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Autore: agfdetre    13/07/2022    0 recensioni
Samantha Betz è un brillante ingegnere di rotta sulla nave interstellare USS Pardatchgrat che a tentoni cerca di tenere in piedi una vita fatta di fragili legami, una mente instabile ed una giovinezza tormentata.
Un'improvvisa missione segreta della nave forza Sammy a tornare in un luogo che pensava di aver dimenticato, sepolto nei ricordi di una vecchia vita. Sarà costretta a rivangare il suo passato ed affrontare l'orribile compito che le è stato imposto.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 6

Samantha si grattò nervosamente il collo per l’ennesima volta. Certo che quella tuta era davvero stretta, quanto diamine ci avrebbe messo ad adattarsi un po’ al suo corpo? Dopo averla allargata leggermente con lo zoccolo tornò a guardarsi allo specchio: se non altro quella nuova uniforme le donava molto di più di quella delle forze armate interstellari. La tuta sembrava una semplice tenuta mimetica generica, con grandi macchie che viravano dal marrone chiaro al verde scuro. Malgrado il prurito, quel materiale le aderiva perfettamente alla pelle facendola traspirare senza alcuno sforzo. Si sentiva molto più leggera e libera nei movimenti rispetto a prima.

In fondo un po’ le piaceva quella nuova immagine di sé: sembrava una dura, una spietata pony mimetizzata e armata di mitragliatrice che trucidava chiunque sul suo cammino! Sammy era riuscita a ridere di gusto quando Ashley se n’era uscita con quella descrizione nel vederla vestita in quel modo: aveva insistito così tanto nel farle subito provare la tuta che la pony perlacea aveva ceduto. E forse quel piccolo siparietto l’aveva aiutata a distogliere nuovamente i brutti pensieri.

Dopo poco tempo avevano dovuto salutarsi. Samantha non era sicura che si sarebbero viste di nuovo, ma Reed l’aveva costretta a prometterle che si sarebbero trovate nel corridoio principale del ponte equipaggio alle 5:10 Zulu. Esattamente cinquanta minuti prima della partenza.

La pony buttò un occhio all’orologio fluorescente al lato dello specchio mentre con un gesto si legava la lunga criniera rossa in un elastico: il display ad otto segmenti segnava le 4:53. Aveva potuto dormire poche ore avendo perso un sacco di tempo a parlare con Ashley, ma non le importava. Oltretutto dormire era davvero una parola eccessiva per descrivere il suo riposo tormentato e nervoso.

Scrutò sé stessa per l’ultima volta prima di lasciare il bagno: i suoi occhi verdi avevano perso la loro brillantezza, le iridi erano opache e tristi. Il suo intero volto era contratto in una smorfia di tristezza che non riusciva a controllare, non se ne rendeva neanche conto. Poco dopo varco la soglia tornando nella stanza principale.

Con una lieve spinta iniziò a girare osservando tutta la cabina, come a volerla stampare sulle sue retine. Fissò la sua branda, la sua piantina che aveva sin dall’accademia e la grande vetrata che piaceva tanto ad Ashley: Samantha si rallegrò del fatto che quella mattina la vista fosse esclusivamente sullo spazio profondo. Si soffermò un istante sulla fotografia di lei con i suoi genitori il giorno della sua laurea: neanche in quell’occasione sua madre era riuscita a fare un sorriso sincero. Per ultima guardò la cintola con la pistola fissata al muro, la prese e se la legò alla vita con un sonoro clack: era pronta.

Dopo un grosso sospiro la pony aprì la porta e si lasciò alle spalle il suo nido sicuro. Una minuscola voce dentro di lei le diceva che non ci sarebbe mai più tornata.

Lentamente si mise in marcia lungo i corridoi della nave: per lei quelli erano sempre stati luoghi di serenità, la sua casa nei lunghi mesi nello spazio. Ma quella mattina la Pardatchgrat le appariva come un mostruoso labirinto oscuro, e lei si stava incamminando verso il minotauro che l’avrebbe sbranata tra urla e atroci dolori.

