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Autore: Martin Eden    17/07/2022    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Legolas

 

Casa.

Non avrei saputo quantificare il tempo che era passato: il tempo diventava un problema secondario, tra i miei boschi. Il fruscio degli alberi era sempre lo stesso, da migliaia di anni: l’avrei riconosciuto tra mille altri. Nessuna foresta suonava uguale alle mie orecchie - Bosco Atro aveva per me un senso speciale. Come se un invisibile ed ineguagliabile strumento musicale fosse stato accordato finemente al mio udito e al mio cuore e mi permettesse di non smarrirmi mai.

La reggia si parò presto davanti ai miei occhi abituati a riconoscere i segreti di quel parco. Quei rami intrecciati, quei bagliori riflessi sulle gocce di rugiada, che rimbalzavano fino alle sue porte seminascoste. Per un viandante sperduto sarebbe stato impossibile imboccare il sentiero che l’avrebbe condotto fino a lì, ma per me ogni corteccia recava un’evidente impronta che avrebbe potuto guidarmi anche ad occhi chiusi.

Quando gli scudieri mi videro arrivare, ebbero un attimo di vertigine: non potevano credere che fossi davvero io. Poi, però, esultarono. Presero le briglie del palafreno e mi aiutarono a scendere di sella, desiderosi di toccarmi, di rendersi conto che ero veramente io e che ero veramente vivo.

Mi accorsi solo allora di quanto mi fosse mancata la mia gente, quanto avessi desiderato sentire tutti quegli occhi su di me. Mi erano mancati esattamente come io ero mancato a loro: mi accoglievano come un figlio che torna dalla guerra e io li abbracciavo come una famiglia.

Si inginocchiarono con piacere al mio cospetto, rivolgendomi parole calde di bentornato, ma io li feci alzare senza perdermi in inutili convenevoli.

Poi chiesi di mio padre.

Come al solito, doveva trovarsi nella sala del trono, in meditazione. Espressi il mio desiderio di vederlo e le guardie mi accompagnarono immediatamente, scortandomi e facendo urlare le trombe di benvenuto.

Il re era già stato avvertito, prima dal suono degli strumenti e poi dal paggio messaggero. Per questo lo trovai in piedi di fronte al trono, quando entrai nella sala quieta, teatro di tanti confronti tra di noi.

Mi venne incontro squadrandomi da capo a piedi. Non riuscì nemmeno a salutarmi. Immaginavo che troppa emozione l’avrebbe sopraffatto e avrebbe fatto fuggire il suo animo nobile dietro la coltre, nel suo antro. Vi ero abituato.

Dopo un’iniziale, leggera insistenza per farmi controllare da un guaritore (non l’avevo mai visto tanto preoccupato per me in più di duemila anni), finalmente si decise a chiedermi quello che più gli stava a cuore:

- Dove sei stato?-

Anche se mi aspettavo quella domanda, al sentirgliela pronunciare ebbi un sussulto. A dire il vero, avrei voluto evitare di dirglielo, ma sapevo che mio padre lo avrebbe ugualmente scoperto. A volte sembrava mi leggesse nella mente. Era la persona con cui avevo vissuto quasi in simbiosi fino all’età adulta, che conosceva ogni mia piccola cicatrice, che mi era stata accanto in ogni momento e mi aveva allenato alla vita. Non potevo pensare che non l’avrebbe intuito, in un modo o nell’altro. E io non sono certo il tipo da nascondersi inutilmente dietro un filo d’erba.

- Sono stato dove mi hai detto tu. A nord.- risposi con circospezione, ma poi sentii forte il bisogno di rivelare anche il resto – Dove una volta sorgeva il regno di Angmar. A Fornost.-

Vidi il volto pallido di mio padre farsi ancora più cereo e atterrito:

- Cosa sei andato a fare a Fornost?- quasi mi aggredì, ma si trattenne in tempo.

Ricordi dolorosi cominciavano ad affollarsi nella sua mente: li vedevo muoversi dentro di lui. Ora era come se appartenessero anche a me.

Rimasi per un attimo in silenzio.

- Perché sei andato a Fornost?- ripetè con veemenza il re.

Trasalii.

Forse tornava ad avvertire sulla pelle le scottature, le urla, i pianti: ogni cosa. Ogni cosa come allora. Gli scoppiava dentro. Io ero solo un muto spettatore, come non avevo potuto esserlo quando più ne avrebbe avuto bisogno.

- Ho visto il tuo passato.- dissi in un soffio.

Thranduil non riusciva più a starmi a sentire. Si era voltato di schiena perché non voleva mostrarmi quanto pativa in quel momento. Ne ero certo, avrebbe voluto scappare lontano, lontano dai miei occhi, per non infangarmi con la sua debolezza. Ma non c’era nessun riparo, nessun posto dove potesse sentirsi abbastanza al sicuro e in ogni caso, non sarebbe mai stato al sicuro da se stesso.

