Capitolo 6
Samantha si grattò nervosamente il collo per l’ennesima
volta. Certo che quella tuta era davvero stretta, quanto diamine ci avrebbe
messo ad adattarsi un po’ al suo corpo? Dopo averla allargata leggermente con
lo zoccolo tornò a guardarsi allo specchio: se non altro quella nuova uniforme
le donava molto di più di quella delle forze armate interstellari. La tuta
sembrava una semplice tenuta mimetica generica, con grandi macchie che viravano
dal marrone chiaro al verde scuro. Malgrado il prurito, quel materiale le
aderiva perfettamente alla pelle facendola traspirare senza alcuno sforzo. Si
sentiva molto più leggera e libera nei movimenti rispetto a prima.
In fondo un po’ le piaceva quella nuova immagine di sé:
sembrava una dura, una spietata pony mimetizzata e
armata di mitragliatrice che trucidava chiunque sul suo cammino! Sammy era
riuscita a ridere di gusto quando Ashley se n’era uscita con quella descrizione
nel vederla vestita in quel modo: aveva insistito così tanto nel farle subito
provare la tuta che la pony perlacea aveva ceduto. E forse quel piccolo siparietto
l’aveva aiutata a distogliere nuovamente i brutti pensieri.
Dopo poco tempo avevano dovuto salutarsi. Samantha non era
sicura che si sarebbero viste di nuovo, ma Reed l’aveva costretta a prometterle
che si sarebbero trovate nel corridoio principale del ponte equipaggio alle 5:10
Zulu. Esattamente cinquanta minuti prima della partenza.
La pony buttò un occhio
all’orologio fluorescente al lato dello specchio mentre con un gesto si legava
la lunga criniera rossa in un elastico: il display ad otto segmenti segnava le 4:53.
Aveva potuto dormire poche ore avendo perso un sacco di tempo a parlare con
Ashley, ma non le importava. Oltretutto dormire era davvero una parola
eccessiva per descrivere il suo riposo tormentato e nervoso.
Scrutò sé stessa per l’ultima volta prima di lasciare il
bagno: i suoi occhi verdi avevano perso la loro brillantezza, le iridi erano
opache e tristi. Il suo intero volto era contratto in una smorfia di tristezza
che non riusciva a controllare, non se ne rendeva neanche conto. Poco dopo varco
la soglia tornando nella stanza principale.
Con una lieve spinta iniziò a girare osservando tutta la
cabina, come a volerla stampare sulle sue retine. Fissò la sua branda, la sua
piantina che aveva sin dall’accademia e la grande vetrata che piaceva tanto ad
Ashley: Samantha si rallegrò del fatto che quella mattina la vista fosse
esclusivamente sullo spazio profondo. Si soffermò un istante sulla fotografia
di lei con i suoi genitori il giorno della sua laurea: neanche in
quell’occasione sua madre era riuscita a fare un sorriso sincero. Per ultima
guardò la cintola con la pistola fissata al muro, la prese e se la legò alla
vita con un sonoro clack: era pronta.
Dopo un grosso sospiro la pony aprì
la porta e si lasciò alle spalle il suo nido sicuro. Una minuscola voce dentro
di lei le diceva che non ci sarebbe mai più tornata.
Lentamente si mise in marcia lungo i corridoi della nave:
per lei quelli erano sempre stati luoghi di serenità, la sua casa nei lunghi
mesi nello spazio. Ma quella mattina la Pardatchgrat
le appariva come un mostruoso labirinto oscuro, e lei si stava incamminando
verso il minotauro che l’avrebbe sbranata tra urla e atroci dolori.
Il suo respiro pesante risuonava nel silenzio siderale. Era
troppo presto perché potessero esserci altri membri dell’equipaggio in giro, e
Sammy non era neanche sicura che il coprifuoco di Pimpez
fosse terminato. Per un momento si chiese se Ashley sarebbe stata in grado di
prendere il suo posto. Ma, aspetta: Ashley non avrebbe preso il posto di nessuno!
Non doveva condurre la nave da nessuna parte: non li avrebbero abbandonati lì,
vero?
Proseguì il suo cammino dalla sua sezione dormitori fino al
corridoio principale del ponte equipaggio: se aveva fatto bene i conti quello
doveva essere l’orario in cui si sarebbe vista un’ultima volta con Ashley.