Il suo respiro pesante risuonava nel silenzio siderale. Era troppo presto perché potessero esserci altri membri dell’equipaggio in giro, e Sammy non era neanche sicura che il coprifuoco di Pimpez fosse terminato. Per un momento si chiese se Ashley sarebbe stata in grado di prendere il suo posto. Ma, aspetta: Ashley non avrebbe preso il posto di nessuno! Non doveva condurre la nave da nessuna parte: non li avrebbero abbandonati lì, vero?

Proseguì il suo cammino dalla sua sezione dormitori fino al corridoio principale del ponte equipaggio: se aveva fatto bene i conti quello doveva essere l’orario in cui si sarebbe vista un’ultima volta con Ashley. Quando girò l’angolo non vide nessuno e un velo d’ansia ulteriore l’attanagliò. Rimase a fluttuare nel silenzio, immobile, in mezzo al corridoio nell’attesa di sentire un suono.

«Già sveglia?»

Samantha cacciò un grido di terrore e si voltò di colpo per trovarsi a pochi metri dal primo ufficiale Sparkey che la fissava a braccia conserte. Come diavolo aveva fatto ad arrivare senza farsi sentire? L’altro non sembrò molto stupito dalla reazione della pony ed attese che si calmasse, invitandola con un gesto della mano a non fare baccano.

«Cosa ti viene in mente, Sparkey? Sono già abbastanza stressata di mio, non ho bisogno anche dei tuoi stupidi giochetti»

«Volevo solo salutarti. Non credo proprio di essere il benvenuto nell’hangar» rispose lo strano alieno giallo facendo spallucce. Subito dopo si guardò intorno con nonchalance «Non è da te stare ferma davanti agli ascensori. Aspettavi qualcuno?»

Samantha abbozzò restando sorpresa della domanda. Prima che potesse pensare a cosa rispondere, Ashley fece capolino dal corridoio opposto e si bloccò nel notare la presenza di Sparkey.

«Ah, adesso capisco» annuì il primo ufficiale accennando un sorriso.

Senza dire nulla la piccola pony verde acqua si fiondò ad abbracciare Samantha, cogliendola del tutto impreparata. Rimase qualche secondo interdetta e poi ricambiò l’abbraccio: sebbene avesse adorato la serata precedente, non poteva fare a meno di pensare al vincolo professionale che c’era tra loro due. Sparkey le osservava con un’espressione atona, e Sammy non riuscì come al solito a capire cosa gli passasse per la mente.

«Vedo che ha preso davvero sul serio la formazione della sua assistente, ingegner Betz» la incalzò l’alienoide giallo con una voce che cercava di essere simpatica. Le due sciolsero l’abbraccio imbarazzate e Ashley si posizionò istintivamente accanto al primo ufficiale davanti a Sammy.

Le antenne sulla testa di Sparkey vibrarono leggermente e con un gesto del braccio la creatura gialla guardò il suo MSU «È ora che tu vada, Samantha. Sarò sul ponte di comando a coordinare il vostro rientro in atmosfera». Volse brevemente lo sguardo verso Ashley «Se uno dei SOG ci vede qui con lei di sicuro ci saranno rogne»

La pony verde acqua annuì mentre la sua chioma blu scuro ondeggiava libera seguendo i suoi movimenti. Il suo volto si contrasse in una smorfia di preoccupazione mentre fissava la pony perlacea davanti a sé.

Samantha era stordita dalla mancanza di sonno e dalle tremende emozioni che aveva provato nelle ultime ventiquattr’ore. Ogni cellula del suo corpo voleva scappare via da lì, da tutto quel casino, via dove nessuno l’avrebbe mai trovata. Nello sconforto totale però, una luce le attraverso le pupille e si rese conto di non essere sola: lo aveva capito solo adesso, quando stava per lasciare quella nave alla volta di un viaggio terribile. Quei due erano lì per lei e…le volevano bene. Era assurdo per lei pensarlo. Lei che aveva affrontato ogni incertezza della vita da sola, contando solo sulla sua esile forza d’animo. Per qualche secondo sentì il suo cuore che si alleggeriva, felice di avere qualcuno al suo fianco.