Mio padre portò una mano alla guancia. Sentiva il morso del Male che lo attanagliava e che correva giù per lo zigomo, gli inondava la bocca e bruciava, Dio come bruciava! La cicatrice sulla guancia doveva aver preso ad ardere come il fuoco.

Soffriva!

Potevo accorgermi delle sue difficoltà anche senza comprenderle appieno. Mossi un passo per aiutarlo:

- Non ti avvicinare!- tuonò, puntandomi contro una mano esile – Sto bene!-

Mentiva. Lo sapevo che mentiva, e lo sapeva anche lui.

Ciononostante, non osai contraddirlo. Anzi, feci un passo indietro. Gli avevo dimostrato solo disobbedienza ultimamente, dovevo almeno portare un po’ di rispetto per il suo dolore.

Non era mia intenzione fargliela passare liscia, in ogni caso.

Eravamo pur sempre in lizza, come due leoni in un’arena, come guerrieri di fazioni diverse sotto lo stesso tetto. Ci volevamo bene, ma avevamo prospettive spesso in conflitto, così come le soluzioni. Non importava. Era il mio genitore anche in quei momenti.

- Padre...- mormorai, usando un tono dolce nello sguardo e nella voce – Ti vedo bene anche da qui.-

Thranduil sollevò di scatto la testa. Notai che per un attimo gli era mancato il fiato.

Non l’avevo esposto a parole, ma gli stavo offrendo supporto. Non capitava spesso.

- Ho trovato il Dùnadan. Si chiama Aragorn, figlio di Arathorn e Gilraen del Sud. Altrimenti noto come Grampasso.-

Il re sbarrò gli occhi e si voltò verso di me. Il dolore che deformava il suo viso si ritrasse piano piano, mentre ammirava il mio successo nell’impresa. Avevo portato a frutto quello che lui aveva desiderato da me ed ero diventato motivo di orgoglio.

Non me l’aveva mai detto con quegli occhi.

Durò poco. Subito si ritrasse nella sua corazza e io seppi che aveva ancora bisogno di tempo per adattarsi alla mia presenza:

- Dov'è ora?- osò chiedermi.

- E' con Gandalf.- risposi prontamente – Ma verrà qui appena possibile. Occorre solo attendere.-

Mio padre masticò amaramente quelle parole.

- Vai a riposare...- mi consigliò – Ceneremo insieme stasera. Io e te soli.-

Non succedeva spesso, per questo mi sorprese. Quel confronto doveva essere importante per lui, anche se cercava disperatamente di non darlo a vedere. Tanto importante da avermelo chiesto quasi in un sussurro, come per timore che io potessi rifiutare.

Forse c’era qualcosa di più, in quello sguardo, ma non ero in grado di decifrarlo. Osservai mio padre piuttosto guardingo, sperando di cogliere qualche dettaglio - ma niente.

Nessuno meglio di re Thranduil era tanto abile a non mostrare i propri sentimenti.

- D’accordo.- accondiscesi, rimandando la partita a più tardi.

 

La cena era stata elegantemente disposta su un lungo tavolo in legno pregiato e intarsiato, coperto da una tovaglia altrettanto finemente ricamata. Una tovaglia per occasioni speciali, ebbi modo di notare.

La sala era stata apparecchiata con decine di candele e qualche lanterna. Nella costante penombra della reggia, quelle luci tremolanti donavano un tocco sinistro a tutta l’atmosfera, caricandola di attesa. O forse ero io a dover riacclimatarmi a quei luoghi, dopo tanto tempo lontano dai miei alberi.

Mi sedetti a un lato della tavola. I nostri solerti servitori volteggiavano tutt’intorno, lanciandomi di tanto in tanto un sorriso o un’occhiata furtiva, oppressi dal timore reverenziale verso di me e verso l’ombra di mio padre, che non era ancora arrivato.

Avevo una strana sensazione. Come essere a casa, ma non essere prettamente tornato a casa: mancava un ultimo tassello a quel quadro e non riuscivo ad afferrarlo.

Quella era la mia tana, il mio nido, ma forse non mi apparteneva più come un tempo...o questo, almeno, era quello che voleva farmi credere. Mi sentivo come uno straniero alla mia tavola, ospite a una cena imbandita in mio onore. L’onore di un forestiero.

Forse ero solo cambiato io, senza rendermene conto.

Finalmente apparve anche mio padre. I servitori si bloccarono all’istante e gli riservarono un inchino profondo, man mano che lui li sorpassava, diretto alla sua sedia.

Anche io mi alzai, in segno di rispetto, ma lui subito mi pregò di rimettermi al mio posto con un cenno della mano.

Appena si fu accomodato, il consueto ronzio dei paggi riprese esattamente da dove si era interrotto. Poco dopo, ci ritrovammo soli, nella grande sala, in attesa che arrivassero le pietanze calde.

