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Autore: Nao Yoshikawa    13/07/2022    4 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo trentuno
 
 
Quando Ichigo e Ishida si erano visti arrivare Miyo su una barella, non avevano trovato le parole. E d’altronde loro non erano lì per parlare, erano lì per fare il loro lavoro. Ma era stato strano per entrambi, perché potevano mettersi con facilità nei panni di Shinji. Se al posto di Miyo ci fossero stati Yuichi o Kaien o Masato non avrebbero saputo come reagire, anche se quello era il loro lavoro.
«Nemu, abbiamo la pressione e il battito cardiaco?» domandò Kurostuchi all’infermiera.
«Il battito è debole e la pressione sta calando. Emorragia interna, una frattura al braccio destro. Il respiro è irregolare» gli comunicò lei.
Faceva sempre un certo effetto quando arrivava un bambino con traumi di quel tipo. Pareva più ingiusto del solito.
«Yamada, Kurosaki e Ishida, mi servite in sala operatoria» disse Kurostuchi rivolto agli altri tre chirurghi. «Ha bisogno di una trasfusione prima di tutto.»
«Ci penso io!» gridò Hanataro, che aveva preso subito la situazione in mano. Ichigo alzò lo sguardo quando sentì delle voci provenire dal fondo il corridoio. Era soprattutto Hiyori che si agitava. Poi c’era Aizen e c’era anche suo figlio, Hayato, che se ne stava seduto, pallido e con gli occhi spalancati.
«Ti odio! La colpa è tutta tua!» gridò Hiyori colpendo Shinji. «Sei stata tu a farle questo!»
Shinji, che se n’era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, nel sentirsi accusare di una cosa di cui non aveva colpa, reagì con tutta la violenza che aveva in corpo.
«Sta zitta! Non è colpa mia! Perché devi farmi questo, perché?»
Shinji piangeva. Nessuno lo aveva mai visto reagire così, a Sosuke fece quasi impressione perché non credeva possibile vedere uno come lui – sempre così strafottente e quasi senza pensieri – ridursi in quelle condizioni.
«Perché tu fai solo scelte sbagliate!» gridò Hiyori.  Shinji si portò una mano sulla fronte, esasperato.
«Io non ho… cazzo… Hiyori, sta zitta, mio Dio sta zitta o giuro che ti ammazzo!»
Aizen fece segno loro di non esagerare, perché si trovavano pur sempre in un ospedale. Ma fu l’arrivo di Kisuke Urahara a cambiare drasticamente le cose.
«Voi due, statemi bene a sentire!» disse ad alta voce, con un tono severo che raramente qualcuno lì dentro aveva sentito. «Capisco la situazione, ma siamo in un ospedale. Se dovete discutere, andate fuori. Non è ciò di cui vostra figlia ha bisogno, adesso.»
Shinji si zittì subito e, sorprendentemente, anche Hiyori. Shinji si sedette e, anche se sfogava il suo pianto silenziosamente, il suo corpo sembrava scosso dagli spasmi. Sosuke avrebbe voluto fare qualcosa, ma per la prima volta in vita sua non sapeva come agire. Non si era mai trovato in una situazione del genere e, per quanto potesse sembrare assurdo, la cosa aveva turbato anche lui. Ichigo si avvicinò a Shinji, si sentiva in dovere di dirgli qualcosa non in quanto medico, ma in quanto amico.
«Ehi, Shinji. Tranquillo, okay? Le stanno facendo la trasfusione, vedrai che starà meglio. La frattura sembra brutta, ma a quella ci pensiamo noi.»
Con uno scatto, Shinji si aggrappò al suo braccio. Stava tremando e dalla sua espressione sembrava quasi irriconoscibile.
«Ichigo… ve la sto affidando, vi prego. Lei è una delle poche cose buone che io abbia mai fatto. Fa che non le succeda niente.»