Sparkey si schiarì la voce per spezzare la tensione e con estrema indecisione porse la mano verso la pony dalla criniera rossa «Beh, buona fortuna Samantha»

Sammy rispose al gesto con il suo zoccolo e quello fu tutto ciò che il primo ufficiale riuscì a fare. L’alieno attese che Ashley abbracciasse la pony perlacea un’altra volta prima di invitarla con lo sguardo a seguirlo per tornare nella sua cabina.

«Mi prometta che tornerà» disse Ashley con una voce rotta dal singhiozzo.

Samantha sobbalzò. Era davvero arrivato il momento di andare: guardò la sua assistente come la cosa a lei più cara in tutto l’universo. Pensò a tutte le volte in cui aveva sbagliato nella sua breve vita: i suoi genitori, i suoi compagni di scuola, i suoi pochi amici, Anna. Il volto della pony color crema comparve per un istante nella mente di Sammy mentre il suo cuore si stringeva fino a diventare minuscolo. Era solo una stupida, patetica pony che non era riuscita a combinare niente di buono: sapeva solo allontanare gli altri, eppure in qualche modo il pensiero della socialità e dell’amore la ossessionavano. Era sempre stato così, e ora il destino le stava servendo la portata più amara di quella triste e ridicola esistenza. La stava allontanando dall’unica persona con cui, forse, sarebbe riuscita a costruire qualcosa.

«Io…lo prometto» disse infine sussurrando. Era una promessa che stava facendo più a sé stessa che alla sua assistente. Ma da qualche parte dentro di lei sentiva che non sarebbe stato così.

Subito dopo, Sammy si trascinò indietreggiando all’interno di uno degli ascensori e premette il pulsante per portarla sul ponte uno. Prima che la cabina si mettesse in movimento, poté scorgere Sparkey che con una mano portava via la povera Ashley rimasta a fissare le porte vetrate davanti a sé. Una lacrima solcò il viso bianco come il latte della giovane pony.

Il portellone interno dell’hangar 03 non era come tutte le altre porte della Pardatchgrat. Normalmente le porte scorrevoli automatiche ci mettevano poco più di un secondo ad aprirsi con un rumore sordo, ma quella che Sammy si trovava davanti era un ben più grande e massiccio portone d’acciaio che si stava lentamente ripiegando su sé stesso emettendo un frastuono sferragliante. Ce n’erano ben due in realtà: costituivano l’airlock, ovvero una zona cuscinetto che separava l’interno della nave dallo spazio profondo nel momento in cui l’hangar veniva aperto per permettere l’ingresso e l’uscita dei mezzi; ecco anche spiegato il motivo della robustezza di quei portoni.

Samantha aspettò pazientemente persa nei suoi pensieri che la prima porta si chiudesse dietro di lei all’interno dell’airlock, per poi seguire con lo sguardo la lenta apertura della seconda. Non appena si fu alzata abbastanza, lo sferragliare del meccanismo venne quasi sovrastato da un gran vociare poco più sotto. Sammy si affacciò dalla balaustra e poté ammirare il Freedom in tutta la sua magnificenza.

Lo space shuttle di classe Bravo era una versione pesantemente modificata e avanzata dei modelli originali di navette riutilizzabili usate anche sul pianeta Terra: era una specie di aereo lungo più di venticinque metri ed il rivestimento in lega di titanio scurissimo gli dava un aspetto quasi spettrale. La coda ospitava tre grandi ugelli per i motori principali più due piccoli per gli attuatori orbitali. Per una come Sammy era davvero uno spettacolo: non capitava tutti i giorni di avere davanti agli occhi un simile gioiello dell’aerotecnica. Quello shuttle era stato caricato al Comando Stellare qualche settimana prima che la squadra SOG salisse a bordo e la nave si dirigesse verso Equestria: che il tutto fosse solo una coincidenza? Purtroppo spesso il personale di volo non aveva accesso alle informazioni sul materiale che trasportava, e questo era uno di quei casi.

Alla base della grossa navetta si trovava la squadra SOG intenta ad assemblare la propria attrezzatura. Svariate casse tecniche con misteriosi adesivi che indicavano la segretezza del materiale occupavano gran parte dello spazio. Il tutto era legato saldamente a terra con numerose fasce gialle per evitare che fluttuasse in giro.

