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Autore: Nao Yoshikawa    12/07/2022    2 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo quattro: Amico
 
- Intermezzo – 
Tamago
 
«Ho paura, non lo controllo.»
Tamago ha cinque anni quando esprime la sua paura. Si rende conto di non avere controllo su niente, che da un momento all’altro, in un battito di ciglia, potrebbe ritrovarsi da un’altra parte, in un altro tempo. Allora viene abbracciata.
«Non preoccuparti, ci siamo noi con te. In qualche modo riusciremo a impedirlo.»
Ma in realtà è una bugia. Nessuno di loro può impedirlo, è inevitabile. Tamago sembra saperlo. Sembra già conoscere il fardello che ha addosso. Alla sua età non dovrebbe avere né ansia né paure.
«Non lo voglio più questo. Voglio essere normale.»
E allora piange. Spezza il cuore il suo destino.
«Tamago, il tuo può essere un dono.»
Ma lei scuote la testa. Non ci vede niente di bello nella sua abilità acquisita. Come può essere un dono qualcosa che potrebbe portarla via da tutto ciò che ama?
 
- Age Masu Torisaru, Jikan Jikan, tutto toglie e tutto dà
Chi Mai lo fermerà? –
 
Le cose erano indubbiamente cambiate e non solo perché Genos e Saitama si erano scambiati un bacio (solo uno). Genos si sentiva strano ed era sicuro che c’entrasse l’amore. Aveva sentito dire che l’amore faceva bene, che ti cambiava in meglio. Sebbene lui e Saitama non fossero una coppia (di questo non avevano parlato, per carità. Era già tanto che si fossero baciati!). Genos non era più molto arrabbiato con lui, aveva compreso che quello di Saitama era stato panico misto a confusione. Era piuttosto impacciato se si parlava di sentimenti, ma comunque anche lui era cambiato. Si era reso conto che a Genos ci teneva in modo particolare, che gli piaceva e lo attraeva (gli smuoveva qualcosa di profondo), ma visto che non era mai stato innamorato, non sapeva come funzionava. Stava cercando di essere meno indisponente e più gentile, anche se tenere a bada l’imbarazzo era più difficile di quanto pensasse. Soprattutto, Genos lo guardava in un modo così profondo che sembrava volesse guardargli dentro… roba da pazzi. Sembrava, insomma, l’inizio di un periodo felice. Genos avrebbe tanto voluto rincontrare Maga Tamago e dirle che forse ci aveva preso quando aveva parlato di amore. E magari lo avrebbe fatto quando l’avrebbe rivista. Ma per scaramanzia, per il momento, non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Certo, Genos non si era dimenticato della sua disavventura con quegli esseri misteriosi e non avrebbe potuto. Qualche tempo dopo avevano incontrato King, anche lui era venuto a contatto con uno di quei mostri durante lo scontro. Non gli era stato tolto nulla, in compenso adesso aveva dodici dita anziché dieci.
«Non è poi così terribile» aveva detto loro. «Non mi dà nemmeno fastidio quando gioco ai videogames, anzi.»
Non solo, anche Child Emperor aveva avuto quel tipo di menomazione, gli era cresciuto un terzo occhio sulla fronte, un occhio funzionante. Dopodiché era venuto fuori che anche altre persone, civili venuti a contatto con quei mostri, avessero subito menomazioni del genere, sia dentro che fuori. Ad alcuni erano stati rimossi organi interni, anche vitali, morendo sul colpo. Ad alcuni erano stati aggiunti. Quindi era così, non si trattava solo di amputazione, ma di aggiunzione. Sembrava una magia oscura. Genos ovviamente era sempre sé stesso o almeno ciò diceva a chiunque. Lui era cambiato dentro, nella testa. E non solo, ma ancora non poteva saperlo.
«Genos, oramai sei una celebrità. E intendo più di prima. Ovunque andiamo la gente ti ferma, hai un sacco di fans.»
A Saitama dava fastidio. Tanto per cominciare, perché lui non aveva nemmeno un briciolo di fama? Era un eroe di classe B, d’accordo, ma aveva sempre dato un suo contributo, in generale. E soprattutto, come osava la gente catalizzare tutte le sue attenzioni? Ebbene sì, Saitama era leggermente geloso, ma avrebbe dovuto nevicare in agosto prima che lo ammettesse.
«Io ho solo fatto il mio dovere» aveva detto Genos. Ed era vero. «E fare il mio dovere mi ha lasciato delle cicatrici addosso.»
«In che senso? Non puoi avere delle cicatrici» gli rispose Saitama. Poi però mise in moto il cervello e si rese conto certo, deve parlare di ben altre cicatrici.
Con Saitama avrebbe potuto parlarne? Avrebbe compreso? Avrebbe saputo spiegarsi?
«Come dire, maes-Saitama» si corresse. Saitama gliel’aveva detto tante volte, chiamami col mio nome e adesso lui si stava abituando a farlo. «Il fatto è che da quando ho combattuto contro quei mostri… non mi sento più me stesso.»
Saitama si avvicinò, si inginocchiò davanti a lui, vicinissimo.
«Sì, in effetti non sei il mio solito Genos.»
Il suo Genos?
«Il tuo…?»
«Emh…. Non mio mio. Cioè, sì. Vabbé, insomma, me ne sono accorto» disse, impacciato. «Non è che quei mostri hanno cambiato anche te, alla fine?»
Genos ci aveva anche pensato. Certo era assurdo, perché non aveva un corpo umano. Però era stato un essere umano e si sentiva umano, ora più che mai. Lo erano le sue sensazioni.
«E non è che l’amore ha cambiato te?» domandò Genos. Saitama si corrucciò.
«Chi ha detto che ti amo…?»
«A-allora no?» gemette il cyborg, a disagio.
«Non ho detto nemmeno che non ti amo. Con le parole non sono bravo, però una cosa posso dirla» Saitama tossì. «Emh… ti desidero. Non riesco a togliermi dalla testa il nostro bacio. E vorrei dartene ancora e fare di più. Se possibile.»
Oh, allora sentivano le stesse cose. Anche Genos non riusciva a non pensarci. Ne voleva ancora e ne voleva di più. Era vittima del desiderio, cosa che era riuscita sempre a controllare! Ma adesso non ci riusciva. Era umano e fragile.
«S-sì. È possibile, ma certo.»
«Ah, bene. Ottimo.»
Si guardarono e scattò una scintilla. Genos si avvicinò e lo baciò, senza paura o timore, ma con una foga che bramava di essere liberata. Gli si sedette sopra e Saitama gemette, stringendolo a sé.  Genos si sentiva strano, non percepiva l’eccitazione come al solito. Si sentiva caldo… si sentiva… era una sensazione che aveva già provato.
«Genos… piano. Se fai così non potrò trattenermi.»
«Allora non trattenerti, non più» sospirò.
Certo, Genos non era più sé stesso.
Certo, d’altronde nemmeno Saitama credeva di essere più sé stesso, visto che non era da lui lasciarsi guidare dalle emozioni o dalle sue sensazioni. Invece decise di farlo, si decise a chiudere gli occhi per non vedere con essi, ma con tutto il resto.
 