Ichigo dovette respirare profondamente. Non era il momento di lasciarsi andare alle lacrime, alla commozione o alla paura. Dopo aver fatto il suo lavoro ci sarebbe stato tempo. Annuì.
«Te lo prometto, Shinji.»
Kurotsuchi lo chiamò poco dopo.
«Kurosaki»
«Sì, arrivo subito. Adesso vado, vi faremo sapere subito!!»
A malincuore si staccò dal suo amico e andò in sala operatoria. Kurostuchi fece per seguirlo, ma qualcosa lo fermò un attimo. Lui non era uno di quelli che si perdeva in rassicurazioni. Ma pensò che se al posto di Miyo ci fosse stata Ai, una rassicurazione in più non gli avrebbe guastato.
«Ehi, voi due» disse rivolgendosi a Shinji e Hiyori. «Io non sbaglio mai un intervento. Vostra figlia starà bene e vi posso assicurare che faremo del nostro meglio»
Hiyori si asciugò una lacrima e Shinji fece un cenno con la testa, sorpreso ma anche sollevato. Poi si lasciò cadere sulla sedia e chiuse gli occhi. Hiyori si alzò, aveva bisogno di aria. E Sosuke non sapeva da chi andare per primo, se da Shinji o da Hayato. Pensò che prima dovesse pensare a suo figlio, pallido come un fantasma.
«Hayato» lo chiamò, prendendo il viso tra le mani. «Sei con me? Vuoi dell’acqua?»
«Eh… no, io non ho… ma…» il bambino alzò lo sguardo. «Miyo starà bene, giusto? Non… morirà, vero?»
Hayato si sentiva preoccupato per lei. E si sentiva in colpa. Se quell’auto l’avesse investita perché l’aveva voluto lui? No, lui non aveva voluto questo, però le aveva detto che doveva sparire.
«Ma che dici? No che non morirà. Si è fatta molto male, ma si riprenderà» Sosuke non era mai stato un tipo rassicurante. Tanto meno con suo figlio, ma adesso si stava sforzando di esserlo perché Hayato aveva già su di sé il trauma di aver assistito all’incidente. Non si era accorto che Shinji si era avvicinato a loro e aveva dato qualcosa ad Hayato.
«Dovresti bere. Altrimenti avrai un calo di pressione» gli disse. Hayato lo guardò, un po’ in soggezione, ma poi accettò il brick di succo di frutta e lo ringraziò sottovoce. Sosuke si voltò a guardarlo. E Shinji lo guardò a sua volta. Non voleva parole. Sosuke lo capì e allora fece ciò che non pensava avrebbe mai fatto in pubblico, davanti a suo figlio soprattutto. Lo strinse tra le braccia. Shinji rimase un attimo rigido e poi si lasciò andare in quell’abbraccio e chiuse gli occhi. In quel momento si sentiva così male, così spaventato. Ma si sentiva anche così bene tra le sue braccia che si chiese come fosse possibile.
Hayato li osservò in silenzio, mentre beveva. Vederli fu strano. Non era sicuro che gli piacessero, però pensò che non era nemmeno così orribile come pensava. E poi adesso questo non aveva importanza. Voleva vedere per Miyo. Per dirle cosa non lo sapeva nemmeno lui, però intanto voleva che stesse bene.
Passarono un paio d’ore. Shinji era stato più volte sul punto di fumare per distendere i nervi, ma ogni volta si ricordava che a Miyo non sarebbe piaciuto affatto. E così non lo fece. Lui e Hiyori non parlarono, non discussero, stettero solamente in silenzio, l’uno accanto all’altro. E Sosuke se ne rimase lì, mentre cercava di convincere suo figlio ad andare a casa, non era necessario che rimanesse lì.
«Ho chiamato tua madre. Può venirti a prendere.»
Hayato scosse la testa.
«Rimango qui.»
«Preferisci che ti accompagni io?»