Ben presto Springer si accorse di lei, ma stranamente si limitò ad un semplice saluto e si mantenne molto serio. Gli altri lanciarono solo un’occhiata a Sammy per poi proseguire nelle loro operazioni. Si intuiva dalle loro facce che erano estremamente concentrati sulla missione che stavano per compiere. Non erano la squadra SOG mica per nulla, pensò Samantha mentre fluttuava giù per le scale.

Non appena la pony bianca come il latte ebbe messo zoccolo sulla piattaforma di carico dell’hangar, il generale Pimpez estrasse con grande attenzione, aiutato da Sarang, uno strano e vistoso macchinario simile ad uno zaino. Era costituito da un complesso sistema di tubazioni e recipienti che culminavano in una grande maschera da porre sul viso. Samantha non ebbe difficoltà a riconoscere il marchingegno, aiutata anche dalla vistosa sigla posta sulla cassa: un Semi-closed Circuit Magical Rebreather. Non era esattamente sicura di come funzionasse, ma sapeva che quell’aggeggio avrebbe tenuto in vita il possente pimpaino su un pianeta dove l’aria sarebbe stata per lui irrespirabile. Per un istante si chiese se dopo tutti quegli anni lontani da Equestria i pony di Pimpaina non avessero perso la speciale emoglobina Hb-M che permetteva loro di vivere su un pianeta colmo di magia: un brivido le percorse la schiena. Ma d’altronde lei era un’equestriana di prima generazione: poteva stare tranquilla, giusto?

Mentre rimuginava su questi pensieri ed il resto della squadra caricava svariate casse piene di chissà cosa sul Freedom, la misteriosa Watts si avvicinò inesorabilmente a Sammy con sguardo duro e fisso nei suoi occhi, così inquietante che a Samantha parve di gelare.

«Ripassiamo il piano di volo» disse laconicamente con voce ferma e robotica. Quella pony era veramente raccapricciante. Subito dopo stese una copia cartacea della mappa-mosaico ottenuta dalle foto aeree di Equestria su una delle casse lì attorno.

«Inizieremo la manovra alle 6:05 Zulu. La velocità da raggiungere non è molto bassa, non dovremmo tenere i motori accesi per più di dieci secondi». Detto questo si concentrò sulla mappa «Concluderemo la fase critica di rientro più o meno qui…Arabia Sellata» disse indicando un punto abbastanza vicino al mare di una grande penisola desertica.

Samantha seguiva il discorso con attenzione sebbene ancora profondamente stordita e turbata: per lei si trattava di nozioni molto basilari.

«Da qui abbiamo un oceano per rallentare. Dobbiamo diventare subsonici prima di raggiungere la costa occidentale d’Equestria». Alzò lo sguardo privo d’espressione verso Sammy «Altrimenti faremo un bel botto»

Sammy annuì concentrata malgrado l’aspetto inquietante della sua interlocutrice. Sapeva bene quello a cui Watts si riferiva: fintanto che sarebbero rimasti supersonici, arrivando dall’enorme velocità che possedevano in quel momento stando in orbita, lo shuttle sarebbe stato più veloce del suo stesso rumore. Le onde sonore, che non sono altro che variazioni di pressione, si sarebbero accavallate su loro stesse non potendo sfuggire alla navetta spaziale creando delle onde d’urto. Queste onde si sarebbero propagate fino a terra: in parole povere, fintanto che la navetta fosse stata supersonica, chiunque si fosse trovato sotto di loro avrebbe udito improvvisamente un boato terribile, talmente forte da rompere i vetri delle finestre. Il famoso boom sonico, penso Sammy tra sé e sé. Ed ovviamente ciò era assolutamente deleterio per la loro missione: avrebbero sfruttato l’oceano che separava l’Arabia Sellata da Equestria per rallentare sotto il muro del suono e planare silenziosamente verso la base dell’Equestrian Air Force.

Di colpo Watts si rivolse direttamente a Samantha «Hai mai fatto un rientro in VFR?»

«Come?» rispose la pony bianca inebetita. Era anche stupita dal fatto che quella stramba le stesse dando del tu la prima volta in cui le rivolgeva davvero la parola.

