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Autore: summers001    13/07/2022    9 recensioni
Oscar&Andrè
Una donna sa sempre ciò che è meglio per i suoi bambini.
E poi sono suoi tutti quelli che riesce a crescere. Non ho portato in grembo né Andrè, né Oscar, eppure è come se l’avessi fatto. Mi sento responsabile dell’uomo e della donna che sono diventati. Muoio per loro ad ogni delusione, gioisco per loro ad ogni piccola felicità. Anche se ormai non ce ne sono molte. Sono più le volte in cui mi fanno preoccupare che quelle in cui sono tranquilla. Non è solo la situazione a Parigi a crearmi problemi.
[...]
Si faranno ammazzare.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cuore di nonna
 
 
Una donna sa sempre ciò che è meglio per i suoi bambini.
E poi sono suoi tutti quelli che riesce a crescere. Non ho portato in grembo né Andrè, né Oscar, eppure è come se l’avessi fatto. Mi sento responsabile dell’uomo e della donna che sono diventati. Muoio per loro ad ogni delusione, gioisco per loro ad ogni piccola felicità. Anche se ormai non ce ne sono molte. Sono più le volte in cui mi fanno preoccupare che quelle in cui sono tranquilla. Non è solo la situazione a Parigi a crearmi problemi.
 
Andrè sta male. E’ il suo occhio. Ne ha perso prima uno, ma allora ero solo felice che fosse vivo. Adesso invece, forse presto, perderà la vista. Ed ora devo andare a dirgli che il Comandante Girodelle ha chiesto ufficialmente la mano di Oscar. Povera bambina mia, costretta contro il suo cuore prima a vestire i panni di un uomo e poi di una donna.
E povero ragazzo mio, gli si spezzerà il cuore quando lo saprà.
 
Un attimo per sistemare il colletto del vestito e prendere coraggio. Un respiro profondo e vado.
Mi avvio verso il salone dove mi aspetto di trovarlo a contare i gradini di granito. L’ho trovato così una mattina. “venti-tre, venti-quattro, venti-cinque…” così mormorava, come un pazzo. E invece non c’è. C’è però un rumore di spari proveniente dall’esterno. Sta fuori ed imbraccia un fucile. Punta a delle bottiglie vuote, come fa Oscar di tanto in tanto, solo che lei le prende sempre. Invece nell’erba non c’è neanche un coccio questa volta.
 
“Andrè.” Lo chiamo, ma lui continua a sparare. Non l’ho mai visto così deciso, sembra che debba imparare tutto adesso e subito. La gatta frettolosa fa i figli cieci! “Andrè.” Lo chiamo di nuovo prima che prema di nuovo il grilletto. "Andrè! Metti giù quella diavoleria!" gli dico spostandogli la canna verso l’alto. Che spari al cielo, verso Nostro Signore. Imparerà ad ignorare sua nonna!
 
“Nonna!” mi sgrida lui “Che fai, sei pazza?”
 
Che cosa? “Io sarei la pazza?” mi fa così tanto arrabbiare che a volte non ricordo neanche perché sono andata a cercarlo. Ah, già. “Abbassa quella diavoleria e stammi a sentire.” Aspetto che mi dia attenzione, che il fucile sia al suolo, girato verso il basso dove non può fare male a nessuno se non alla terra.
 
“Allora?”
 
Allora, allora!
“Andrè,” comincio. La voce mi si fa greve, ma non posso farci niente. Ho paura per il tuo cuore, caro figlio mio. “te lo ricordi il Capitano Girodelle?”
 
“Certo.” Risponde caricando di nuovo l’arma.
 
“E’ su col generale e madamigella. Lui ha…” non riesco a dirlo neanch’io “ha… chiesto la mano di Oscar.” Alzo gli occhi solo per guardare la reazione di mio nipote.
 