Maga Tamago era riapparsa di nuovo lì, in quel tempo e in quel luogo. Non era certo un caso il fatto che fosse sempre portata a tornare lì e lo sapeva bene. Già dalla prima volta che era arrivata si era detto dì loro la verità e risolvi questo casino. Ma poi si era detta perché mai dovrebbero credermi? Oppure come glielo potersi spiegare? È complicato. Anche in un mondo in cui accade di tutto, nessuno arriverebbe a pensare a qualcosa di così assurdo.
E invece si era finta una cartomante, per una volta la sua bizzarra passione le era tornata utile, ma adesso cosa avrebbe dovuto fare? Quanto avrebbe dovuto aspettare? Non sapeva nemmeno quanto sarebbe potuta rimanere o tornare. Niente era sotto il suo controllo.
«Calma, Tamago. Non perdere la testa. Lo sai che se ti agiti è peggio. Alla tua età dovresti saperti controllare almeno un minimo. Sì, peccato che se sapessi farlo non sarei qui. Sono a casa mia, eppure non sono da nessuna parte.»
Era quasi buio ed era col buio che Tamago si metteva a pensare. E pensare non era mai una buona idea. Inoltre iniziava ad avere fame, aveva qualche spicciolo con sé guadagnato grazie al suo lavoro da cartomante. Così entrò in un kombini, la gente la guardava in modo un po’ strano: si era tolta l’impermeabile scuro che portava di solito. Era completamente oscura, dai capelli lunghissimi, all’abbigliamento attillato. Ma le sopracciglia dalla forma inarcata le davano un’espressione perennemente sorpresa sul viso tondo.
Si fermò davanti uno scaffale che vendeva ramen e ne riconobbe una marca in particolare.
«Oh, questi li mangiavo da bambina, non pensavo ne esistessero ancora» disse allungando una mano. E la sua mano venne sfiorata da quella di una bambina dai capelli scuri.
«Scusi!» esclamò lei. Tamago strabuzzò gli occhi. Avrebbe riconosciuto ovunque quella ragazza. Beh, lì era ancora una bambina a dire il vero, ma poco cambiava.
«Zenko?»
La sorellina minore di Metal Bat la guardò, confusa.
«Ci conosciamo, signora?»
«Emh… più o meno.  Sono un’aspirante eroe. Tu sei la sorella minore di Metal Bat, vero? Ti prego, posso incontrarlo?»
Tamago aveva congiunto le mani e Zenko aveva indietreggiato.
«Ma… sei tipo una fan impazzita? Perché se è così…»
Tamago cercò di darsi un contegno, comportarsi da pazza non l’avrebbe di certo aiutata.
«È che lo conosco. Mi chiamo Tamago e, sai, noi eravamo amici. Ma è tanto tempo che non ci vediamo.»
Tamago non stava mentendo e infatti Zenko se ne accorse. Si fece meno guardinga.
«Lo sai, signora? In effetti anche tu mi sei familiare. E va bene, andiamo. Ma mio fratello è convalescente, non so se vorrà ricevere visite.»
Giusto, doveva essere già successa quella cosa. A Tamago non sarebbe cambiato niente, perché aveva conosciuto Metal Bat già in quelle condizioni.
«Grazie. E non chiamarmi signora, ho solo vent’anni!» disse allegra, prendendo quella confezione di ramen che tanto le ricordava la sua infanzia. Così lei e Zenko uscirono insieme dal kombini. Certo era strano parlare con la sua versione bambina, ma non era molto diversa dalla Zenko che lei conosceva.  Le aveva raccontato di cos’era successo a suo fratello, al brutto periodo che stava passando. Temeva potesse cadere in una profonda depressione e Tamago l’aveva ascoltata, fingendo di non sapere ciò che già conosceva. Quando arrivarono, Zenko annunciò la sua presenza a quella della loro misteriosa ospite.