«VFR. Visual Flight Rule. Volo a vista» Precisò gelidamente Watts aspettando un cenno da Samantha. Quando vide che non arrivava, prosegui senza battere ciglio «La pista di atterraggio. Dobbiamo raggiungerla a vista. Non abbiamo radiofari che ci aiutino»

«Ah» rispose Samantha stizzita «No, ho solo usato il simulatore dell’università per qualche esame di meccanica del volo»

La pony color grigio topo sembrò rompere per un solo istante la sua freddezza totale, e a Sammy parve di leggere del disprezzo e della rassegnazione.

«Dovevo immaginarlo»

Watts le voltò le spalle dirigendosi verso il portellone di carico del Freedom.

«Sempre meglio che avere Springer come copilota» aggiunse Mark Sarang dal fondo della stanza.

«Porca puttana! Ti ricordi quella volta sulla Gönergratt? Un atterraggio pazzesco» ridacchiò Springer spezzando quell’aura di silenzio e serietà e tornando quello di sempre. Il pony paglierino aveva sulle sue spalle due grossi nastri colmi di munizioni larghe quasi quando metà zoccolo: Sammy rimase di stucco nel rendersi conto dell’enorme quantità di armi che quegli strani pony stavano portando con sé.

«Diciamo che non sei entrato in questa squadra per le tue abilità di pilota, colonnello» precisò Lasseter dall’altro lato del grosso hangar mentre fluttuava supino sotto la navetta spaziale. Samantha notò solo allora che il sergente si era allontanato dagli altri e reggeva in bocca una torcia per osservare l’interno del vano del carrello di atterraggio anteriore.

Watts si diresse a bordo del Freedom senza aggiungere una parola ed iniziò ad armeggiare con dei pannelli al muro, lasciando Sammy da sola senza sapere cosa fare. La pony perlacea restò interdetta dal loro ignorarla: si era così tanto stressata, aveva atteso quella partenza con terrore e preoccupazione e adesso quegli stronzi stavano in silenzio facendosi gli affari loro?

«Quindi?» chiese nel vuoto Samantha a denti stretti. L’unico a degnarla di una risposta fu Pimpez che era appena sceso dal Freedom dopo aver risposto con cautela il suo rebreather.

«Quindi cosa?» berciò il pimpaino senza neanche guardarla.

«Che devo fare?»

Pimpez ridacchiò sprezzante «Il nostro ingegneruccio ha dell’entusiasmo?». Sembrava adorasse vederla friggere in quella posizione. Poteva vedere dal volto distrutto che la pony aveva passato probabilmente la peggiore giornata della sua vita, ed ora era lì che fremeva aspettando un segno. Per un attimo le parve che il generale si accarezzasse la ferita della zoccolata, ormai cicatrizzata sul viso.

«Non devi fare niente, Betz. Sei inutile ora come ora. E vedi di darti una calmata»

Samantha rimase a bocca aperta. Quelle frasi così semplici eppure taglienti e sprezzanti distrussero il fragile equilibrio che la pony era riuscita a mettere in piedi in quelle ore. Notò che adesso anche il generale aveva preso a darle del tu, non avrebbe avuto più nessun riguardo per lei. Era in trappola.

Quelle poche parole erano bastate. La pony bianca come il latte si accasciò sulle casse piene di materiale dietro di lei e copiose lacrime cominciarono a staccarsi dal suo viso fluttuandole attorno. Sammy singhiozzava a denti stretti cercando di non dare a vedere il suo dolore: non voleva neanche per un secondo mostrare la sua debolezza a quei mostri. Era tutto perduto. Non aveva più la forza di andare avanti. Lasciare davvero Ashley era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Nulla aveva più senso ormai, la sua vita era finita: anche se avesse seguito quei pazzi in quell’assurda missione, sarebbe sicuramente morta. L’ansia prese per l’ennesima volta possesso del corpo della pony perlacea.

«Walkaround terminato. Lo shuttle è a post…» la voce di Lasseter si interruppe bruscamente quando notò la povera Samantha ansimare nell’angolo. Cercava di nascondersi con la sua criniera rossa e guardando verso un punto imprecisato del pavimento.