Quando girò l’angolo non vide nessuno e un velo d’ansia ulteriore l’attanagliò.
Rimase a fluttuare nel silenzio, immobile, in mezzo al corridoio nell’attesa di
sentire un suono.
«Già sveglia?»
Samantha cacciò un grido di terrore e si voltò di colpo per
trovarsi a pochi metri dal primo ufficiale Sparkey
che la fissava a braccia conserte. Come diavolo aveva fatto ad arrivare senza
farsi sentire? L’altro non sembrò molto stupito dalla reazione della pony ed attese che si calmasse, invitandola con un
gesto della mano a non fare baccano.
«Cosa ti viene in mente, Sparkey?
Sono già abbastanza stressata di mio, non ho bisogno anche dei tuoi stupidi
giochetti»
«Volevo solo salutarti. Non credo proprio di essere il
benvenuto nell’hangar» rispose lo strano alieno giallo facendo spallucce.
Subito dopo si guardò intorno con nonchalance «Non è da te stare ferma davanti agli
ascensori. Aspettavi qualcuno?»
Samantha abbozzò restando sorpresa della domanda. Prima che
potesse pensare a cosa rispondere, Ashley fece capolino dal corridoio opposto e
si bloccò nel notare la presenza di Sparkey.
«Ah, adesso capisco» annuì il primo ufficiale accennando un
sorriso.
Senza dire nulla la piccola pony verde acqua si fiondò ad
abbracciare Samantha, cogliendola del tutto impreparata. Rimase qualche secondo
interdetta e poi ricambiò l’abbraccio: sebbene avesse adorato la serata
precedente, non poteva fare a meno di pensare al vincolo professionale che
c’era tra loro due. Sparkey le osservava con
un’espressione atona, e Sammy non riuscì come al solito a capire cosa gli
passasse per la mente.
«Vedo che ha preso davvero sul serio la formazione della sua
assistente, ingegner Betz» la incalzò l’alienoide giallo con una voce che cercava di essere
simpatica. Le due sciolsero l’abbraccio imbarazzate e Ashley si posizionò
istintivamente accanto al primo ufficiale davanti a Sammy.
Le antenne sulla testa di Sparkey
vibrarono leggermente e con un gesto del braccio la creatura gialla guardò il
suo MSU «È ora che tu vada, Samantha. Sarò sul ponte di comando a coordinare il
vostro rientro in atmosfera». Volse brevemente lo sguardo verso Ashley «Se uno
dei SOG ci vede qui con lei di sicuro ci saranno rogne»
La pony verde acqua annuì mentre la sua chioma blu scuro
ondeggiava libera seguendo i suoi movimenti. Il suo volto si contrasse in una
smorfia di preoccupazione mentre fissava la pony perlacea davanti a sé.
Samantha era stordita dalla
mancanza di sonno e dalle tremende emozioni che aveva provato nelle ultime
ventiquattr’ore. Ogni cellula del suo corpo voleva scappare via da lì, da tutto
quel casino, via dove nessuno l’avrebbe mai trovata. Nello sconforto totale
però, una luce le attraverso le pupille e si rese conto di non essere sola: lo
aveva capito solo adesso, quando stava per lasciare quella nave alla volta di
un viaggio terribile. Quei due erano lì per lei e…le volevano bene. Era assurdo
per lei pensarlo. Lei che aveva affrontato ogni incertezza della vita da sola,
contando solo sulla sua esile forza d’animo. Per qualche secondo sentì il suo
cuore che si alleggeriva, felice di avere qualcuno al suo fianco.
Sparkey si schiarì la voce per
spezzare la tensione e con estrema indecisione porse la mano verso la pony dalla criniera rossa «Beh, buona fortuna Samantha»
Sammy rispose al gesto con il suo zoccolo e quello fu tutto
ciò che il primo ufficiale riuscì a fare. L’alieno attese che Ashley abbracciasse
la pony perlacea un’altra volta prima di invitarla con lo sguardo a seguirlo
per tornare nella sua cabina.
«Mi prometta che tornerà» disse Ashley con una voce rotta
dal singhiozzo.