«No, ho detto che rimango. È importante, per favore» lo pregò. Sosuke non insistette più di tanto: non aveva mai visto suo figlio in quelle condizioni. Gli sembrava diverso e come lui si scoprì preoccupato per le storti di quella bambina. Che era la figlia dell’uomo che amava.
«Forse non dovevo accusarla» disse ad un tratto Hayato. «Lei è una bambina come me. Però è più buona di me. E piace a tutti. Io non proprio.»
Aveva sempre detto a suo figlio che non aveva bisogno di nessuno. Che l’amicizia e l’amore spesso erano superflui, ma adesso nemmeno lui si sarebbe preso sul serio. Se si trovava lì era per amore.
«E a te non piace, vero?» domandò. Hayato mosse le gambe, un po’ nervoso. Non era abituato a quelle attenzioni da parte di suo padre. Scosse la testa.
«Prima sì. Ora no. Litigare sempre con tutti è faticoso. Rin è riuscita a fare amicizia perché Miyo l’ha aiutata. Io da lei non mi sono fatto aiutare perché… sono geloso» ammise. «È vero, lei non è come me, non è ricca, però sembra felice. Suo papà l’abbraccia sempre. Tu invece non lo fai mai. Non lo hai mai fatto.»
Hayato lo stava rimproverando aspramente. Sosuke sapeva di non essere stato n bravo marito e, da quando aveva ripreso la sua relazione con Shinji, aveva capito anche di non essere un bravo padre. È che lui era sempre stato così: rigido, severo, uno che lasciava poco spazio ai sentimentalismi. Con i bambini poi era tutto più complicato, perché Hayato lo prendeva ad esempio. Lui influiva sull’uomo che un giorno suo figlio sarebbe diventato. Questo era spaventoso, ma era la verità.
Così decise di rivolgersi a lui come se fosse un ragazzo molto più grande della sua età.
«Hai ragione, Hayato. Ho avuto delle mancanze nei tuoi confronti. Per me essere forte significava proprio questo. E pensavo saresti diventato forte anche tu, ma… evidentemente a volte sbaglio anche io» ammise e guardò di soppiatto Shinji , che aveva preso ad esempio sotto molti aspetti. Hayato sospirò. Iniziava a sentire la stanchezza sia fisica che emotiva di quella giornata.
«Sì, è vero sbagli» il bambino lo guardò. «Ma almeno mi vuoi bene?»
Era solo un bambino. Aveva già sofferto abbastanza per le decisioni sbagliate degli adulti. Così, per la prima volta dopo tanto tempo, lo circondò con un braccio e lo strinse, addirittura un po’ impacciato.
«Sì, che te ne voglio, Hayato. Mi spiace per tutto questo.»
Se c’era una cosa che Hayato sapeva bene, era che suo padre non chiedeva mai scusa. Quindi per lui fu straordinario. Si scaldò nel suo braccio e poi sorrise.
 
Hiyori era appena rientrata. Era nervosa, ma piuttosto che impazzire se ne stava in silenzio. Si era appena seduta accanto a Shinji ed entrambi sapevano che avrebbero dovuto parlare. Di qualcosa. Se non l’avessero fatto ora, non lo avrebbero fatto più.
«Quello che mi hai detto… tu hai torto» disse Shinji, fissando un punto dritto davanti a sé. «Non è colpa mia quello che le è successo. O almeno, razionalmente so che non è vero, ma non posso che incolparmi. Dovevo fare più attenzione.»
«Shinji, non cominciare» rispose Hiyori, scocciata. «Lo so, ho torto. Accusarti di questo non è giusto. Non è importante di chi sia la colpa, ma solo che Miyo stia bene.»
Sorprendentemente, erano d’accordo su qualcosa. Shinji continuava a non guardarla.
«Lo sai, Miyo ci sta male. Per noi due che discutiamo sempre, intendo. Anche se non stiamo più insieme dovremmo andare d’accordo per lei. Perché è così difficile andare d’accordo?»
