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Autore: edoardo811    11/07/2022    1 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XXII

Un unico obiettivo 




Daniel osservava le fiamme baluginare nella notte. Le luci di Furnace Creek arrivavano da lontano, ricordandogli che non erano più nel bel mezzo del nulla. Quel luogo sembrava un miraggio, qualcosa di irreale nel silenzio e nella quiete di quel deserto.

Penelope si era appisolata accanto al fuoco, producendo quel suo strano nitrito mentre dormiva, e Jack era sparito già da un po’ ormai. Elias aveva detto che erano vicini agli Inferi, perciò forse il loro amico a quattro zampe aveva fiutato la strada di casa e aveva deciso di andare a dare un’occhiata.

Elias. Non appena Daniel pensò a lui, avvertì uno strano brivido percorrerlo. Le emozioni che aveva provato affrontandolo erano state qualcosa di totalmente nuovo per lui. Adrenalina, eccitazione. Aveva affrontato diversi nemici, perlopiù mostri, e non si era mai sentito così. Era stato come se affrontare Elias avesse acceso qualcosa in lui.

Si era sentito bene. Soprattutto al pensiero di averlo annientato.

Sollevò una mano e osservò l’oscurità fuoriuscire dal suo palmo. Se Camille e Kiana non lo avessero fermato, l’avrebbe ucciso. E non avrebbe avuto nessun rimpianto. Se l’era cercata, per come si era sempre comportato. Aveva creduto di essere superiore a tutti loro, e lui gli aveva fatto capire che invece la realtà era molto diversa.

Quanto avrebbe voluto fare la stessa cosa anche ad Ashley…

Una fitta di dolore alla testa lo fece piegare. Si premette le mani sulle tempie e grugnì con forza, mentre di fronte a lui apparivano quelle immagini che già aveva visto innumerevoli volte: corpi neri, occhi bianchi, alcuni in piedi, altri riversi a terra. La terra che ribolliva, una sala buia, un’ombra seduta sopra un trono.

«Tu mi servirai.»

Il dolore cessò. Daniel prese una grossa boccata d’aria. Quella voce… perché era così familiare? Chi era quella donna?

Perché vedeva quelle cose? Che cosa significavano?

«Che cavolo mi succede…?» mormorò, osservando le tenebre che gli ricoprivano le mani quasi a mo’ di guanti.

Aveva perso il conto di quante volte si era fatto quelle domande. L’unica cosa che sapeva, era che da quando aveva lasciato il campo tutto si era fatto molto più strano. I suoi ricordi si erano fatti più confusi, annebbiati, e adesso lui stesso stentava a credere a quello che aveva sempre raccontato.

Orfano di madre, padre sconosciuto, cresciuto da solo senza mai incontrare mostri. Era strano. Troppo strano. Aveva sempre mentito? Perfino a sé stesso? Ma perché?

Chi era lui, veramente?

Si stropicciò le palpebre, con un sospiro esausto. Avrebbe potuto continuare all’infinito, la verità non sarebbe piovuta dal cielo. La cosa migliore che poteva fare era parlare con qualcuno di quei sogni e di quelle visioni. Allo stesso tempo, si sentiva come se ci fosse qualcosa a frenarlo. Non poteva dire di vedere quello che vedeva. Che diamine avrebbero pensato di lui? Che era un pazzo, o forse anche peggio. E poi… con tutto quello che aveva fatto loro, dubitava che Camille e Kiana avrebbero avuto la premura di ascoltarlo.

Si accorse di aver finito le sterpaglie da lanciare nel fuoco e decise di andare a prenderne altre, per smettere di pensare a quelle cose. Sapeva che forse avrebbe dovuto dormire, ma non aveva sonno. Nonostante il lungo viaggio e lo scontro che aveva avuto da poco, non si sentiva stanco.

Alzò lo sguardo verso il cielo stellato. Come tutte le altre volte gli trasmise una sensazione di tranquillità. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. L’aria fredda e pungente della notte lo rinvigorì. Staccò qualche ramo dagli arbusti spogli sparpagliati qua e là attorno all’accampamento e tornò indietro.

Ad attenderlo trovò una sorpresa del tutto inaspettata.

Una bambina era accovacciata di fronte al fuoco, con in mano un lungo ramoscello con il quale lo stava attizzando. Aveva i capelli corti e biondi, e indossava un vestitino bianco. Era piccola e gracile, tanto che un soffio di vento avrebbe potuto scaraventarla via, eppure non sembrava per nulla intimidita da quel falò grosso il doppio di lei.