Samantha sobbalzò. Era davvero arrivato il momento di
andare: guardò la sua assistente come la cosa a lei più cara in tutto l’universo.
Pensò a tutte le volte in cui aveva sbagliato nella sua breve vita: i suoi
genitori, i suoi compagni di scuola, i suoi pochi amici, Anna. Il volto della
pony color crema comparve per un istante nella mente di Sammy mentre il suo
cuore si stringeva fino a diventare minuscolo. Era solo una stupida, patetica
pony che non era riuscita a combinare niente di buono: sapeva solo allontanare
gli altri, eppure in qualche modo il pensiero della socialità e dell’amore la
ossessionavano. Era sempre stato così, e ora il destino le stava servendo la
portata più amara di quella triste e ridicola esistenza. La stava allontanando
dall’unica persona con cui, forse, sarebbe riuscita a costruire qualcosa.
«Io…lo prometto» disse infine sussurrando. Era una promessa
che stava facendo più a sé stessa che alla sua assistente. Ma da qualche parte
dentro di lei sentiva che non sarebbe stato così.
Subito dopo, Sammy si trascinò indietreggiando all’interno
di uno degli ascensori e premette il pulsante per portarla sul ponte uno. Prima
che la cabina si mettesse in movimento, poté scorgere Sparkey
che con una mano portava via la povera Ashley rimasta a fissare le porte
vetrate davanti a sé. Una lacrima solcò il viso bianco come il latte della giovane pony.
Il portellone interno dell’hangar 03 non era come tutte le
altre porte della Pardatchgrat. Normalmente le porte
scorrevoli automatiche ci mettevano poco più di un secondo ad aprirsi con un
rumore sordo, ma quella che Sammy si trovava davanti era un ben più grande e
massiccio portone d’acciaio che si stava lentamente ripiegando su sé stesso
emettendo un frastuono sferragliante. Ce n’erano ben due in realtà:
costituivano l’airlock, ovvero una zona cuscinetto
che separava l’interno della nave dallo spazio profondo nel momento in cui
l’hangar veniva aperto per permettere l’ingresso e l’uscita dei mezzi; ecco
anche spiegato il motivo della robustezza di quei portoni.
Samantha aspettò pazientemente persa nei suoi pensieri che
la prima porta si chiudesse dietro di lei all’interno dell’airlock,
per poi seguire con lo sguardo la lenta apertura della seconda. Non appena si
fu alzata abbastanza, lo sferragliare del meccanismo venne quasi sovrastato da
un gran vociare poco più sotto. Sammy si affacciò dalla balaustra e poté
ammirare il Freedom in tutta la sua magnificenza.
Lo space shuttle di classe Bravo
era una versione pesantemente modificata e avanzata dei modelli originali di
navette riutilizzabili usate anche sul pianeta Terra: era una specie di aereo
lungo più di venticinque metri ed il rivestimento in lega di titanio scurissimo
gli dava un aspetto quasi spettrale. La coda ospitava tre grandi ugelli per i
motori principali più due piccoli per gli attuatori orbitali. Per una come
Sammy era davvero uno spettacolo: non capitava tutti i giorni di avere davanti
agli occhi un simile gioiello dell’aerotecnica. Quello shuttle era stato
caricato al Comando Stellare qualche settimana prima che la squadra SOG salisse
a bordo e la nave si dirigesse verso Equestria: che il tutto fosse solo una
coincidenza? Purtroppo spesso il personale di volo non aveva accesso alle
informazioni sul materiale che trasportava, e questo era uno di quei casi.
Alla base della grossa navetta si trovava la squadra SOG
intenta ad assemblare la propria attrezzatura. Svariate casse tecniche con
misteriosi adesivi che indicavano la segretezza del materiale occupavano gran
parte dello spazio. Il tutto era legato saldamente a terra con numerose fasce
gialle per evitare che fluttuasse in giro.
Ben presto Springer si accorse di lei, ma stranamente si
limitò ad un semplice saluto e si mantenne molto serio. Gli altri lanciarono
solo un’occhiata a Sammy per poi proseguire nelle loro operazioni. Si intuiva
dalle loro facce che erano estremamente concentrati sulla missione che stavano
per compiere. Non erano la squadra SOG mica per nulla, pensò Samantha mentre fluttuava
giù per le scale.