Il pony dal manto blu si fermò a fissarla come pietrificato. Nella sua lunga carriera aveva visto tante cose, cose che una persona dotata di anima non dovrebbe mai vedere: lui e i suoi compagni avevano sgominato molte insidie, salvato più volte capi di stato da assalti terroristici e ucciso grandi criminali interplanetari. Ma quando aveva ascoltato il briefing di quella missione per la prima volta nella sala riunioni del Consiglio delle Forze Armate Superiori, il suo pelo si era rizzato istintivamente come succedeva ogni volta che fiutava il pericolo, quello vero. Aveva capito sin da subito che non sarebbe stata una cosa facile come le altre, e non solo perché si trattava della principessa del loro pianeta d’origine. No, c’erano troppe cose che non quadravano in quella faccenda, e adesso il generale Pimpez aveva deciso di portare quella povera pony con loro.

Sammy si strinse ancora di più su sé stessa quando sentì addosso gli occhi di Lasseter. Lui continuò a fissarla: sebbene il suo animo fosse ormai temprato da tante atrocità, il senso imponente di disperazione di quella pony dalla criniera rossa riuscì a scuoterlo nel profondo. Il sergente rabbrividì ed i suoi occhi divennero leggermente umidi. Forse avevano esagerato con quella poveretta.

Si avvicinò lentamente schiarendosi la voce, e nel farlo si tolse quel poco di lacrime dagli occhi. Samantha non reagì, ormai silenziosamente persa nell’angoscia come un fiume in piena. Il pony dalla criniera argentata si mise accanto a lei.

«Allora…Samantha, giusto?»

L’altra rimase immobile nella sua posizione fetale. Dopo qualche secondo, Lasseter notò un quasi impercettibile sì con la testa. Anche se era disperata, Lasseter era comunque l’unico di quel maledetto gruppo che non si era rivolto male nei suoi confronti, l’unico che sembrava un pony normale.

«Ascolta…posso immaginare come ti senti. Ma non sei sola»

«No, non puoi. Lasciami in pace» berciò Samantha tra un singhiozzo e l’altro.

Il sergente non si fece intimorire da quella risposta e scrollò le spalle «Ok è vero, probabilmente non ho idea di quanto tu ti senta di merda. E non sono bravo con questa roba, però…». Con una pausa Lasseter si arrischiò molto lentamente a porre una zampa sulla spalla di Sammy: per fortuna la pony non reagì, restando semplicemente rannicchiata.

«Però, diamine, tu non sei una di quelli! Tu sei una di noi! Io l’ho visto come parli, come ti muovi, il tuo accento. Sei più pimpaina di me e Springer messi assieme!»

Samantha uscì dal suo guscio e si voltò interrogativa verso quello strano pony. Lasseter era dannatamente serio «Devi piantarla di pensare al tuo passato come se c’entrasse qualcosa. Tu non hai colpa di quello che è successo cent’anni fa o di quello che sta succedendo adesso»

Sammy continuava a guardarlo inespressiva mentre altre lacrime si staccavano dai suoi occhi. Il sergente non mollò il colpo «Noi siamo una squadra, tutti noi. Siamo della stessa pasta. Ti proteggeremo e completeremo questa missione in un batter d’occhi. Devi stare tranquilla»

Di colpo Lasseter ebbe un brivido: il volto di Samantha si era contratto in un ghigno estremamente inquietante; digrignava i denti così tanto che da un momento all’altro avrebbe potuto spaccarli.

«…cosa cazzo ne sai di cosa sono io?» bisbigliò mentre gli occhi le si iniettavano di sangue.

Il sergente non ebbe il tempo di reagire e la pony prese la sua zampa ancora sulla spalla e gliela torse violentemente. Lasseter iniziò a girare su sé stesso fluttuando, ma il colpo era stato abbastanza forte da fargli del male. Se fossero stati su un pianeta in presenza di gravità gli avrebbe quasi rotto la zampa, pensò.

«Che cazzo ti prende, stronza!?» urlò Springer sbigottito per poi lanciarsi verso la pony bianca. Samantha rinsavì improvvisamente: il suo volto si distese e rimase immobile ad osservare quella montagna di muscoli incazzata che le veniva incontro.

