggior parte del resto dell’equipaggio. La cosa era nata spontaneamente ed innocentemente, e Sammy aveva colto la palla al balzo godendosi finalmente dei momenti di leggerezza e spensieratezza. Forse proprio per questo aveva sempre tenuto lontano il pensiero che un capo ingegnere non può compromettere il rapporto di lavoro con la sua assistente in quel modo: lei doveva formarla, darle disciplina, insegnarle ad avere sangue freddo e capacità decisionale; non poteva essere la sua amichetta del cuore con cui stare insieme a fine giornata. E dopo come si era mostrata quella sera, la sua posizione era terribilmente compromessa.

Arrivati però ad una scena particolarmente divertente, le due risero e l’ennesimo pensiero ansioso lasciò finalmente la mente di Sammy. Dopo un po’ la coppia si stava davvero godendo la serata come fosse normale, come se niente stesse per accadere. Samantha strinse istintivamente Ashley più vicina a lei e l’altra la lasciò fare. Passò un’altra mezz’ora in cui la pony perlacea si sentì come se quella spada che le pendeva sul collo non ci fosse. C’erano solo lei, Ashley ed il loro film preferito.

Di colpo il suono di poderose zoccolate fece sobbalzare le due ragazze. Samantha fermò la riproduzione e si spinse fino alla porta con il cuore in gola. Quando questa si aprì, si trovò davanti il sergente Lasseter che la fissava con il suo sguardo severo. Il pony aveva con sé un’uniforme mimetica a chiazze verdi e marroni troppo piccola per lui.

Samantha deglutì in silenzio rimanendo sull’uscio mentre Ashley da dietro intravedeva per la prima volta uno di quei misteriosi pony militari. Lasseter ignorò la presenza dell’assistente verde acqua che violava chiaramente le indicazioni date da Pimpez: Sammy non sapeva se lo aveva fatto per pietà nei suoi confronti o perché non gliene importava veramente nulla.

Con un solo gesto spinse l’uniforme verso Samantha che la raccolse prontamente: sembrava fatta di un tessuto sintetico veramente avanzato e leggero.

Il momento idilliaco era finito. Lasseter ruppe il silenzio con voce dura «Si cambi la tuta, signorina Betz»

  
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