Non appena la pony bianca come il latte ebbe messo zoccolo
sulla piattaforma di carico dell’hangar, il generale Pimpez
estrasse con grande attenzione, aiutato da Sarang,
uno strano e vistoso macchinario simile ad uno zaino. Era costituito da un
complesso sistema di tubazioni e recipienti che culminavano in una grande
maschera da porre sul viso. Samantha non ebbe difficoltà a riconoscere il
marchingegno, aiutata anche dalla vistosa sigla posta sulla cassa: un Semi-closed Circuit Magical Rebreather. Non era esattamente sicura di come
funzionasse, ma sapeva che quell’aggeggio avrebbe tenuto in vita il possente pimpaino su un pianeta dove l’aria sarebbe stata per lui
irrespirabile. Per un istante si chiese se dopo tutti quegli anni lontani da
Equestria i pony di Pimpaina non avessero perso la
speciale emoglobina Hb-M che permetteva
loro di vivere su un pianeta colmo di magia: un brivido le percorse la schiena.
Ma d’altronde lei era un’equestriana di prima
generazione: poteva stare tranquilla, giusto?
Mentre rimuginava su questi pensieri ed il resto della
squadra caricava svariate casse piene di chissà cosa sul Freedom, la misteriosa
Watts si avvicinò inesorabilmente a Sammy con sguardo duro e fisso nei suoi
occhi, così inquietante che a Samantha parve di gelare.
«Ripassiamo il piano di volo» disse laconicamente con voce
ferma e robotica. Quella pony era veramente raccapricciante. Subito dopo stese
una copia cartacea della mappa-mosaico ottenuta dalle foto aeree di Equestria
su una delle casse lì attorno.
«Inizieremo la manovra alle 6:05 Zulu. La velocità da
raggiungere non è molto bassa, non dovremmo tenere i motori accesi per più di
dieci secondi». Detto questo si concentrò sulla mappa «Concluderemo la fase
critica di rientro più o meno qui…Arabia Sellata» disse indicando un punto
abbastanza vicino al mare di una grande penisola desertica.
Samantha seguiva il discorso con attenzione sebbene ancora
profondamente stordita e turbata: per lei si trattava di nozioni molto
basilari.
«Da qui abbiamo un oceano per rallentare. Dobbiamo diventare
subsonici prima di raggiungere la costa occidentale d’Equestria». Alzò lo
sguardo privo d’espressione verso Sammy «Altrimenti faremo un bel botto»
Sammy annuì concentrata malgrado l’aspetto inquietante della
sua interlocutrice. Sapeva bene quello a cui Watts si riferiva: fintanto che
sarebbero rimasti supersonici, arrivando dall’enorme velocità che possedevano
in quel momento stando in orbita, lo shuttle sarebbe stato più veloce del suo
stesso rumore. Le onde sonore, che non sono altro che variazioni di pressione,
si sarebbero accavallate su loro stesse non potendo sfuggire alla navetta
spaziale creando delle onde d’urto. Queste onde si sarebbero propagate fino a
terra: in parole povere, fintanto che la navetta fosse stata supersonica,
chiunque si fosse trovato sotto di loro avrebbe udito improvvisamente un boato
terribile, talmente forte da rompere i vetri delle finestre. Il famoso boom
sonico, penso Sammy tra sé e sé. Ed ovviamente ciò era assolutamente deleterio
per la loro missione: avrebbero sfruttato l’oceano che separava l’Arabia
Sellata da Equestria per rallentare sotto il muro del suono e planare
silenziosamente verso la base dell’Equestrian Air
Force.
Di colpo Watts si rivolse direttamente a Samantha «Hai mai
fatto un rientro in VFR?»
«Come?» rispose la pony bianca inebetita. Era anche stupita
dal fatto che quella stramba le stesse dando del tu la prima volta in cui le
rivolgeva davvero la parola.
«VFR. Visual Flight Rule. Volo a vista» Precisò gelidamente
Watts aspettando un cenno da Samantha. Quando vide che non arrivava, prosegui
senza battere ciglio «La pista di atterraggio. Dobbiamo raggiungerla a vista.