Poco prima che Springer potesse colpirla, Lasseter lo bloccò «Fermo Steven! È colpa mia, ho esagerato»

Rimasero in quella posizione per un tempo che parve interminabile. Springer fissava Samantha con odio, uno sguardo che lei non aveva mai visto fino ad allora. I suoi occhi sgranati le penetrarono nell’anima. Si rannicchiò ancora di più, con la zampa di Lasseter ad essere l’unico scudo tra lei e quel grosso pony.

«Toccalo…toccalo ancora una volta e giuro che non avrai neanche la forza di piangere quando avrò finito con te, lurida…»

«Ho detto basta! Torna a farti i cazzi tuoi!» urlò minaccioso Lasseter spingendo via il pony paglierino. L’altro fissò Betz ancora per qualche secondo per poi girarsi silenziosamente verso le casse.

Samantha si rese conto di essere rimasta in apnea per tutto il tempo e prese una grossa boccata d’aria ansimando. Steven Springer…sembrava sì uno spaccone, ma il modo in cui l’aveva guardata, la sua voce…non aveva mai visto tanta rabbia in un solo pony. Era lo sguardo di qualcuno capace di uccidere. Ne era certa: se avesse potuto l’avrebbe uccisa lì, seduta stante.

Lasseter si massaggiò la zampa ed accennò un sorriso forzato alla pony perlacea «D’altronde me lo avevi detto di lasciarti in pace»

Lei rimase immobile non sapendo cosa dire. Si era fatta controllare dalla rabbia per l’ennesima volta in quei due giorni.

Stupida.

Patetica.

Si massaggiò la faccia sospirando: aveva digrignato i denti così tanto da farsi male. Che cosa le stava succedendo?

«Ti chiedo scusa Betz. Non dovevo parlare di cose che non mi riguardano» disse Lasseter con il tono più amichevole che riuscì a sfoderare. «Quello che volevo dire è che noi ci siamo. Non sei sola. E ti proteggeremo fino alla fine: presto sarai di nuovo a bordo di questa nave»

La ragazza fece ondeggiare la sua lunga criniera rossa nell’etere mentre annuiva in silenzio. Non riusciva nemmeno a guardare il sergente negli occhi, ma almeno aveva smesso di piangere.

«Non fare caso a Springer, lui è fatto così. Vedrai che tra poco tornerà come sempre» disse voltandosi verso il fondo dell’hangar. Fortunatamente sembrava che Sarang, Watts e Pimpez non avessero sentito quel teatrino da dentro lo shuttle.

«Il modo in cui mi ha aggredito…» iniziò con un filo di voce roca Samantha «…c’era qualcosa nei suoi occhi. Perché tiene così tanto a te?»

Lasseter aggrottò la fronte evitando lo sguardo di Samantha «Quando vivi una vita come la nostra succedono tante cose. Diciamo che il legame che si stringe è molto particolare»

Detto ciò il pony cambiò immediatamente discorso come infastidito dalla domanda di Sammy «Perché non vai a dare un’occhiata al cockpit e inizi ad ambientarti?»

«Ambientarmi per cosa?»

«Per il volo, no? Watts ti vuole come suo secondo ai comandi»

Samantha sollevò un sopracciglio. Ecco perché aveva voluto ripassare il piano di volo con lei.

«Magnifico» borbottò la pony gettando un occhio verso il grosso portellone di carico del Freedom.

Senza aggiungere altro i due si separarono e Samantha entrò all’interno dell’astronave. Lo shuttle era veramente grande, anche troppo per la loro piccola squadra. Dalla grande baia di carico si accedeva al ponte superiore con un ascensore interno. Mentre saliva, Sammy pensò che fosse proprio una disdetta che nessuno avesse previsto delle cuccette per l’equipaggio: avrebbero dovuto trovare un altro modo per dormire una volta su Equestria.

Apertesi le porte, la pony perlacea si trovò davanti due lunghe file di sedili estremamente avvolgenti. Le pareti, quassù molto più vicine tra loro rispetto al ponte inferiore, erano ricolme di schermi interruttori e luci che attivavano le varie funzioni dello shuttle. Samantha contò venti posti mentre raggiungeva il cockpit, ovvero la cabina di pilotaggio vera e propria.