«Fratellone! Guarda che sono tornata. C’è anche una persona che vuole vederti.» dopodiché si rivolse a Tamago. «Non farci caso se è un po’ indisponente, per ora odia tutto il mondo. Guarda che sto entrando, eh!»
Metal Bat sembrava un’altra persona. Era molto diverso dall’eroe forte e inarrestabile che Tamago aveva conosciuto a cinque anni, quello che nemmeno la cecità più profonda aveva potuto fermare. Metal Bat non la vedeva, però la percepiva.
«Mi raccomando, sii educato. Tamago, io sono qui in casa se ti serve qualcosa!»
Tamago la ringraziò e poi osservò Metal Bat, che la guardava senza vederla realmente.
«Tamago?» domandò lui, che le stava seduto di fronte in modo disordinato e con fare annoiato. «Che nome strano. I tuoi genitori hanno gusti bizzarri.»
«Oh, non immagini quanto!» esclamò Tamago ad un tratto contenta. Metal Bat però era serio, quasi sospettoso.
«Chi sei? E come hai fatto a convincere Zenko a portarti qui? Lei non si fida di nessuno.»
Sembrava pronto a scattare per attaccarla. Era ovvio, lui non poteva nemmeno vederla e non la conosceva, era normale che la percepisse come una minaccia.
«Ti prego, tranquillo. Non sono pericolosa. Volevo solo incontrarti. Sono passata tanti anni dall’ultima volta che ti ho visto.»
Tamago si era detta che doveva fare attenzione a quello che diceva. Ma era difficile quando si faceva trascinare dalle emozioni.
«Eh? Noi ci conosciamo?»
«Emh… sì. Ma è stato tanto tempo fa, non mi sorprende che non ti ricordi. Lo sai? Eri il mio migliore amico. Io forse ero un po’ innamorata di te, dicevo che da grande ti avrei sposato.»
Metal Bat arrossì e corrugò la fronte.
«E quindi sei qui per rapirmi e sposarmi? Potrei essere interessato, ma non mi ricordo di te e nemmeno ti vedo.»
Tamago si mise a ridere.
«No. Non penso che un matrimonio tra di noi sarebbe possibile»
Troppa differenza di età, per non parlare del fatto che sei già innamorato di un’altra persona, ma potrei causarti uno shock se te lo dicessi.
Tamago si fece vicina e si inginocchiò. Era una fortuna che Metal Bat non potesse vederla, le erano venuti gli occhi lucidi. Tamago afferrò la sua mano e Metal Bat si irrigidì.
«E-ehi, non toccarmi così all’improvviso, almeno avvertimi.»
«Scusa, è che sono felice di vederti» disse Tamago. «Quindi il Jikan ti ha già reso cieco, eh?»
Metal Bat si irrigidì. L’ultima cosa che voleva era la pietà di qualcuno, come se non stesse già abbastanza male.
«Il cosa…?»
«Intendo… quei mostri» si corresse Tamago. «Lo so quanto può essere terribile.»
«Ehi, non parlarmi in quel modo. Guarda che io sto bene, anche se non ci vedo. Eroe ero, eroe rimarrò. Quei mostri hanno portato via qualcosa anche a te?»
Tamago abbassò la testa e poi la rialzò.
«Mi hanno prima dato e poi tolto.»
Metal Bat non vedeva niente da qualche tempo, se non il buio più totale. In quel momento qualcosa però lo vide, con l’occhio della mente.
 