Non abbiamo radiofari che ci aiutino»
«Ah» rispose Samantha stizzita «No, ho solo usato il
simulatore dell’università per qualche esame di meccanica del volo»
La pony color grigio topo sembrò rompere per un solo istante
la sua freddezza totale, e a Sammy parve di leggere del disprezzo e della
rassegnazione.
«Dovevo immaginarlo»
Watts le voltò le spalle dirigendosi verso il portellone di
carico del Freedom.
«Sempre meglio che avere Springer come copilota» aggiunse
Mark Sarang dal fondo della stanza.
«Porca puttana! Ti ricordi quella volta sulla Gönergratt? Un atterraggio pazzesco» ridacchiò Springer
spezzando quell’aura di silenzio e serietà e tornando quello di sempre. Il pony
paglierino aveva sulle sue spalle due grossi nastri colmi di munizioni larghe
quasi quando metà zoccolo: Sammy rimase di stucco nel rendersi conto
dell’enorme quantità di armi che quegli strani pony stavano portando con sé.
«Diciamo che non sei entrato in questa squadra per le tue
abilità di pilota, colonnello» precisò Lasseter dall’altro lato del grosso
hangar mentre fluttuava supino sotto la navetta spaziale. Samantha notò solo
allora che il sergente si era allontanato dagli altri e reggeva in bocca una
torcia per osservare l’interno del vano del carrello di atterraggio anteriore.
Watts si diresse a bordo del Freedom senza aggiungere una
parola ed iniziò ad armeggiare con dei pannelli al muro, lasciando Sammy da
sola senza sapere cosa fare. La pony perlacea restò interdetta dal loro
ignorarla: si era così tanto stressata, aveva atteso quella partenza con
terrore e preoccupazione e adesso quegli stronzi stavano in silenzio facendosi
gli affari loro?
«Quindi?» chiese nel vuoto Samantha a denti stretti. L’unico
a degnarla di una risposta fu Pimpez che era appena
sceso dal Freedom dopo aver risposto con cautela il suo rebreather.
«Quindi cosa?» berciò il pimpaino
senza neanche guardarla.
«Che devo fare?»
Pimpez ridacchiò sprezzante «Il
nostro ingegneruccio ha dell’entusiasmo?». Sembrava
adorasse vederla friggere in quella posizione. Poteva vedere dal volto
distrutto che la pony aveva passato probabilmente la
peggiore giornata della sua vita, ed ora era lì che fremeva aspettando un
segno. Per un attimo le parve che il generale si accarezzasse la ferita della
zoccolata, ormai cicatrizzata sul viso.
«Non devi fare niente, Betz. Sei
inutile ora come ora. E vedi di darti una calmata»
Samantha rimase a bocca aperta. Quelle frasi così semplici
eppure taglienti e sprezzanti distrussero il fragile equilibrio che la pony era riuscita a mettere in piedi in quelle ore. Notò
che adesso anche il generale aveva preso a darle del tu, non avrebbe avuto più
nessun riguardo per lei. Era in trappola.
Quelle poche parole erano bastate. La pony bianca come il
latte si accasciò sulle casse piene di materiale dietro di lei e copiose
lacrime cominciarono a staccarsi dal suo viso fluttuandole attorno. Sammy
singhiozzava a denti stretti cercando di non dare a vedere il suo dolore: non
voleva neanche per un secondo mostrare la sua debolezza a quei mostri. Era
tutto perduto. Non aveva più la forza di andare avanti. Lasciare davvero Ashley
era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Nulla aveva più senso
ormai, la sua vita era finita: anche se avesse seguito quei pazzi in
quell’assurda missione, sarebbe sicuramente morta. L’ansia prese per l’ennesima
volta possesso del corpo della pony perlacea.
«Walkaround terminato. Lo shuttle
è a post…» la voce di Lasseter si interruppe bruscamente quando notò la povera
Samantha ansimare nell’angolo. Cercava di nascondersi con la sua criniera rossa
e guardando verso un punto imprecisato del pavimento.
Il pony dal manto blu si fermò a fissarla come pietrificato.