Andrè non si scompone. Non si muove affatto se non fosse per la mascella serrata e le mani strette a pugno. “Ho capito. Lo sapevo già.” Mi risponde freddamente. Vorrebbe chiuderla qui, ma non me la sento di lasciarlo solo con quel coso in mano. “E’ tutto?” mi chiede per tagliar corto.
 
“S-sì.” Gli rispondo. Andrè solleva di nuovo il fucile e lo punta. Che sciocco. Non lo capisce che se la deve dimenticare? Non lo capisce che non la potrà mai sposare? Che spreca la sua vita così, e per cosa, una passione? Povero ragazzo. Mi sembra di vedere il suo cuore rompersi. “Andrè,” provo ad avvicinarmi prima che spari ancora. Lo prendo per la manica e lui si abbassa a guardarmi “non è per te.” Gli dico e spero che lui capisca. E’ pericoloso. E’ pericoloso avere sentimenti per una nobile, soprattutto se quella nobile è figlia del generale.
Si farà ammazzare.
 
“Non è neanche per Girodelle.” Mi risponde e spara ed una bottiglia che finisce in mille pezzi.
 
“Mi sembrava di aver sentito uno sparo!”
 
Ci giriamo entrambi e vediamo arrivare lei, madamigella. Mi chiedo se ci abbia sentiti parlare, che imprudenza la mia! Ci raggiunge a grandi falcate. Indossa una camicia da casa e dei pantaloni chiari. Sembra sempre più magra e con quei capelli spettinati pare un’amazzone. “Bambina mia!” la chiamo e lei mi raggiunge e mi dà un bacio. E’ bellissima quando fa così.
 
“Nonna.” Mi chiama lei. Come fa a non essere figlia mia?
Mi lascia subito e raggiunge Andrè. Studia il fucile, la posizione, le bottiglie. Come farebbe un vero generale. “Quante ne ha colpite?” chiede a me.
 
“Una.” Le rispondo io e lei si mette a ridere.
 
E’ cristallina la sua risata. Vuole farci credere che sia spensierata, ma la conosciamo entrambi troppo bene per cascarci. Andrè stringe i pugni e chiude l’occhio sano per nascondersi, ma lei non gli lascia tregua. Toglie tutte le bottiglie tranne una. La mette al centro. Raggiunge il mio ragazzo e gli dice di puntare. Andrè obbedisce. Gli gira attorno e guarda l’obiettivo dalla sua prospettiva. Gli sta così vicino che lui potrebbe sentire il profumo di Marsiglia dei suoi indumenti.
“Prendi un respiro profondo prima di sparare, rallenta tutto.” Gli dice a meno di un palmo di mano. Che sciocchi. “Il fucile è più pesante della pistola, devi tenerlo più stretto.” Continua e gli chiude le mani sull’impugnatura. Lei ha cambiato voce e non se ne accorge. E’ dolce anche se sta parlando di fucili e pistole. Gli sta vicino, pur sapendo bene l’effetto che gli provoca e non se ne cura. O forse lo cerca? Sciocca, sciocca. Che fai bambina mia? Non giocare con mio nipote, gli farai del male. No, ma che dico, lei è la mia bambina, non fa del male alle persone, neanche a lui. Gli vuole bene tanto quanto gliene voglio io.
Si allontana, dove i confini del suo spazio non toccano più i suoi. “Ora.” Gli ordina e prende un respiro profondo e tutto rallenta. Guarda lui, non guarda il fucile, non guarda il proiettile, non guarda la bottiglia. Guarda il suo profilo, gli occhi concentrati. Poi sentiamo tutti il rumore dei vetri rotti e lei sorride soddisfatta. Sorride anche lui, ma per un’altra cosa.  
 
Si faranno ammazzare.
 
***
 
Da un po’ di tempo persino i domestici scarseggiano a casa Jarjayes.
Molti se ne sono andati, non vogliono lavorare per una delle famiglie storicamente più vicine alla corona. Gli ideali stanno superando perfino la fame, che aumenta e li alimenta. Da poco qualche ragazza giovane era stata messa a lavorare per lavare i panni o servire da bere. Sono ragazze senza famiglia, che avevano già perso i genitori ed i fratelli dietro quella folle idea della libertà. Se tutti fossero come noi, se tutti fossero riconoscenti verso le famiglie che li ospitano, il mondo sarebbe meno folle.
 