Hiyori fece spallucce. Ora si sentiva svuotata e non aveva voglia di tirare fuori il suo brutto carattere.
«Beh, io ti do sempre dell’idiota e del fallito. E ti insulto sempre.»
«Vero, ma lo faccio anche io. Però a volte sono irresponsabile, superficiale e immaturo. Diamine!» disse dandosi un colpetto su una gamba. «Siamo due esseri umani pieni di difetti. Miyo da chi ha preso?»
Quella domanda strappò a Hiyori addirittura un mezzo sorriso.
«È la parte migliore di me e te, immagino.»
Shinji alzò gli occhi al cielo, si stava lasciando andare troppo alle lacrime e stava cercando di darsi un contegno.
«Lo è davvero. Ma giusto per sapere, tu pensi davvero che sia un fallito?»
Si rese conto che quella era la prima conversazione vera dopo tanti anni. Hiyori arrossì.
«No… non lo penso. Se una volta sono stata con te, evidentemente qualcosa di buono l’ho visto. E poi stai crescendo bene Miyo. E lei ti adora. Forse sei addirittura il suo preferito»
Anche Shinji sorrise.
«Oh, non te la prendere, è tipico di tutte le bambine. Ma posso assicurarti che ti adora anche lei.»
Hiyori accavallò le gambe. Più che imbronciata, sembrava in imbarazzo.
«Chiaramente, sono fortissima io. Ah, chi ha una madre che suona in una band» poi finalmente lo guardò in viso. «E per quanto riguarda la tua relazione con quello lì… Non so se lui mi piace, sei stato il suo amante per anni. A me basterebbe che fosse gentile con Miyo e magari anche con te.»
«Ah. Hiyori, ti preoccupi per me? Questo mi spaventa, quasi.»
Lei gli diede un colpetto su una spalla. E poi rimasero in silenzio. Sembrava tutto surreale. Ma entrambi si sentirono più leggeri.
 
Un’ora più tardi arrivò anche Momo. E Nnoitra e Nel con Naoko e Gin e Rangiku con Rin. Quest’ultima infatti era voluta andare subito quando aveva saputo che la sua migliore amica aveva avuto un incidente.
«Ehi, ehi, signor Hirako, quando possiamo vedere Miyo?» domandò Naoko a voce alta (anche se gli adulti non erano certo più silenziosi).
«Non lo so, ci vorrà un po’ temo. Ma grazie per essere venute» disse stancamente. Rin frugò nel suo zaino e poi prese qualcosa e la porse a Shinji.
«Io ho portato questo. È il libro preferito di Miyo, vero? La piccola principessa. Me lo aveva prestato e le ho promesso che gliel’avrei ridato. Magari le farà piacere.»
Con le mani tremanti, Shinji prese il libro preferito di sua figlia.
«Grazie, Rin. Sono felice che Miyo sia così amata.»
Momo, nel frattempo, stringeva Hayato tra le braccia. Fino a qualche anno prima lo avrebbe preso in braccio e cullato, ma oramai suo figlio era così cresciuto. Si era addormentato e Sosuke lo aveva coperto con la sua giacca.
«Non me la sento di svegliarlo. E poi ha detto che vuole stare qui. Povero bambino mio, ha visto proprio tutto?» domandò, inginocchiata davanti ad Hayato.
«È così. Penso che starà bene, lui è forte» disse Sosuke, un po’ a disagio. Era la prima volta che Momo lo vedeva così, ma d’altronde lei era nella stessa situazione: si trovavano insieme, c’era Shinji e la situazione era così delicata.
«Sì, lo è…» sussurrò Momo. Sapeva che prima o poi lei e suo marito avrebbero dovuto parlare. Anche se sentiva che qualcosa era cambiato. Mentre Momo parlava con Hiyori e Rangiku, Gin si sedette accanto a Sosuke. Anche per lui era una situazione un po’ strana.