La pony si rallegrò nel notare che gli schermi e gli interruttori erano estremamente simili a quelli dei simulatori dell’università. Al centro tra i sedili del comandante e del pilota (così si chiamavano in realtà i due ruoli) troneggiavano le manette dei tre grandi motori sul retro.

Watts stava appoggiata al sedile di comando guardando fissa fuori dai finestrini frontali. Era estremamente inquietante, considerando che davanti a loro avevano solo la parete dell’hangar della Pardatchgrat. Aveva già indossato la grossa tuta arancione da astronauta che avrebbero usato per precauzione durante il viaggio.

 «Non sembra tanto complicato» disse Samantha per spezzare la tensione. Watts fece un impercettibile balzo, a dimostrazione del fatto che non si era accorta della presenza della pony bianca. Sembrava imbarazzata, come se fosse stata beccata con gli zoccoli nel sacco a fare qualcosa di strano.

«Non lo è» tagliò corto come suo solito. Mentre diceva così, spinse verso Sammy un piccolo raccoglitore con dei fogli. «Pronta?»

Bravo class shuttle flight checklists diceva la copertina. Aveva pochi minuti per darci un’occhiata e indossare la sua tuta prima che gli altri finissero di caricare l’attrezzatura.

«Pronta» rispose Samantha con un sospiro.

Erano ormai le 5:55 Zulu. Tutta la squadra era finalmente legata ai propri posti. Watts e Samantha sedevano in prima linea di fronte ai complicati comandi del Freedom. Con un cenno, Watts diede l’ordine a Sammy di procedere.

«Buongiorno Pardatchgrat. Freedom è con voi per prova radio»

‘Buongiorno Freedom. Vi copiamo cinque su cinque’ rispose gracchiante la voce stridula di Imogen Lindwall, l’addetta alle comunicazioni radio della nave. Quanto le stava sul cazzo quella tizia, pensò Sammy roteando gli occhi.

«Ricevuto Pardatchgrat. Richiediamo clearence per la messa in moto»

Ci fu qualche secondo di silenzio. Per un solo istante Samantha pregò che venisse negata. Che qualcuno venisse lì a salvarla e a riportarla nella sua cabina.

‘Shuttle Freedom, autorizzati al rientro su Equestria come da piano di volo. Start-up approvato, riportate pronti allo sgancio’ rispose purtroppo Lindwall come da manuale.

«Before start checklist» intimò Watts mentre cominciava a muovere le zampe come un ragno cliccando svariati interruttori sopra la sua testa. Samantha iniziò a leggere ad alta voce uno di quei fogli elencando tutto ciò che andava controllato prima di poter accendere i motori.

«Before start checklist completata» rispose alla fine la pony dalla criniera rossa. Non poteva vedere il resto della squadra dietro di sé, ma si sentiva gli occhi del generale Pimpez sul collo.

Ben presto un ruggito sordo cominciò a riempire l’abitacolo. Dapprima flebile, divenne sempre più forte fino a diventare quasi assordante. Lo shuttle cominciò a tremare mentre il pannello mostrava la pressione del motore tre crescere fino a regime. Watts ripeté il processo altre due volte ed il rumore divenne totalizzante.

La squadra chiuse i caschi delle tute spaziali e tutto divenne ovattato. Samantha poteva sentire il suo respiro farsi sempre più pesante. Stava per succedere, era il momento. Non poteva più tornare indietro.

«Aspetti la carrozza Betz?» chiese Watts tramite l’interfono appena attivato «Datti una mossa»

Samantha deglutì mandando indietro le lacrime per l’ennesima volta «Pardatchgrat. Freedom è pronto allo sgancio»

‘Copiato Freedom. Autorizzati allo sgancio. Inizio apertura del portellone’

Tutto iniziò a tremare ancora di più. Svariati lampeggianti si accesero in giro per l’hangar e il suono di una sirena sovrastò quello dei motori. Lo spazio nero come la pece fece capolino sotto di loro.

Ti voglio bene, Ashley. Pensò Samantha per l’ultima volta. Poi chiuse gli occhi.

‘Sganciate!’

  
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