Nella sua lunga carriera aveva visto tante cose, cose che una persona dotata di
anima non dovrebbe mai vedere: lui e i suoi compagni avevano sgominato molte
insidie, salvato più volte capi di stato da assalti terroristici e ucciso
grandi criminali interplanetari. Ma quando aveva ascoltato il briefing di quella
missione per la prima volta nella sala riunioni del Consiglio delle Forze
Armate Superiori, il suo pelo si era rizzato istintivamente come succedeva ogni
volta che fiutava il pericolo, quello vero. Aveva capito sin da subito che non
sarebbe stata una cosa facile come le altre, e non solo perché si trattava
della principessa del loro pianeta d’origine. No, c’erano troppe cose che non
quadravano in quella faccenda, e adesso il generale Pimpez
aveva deciso di portare quella povera pony con loro.
Sammy si strinse ancora di più su sé stessa quando sentì
addosso gli occhi di Lasseter. Lui continuò a fissarla: sebbene il suo animo
fosse ormai temprato da tante atrocità, il senso imponente di disperazione di
quella pony dalla criniera rossa riuscì a scuoterlo nel profondo. Il sergente
rabbrividì ed i suoi occhi divennero leggermente umidi. Forse avevano esagerato
con quella poveretta.
Si avvicinò lentamente schiarendosi la voce, e nel farlo si
tolse quel poco di lacrime dagli occhi. Samantha non reagì, ormai
silenziosamente persa nell’angoscia come un fiume in piena. Il pony dalla
criniera argentata si mise accanto a lei.
«Allora…Samantha, giusto?»
L’altra rimase immobile nella sua posizione fetale. Dopo
qualche secondo, Lasseter notò un quasi impercettibile sì con la testa. Anche
se era disperata, Lasseter era comunque l’unico di quel maledetto gruppo che
non si era rivolto male nei suoi confronti, l’unico che sembrava un pony normale.
«Ascolta…posso immaginare come ti senti. Ma non sei sola»
«No, non puoi. Lasciami in pace» berciò Samantha tra un
singhiozzo e l’altro.
Il sergente non si fece intimorire da quella risposta e
scrollò le spalle «Ok è vero, probabilmente non ho idea di quanto tu ti senta
di merda. E non sono bravo con questa roba, però…». Con una pausa Lasseter si
arrischiò molto lentamente a porre una zampa sulla spalla di Sammy: per fortuna
la pony non reagì, restando semplicemente rannicchiata.
«Però, diamine, tu non sei una di quelli! Tu sei una di noi!
Io l’ho visto come parli, come ti muovi, il tuo accento. Sei più pimpaina di me e Springer messi assieme!»
Samantha uscì dal suo guscio e si voltò interrogativa verso
quello strano pony. Lasseter era dannatamente serio «Devi piantarla di pensare
al tuo passato come se c’entrasse qualcosa. Tu non hai colpa di quello che è
successo cent’anni fa o di quello che sta succedendo adesso»
Sammy continuava a guardarlo inespressiva mentre altre
lacrime si staccavano dai suoi occhi. Il sergente non mollò il colpo «Noi siamo
una squadra, tutti noi. Siamo della stessa pasta. Ti proteggeremo e
completeremo questa missione in un batter d’occhi. Devi stare tranquilla»
Di colpo Lasseter ebbe un brivido: il volto di Samantha si
era contratto in un ghigno estremamente inquietante; digrignava i denti così
tanto che da un momento all’altro avrebbe potuto spaccarli.
«…cosa cazzo ne sai di cosa sono io?» bisbigliò mentre gli
occhi le si iniettavano di sangue.
Il sergente non ebbe il tempo di reagire e la pony prese la sua zampa ancora sulla spalla e gliela
torse violentemente. Lasseter iniziò a girare su sé stesso fluttuando, ma il
colpo era stato abbastanza forte da fargli del male. Se fossero stati su un
pianeta in presenza di gravità gli avrebbe quasi rotto la zampa, pensò.
«Che cazzo ti prende, stronza!?» urlò Springer sbigottito
per poi lanciarsi verso la pony bianca. Samantha rinsavì improvvisamente: il
suo volto si distese e rimase immobile ad osservare quella montagna di muscoli
incazzata che le veniva incontro.