«Che bel fuoco» disse proprio quando Daniel si avvicinò, prima che lui potesse chiederle chi diamine fosse. Si voltò e gli rivolse un sorriso. «L’hai acceso tu?»

Daniel rimase immobile per lo stupore. Si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa di insolito, ma non vide nulla. Quella bambina apparsa dal nulla era completamente sola.

«… sì» rispose, lasciando cadere le sterpaglie. «Chi sei? Che ci fai qui?»

La bambina si strinse nelle spalle. «Mi ha attirato il fuoco.»

«Okay…» Daniel fece un passo avanti. «La tua famiglia sa che sei qui?»

«Me ne sono andata tanto tempo fa. Loro non badano più a me.»

Daniel rimase in silenzio. Una bambina apparsa nel bel mezzo della Valle della Morte gli stava dicendo di essersene andata di casa, con una voce e un tono così calmi da far credere che fosse la cosa più normale di sempre. Per non parlare del fatto che il suo sguardo non sembrava affatto quello di una bambina. Nei suoi occhi c’erano una durezza e una sicurezza pari a quelli di un adulto che aveva visto molte più cose di quante potesse raccontarne.

Qualcosa non quadrava. Il ragazzo avvertì un brivido lungo la schiena mentre reggeva lo sguardo della sconosciuta, ma lei non sembrò fare caso alla sua tensione. Tornò a concentrarsi sul fuoco.

«E tu invece? Dov’è la tua famiglia?»

«Non… non ho una famiglia.»

«No? Che gli è successo?»

Daniel si guardò attorno ancora una volta. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, né di come comportarsi. Poteva davvero essere una mortale che si era persa? Forse arrivava da Furnace Creek e si stava prendendo gioco di lui. Eppure… qualcosa gli suggeriva che invece non era affatto una mortale.

«Non l’ho mai conosciuta. Sono cresciuto in orfanotrofio.»

La bambina tornò a guardarlo. Nonostante lo sguardo serio, il suo viso sembrò rattristirsi. «Mi dispiace. Tutti, almeno una volta, meritano di radunarsi attorno a un fuoco come questo con i propri cari.»

Si alzò in piedi e cominciò ad avvicinarsi a Penelope, che ancora stava dormendo ignara di tutto. Daniel spalancò gli occhi: solo in quel momento si ricordò di lei. Avrebbe voluto dirle di starle alla larga, ma la bambina non fece nulla alla centaura. Si limitò soltanto a osservarla con un sorriso rilassato, per poi rivolgersi nuovamente a Daniel: «Purtroppo non possiamo scegliere le nostre famiglie. Ma questo non significa che dobbiamo essere come loro. Non pensi anche tu?»

Daniel assottigliò le labbra. «Non mi hai ancora detto chi sei.»

Malgrado il suo tono duro, la sconosciuta fece un sospiro divertito. Fece il giro attorno al fuoco e tornò verso di lui. «Tutti credono che ci sia del male in te, Daniel García. Ma io non penso che sia così.»

«Come… come sai il mio nome?»

«Io penso che ti serva solo una spinta verso la giusta direzione» proseguì la bambina. «Per fare di quel male... un bene. Ecco. Voglio farti un regalo.»

Allargò le braccia e chiuse gli occhi. Daniel pensò che fosse impazzita del tutto, ma poi vi fu un fascio di luce proprio in mezzo a loro due, seguito da uno strano rumore simile a un risucchio d’aria. Il ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo per un istante, a causa del forte bagliore.

Quando la luce si diradò, un grosso vaso era apparso al suo posto. Era alto un metro, circa, e largo un po’ meno della metà. Era nero con decorazioni bianche, simboli, forse anche parole di una qualche lingua dimenticata. Daniel lo scrutò con le labbra schiuse per lo stupore. «Che cos’è?»

«Lascerò che sia tu a scoprirlo» rispose semplicemente la bambina. «Quando verrà il momento saprai cosa farci, filius noctis.»

«C-Come?»

Daniel si voltò verso la bambina, ma lei era scomparsa.

Allora si voltò di nuovo verso il vaso, ma era scomparso pure quello. Indietreggiò per la sorpresa. Non si era immaginato tutto, ne era sicuro.

Quella bambina… chi diamine era? Che cosa gli aveva detto? E quel vaso, che cosa…

Una fitta di dolore alla testa gli mozzò il respiro, ma questa era diversa rispetto a prima. Gli occhi cominciarono ad appesantirsi. Un lungo mugugno gli scappò dalle labbra, poi tutto si fece nero.