Ma bando alle ciance, è la mia bambina a preoccuparmi. Una volta aveva il fisico longilineo e forte. Mi aiutava a spostare i mobili e poi io passavo la scopa. Quando l’ho vestita, ho fatto fatica a nascondere i muscoli sotto le maniche a palloncino. Avevo dovuto bilanciare il suo fisico alla perfezione. Adesso invece è solo magra, tanto magra e pallida. E beve, beve tanto. Ho paura che salti i pasti per pensare al vino.
 
Stasera mi decido e vado dietro alla sua porta. Mi porto una delle mie nuove ragazze, quella a cui lei ha chiesto di portarle su una bottiglia. Voglio controllarla. Mando dentro la ragazza e le ordino di dirmi tutto appena esce. Aspetto e poi la tiro via, dietro alla porta. Ascolto il camminare di madamigella avanti e dietro nella stanza. Ha smesso anche di suonare il violino.
“Che cosa la turba?” chiedo ad alta voce, più tra me e me che ad un interlocutore.
 
La ragazza, vicino a me, però ha l’ardire di rispondermi. Non sa ancora bene come funziona questa casa. “Quello che turba tutte le altre nobili.” Mi dice e quando la guardo per chiedere spiegazioni, si gonfia la guancia con la lingua in maniera volgare, alludendo al fatto che la mia bambina avesse qualcosa a che fare con le donne spudorate e senza valori che vivevano nel peccato. Eppure mi fa pensare. Era ad un uomo che pensava? All’amore carnale? Questi sono i valori che sta apprendendo tra le guardie di Parigi? Avrei dovuto risponderle e metterla apposto, ma un tonfo ed il fracasso dei vetri rotti mi distrae. Mando di nuovo quella scostumata dentro e mi metto ad origliare. Rimango in attesa, preoccupata. Perché Oscar non parla, non dice niente?
Sento la ragazza impertinente camminare verso la mia bambina e mettersi a pulire senza chiedere neanche permesso o cosa fosse successo.
 
Ancora niente. Mi sporgo un altro pochino per origliare, ma mi appoggio troppo alla porta e scricchiola.
“Madamigella?” fa la ragazza.
 
Sento Oscar sorridere. “I domestici sanno che non devono entrare nella mia stanza da quando avevo quattordici anni.” Le rispose. Eccola la mia bambina. Dura, forte, ma solo per finta. “Entra pure, nonna!” mi scopre ed io, orgogliosa ed imbarazzata, entro. La trovo seduta a terra affianco al letto. Una mano piena di schegge, col sangue che si mischiava al vino e l’altra sugli occhi per nasconderli.
 
Già, solo per finta.
 
“Bambina mia, che cosa hai fatto?” le chiedo. Quand’era piccola avrei voluto solo che prendesse la strada che sentisse più naturale. Ho sperato che avesse deciso di mettersi una gonna, per la sua sicurezza. Poi, che si sarebbe innamorata e che avrebbe sposato quell’uomo, lo svedese. Continuai a sperarci quando mi chiese di aiutarla a ballare con lui. Avrei voluto vederla felice, ma ha preso una strada diversa e l’avevo accettata lo stesso. Ma ora che le succede?
 
“Niente nonna,” mi dice con la voce che trema, forse spaventata, forse sconvolta. Bambina mia, era solo una bottiglia “stavo bevendo del vino mi si è rotto il bicchiere tra le mani. Ci sono molte schegge.”
 
“Ti aiuto io.” Le dico correndo da lei. Faccio cenno a quella buona a nulla di scendere in cucina. Attendo di sentirla sbattersi arrabbiata la porta alle spalle e chiudo a chiave. Quello che ti devo dire non lo deve sentire nessuno. Poi corro in bagno e recupero stracci e fasce di lino per medicarle la mano offesa. E’ persino la destra.
 