 
«Age Masu Torisaru, Jikan Jikan, tutto toglie e tutto dà. E chi mai lo fermerà? Quando il Jikan ti tocca tutto si rivolta. E il tempo lineare non lo è più» canta Tamago, ma Metal Bat fa una smorfia.
«Questa filastrocca è inquietante, l’hai inventata tu?» domanda.
«Sì. Non ti piace, Badd?»
«Te l’ho detto, è inquietante. Voi bambini non dovreste conoscere qualche filastrocca più allegra?»
Tamago fece spallucce.
«Papà ha detto che così fa meno paura. Lui mi ha aiutato a inventarla.»
«… Ah, ora capisco.»
Tamago si avvicina, tiene i tarocchi in mano.
«Ti posso leggere il futuro?»
Metal Bat le scompiglia teneramente i capelli.
«Scusa, piccola. Ma io non credo a quella roba lì.»
«Oh, ti prego. Giuro che predirò solo cose belle, promesso.»
Se glielo chiede in quel modo, allora, Metal Bat non può proprio fare a meno di dirle di sì.
«E va bene.»
 
Metal Bat si staccò all’improvviso dalla sua presa, come se si fosse scottato.
«Cos’era quello?»
«Cosa?»
Non avrebbe saputo spiegarlo. Sembrava un ricordo, ma in quel ricordo lui non sembrava più giovane. Anzi, sembrava un po’ più vecchio. E quella Tamago molto più piccola.
«N-niente. Senti… vai via, d’accordo? Straparli troppo.»
Tamago non si offese. Si era aspettata quella reazione, dopotutto doveva apparire abbastanza bizzarra. E soprattutto, iniziava a indebolirsi ancora una volta.
 
Genos si svegliò di scatto. Sempre di scatto si era alzato e si era diretto verso il bagno. Non aveva badato a Saitama che beatamente dormiva. Di solito lui non aveva bisogno di dormire, a volte capitava che si assopisse, invece quella notte era crollato. Non aveva ancora la mente lucida, ricordava e non ricordava quello che era successo la notte scorsa. Guardò il suo riflesso nello specchio e vide che era tutto uguale. Certo che era tutto uguale, perché non avrebbe dovuto?
Ma quello che sentiva che cos’era? Era una sensazione strana, un fastidio. Ma non era sconosciuta, l’aveva provato quando era ancora umano. Somigliava alla sensazione che si provava quando si aveva fame. Fece un passo indietro. E cacciò fuori un urlo.
Saitama non gradì tale risveglio. Ancora col sonno incollato addosso, si infilò i pantaloni del pigiama (che aveva faticato a trovare) e poi aveva raggiunto Genos, sbadigliando.
«Ma si può sapere che hai da urlare di prima mattina?» domandò, anche se erano già le undici passate. Genos si voltò a guardarlo, l’espressione stravolta.
«Che mi è successo?»
Il corpo di Genos era cambiato. La parte dell’addome e del petto non erano meccaniche. E in realtà non lo era nemmeno più in basso, lì dove ora c’erano le sue parti intime. Gambe, braccia, testa e collo invece erano rimaste meccaniche. Praticamente un cyborg a metà.
«Sei cambiato ancora.»
«Cosa?» domandò lui.
«Non ti ricordi? Secondo te come abbiamo fatto sesso?»
Genos si bloccò un attimo. Nella sua mente regnava il caos. Ovviamente non si era dimenticato di aver… di aver fatto proprio quello con lui. Era quel piccolo dettaglio che gli era sfuggito.
 