Si svegliò nel suo sacco a pelo, con la luce del giorno che faticava a filtrare attraverso gli spessi nuvoloni grigi sopra la sua testa. Nonostante il corpo appesantito, riuscì a mettersi a sedere. Fece vagare lo sguardo lungo l’accampamento. Cercò di nuovo quello strano vaso che la bambina gli aveva “regalato”, ma non lo vide da nessuna parte. Si era… sognato tutto?

Il fuoco si era spento e Penelope ancora dormiva, quindi non poteva chiederle se avesse visto qualcosa. Forse era davvero stato un sogno. Eppure, ricordava alla perfezione tutto quello che la bambina gli aveva detto. Specialmente la parte sull’essere diversi dalle proprie famiglie. Perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa del genere? Lui non conosceva nemmeno la propria famiglia! Ma forse… forse lei sì. Non sarebbe stato così strano. Dopotutto, conosceva anche il suo nome.

Spostò lo sguardo su Penelope.

«Hai un’aura malvagia» gli aveva detto.

Quella bambina… pensava che la sua famiglia fosse malvagia? Pensava che lui fosse malvagio? Aveva avvertito le stesse cose che aveva avvertito Penelope?

Aveva detto anche qualcos’altro. Qualcosa in latino. Filius… 

Un’altra fitta alla testa gli mozzò il respiro. Fece un verso di dolore molto più forte di quanto avrebbe voluto, perché la vocetta allarmata di Penelope lo chiamò: «Daniel, stai bene?»

Il ragazzo tornò a guardarla. Nonostante si fosse appena svegliata, sembrava preoccupata per lui.

«S-Sì, sì…» riuscì a rispondere, un po’ imbarazzato.

Lei si avvicinò a lui. «Sicuro?»

«Io…»

Daniel esitò. Poi un grosso sospiro gli scappò dalle labbra. Non poteva andare avanti così. Si stava tenendo tutto dentro. Non sapeva chi fosse, non sapeva cosa volesse, non provava nemmeno dei sentimenti. Con il suo comportamento aveva ferito e allontanato le uniche due persone che gli erano state vicine.  

Era stanco di mentire, ed era stanco di fingere di non aver bisogno di aiuto.

«Sai, Penelope… credo che sia arrivato il momento che io segua il tuo consiglio.»

«Intendi dire… parlare con qualcuno?»

«Sì.»

Penelope strinse le mani di fronte al petto e saltellò sul posto con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Esultò come se avesse appena ricevuto la notizia più bella di sempre e Daniel non riuscì a reprimere un sorriso di fronte a quella scena.

Così, quando si trovò da solo con Kiana mentre Cam meditava, pensò che quella fosse l’occasione che stava cercando.

Tra lui e Kiana c’era sempre stato un rapporto… strano. Anzi, forse avrebbe potuto dire che non c’era mai stato alcun rapporto. Era sempre stato convinto di essere lui quello che “sopportava” la presenza delle due ragazze, ma dopo la discussione che aveva avuto con Kiana a Salt Creek Trail, aveva capito che in realtà era lei a tollerare lui.

Sapere che la figlia di Venere non l’aveva mai davvero voluto tra i piedi l’aveva in un certo senso tranquillizzato. Non gli avrebbe mai mentito, perché non ne aveva bisogno, e di certo non aveva paura di lui. Per questo decise di parlarle. Forse lei l’avrebbe aiutato. E in ogni caso, si sarebbe tolto quel peso dalla coscienza.

Kiana non lo giudicò per quello che le disse, ma un lato di lui se l’aspettava. Non era mai stata una persona superficiale, malgrado la nomea della sua famiglia. La cosa che lo sorprese di più fu il fatto che, nonostante tutto quello che era successo, non era più arrabbiata con lui. Anzi, lo trattò quasi come un vero amico per una volta. Vederla così l’aveva fatto sentire meglio, come se ci fosse ancora speranza di aggiustare le cose con lei e Cam.

Naturalmente, tutto era precipitato non appena aveva avuto quel pensiero.

«Ed ecco i nostri traditori» disse Ashley, mentre lei e i suoi legionari li accerchiavano.

Più Daniel la guardava, più sentiva la rabbia crescere dentro di lui. Dalle sue labbra uscì un ringhio sommesso: «Ashley…»

La figlia di Giove spostò lo sguardo su di lui e distese quel sorrisetto irritante. «Non posso credere che voi mi abbiate costretta a venire a riprendervi di persona. Come avete fatto a sfuggire a quell’incapace di Elias?» Schioccò la lingua. «Immagino di essermi già risposta da sola.»

«Lasciaci andare, Ashley» s’intromise Kiana, i pugni stretti e la mascella contratta. Se c’era qualcun altro con dei motivi per detestare Ashley, quella era proprio lei. «Solo Camille può trovare Ecate. Se ci riporti indietro adesso condannerai il mondo intero!»