Intanto Oscar non s’era alzata neanche da terra. “Come stai nonna? Sembri più preoccupata del solito.” Mi dice vedendomi intenta a fissarla. E sì, preoccupata.
 
“Credi di poter far finta di niente?” le dico “Puoi prendere in giro tua madre, ma non me.” Sospiro e le medico la ferita. Lei non è come Andrè. Hanno due caratteri molto diversi i miei ragazzi: lui mi provoca e si risente quando lo sgrido; lei invece punta ad essere accondiscendente nei miei riguardi e persino supplicante di affetto. “Bambina mia, io ero qui quando hai fatto i tuoi primi passi, quando hai avuto il primo sangue, quando mi hai chiesto di pettinarti i capelli e truccarti il viso.” Ricordo di tutti quei momenti che ci avevano legate, tutte quelle volte in cui mi aveva chiesto di non far parola di questo o di quell’altro coi suoi genitori. Della complicità che esisteva solo tra nonna e nipote. Nonostante non condividessimo il sangue, quelle cose valevano molto di più. “Credevi di potermelo tenere nascosto  per molto tempo?”
 
Si gira, mi guarda, mi studia. Studia il mio viso per capire cosa io sappia o abbia capito. Non ne è sicura. Ha gli occhi imploranti e non riesce a venire a capo. Vuole parlarmi, ma non sa se può farlo. Decide che è meglio non fidarsi. Ne sono fiera. Brava, non dirlo a nessuno, ad anima viva! Non proferirne parola con nessuno. Però sono egoista. Vorrei anche essere la prima persona (e l’unica) a cui confessa di essere innamorata. L’avevo capito la mattina dei fucili. Aveva abbassato la guardia, l’aveva protetto ed aveva corso un azzardo che non le pareva neanche forzato. Non come quando s’era vestita con l’abito per quell’altro uomo. Ma non me lo dirà mai. Non pronuncerà mai il suo nome per paura di esporsi. Allora lo faccio io. “Andrè lo sa?”
 
Gli occhi di Oscar si fanno grandi come due uova. Forse è sorpresa davvero che io abbia capito. Mi fa segno di no con la testa. Beh, ma questo era naturale, altrimenti non saresti qui con me. E figuriamoci se quel tontolone l’ha capito. “Ti credevo dalla sua parte.” Mi dice.
 
Come se io potessi essere dalla parte di Andrè o dalla sua. Come se parlarne con Andrè volesse dire essere dalla sua parte. Ma come fa a non capire? Rischia la vita, la rischiano entrambi. Se solo qualcosa succedesse, se solo vi scoprissero, se solo qualcuno non vedesse aldilà dei vostri ranghi e decidesse che dobbiate essere puniti. Che accadrebbe allora? Vi perderei entrambi per colpa di una passione che già vi sta logorando dentro. “Cosa avrei dovuto dire? Vorrei solo vederti felice, ma sono così preoccupata per te e per quello sciagurato di mio nipote.” Le dico disperata.
 
Oscar si gira, non mi guarda più. Sembra saperlo. Eppure non le interessa. Vorrebbe dirmi che non può farci niente, che quelli sono i suoi sentimenti e devo lasciarli stare. No, che non li lascio stare. Più si rifiuta di ascoltare, più mi fa stare in apprensione.
“Cosa succederebbe se…” le comincio a dire mentre continuo a chiuderle la mano nelle fasce. I pensieri mi hanno lasciato le lacrime agli occhi, che attirano la sua attenzione. “Bambina mia, Andrè fa parte di un altro mondo. Non potrebbe mai accompagnarti a corte, farsi vedere con te.”
 