Poco prima che Springer potesse colpirla, Lasseter lo bloccò
«Fermo Steven! È colpa mia, ho esagerato»
Rimasero in quella posizione per un tempo che parve
interminabile. Springer fissava Samantha con odio, uno sguardo che lei non
aveva mai visto fino ad allora. I suoi occhi sgranati le penetrarono
nell’anima. Si rannicchiò ancora di più, con la zampa di Lasseter ad essere
l’unico scudo tra lei e quel grosso pony.
«Toccalo…toccalo ancora una volta e giuro che non avrai
neanche la forza di piangere quando avrò finito con te, lurida…»
«Ho detto basta!
Torna a farti i cazzi tuoi!» urlò minaccioso Lasseter spingendo via il pony
paglierino. L’altro fissò Betz ancora per qualche
secondo per poi girarsi silenziosamente verso le casse.
Samantha si rese conto di essere rimasta in apnea per tutto
il tempo e prese una grossa boccata d’aria ansimando. Steven Springer…sembrava
sì uno spaccone, ma il modo in cui l’aveva guardata, la sua voce…non aveva mai
visto tanta rabbia in un solo pony. Era lo sguardo di qualcuno capace di
uccidere. Ne era certa: se avesse potuto l’avrebbe uccisa lì, seduta stante.
Lasseter si massaggiò la zampa ed accennò un sorriso forzato
alla pony perlacea «D’altronde me lo avevi detto di lasciarti in pace»
Lei rimase immobile non sapendo cosa dire. Si era fatta
controllare dalla rabbia per l’ennesima volta in quei due giorni.
Stupida.
Patetica.
Si massaggiò la faccia sospirando: aveva digrignato i denti
così tanto da farsi male. Che cosa le stava succedendo?
«Ti chiedo scusa Betz. Non dovevo
parlare di cose che non mi riguardano» disse Lasseter con il tono più
amichevole che riuscì a sfoderare. «Quello che volevo dire è che noi ci siamo.
Non sei sola. E ti proteggeremo fino alla fine: presto sarai di nuovo a bordo
di questa nave»
La ragazza fece ondeggiare la sua lunga criniera rossa
nell’etere mentre annuiva in silenzio. Non riusciva nemmeno a guardare il
sergente negli occhi, ma almeno aveva smesso di piangere.
«Non fare caso a Springer, lui è fatto così. Vedrai che tra
poco tornerà come sempre» disse voltandosi verso il fondo dell’hangar.
Fortunatamente sembrava che Sarang, Watts e Pimpez non avessero sentito quel teatrino da dentro lo
shuttle.
«Il modo in cui mi ha aggredito…» iniziò con un filo di voce
roca Samantha «…c’era qualcosa nei suoi occhi. Perché tiene così tanto a te?»
Lasseter aggrottò la fronte evitando lo sguardo di Samantha
«Quando vivi una vita come la nostra succedono tante cose. Diciamo che il legame
che si stringe è molto particolare»
Detto ciò il pony cambiò immediatamente discorso come
infastidito dalla domanda di Sammy «Perché non vai a dare un’occhiata al
cockpit e inizi ad ambientarti?»
«Ambientarmi per cosa?»
«Per il volo, no? Watts ti vuole come suo secondo ai
comandi»
Samantha sollevò un sopracciglio. Ecco perché aveva voluto
ripassare il piano di volo con lei.
«Magnifico» borbottò la pony
gettando un occhio verso il grosso portellone di carico del Freedom.
Senza aggiungere altro i due si separarono e Samantha entrò
all’interno dell’astronave. Lo shuttle era veramente grande, anche troppo per
la loro piccola squadra. Dalla grande baia di carico si accedeva al ponte
superiore con un ascensore interno. Mentre saliva, Sammy pensò che fosse proprio
una disdetta che nessuno avesse previsto delle cuccette per l’equipaggio:
avrebbero dovuto trovare un altro modo per dormire una volta su Equestria.
Apertesi le porte, la pony perlacea si trovò davanti due
lunghe file di sedili estremamente avvolgenti. Le pareti, quassù molto più
vicine tra loro rispetto al ponte inferiore, erano ricolme di schermi
interruttori e luci che attivavano le varie funzioni dello shuttle. Samantha
contò venti posti mentre raggiungeva il cockpit, ovvero la cabina di pilotaggio
vera e propria.