«Non rivolgerti a me così. Sono il tuo Massimo Pontefice.» Ashley si posò una mano sul petto, saccente. «Dovreste inchinarvi al mio cospetto.»

«Neanche morto» sbottò Daniel, strappando una risatina ad Ashley, che lo scrutò proprio come aveva fatto il giorno in cui si erano conosciuti, quando era arrivato al Campo Giove: come un topo fuggito da una gabbia.

«Sai, García, credo che sia giunto il momento di dirti che non mi sei mai piaciuto.»

Anche a Daniel venne da sorridere. «Il sentimento è reciproco.»

«Ashley! Ashley, siamo qui!» starnazzò Cassie, dimenandosi nelle corde. 

Solo in quel momento Ashley sembrò accorgersi dei due centurioni legati. 

«Tradire il campo… fuggire di nascosto… adesso prendete pure ostaggi?» domandò verso i tre ragazzi. «Pensate davvero che funzionerà?»

«Che… che cosa?!» sbottò Kiana. «No! Non li abbiamo catturati noi! Questi due idioti…»

«Ashley.» 

Camille fece un passo avanti, tenendo le mani alzate e ben lontane dalla daga alla cintura. Come se avesse bisogno di quell’arma, dopo aver bruciato vivi tutti quei mostri. 

«Ascoltami, ti prego. Non dobbiamo metterci gli uni contro gli altri. È proprio quello che vogliono i nostri nemici. Stanno solo cercando di dividerci. Se litighiamo, faremo il loro gioco.»

Ashley spostò lo sguardo su di lei, e questa volta, al posto di un topo, sembrò che stesse guardando un cucciolo abbandonato. «Lo sai, Gray, eri una legionaria così promettente. Obbedivi agli ordini, sapevi stare al tuo posto… non riesco a credere che proprio tu abbia fatto questa fine. Che peccato.»

«Ashley, ti scongiuro. La profezia riguarda me. Riguarda mia madre! Se tu…»

«Ammanettateli» ordinò la figlia di Giove, senza ascoltarla. «Abbiamo perso già abbastanza tempo a causa loro.» 

Alcuni legionari si avvicinarono a loro stringendo delle manette. 

«Perché lo stai facendo, Ashley?!» domandò Cam, con la voce incrinata. «Io… ti ammiravo così tanto! Perché non vuoi lasciarmi andare da mia madre?!»

Ashley sorrise di nuovo. «Sei proprio adorabile, Gray. Farò in modo che la tua punizione sia meno severa rispetto a quella dei tuoi amici.»

Camille sembrava sul punto di scoppiare a piangere, ma Daniel non capì se per la tristezza o per la rabbia. 

«Avresti dovuto accettare la mia proposta, Kiana» disse qualcuno. Daniel osservò uno dei legionari muniti di manette che si era avvicinato: era Maxwell, anche lui con un sorriso da idiota stampato in faccia. «Ora è troppo tardi. Non ci sarà alcuna pietà per i disertori.» 

«Tu?!» domandò Kiana, con un tono di voce che sembrava arrabbiato, incredulo e offeso tutto assieme. «Che ci fai qui?!»

Il figlio di Mercurio gonfiò il petto come un bambino che aveva appena ricevuto delle caramelle. «Ashley voleva uomini fedeli. Di certo non traditori come voi.»

«Fedele? Tu?» Daniel non riuscì a reprimere un altro sorriso. «Ma non ti eri nascosto nell’armeria durante l’attacco?»

Maxwell si voltò verso di Ashley. «Non ho idea di cosa stia parlando.»

«Sì che lo sai, Maxwell Freeman.» Daniel sogghignò. «Ma dopotutto, tu sei fatto così. Te la prendi con quelli delle coorti inferiori, perché sai di essere in una posizione privilegiata. Sai che nessuno di quelli che ami tormentare ti darà mai la lezione che ti meriti, perché sono con le mani legate. E quando le cose si mettono male, trovi un cunicolo in cui rannicchiarti e lasci che quelle stesse persone che hai guardato dall’alto ti proteggano le spalle. E poi, quando è tutto finito, ti attacchi come una zecca a persone come lei…» e indicò Ashley. «… per dimostrare di essere un soldatino modello.»

Si avvicinò a quel codardo, fino a trovarsi faccia a faccia con lui. Proprio come aveva sospettato, un barlume – o meglio, un faro – di incertezza gli attraversò il volto. 