Oscar si irrita, si tira su e si allontana. Si chiude il corpo nelle mani, come a consolarsi, come se nessuno potesse capirla, come se io l’avessi delusa. Quell’intimità che avevamo creato s’è rotta già. Ma questo mi dà la forza di affondare il coltello nella carne dei suoi sentimenti. Non mi intenerisce quando se ne sta in piedi di fronte la finestra. Quella volgarotta di una cameriera aveva ragione, dopo tutto. “Cosa succederebbe se ti mettesse incinta?” le chiedo con rabbia, quasi urlando.
 
“Cosa?” Oscar si volta verso di me sorpresa da quello che le ho detto. “Nonna ma che ti prende?” mi chiede imbarazzata. Si nasconde, evita il mio sguardo. Si stropiccia le garze tra le dita, si finge impegnata in qualcosa. Oh, avevo ragione allora! “Io.. io… non…”
 
“Lo ucciderebbero, Oscar.” Taglio corto io. A volte do ragione a suo padre. A volte avverto la differenza di classe tra me e lei. Faccio finta, pretendo che non esista, ma c’è. Oscar pensa ai sentimenti, io alla sopravvivenza. Lei piange per amore, io per le cure che non ci potremo mai permettere per il suo occhio, per la riconoscenza che sento nei confronti di questa famiglia, per la gratitudine nell’aver avuto modo di crescere una bambina agiata. Vorrei che continuasse a pensare solo a questo, che lasciasse stare il mio ragazzo però, che decidesse di sposare qualcuno lontano da qui, in un altro paese. E’ intelligente, imparerà un’altra lingua.
 
“Hai fatto questo discorso anche a lui?” interrompe lei i miei pensieri.
 
“Certo, e non ho voluto ascoltarmi.” Le rispondo. Si gira verso di me, mi guarda con speranza. Spera che stia parlando di fatti avvenuti qualche giorno fa, che lui l’ami ancora, che io sia la ragione che lo tiene legato. Bambina mia, quanto devi essere innamorata per dare tutto questo peso alle parole di una vecchia? Che avrà mai di speciale mio nipote? Certo, è bello, forte, gentile e… Ti capisco, bambina, ma non si può. Le faccio segno di raggiungermi di nuovo qui sul letto e l’abbraccio. Forte forte. Lei ricambia e mi scalda il cuore quell’affetto che non mi aspettavo quando sono entrata per la prima volta in questa casa.
 
***
 
 
Cosa combini, ragazzo mio? Perché vuoi farmi questo? Ho già perso tua madre, non posso perdere anche te.  
Lascia stare il generale. Non dirgli niente, non dirgli niente.
Perché dici queste cose? Perché, perché? Volete scappare insieme? Perché volete morire entrambi?
Cosa volevi ottenere, ragazzo mio?
Cosa?
***
 
 
Dopo la paura di quella folle giornata ho cominciato a seguirli. A volte li pedino addirittura. Li studio da lontano. Li guardo e vorrei lasciarli liberi di vivere in pace, ma non ce la faccio. Proprio non posso. Mi spaventano, ho paura che muoiano. Ho paura per le loro vite.
Temo… Temo che si vedano in segreto, che non parlino più soltanto o giochino a scacchi, che i sentimenti dei giovani siano troppo travolgenti per essere cauti. Temo per la vita dei miei bambini. Che non sia io a scoprirli, ad inseguirli. Temo le ritorsioni dei pretendenti gelosi, increduli che la mia Oscar possa aver scelto un uomo semplice come Andrè, socialmente inferiore, ma mille volte meglio di loro. Temo tutte queste cose messe insieme e vorrei solo che lei fosse cauta, dimenticasse i sentimenti che non possono essere vissuti.
 
Li cerco tra le piante e le fontane, nel giardino al fresco tra le lucciole. Ho paura che se li chiamo qualcun altro possa sentirmi.
C’è troppo silenzio.
E che farai, tu vecchia, quando li troverai?
Li fermerai? Li scoprirai? Piangerai? Di terrore o di felicità? Una nonna, una mamma non vorrebbe altro che i suoi bambini siano felici. Saperli insieme mi fa scoppiare il cuore di tenerezza. Se solo fossimo nati sotto una più buona stella le cose sarebbero andate diversamente. Ti avrei accompagnata all’altare, Oscar, bambina. Avrei cresciuto i vostri figli e sarebbe stato tutto diverso.
 