«Ehi» lo salutò.
«Ehi» ripeté Sosuke. Gin sospirò.
«E così tra te e Momo è proprio finita, vero?» domandò.
«Già. Avremmo dovuto farlo molto tempo prima. Immagino che tu sapessi di lei e Toshiro, vero?» domandò, ma senza alcun tono di rimprovero.
«Sì, e mia moglie si è anche arrabbiata con me all’inizio. Mi spiace. Ti sono sempre stato fedele, ma loro sono la mia famiglia. E a proposito di questo» Gin assunse una posizione eretta. «Volevo solo dire che… io ti sono grato, davvero. Se non mi avessi aiutato a prendere la strada della giurisprudenza magari non avrei tutto questo, adesso. E poi mi hai preso come tuo assistente. Però, ecco… credo che non voglio sentirmi in debito a vita nei tuoi confronti.»
Gin aveva sorriso, ma più che nervosismo per altro.
Sosuke era sempre stato consapevole dell'effetto che aveva sulle altre persone. Era autorevole e sicuro di sé e li metteva a disagio. E quando faceva qualcosa per qualcuno, era bravo a far sentire quel qualcuno in debito. Con Gin, suo malgrado, era stato lo stesso. 
«Allora non sentirtici. Non dirmi che hai paura di me, Gin.»
«Non ho paura. Mi sento in soggezione, tutto qui. Sai, tu fai questo effetto su tutti meno che… beh, su di lui» disse indicando Shinji con lo sguardo. «Lui sembra okay. Mi sta simpatico perché non subisce la tua influenza. Mi dà l'idea di uno che ti andrebbe contro a tutti i costi, se ne avesse motivo.»
Sosuke socchiusi gli occhi. Oh, come aveva ragione, Gin. Essere temuti e rispettati era bello, certo. Ma a volte abbassare quella maschera era anche piacevole. 
«Sì, non hai idea di quanto.»
Nnoitra aveva osservato per tutto il tempo quei due, Aizen e Ichimaru. Se ne stava stretto a Nel, il quale aveva ben capito il suo disagio. 
«Nnoitra, non essere nervoso.»
«E chi sarebbe nervoso? Solo che… adesso io vado lì e… c'è una cosa che devo dire ad entrambi quegli idioti. O lo faccio ora o non lo faccio più!» disse deciso. Sembrava tanto un bambino che si accingeva ad affrontare una sfida, e Neliel fece tenerezza. Nnoitra stava imparando a prendersi le sue rivincite. 
«Allora fallo. Su, sono qui se hai bisogno.»
Nnoitra arrossì e poi si infilò le mani nelle tasche. Si sentiva stupido, ma quella era una cosa che sentiva di dover fare. Così andò da Gin e Sosuke che stavano parlando, i quali si zittito o nel vederlo. 
Sbuffò e poi parlò. 
«Ichimaru e Aizen, volevo solo dire che io non sono un delinquente. Quando ero più giovane ho fatto un mucchio di cazzate, ma adesso le cose sono cambiate.»
Gin sorrise, un po' colpevole. 
«Lo so.  Posso immaginare perché tu abbia tirato fuori il discorso.»
Perché i bambini ripetevano ciò che sentivano dagli adulti. Perché Rin aveva ripetuto quello che lui aveva detto, scontrandosi più volte con Naoko. Ma ora loro due erano amiche. Nnoitra annuì e poi guardò Sosuke. 
«Tu mi hai impedito di finire nei guai e ti ringrazio, davvero. Ma non voglio essere in debito con te a vita e poi… che diamine, non guardarmi dall'alto in basso. Sono una persona onesta e più o meno tranquilla adesso. Quindi… vedi di portarmi rispetto» aveva distolto lo sguardo all'ultimo. Forse era stato un po' troppo passionale, però il concetto rimaneva. Sosuke lo guardò e poi guardò Gin. 