«Potrai anche ingannare loro, ma puoi ingannare me. Sei solo un parassita, Maxwell. Uno scarafaggio.» Lo puntellò sull’armatura e avvicinò il viso al suo, scrutandolo direttamente negli occhi. La voce gli uscì in un sussurro roco: «L’unico motivo per cui non ti ho ancora calpestato è perché non voglio sporcarmi le scarpe.»

Maxwell rimase in silenzio, esterrefatto. Tutta la sua spavalderia era svanita nel nulla. Daniel si rese conto che anche Kiana e Camille lo stavano fissando sbalordite, ma lui non badò a loro. Tornò a rivolgersi al resto dei legionari: «Siete qui per arrestarci, ma io ho un’altra proposta. Voi vi levate dai piedi adesso, oppure vi faccio tutti a brandelli uno per uno e getto quello che rimane di voi ai coyote.» 

Nonostante la tensione che si era accumulata, Ashley rise, imitata da alcuni dei suoi lacchè. «Farò in modo che tu riceva la pena di morte, García.»

«Ma davvero?» L’oscurità cominciò a sollevarsi da terra, circondando Daniel. Alcuni legionari fecero dei versi di sorpresa e indietreggiarono. Non Ashley, però: lei rimase impassibile. Meglio così. L’ultima cosa che Daniel voleva, era che anche lei fosse una codarda.

«È ora che qualcuno ti dia una bella lezione, Ash…»

Vi fu un rumore, una specie di crepitio che interruppe Daniel. E poi una luce blu seguita da un boato.

Daniel gridò, mentre qualcosa lo colpiva al petto con una forza sovrumana. Fu sbalzato all’indietro, mentre un disgustoso odore di bruciato permeava l’aria. 

«Daniel!» gridò qualcuno, ma lui non riuscì a capire chi fosse per via del forte fischio nelle sue orecchie. 

Si ritrovò a terra, pietrificato. Non sentiva alcun dolore, tuttavia la sua mente per un istante andò in panne.  Gli sembrò di rivivere il momento in cui una freccia l’aveva trafitto, ma amplificato di mille volte. Tutto il corpo non rispondeva più ai suoi comandi, era un miracolo perfino il fatto che riuscisse ancora a pensare. Cominciò a temere che non si sarebbe più mosso, che sarebbe rimasto così, consapevole di essere immobile, intrappolato in una prigione da cui non poteva evadere.

Un angolo del suo cervello, probabilmente rimasto integro, gli fece capire che Ashley doveva appena averlo colpito con un fulmine. La puzza di bruciato e il sapore di metallo che aveva in bocca erano anche degli indizi piuttosto inequivocabili. 

Ashley.

Non appena pensò a quel nome qualcosa dentro di lui si smosse, come un lungo scossone che lo percorse dalla testa ai piedi. Centimetro dopo centimetro riuscì di nuovo a percepire il proprio corpo, i muscoli contratti per la scossa appena ricevuta, ma di nuovo pronti agli ordini. 

«Che cosa aspetti, Daniel?» domandò quella voce che per tanto tempo l’aveva perseguitato. «È arrivato il momento. Dimostra da che parte stai.»

Daniel riaprì gli occhi di scatto. Proprio sopra di lei, Kiana sobbalzò per la sorpresa. «Daniel! Stai… ehm… stai bene?»

Lui non rispose. Alzò lentamente la testa e si rese conto che i legionari erano rimasti immobili. Camille stava gridando a tutti di non avvicinarsi e quelli, per qualche motivo, la stavano ascoltando, mentre Ashley osservava con un sorriso compiaciuto tutta la scena. Fu proprio quando la vide, che Daniel fu sicuro di quello che doveva fare.

La prima mossa era stata fatta. Lui era lì per quello. Doveva farlo. 

Non si sarebbe tirato indietro.

Si rialzò faticosamente in piedi, saggiando il terreno con le gambe tremolanti e fragili, come se in quei pochi istanti si fosse dimenticato come camminare. La puzza di bruciato continuava ad appestargli le narici. Non sembrava odore di pelle, però, ma di… gomma? Plastica? Qualcos’altro? 

Ashley si accorse di lui. «Di nuovo in piedi? Eppure credevo di averti…» 

Il sorriso svanì dal suo volto all’improvviso, rimpiazzato da un’espressione di stupore. Anche i legionari spalancarono gli occhi. Perfino Camille, accorgendosi di lui, sembrò impallidire ancora di più.

«D-Daniel?» domandò Kiana, rimastagli accanto, atterrita come tutti gli altri. «Ma… ma che cosa…»

L’oscurità cominciò a sorgere dal terreno. Non appena Daniel la sentì strisciargli lungo le gambe, sogghignò. Incrociò lo sguardo di Ashley e nella sua mente fu come se tutto e tutti fossero scomparsi: c’erano soltanto più loro due. 