Eccola. La sento ridere sopra al frinire dei grilli. E c’è anche lui, che fa lo stupidone e dice qualcosa che non capisco e lei ride di nuovo. Bambini miei, perché deve essere sbagliato?
Mi guardo dietro, faccio silenzio per essere certa che non mi segua nessuno e li raggiungo sotto al gazebo in mezzo al giardino. “Andrè! Oscar!” urlo. Erano vicini e quello era un bacio. Casto, innocente, niente più di quello, ma incauto e vietato, pericoloso, orribilmente punito, peggio del tradimento.
 
Sono rimasta con le mani sulla bocca a guardare quella scena che mi ha straziato il cuore. Perché proprio a loro? Non hanno già sofferto abbastanza? Non hanno già contravvenuto a tutte le leggi di Dio e della natura?
“No, nonna,” urla Oscar. Me la trovo di corsa davanti a me, in ginocchio. Mi prende le braccia e me le riporta lungo i fianchi “ti prego,” mi supplica mentre si nasconde nelle mie vesti “non dire niente, non dire niente. Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.” Ripete in una straziante nenia.
 
“Bambina.” La chiamo, perché vederla così mi fa solo più male. Alzo gli occhi e c’è anche Andrè dietro di lei. Le da supporto e calore, sostenendole le spalle con entrambe le mani, mentre lei ancora supplica. Ma che le hai fatto, chiedo a lui con uno sguardo. Mi risponde come a dire che non è colpa sua, lui non può farci niente, io non posso farci niente. E’ andata così e dobbiamo tutti solo accettarlo.
Le prendo il viso tra le mani e lo scopro pieno di lacrime. E’ l’unica cosa che ti rende felice? I suoi grandi occhi azzurri brillano di lacrime. Non è forte come sempre, non spara alle bottiglie come sempre. E’ debole, per lui. Sembra così piccola e minuta da questa prospettiva. Abbassa la guardia e lascia che sia lui a stare in piedi dietro di lei. Quanto devi amarlo per lasciare che veda questo? Per lasciarlo decidere per te?
 
“Nonna.” Mi chiama Andrè. Ha un aspetto diverso di notte, sotto questa luna. Non è più il ragazzino che mi faceva i dispetti. Adesso sembra più un uomo, che se ne sta in piedi, davanti a me, a proteggere quello che ha di più caro.
 
Hai scelto? Hai scelto questo? Tu, donna nobile, che cavalca e tira di spada, che ha avuto una vita difficile, ma ricca di possibilità, hai scelto di cogliere l’unica che non ti era mai stata concessa: innamorarti di qualcuno che si sporca le mani con la terra. La libertà. Bambina, se è questo che vuoi, se è il mio ragazzo che hai scelto… “D’accordo, non dirò niente.”
 
“Grazie, grazie, grazie.” Mi dice e mi bacia le mani e mi abbraccia, come se davvero avesse bisogno del mio benestare. Dietro di lei, Andrè sorride. Non ha mai avuto dubbi, sapeva che sarei stato dalla loro parte. Però è commosso. Mi viene voglia di prenderlo a schiaffi.
 
“Perché guardi solo me?” Chiede Andrè.
 
“Perché lo so io!” gli rispondo, stringendo ancora la mia bambina.
 
Sento la mancanza del suo abbraccio quando Oscar mi lascia per guardare lui. Si scambiano dei sorrisetti come facevano da piccoli, come quando erano complici e mi rubavano la panna per le torte dalla cucina. Sono loro, sono di nuovo i miei ragazzi che corrono su e giù per casa come facevano una volta. “Bambina mia.” Mi viene fuori tra le lacrime “Figliolo.” Prendo la mano di lei e quella di lui tra le mie. Le stringo tutte e due per tenerli vicini, come se io potessi unirli, come se potessi avere il potere temporale ed assecondarli.
Ho una bruttissima sensazione nelle ossa. Spero solo che non si facciano del male.
 