«Certo che siete in tanti a sentirvi in debito, eh? D'accordo, Gilga… Nnoitra. Immagino tu abbia ragione, le persone cambiano. Per il guardarti dall'alto in basso, non prenderla sul personale. Faccio così con tutti.»
Nnoitra alzò gli occhi al cielo. Quella poteva contare come una sorta di riappacificazione. 
«Ma che meraviglia. Allora visto che le nostre figlie sono amiche, possiamo diventarlo anche noi» propose Gin allegro tutto d'un tratto. 
«Ora però non farti film strani, Ichimaru, io gli amici me li scelgo bene. Almeno spero» disse chiudendo gli occhi. E sentendo una sensazione molto simile al sollievo. 
Gli ospedali erano luoghi strani. Un sacco di gente arrivava, altra se ne andava, i reparti si riempivano, si svuotavano, infermiere e dottori in ogni parte. Nemu iniziava ad essere nervosa, anche se non lo dava a vedere perché il suo compito era rassicurare. Dopo quasi quattro ore, quando vide Mayuri e gli altri uscire dalla sala operatoria, tirò un sospiro di sollievo. 
Shinji si alzò subito e così anche Hiyori. 
«Tutto a posto» disse subito Mayuri. «Ci ha dato da fare quella frattura al braccio. Dovrà fare riabilitazione, ma se ma caverà.» disse soltanto.
Hiyori quasi si accasciò, prossima ad un crollo. Shinji la sostenne, anche se avrebbe avuto bisogno di qualcuno che sostenesse anche lui. 
Era andata bene. Per fortuna. Quando l'aveva vista stesa sull'asfalto non era stato capace di reagire. 
«La… la possiamo vedere?» 
«Sì sveglierà tra poco» disse Ichigo. «Voi due potete andare. Io ve l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene.»
E poi sorrise. Shinji allora lo abbracciò, un gesto inaspettato che lo stupì solo fino ad un certo punto. «Grazie. Grazie davvero.»
«Ma figurati. È solo il mio lavoro» lo rassicurò. Ma nel momento in cui lo sentì abbracciarlo, si lasciò andare anche lui ad un sospiro di sollievo.
 
Miyo ricordava di essere corsa in strada e di essere stata investita da un’auto. E ricordava bene anche il dolore, anche se in genere i ricordi potevano apparire confusi dopo un trauma del genere. Ma non i suoi, lei ricordava tutto lucidamente. Si sentiva ancora un po’ debole e intontita, oltre a non poter muovere il braccio destro. Un chirurgo giovane e gentile – di nome Hanataro, se non aveva capito male - le aveva detto che era stata brava e che ora doveva stare a riposo e che più tardi avrebbe potuto vedere i suoi amici. I suoi amici? Chi era venuta a trovarla? Naoko e Rin di sicuro. E che aveva fatto Hayato, invece? Se n’era tornato a casa?
Le prime persone che vide furono però sa madre e suo padre, che per la prima volta dopo anni non sembravano astiosi l’uno verso l’altro o sul punto di scoppiare a litigare. Hiyori l’aveva abbracciata, ricordandosi di essere delicata. Miyo era sempre stata molto più matura per la sua età, ma rimaneva sempre e comunque una bambina e in quel momento sembrava ancora più piccola.
«Miyo…. Stai bene. Ho avuto così paura» ammise Hiyori. E lei non aveva mai paura. Miyo si strinse nel suo abbraccio il più possibile.
«Anche io» sussurrò. Shinji le posò una mano sulla testa e le baciò la fronte. Lo sapeva, non era colpa sua se Miyo era stata investita, ma forse si sarebbe potuto evitare. Non voleva che soffrisse, non lo aveva mai voluto.
 «Miyo, devi perdonarmi» le disse. Lei però sorrise, provando a fare spallucce ma facendo una smorfia a causa del dolore al braccio.