«Ora tocca a me.» 

Non aveva idea di quanti metri li separassero. Non potevano essere molti, visto che li coprì tutti con un solo scatto. Un attimo prima Ashley era lontana, con le labbra schiuse per lo stupore: ora era di fronte a lui, con gli occhi strabuzzati. 

L’afferrò per il collo, strappandole un grido soffocato. Sentì il vento ululare su di loro, ma doveva essere per via della velocità con cui si stavano muovendo. Subito dopo, arrivarono alla parete del canyon. 

Schiantò Ashley con tutta la sua forza contro la roccia. La figlia di Giove gridò con quanto fiato aveva in gola, mentre alcuni detriti franavano su di loro. 

Daniel distese il ghigno. Quel grido… voleva sentirlo ancora. E più forte. 

Le sferrò un pugno nello stomaco, ignorando il fatto che avesse un’armatura. La colpì ancora e ancora, con il suono del metallo che si accartocciava che giungeva alle sue orecchie, seguito dai mugugni soffocati di Ashley. Distese il braccio e l’oscurità formò una lama. Prima che potesse affondargliela nel petto, Ashley gli afferrò la mano con cui la stava tenendo per il collo e gridò di nuovo, il corpo che si illuminava d’azzurro. Vi fu un’esplosione di elettricità e Daniel venne scaraventato via. Ruzzolò a terra per qualche metro, stordito e con il braccio indolenzito e bruciacchiato. 

Si rimise in piedi tossendo, mentre di fronte a lui Ashley si allontanava dalla parete, l’armatura e l’elmetto accartocciati. 

«Come… hai osato?» gli domandò, con la voce carica di rabbia e una tempesta negli occhi. Si sfilò l’elmetto e i capelli le caddero arruffati sulle spalle. «Me la pagherai.»

Daniel sogghignò e si raddrizzò. Non disse nulla: le fece soltanto cenno di farsi avanti. 

«Ashley! Ashley!!» 

Alcuni schiamazzi provennero alle sue spalle. Daniel arrischiò un’occhiata e si accorse dei legionari che correvano verso di loro. Fece una smorfia e sollevò una mano, la quale cominciò a ricoprirsi di oscurità.

“Dannati impiccioni.”

Diversi fulmini piombarono dal cielo proprio in quel momento, abbattendosi di fronte ai legionari e arrestando la loro corsa. 

«State tutti indietro!» urlò Ashley, anche lei con una mano alzata, dalla quale ancora si stavano sprigionando scintille. Incrociò di nuovo lo sguardo di Daniel. «Ci penso io.»

Un altro sorriso nacque sul volto di Daniel. Per la prima volta dopo tanto tempo, gli sembrò di sentire qualcosa.

Ashley cominciò a levitare nell’aria, accompagnata da delle forti correnti d’aria. «Andiamo da un’altra parte.»

Sfrecciò verso il cielo, fino alla cima del canyon. Daniel la seguì con lo sguardo e avvertì l’oscurità formicolare dentro di lui. 

«Sì…» sussurrò. «Andiamo.»

«DANIEL!»

In mezzo alla folla di legionari apparvero i volti agitati di Camille, Kiana e Penelope. La figlia di Venere si fece largo a spintoni, seguita a ruota dalle altre due. Nessuno protestò o cercò di fermarle, per motivi che Daniel non comprese, e che francamente nemmeno gli interessava sapere. 

«Daniel» disse Kiana, raggiungendolo per prima. Aveva ancora quello sguardo, come se… come se lui la spaventasse. «A-Avanti, Daniel. Non… non fare idiozie. Ok? Cerca… di calmarti. Non c’è bisogno di combattere.»

Daniel la scrutò in silenzio. Non l’aveva mai guardata davvero, non fino a quel momento. Era consapevole che fosse una bella ragazza, ma non gli era mai importato. Quella volta, però, fu diverso: quella volta lui la guardò. E sì, era bella come un fiore. Ma non solo quello. Era anche coraggiosa, forte, e leale. Era… una bella persona. Avrebbe dovuto capirlo prima.

«Ashley se n’è andata! Possiamo scappare! Dobbiamo salvare Ecate, ricordi? Tu… tu sei voluto venire con noi. Ci volevi aiutare a trovare la madre di Cam. Avanti, sono certa che… che… possiamo trovare una soluzione per… per…» 

«Basta così, Kiana» s’intromise Camille, che a differenza dell’amica non sembrava spaventata o intimidita, ma solo… arrabbiata. 