Tiro su col naso e mi decido. Basta inseguirli. Basta sgridarli ed imporgli regole. Basta scegliere per loro. Basta a tutte queste cose. Li guardo per l’ultima volta prima di salutare. “Oscar.” Le dico carezzandole la guancia “Andrè.” Allungo la mano perché si avvicini.
 
“Stiamo bene,” mi risponde lui in bella posta “te lo prometto.”
 
Oscar lo guarda pensierosa in questo gioco di sguardi. “Sì.” Mi dice poco convinta, rivolta verso di lui.
 
Sono adulti. Devono essere lasciati liberi, mi convinco. Un respiro profondo. “Si è fatto tardi.” Annuncio, ma prima… “Oscar,” la chiamo per attirare la sua attenzione. Le prendo il viso tra le mani e le dico ad occhi di lucidi “Ricordati quello che ti ho detto”.
 
“Certo” mi risponde lei arrossendo.
 
Sospiro, come se ci potessi credere e me ne vado. Che Dio ci aiuti tutti! Vorrei solo che la strada che hanno scelto non fosse così tortuosa e pericolosa. Vorrei che fossero liberi davvero come credono. Vorrei che fossero ancora bambini, quando tutto era solo un gioco.
Sento le loro risate. Mi giro per guardarli a qualche passo di distanza perché me li voglio ricordare così.
 
“Cos’è che ti avrebbe detto?” chiede Andrè sorprendendola alle spalle ed abbracciandola.
 
Oscar ride. Butta il capo all’indietro per farsi guardare, per aderire perfettamente nel suo abbraccio. Gli offre il collo e lui ne approfitta per farle il solletico col fiato. “Niente.” Dice solo. Andrè soffia, respira, facendola ridere ed agitare tra le sue braccia. “Niente di importante.” Continua lei a replicare.
 
“Niente di importante?” le domanda quasi malizioso.
 
“No, davvero.” Risponde lei ed interrompe le risate. Lo guarda, lo sfida. Vorrebbe reggere quello sguardo da uomo smanioso, ma è più timida. Ci prova e sembra in imbarazzo. E’ immobile e si rigira e morde le labbra.
 
“Davvero?” ripete ancora Andrè, quasi a rincarare la dose.
 
“Certo.”
 
“Allora perché arrossisci?”
 
Sembra tutto così serio e mi sento quasi in imbarazzo ancora a guardare, ma sono magnetici, perfetti insieme. Andrè spinge Oscar oltre i suoi limiti, la completa e le fa scoprire qualcosa di sé che non conosceva. Oscar rende Andrè più sicuro di sé e gli porta in pegno finalmente quell’affetto che fin da bambino gli era stato negato troppo presto. Mi è bastato davvero poco per cambiare idea su di loro. Sorrido, pensando a come avevo fatto a non capirlo prima, a non capirlo quando erano ragazzi.
 
“Non arrossisco”
 
“Arrossisci”
 
“Finiscila.” Oscar mette fine a quel gioco. “Sei uno stupido.” Lo spinge via abbassa la testa e si nasconde. Nasconde le guance, nasconde gli occhi, nasconde i suoi pensieri che Andrè sicuramente capirebbe.
 
“Tu una bugiarda.” Replica lui, riavvicinandosi, afferrandola e giocando
 
“Ah sì?”
 
“Sì.”
 
Come fa tutto questo a non essere permesso? Il mondo è fatto di stolti. Il generale è uno stolto.
State solo attenti, ragazzi miei. State solo attenti.
 
***
 
Toc-toc.
“Posso entrare?”
 