 
Genos sentiva tutto. Era assurdo, com’era possibile? Avrebbe dovuto essere insensibile. Era quasi completamente buio e ciò non era un problema. Non avevano bisogno di vedersi. Saitama era sopra di lui e lo toccava, provocandogli una serie di brividi.
Genos si sentiva un po’ dispiaciuto, perché non avendo un corpo come il suo non avrebbe potuto fare granché.
«Saitama.»
«Genos, tu hai… hai un’erezione!» disse spalancando gli occhi.
«Io ho che cosa? Io non ce l’ho neanche il… l’organo riproduttivo.»
Però intanto la sua mano la sentiva chiaramente su di sé.
«Invece sì. E non è nemmeno l’unica cosa che hai» disse Saitama compiaciuto. In realtà non ci stava capendo molto. Non era lucido ed era troppo ubriaco di lui per poter pensare razionalmente. Genos non era messo tanto meglio.
«Saitama, asp- Dovrei controllare, devo capire.»
«Dopo. Adesso non posso aspettare e nemmeno tu.»
Saitama aveva ragione e Genos si fece zittire dal suo bacio, in cui soffocò i gemiti. Si convinse di star sognando. Era tutto così assurdo, così irreale, che doveva essere un sogno.
 
«Pensavo di averlo sognato. Ecco perché mi sono svegliato come un pazzo.»
Saitama si poggiò al muro e lo fissò. Adesso sì che poteva guardare il corpo di Genos e non poteva dire che gli dispiacesse.
«Il tuo corpo è cambiato.»
«Me ne sono accorto. Sono un cyborg a metà. Ma perché?» domandò. Si poggiò una mano sul petto. Aveva un cuore che batteva. Questo voleva dire che era cambiato anche internamente. Se sentiva la fame, il piacere e tutti i tipici istinti e bisogni umani, allora doveva essere così.
«Non è che quel mostro ha cambiato anche te?» domandò Saitama. Era tranquillo mentre diceva ciò, ma Genos invece tranquillo non lo era per niente. Era l’unica opzione possibile, dubitava che qualcuno gli avesse lanciato un incantesimo. Ma lui era un cyborg, avrebbe dovuto essere immune al potere di quei mostri. Invece ora si ritrovava con un corpo metà umano e metà da cyborg. Scosse la testa.
«Io così non posso rimanere. Il dottor Kuseno deve riportarmi a com’ero prima, non posso.»
Saitama non gli permise di passare.
«Non puoi uscire.»
«Perché?»
«Tanto per cominciare, sei nudo.»
Giusto. Non ci aveva pensato, non era abituato ad avere qualcosa da coprire. Arrossì e allora cercò qualcosa da indossare.
«Non potevi dirmelo?»
«Certo che potevo, ma mi piaci. Perché dici che non puoi rimanere così?»
«C’è un motivo se ho voluto diventare un cyborg. Per essere più forte. Se sono in parte umano, non sono più Demon Cyborg. Non può essere successo a me, io non sono umano» disse Genos, rivestendosi. Si sentiva così strano in quel corpo. Quante cose doveva metabolizzare?
Punto prima: lui e Saitama avevano avuto un rapporto sessuale grazie a quel miracoloso e al contempo dannato cambiamento. E questo era positivo.
Punto secondo: aveva un maledetto corpo umano. Forse stava ancora sognando, dopotutto non era certo di essere lucido.
Punto terzo: la sua umanità era esplosa. E tanti cari saluti al suo autocontrollo.
«Genos, credo che è meglio se prima ti fermi un attimo» disse Saitama. Aveva l’impressione che fosse sull’orlo di un attacco di panico.
Genos si voltò a guardarlo, lentamente.
«Un evento traumatico» sussurrò.
«Che cosa?»
«Un evento traumatico. È quello che mi ha predetto quella donna.»
Ma ancora con quella storia?
«Genos, ma… questo non era proprio il risveglio post sesso che mi ero aspettato!» esclamò Saitama. Ma Genos era già uscito e lui doveva assolutamente seguirlo.
 
 
 
 
   
 
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