La pony si rallegrò nel notare che
gli schermi e gli interruttori erano estremamente simili a quelli dei
simulatori dell’università. Al centro tra i sedili del comandante e del pilota
(così si chiamavano in realtà i due ruoli) troneggiavano le manette dei tre
grandi motori sul retro.
Watts stava appoggiata al sedile di comando guardando fissa
fuori dai finestrini frontali. Era estremamente inquietante, considerando che
davanti a loro avevano solo la parete dell’hangar della Pardatchgrat.
Aveva già indossato la grossa tuta arancione da astronauta che avrebbero usato
per precauzione durante il viaggio.
«Non sembra tanto
complicato» disse Samantha per spezzare la tensione. Watts fece un
impercettibile balzo, a dimostrazione del fatto che non si era accorta della
presenza della pony bianca. Sembrava imbarazzata, come se fosse stata beccata
con gli zoccoli nel sacco a fare qualcosa di strano.
«Non lo è» tagliò corto come suo solito. Mentre diceva così,
spinse verso Sammy un piccolo raccoglitore con dei fogli. «Pronta?»
Bravo class shuttle flight checklists diceva la copertina. Aveva pochi
minuti per darci un’occhiata e indossare la sua tuta prima che gli altri
finissero di caricare l’attrezzatura.
«Pronta» rispose Samantha con un sospiro.
Erano ormai le 5:55 Zulu. Tutta la squadra era finalmente
legata ai propri posti. Watts e Samantha sedevano in prima linea di fronte ai
complicati comandi del Freedom. Con un cenno, Watts diede l’ordine a Sammy di procedere.
«Buongiorno Pardatchgrat. Freedom
è con voi per prova radio»
‘Buongiorno Freedom. Vi copiamo
cinque su cinque’ rispose gracchiante la voce stridula di Imogen Lindwall, l’addetta alle comunicazioni radio della nave.
Quanto le stava sul cazzo quella tizia, pensò Sammy roteando gli occhi.
«Ricevuto Pardatchgrat.
Richiediamo clearence per la messa in moto»
Ci fu qualche secondo di silenzio. Per un solo istante
Samantha pregò che venisse negata. Che qualcuno venisse lì a salvarla e a
riportarla nella sua cabina.
‘Shuttle Freedom,
autorizzati al rientro su Equestria come da piano di volo. Start-up approvato,
riportate pronti allo sgancio’ rispose
purtroppo Lindwall come da manuale.
«Before start checklist» intimò
Watts mentre cominciava a muovere le zampe come un ragno cliccando svariati
interruttori sopra la sua testa. Samantha iniziò a leggere ad alta voce uno di
quei fogli elencando tutto ciò che andava controllato prima di poter accendere
i motori.
«Before start checklist
completata» rispose alla fine la pony dalla criniera
rossa. Non poteva vedere il resto della squadra dietro di sé, ma si sentiva gli
occhi del generale Pimpez sul collo.
Ben presto un ruggito sordo cominciò a riempire l’abitacolo.
Dapprima flebile, divenne sempre più forte fino a diventare quasi assordante.
Lo shuttle cominciò a tremare mentre il pannello mostrava la pressione del
motore tre crescere fino a regime. Watts ripeté il processo altre due volte ed
il rumore divenne totalizzante.
La squadra chiuse i caschi delle tute spaziali e tutto
divenne ovattato. Samantha poteva sentire il suo respiro farsi sempre più
pesante. Stava per succedere, era il momento. Non poteva più tornare indietro.
«Aspetti la carrozza Betz?» chiese
Watts tramite l’interfono appena attivato «Datti una mossa»
Samantha deglutì mandando indietro le lacrime per l’ennesima
volta «Pardatchgrat. Freedom è pronto allo sgancio»
‘Copiato Freedom. Autorizzati allo sgancio. Inizio apertura
del portellone’
Tutto iniziò a tremare ancora di più. Svariati lampeggianti
si accesero in giro per l’hangar e il suono di una sirena sovrastò quello dei
motori. Lo spazio nero come la pece fece capolino sotto di loro.
Ti voglio bene, Ashley. Pensò Samantha per l’ultima volta.
Poi chiuse gli occhi.
‘Sganciate!’