E’ il tramonto. Oscar e Andrè sono tornati oggi, per la prima volta dopo una settimana. Hanno lasciato andare i cavalli e si sono separati. Oscar sta posando per il pittore, per l’ultima volta si presume. Ha chiesto che non ci fosse nessuno e che il suo dipinto venisse poi coperto. La teatralità di quella richiesta mi aveva già insospettito. Adesso mi giro e vedo Andrè alla porta. E’ poggiato allo stipite, guarda lontano. La sua vista sta peggiorando. I capelli si stanno allungando, è tutto spettinato e puzza esattamente come gli altri soldati della guarda.
Sembra quasi di sentire i tuoni anche se fuori è sereno.
“Dovresti darti una sistemata prima.” Gli rispondo.
 
“Hai ragione.”
In due falcate arriva ai piedi del mio letto. Si siede accanto a me e tenta di guardarmi. Ha la accorata lentezza di un addio, ma la serenità di aver accettato il suo destino.
 
“Ve ne andate.” Gli dico lanciandogli le parole addosso prima delle lacrime.
 
Andrè prende fiato e si lascia cadere sul materasso consunto come faceva quando era bambino e mi doveva confessare qualcosa. “Stiamo aspettando ordini.” Risponde e finge di fissare il soffitto. “Ci rifiuteremo e saremo dei ribelli. Ci daranno la caccia. Difenderemo il popolo. Probabilmente moriremo.”
 
Scoppio in lacrime e non so che altro dire. Non rivedrò mai più i miei ragazzi. Mi abbandoneranno e moriranno tra qualche ora. Non li rivedrò mai più liberi e spensierati come quella sera. Non li rivedrò mai più insieme, non li consolerò mai più, non crescerò mai i loro figli. Il dolore mi assale.
Non sarò più una nonna.
 
Sento l’abbraccio di Andrè che mi consola. Mi stringe e mi lascia piangere sulla sua divisa. Ha l’odore di un uomo adulto e responsabile. Allevia il pianto, asciuga le lacrime, ma non lenirà mai il dolore. Perché dovete morire qui, in questo paese fetente che puzza di morte? Ecco!
“Andate via!” mi viene in mente e vedo una speranza “Andate via!” lo esorto, mentre mi guarda confuso. “Prendi Oscar e scappate lontano. Nel nuovo mondo.” Gli indico fuori dalla finestra, lontano, molto lontano, dove nessuno vi conosce. Nelle americhe, per esempio.
 
Andrè sorride e mi spiega. “Non riusciremo neanche ad arrivarci.” Dice ed adesso sono io a guardarlo confusa “Quasi non ci vedo più, lo sai, e…” solo adesso si rabbuia “Oscar è malata.”
 
“Te l’ha detto lei?” chiedo, cercando di ripensare a tutte quelle volte in cui l’avevo vista sempre più magra.
 
“No, non c’è bisogno.”
 
Piango ancora ed Andrè mi abbraccia di nuovo. Rimaniamo insieme a piangere ancora per un po’. Il sole continua a calare e nell’angusta stanza del palazzo, che è sempre stata la mia casa, il mio solo ed unico posto al mondo, cala la sera. Qui ho visto crescere i miei nipoti, dico miei perché lo sono entrambi. Dopo la morte di mia figlia sono diventati tutto il mio mondo e mi hanno dato una seconda possibilità.
Presto sarò sola di nuovo, senza di loro. Il mondo non avrà più i loro sorrisi, le loro risate. Non piangerà più delle loro tragedie, dei loro amori, delle loro sconfitte. Questa casa sarà vuota. Il mondo sarà vuoto.
 
“Ci rivedremo.” Mi bisbiglia Andrè mentre va via. “Più tardi possibile.”
Allungo la mano e lui non c’è più.
Sono sola.









Angolo dell'autrice
Mi sono sempre piaciute questo genere di storie, dove i protagonisti sono narrati da una terza voce che osserva tutto. Mi da l'idea di guardarli da fuori. Vorrei scrivere qualcosa del genere anche dal punto di vista di Alain, per essere un po' più "sconcia".
Anyway, spero vi sia piaciuto.
Un bacio ed un saluto a tutti. Lasciatemi una recensione se vi va.
Summers
  
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