Se Kiana era un fiore, Camille era una rosa. Graziosa, ma spinosa. Le spine di Cam erano così affilate da far pentire a chiunque di essersi avvicinato troppo. Aveva visto coi suoi stessi occhi cosa quelle spine erano in grado di fare. 

Era sempre stata buona con lui. Con lui non aveva mai usato le spine. Ma poi, lui l’aveva ferita una volta di troppo. E quello sguardo furente era il risultato.

«Non l’hai ancora capito?» proseguì Camille. «Lui non è qui per questo. Non ha mai voluto salvare Ecate.»

«N-No, un momento…» Kiana sventolò un braccio con fare nervoso. «So di sembrare ripetitiva ma… cosa

«Sei uno di loro. Vero?» Camille strinse i pugni, gli occhi conficcati in quelli di Daniel. «Sei un figlio di Notte.»

Uno strano verso provenne da Kiana. «Lui… COSA?!»

«Ma come ho fatto a non capirlo prima…» bisbigliò Cam. «I tuoi poteri, il fatto che Encelado ti conoscesse, Jack, Fatum… era tutto così… ovvio.»

Daniel rimase in silenzio. Quelle parole… non riusciva davvero a capire che cosa gli stesse dicendo. 

“Figlio… di Notte?”

«Perché sei qui, Daniel? Se questo è il tuo vero nome.» Camille si avvicinò a lui. «Qual è il tuo vero scopo?»

Ancora una volta, lui non rispose. Lei lo spintonò all’improvviso.

«RISPONDI!» urlò. «Per una volta, una sola, RISPONDI!»

Il ragazzo indietreggiò. Strinse i pugni, l’oscurità ai suoi piedi che ribolliva pronta a colpire. Poi si accorse delle lacrime che rigavano le guance di Camille. Stava piangendo. 

«Ci hai presi in giro. Per tutto questo tempo tu… tu…» Le sue mani si infuocarono. Le puntò verso di lui. «Sei tu il traditore. Sei tu la talpa. Tu.»

«Mi… dispiace» riuscì a dire Daniel.

«Ti… dispiace? Ti dispiace? È tutto quello che hai da dire?! Dopo tutto quello che hai fatto! Tutte le bugie, il male che hai fatto… che mi hai fatto…»

«Abbassa le mani. Non voglio farti del male. Ma lo farò se mi costringi.»

Camille digrignò i denti. Sembrava un animale messo all’angolo, ferito, furioso, senza più niente da perdere. Le fiamme crebbero d’intensità. «Tu… del male… a me

«Ragazzi, basta!» Kiana si frappose tra loro. La sua voce era agitata, il suo sguardo pure. Osservò prima Daniel e poi Camille. «Ma che cavolo vi prende?! Siamo amici, ricordate? Perché non…»

«Non siamo amici, Kiana» disse Daniel. «Non lo siamo mai stati.»

Lei si voltò verso di lui. Adesso, sembrava solo mortificata. «Daniel…»

Anche Cam abbassò le mani. Le fiamme si spensero, così come la sua rabbia. Rimase soltanto sconforto. Forse quella era la certezza che fino quel momento aveva cercato.

«E ora levatevi dai piedi.» Daniel diede le spalle a entrambe e osservò il cielo, verso il punto in cui Ashley era rimasta ferma, ad osservarlo. Diversi nuvoloni neri si erano radunati sopra di lei, colmi di elettricità. 

«Fammi un favore…» disse ancora la voce tremolante di Cam. «… non tornare.»

Non appena udì quel tono di voce triste, ferito, il petto di Daniel fu colto da un sussulto. Si voltò di nuovo verso di loro. Camille aveva gli occhi arrossati, Kiana invece stava scuotendo la testa dicendogli, implorandolo, di non farlo, di non andare via. 

E poi, Penelope. La centaura non aveva detto una sola parola. Era rimasta immobile, in silenzio, a scrutarlo con quegli occhioni scuri e una mano premuta sul petto. Non appena la vide, ebbe un sussulto. La sua mente lo riportò al momento in cui l'aveva conosciuta, a quando lei, timida e goffa, l'aveva ringraziato per averla aiutata. Da quella volta aveva sempre cercato di parlare con lui, di farlo aprire. Perché… perché adesso non diceva nulla?

«Penelope…» mormorò.

Tese una mano verso di lei, ma la centaura indietreggiò con un nitrito spaventato. Solo in quel momento si rese conto della paura nei suoi occhi. 

Perché lo guardava così? Perché lo guardava come se… come se fosse malvagio?