«Ma non è stata mica colpa tua… Sono io che sono corsa in strada. Io volevo, emh… scappare credo perché…»
«Perché non sopporti di sentirci litigare» concluse Shinji. «E hai ragione. In questo abbiamo sempre sbagliato. Ci siamo sempre comportati da immaturi mentre tu continui ad andare avanti e a crescere e a sopportare. Ma… non dovrai più farlo» decise. E Hiyori gli diede ragione.
«È vero. Noi non stiamo più insieme, ma questo non vuol dire che non possiamo andare d’accordo» disse mordendosi il labbro. «Certo sarà difficile, ma… noi non vogliamo più che tu soffra. Che ti faccia male. Siamo pieni di difetti, ma tu hai preso il meglio… da tutti e due» disse rivolgendosi a Shinji. Miyo spalancò gli occhi, per lei quella situazione aveva qualcosa di straordinario. Non desiderava altro, che andassero tutti d’accordo. Che fossero tutti felici. Non poté impedire ad una lacrima di solcarle il viso.
«Se vuoi piangere, fai pure. Ma ora andrà tutto meglio» le promise Shinji, mentre l’abbracciava. Mentre Hiyori l’abbracciava. E mentre lei sorrideva, tra le lacrime.
Doveva essere sollievo.
«Ah, prima che me ne dimentichi» disse ad un tratto Shinji. «Rin mi ha chiesto di riportarti una cosa importante» dicendo ciò tirò fuori il libro e glielo restituì. Miyo sgranò gli occhi meravigliati.
«Il mio libro! Ma allora Rin c’è davvero. Chi altro c’è? Voglio vedere tutti!»
«Con calma, Miyo. Sei ancora debole, più tardi vedrai tutti» le disse Hiyori, felice però che sua figlia non avesse perso la sua solita allegria.
 
Naoko e Rin erano felicissime che Miyo si fosse ripresa. Hayato, che si era svegliato, era a sua volta sollevato, ma anche spaventato. Aveva paura di affrontare Miyo, si sentiva in colpa. Per tutto quello che gli aveva detto e che forse neanche pensava davvero. Miyo era una bambina come lui. Per certi versi era anche stata più fortunata, ma non era colpa sua se la sua famiglia era sempre stata un po’ disastrata. Con suo padre forse le cose sarebbero andate meglio. Con sua madre, chissà. Non era certo che sarebbe riuscito ad accettare quei due estranei, ma per il momento
«Possiamo vedere Miyo? Ti prego! Presto arriveranno anche gli altri nostri amici. Dai, dai!» disse Naoko tirando per il braccio il povero Hanataro, fin troppo debole con le bambine adorabili.
«Più tardi potrete vederla, ma non dovete fare confusione, Miyo è ancora debole!» esclamò lui, mentre Naoko si aggrappava al suo braccio, facendogli quasi perdere l’equilibrio. Hayato sospirò e si alzò.
«Mamma, possiamo andare a casa ora?» domandò il bambino. Momo si rese subito conto che c’era qualcosa di diverso in suo figlio, ma non se ne sorprese troppo. Quello doveva essere stato un trauma anche per lui.
«Va bene. Non vuoi vedere Miyo, quindi?» chiese. Hayato era voluto rimanere lì fino a quel momento, era strano che avesse cambiato idea. Lui annuì.
«Sta bene. Quindi non ha bisogno di me, ma dei suoi amici» disse tutto serio. Non sembrava arrabbiato, né in procinto di fare l’arrogante. Sembrava solo molto stanco e rassegnato, motivo per cui non insistette.
Sosuke invece aspettò Shinji. Stano e stravolto lo era anche lui, ma Shinji doveva esserlo ancora di più, per questo resistette. Lo vide uscire dopo un po’ dalla stanza di Miyo, con un’espressione più sollevata.
«Sta bene?» domandò subito. E non era una domanda di circostanza. Voleva davvero sapere come stava quella bambina. Che non era sua, però ci si sentiva legato comunque.