Daniel schiuse le labbra. Sollevò le mani tremati e le osservò. Cosa… cosa gli era preso? Perché stava facendo così? Quelle… quelle erano le sue amiche! Perché…

L’oscurità crebbe dal terreno e gli avvolse le gambe. Non appena lo fece, fu come se un’altra scarica elettrica l’avesse attraversato. Chiuse gli occhi e serrò la mascella.

«Va’, Daniel. Non perdere altro tempo.»

«Sì…» sussurrò lui, distogliendo l’attenzione da quelle che forse erano state sue amiche, ma che ormai non lo erano più.

Il suo obiettivo era uno e uno soltanto: Ashley.

Come tutte le altre volte che aveva usato i poteri, si lasciò guidare unicamente dal suo istinto. Qualcosa dentro di lui sapeva cosa fare e come farlo. Come una specie di riflesso incondizionato.

Gli sembrò di sprofondare nella terra, come se il suo corpo non fosse più solido. E poi, tutto si fece nero.

Era un salto nell’ombra. Stava… saltando nell’ombra, proprio come Jack. 

Quando riaprì gli occhi si trovò sulla cima del canyon, esattamente dove Ashley lo stava aspettando. Lei non sembrò per nulla sorpresa da quello che aveva appena fatto. Anzi, gli rivolse un ghigno divertito mentre continuava a fluttuare qualche metro più in alto di lui. «Ce ne hai messo di tempo. Stavi dicendo addio alle tue amiche?»

«Non pensi che sia stato incauto andartene per prima in quel modo?» domandò Daniel per tutta risposta. «Sarei potuto fuggire. O avrei potuto attaccare i tuoi compagni.»

Ashley atterrò di fronte a lui. «Sapevo che non avresti fatto nessuna delle due, Daniel. O forse dovrei dire Vacuo.» 

Daniel si irrigidì. Ancora quella maledetta parola. Lo stava perseguitando.

«Oh, sì» ridacchiò Ashley. «Adesso non ho più dubbi: sei tu quello di cui mi hanno parlato.»

«Che vorresti dire?» 

«Quest’estate ho fatto un sogno.» Ashley cominciò a camminare attorno a lui, tenendolo per tutto il tempo sotto il proprio sguardo. «Qualcuno mi ha detto che “il Vacuo sarebbe venuto per uccidermi”. Poche settimane dopo, sei arrivato al campo. All’inizio non ero certa che fossi tu, ma non c’è voluto molto prima che lo capissi. Voglio dire, un ragazzo senza genitori, senza passato, che trova il Campo Giove per puro caso e non batte nemmeno ciglio quando gli spieghiamo che cosa ci facciamo lì e perché. Sarei stata una stupida a non sospettare di te. Hai anche detto di non aver mai incontrato mostri. Forse perché erano stati istruiti a non farti del male. O magari perché ti riconoscevano come loro simile.»

Daniel rimase in ascolto, per nulla impressionato. «È stata Discordia a dirtelo?»

Ashley si fermò. L’espressione beffarda le svanì di dosso all’improvviso. «Discordia? Perché proprio lei?»

«Rispondi e basta.»

La figlia di Giove abbozzò un altro sorrisetto. «Non so chi fosse. Era solo una voce. Ma mi ha detto tutto quello che dovevo sapere. Ha detto che ci sarebbe stata una profezia e che tu avresti manipolato diversi di noi, in modo da uscire dal campo, e anche che avresti cercato di metterci gli uni contro gli altri.»

«Io ci ho messi gli uni contro gli altri?»

Ashley ignorò la domanda. «E adesso che siamo qui…» Il suo corpo sprigionò alcune scintille. «… posso distruggerti.»

Il ragazzo riuscì a emettere una risatina. «Quindi… tutto questo teatrino, la storia dei traditori, la tua caccia all’uomo… serviva a questo? A farmi uscire allo scoperto?»

«Oh, no. Io salverò comunque Ecate. Ma prima mi occuperò di te. Così avrò sia scovato e sconfitto il vero traditore, lo stesso che ha convinto Gray, Farhat, Moreau e D’Amico a cospirare contro il campo e gli dei, e poi ripristinato la Foschia. Sarò un’eroina. L’unica eroina. E nessuno potrà negarmelo.»

«Non stai considerando un dettaglio, però.» L’oscurità cominciò ad avvolgere il corpo di Daniel, proprio come l’elettricità con quello di Ashley. «Cosa succederebbe se tu dovessi fallire?»

«È semplice.» Il viso di Ashley divenne duro come il marmo. «Non fallirò.»

Puntò le mani verso di lui. Il cielo ruggì così forte da far tremare la terra. Due lampi lo illuminarono di azzurro. 

Daniel sogghignò. Nemmeno lui avrebbe fallito.



   
 
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