«Sta bene» sospirò. «È stato più forte lo spavento che altro. E tuo figlio…?»
«Era molto stanco ed è andato a casa. Ma era sollevato che Miyo stesse bene. Credo si sentisse un po’ colpevole.»
Shinji fece spallucce.
«L’unico colpevole sono io, a dire il vero. E non mi riferisco a questo, ma a tutto il resto. I miei problemi non dovranno più pesare su di lei com’è stato fino ad ora.»
Sosuke inarcò le sopracciglia, aveva l’impressione che la cosa riguardasse anche lui.
«Ebbene?» domandò infatti. Shinji respirò profondamente. Gli costava tanto dire quelle parole, ma oramai era finito il tempo di scherzare. La paura di perdere Miyo era stata così tanta da scatenare in lui un cambiamento repentino. Gli dispiaceva solo che si fosse dovuto arrivare a tanto.
«Sosuke… se tu non mi ami abbastanza da stare con me alla luce del sole, va bene. Ma io non voglio essere un amante né qualcuno di cui tu debba vergognarti. E devo pensare a Miyo.»
«Cosa…? Ma Shinj..i.»
«Non rendermela più difficile, Sosuke. Quando sarai pronto a crescere anche tu, allora forse potremmo riparlarne e…»
Lui gli afferrò le spalle, facendolo sussultare. Shinji non gli aveva mai visto quell’espressione, sembrava… addirittura triste?
«Lo sai che ti amo, maledizione a te.»
Fino a qualche ora prima si sarebbe lasciato andare tra le sue braccia. Ma adesso stava cercando di essere forte.
«Lo so. Ma non quanto io amo te. E questo è sempre stato così, mi pare.»
Sosuke fece per parlare, ma non seppe che dire. Forse Shinji aveva ragione. Forse lui non lo amava abbastanza, forse in generale c’era un limite a quanto amore poteva dare. Ma per la prima volta da quando lo conosceva si sentì come cadere nel vuoto. Lui non controllava più niente.
 
Quando ebbe recuperato le forze, Miyo poté ricevere le visite dei suoi amici e compagni di scuola. Kiyoko le aveva portato un disegno, Yami la sua allegria, Ai il suo sostegno. I ragazzini invece sembravano voler sapere più che altro dell’incidente.
«E dimmi, l’auto andava veloce? Ha fatto tanto male?» domandò Kaien, concitato. «Sembra fortissimo!»
«Ma come fortissimo? Non c’è niente di forte, sono sicuro che è doloroso!» intervenne Yuichi.
«È una cosa figa, invece! Miyo, dici che ti rimarrà qualche cicatrice? Tipo come se fossi una supereroina!»
Miyo rise. Lei non si sentiva una supereroina, in realtà. Preferiva di gran lunga essere normale, con i suoi libri, i suoi amici e la sua famiglia. Si era accorta che mancava qualcuno, che Hayato non c’era.
«Hayato è andato via?» domandò ad un tratto. Rin fece spallucce.
«È rimasto finché l’operazione non è finita. Poi se n’è andato. Forse voleva parlarti, ma non ne sono sicura» ammise.
Miyo si guardò ancora intorno, come se sperasse di vederlo apparire da un momento all’altro.
Voleva parlare con lui.
 
Nota dell'autrice
Ovviamente non potevo fare male ad uno dei bambini, quindi Miyo se l'è cavata, alla fine. Questo è stato anche il momento dei chiarimenti per tutti, Aizen e Hayato, Aizen e Nnoitra, Shiinji e Hiyori. Chi non ha chiarito, ma anzi ha rotto, sono Shinji e Aizen, sigh. Dopo quanto successo, Shinji vuole rivedere le sue priorità, ora sta ad Aizen fare qualcosa se non vuole perderlo.
Alla prossima.
Nao
 
   
 
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