Thranduil trasse un sospiro mesto, senza alzare gli occhi dal bicchiere già pieno di ottimo sidro:

- E’ passato molto tempo da quando sei partito.- esordì.

Un modo come un altro per iniziare una conversazione.

Non risposi. Mi aspettavo una domanda, una qualsiasi domanda, ma a quelle poche parole seguì un pesante silenzio, come se fosse lui ad aspettarsi qualcosa da me.

Non capivo dove volesse andare a parare, per niente. Che cosa desiderava? Che cosa potevo dargli?

Forse cercava di comunicarmi un dettaglio importante ed ero io a non avere orecchie per lui?

Non dirmi che gli sono mancato?

Se così fosse stato, non l’avrebbe ammesso facilmente. Ebbi paura di quell’incertezza. Non ero pronto a farmi trapassare di nuovo dalla spada gelida dei suoi occhi.

- Non sembra che sia cambiato nulla.- tergiversai, piuttosto nervoso.

- E’ cambiato tutto, invece.- affermò con forza mio padre.

Quel tono vagamente di rimprovero mi allarmò.

Sicuramente eravamo un po' frastornati dalla serie di eventi che ci aveva travolti, separati, uccisi e fatti rinascere, ma non era solo quello. Io sentivo che c’era dell’altro.

- C’è qualcosa in particolare di cui vuoi parlarmi?-

Thranduil si mosse stizzosamente sulla sedia.

Sì, c’era qualcosa che voleva dirmi, ma non si decideva a farlo. Forse la cosa lo sconvolgeva, lo preoccupava, forse era troppo persino per lui. Ma non lo avrebbe mai confessato, non di fronte alla mia persona almeno.

Ci teneva così tanto ad essere il mio eroe.

Provai ad incoraggiarlo:

- Padre, tu sai che puoi contare su di me.-

Il re parve ravvedersi. Finalmente alzò gli occhi:

- Sei andato fino laggiù - iniziò lentamente – per rivedere tua madre.-

Ricambiai quello sguardo con rinnovata sicumera:

- Sì.- affermai con decisione.

Thranduil sospirò:

- Sono stato uno sciocco a impedirti di serbare anche solo un ricordo di lei.- ammise, con mia somma sorpresa – Io volevo solo proteggerti.-

Rimasi zitto. Tutte le mie parole sembravano essersi volatilizzate.

Avrei voluto avere qualcosa di intelligente da ribattere, ma niente mi sembrava all’altezza. Stavo seduto, rigido come una bacchetta, e l’unica cosa che mi pareva avere un senso era il mio silenzio.

Il re si scosse:

- E’ tuo diritto sapere.- sentenziò.

 

Mi raccontò che mia madre gli aveva protetto le spalle da sempre, fin da quando si erano conosciuti. Dal momento in cui c’era stata lei, al suo fianco, gli era sembrato che niente al mondo avrebbe potuto scalfirlo. Lei era il suo amuleto, il suo lasciapassare verso un mondo migliore. Senza, mio padre si sarebbe sentito come un guerriero a cui manca un braccio.

Per questo, forse, trovò il coraggio di chiederle di non lasciarlo solo contro le creature malefiche di Angmar.

Al contrario di quanto aveva lasciato credere per tutti quegli anni, andare in guerra non era stata un’idea di mia madre, ma una precisa risposta al bisogno di Thranduil di averla vicino.

Non l’aveva mai ammesso prima d’ora.

Lei accettò con fervore e spirito di sacrificio, come il suo ruolo di Regina, d’altronde, le imponeva. Ma non fu per obblighi regali che seguì mio padre fin laggiù. Erano come una cosa sola, una rarità che andava preservata qualsiasi fosse il prezzo da pagare. Divisi erano nulla; insieme erano la forza.

In tutto questo, io rappresentavo la pietra più preziosa nella loro collana, un coronamento al loro sogno d’amore. Anche io, come quell’amore, dovevo essere preservato: per questo mi lasciarono nel rifugio sicuro di Boscoverde, che allora non era grande solo nel nome ma anche nel prestigio.

Non ricordo niente di quel periodo. Come potrei? Ero troppo giovane. Mio padre invece si ricorda tutto, ogni singolo dettaglio. Ricorda il bacio che mi diede sulla testa prima di andare a bardare il suo cavallo; ricorda che mi ero attaccato alle gonne di mia madre e che stavo per piangere, perché non volevo lasciarla andare. Una balia era venuta a consolarmi e a distrarmi, mentre loro saltavano in sella e si confondevano nel tramonto.

Mia madre mi diede un bacio con la mano, affidandolo al vento.

Erano molto preoccupati per me, ma essendo vicini, la loro sofferenza veniva comunque stemperata dal calore che traevano l’uno dall’altra. Gli zoccoli dei cavalli pestavano pesantemente il terreno mentre si allontanavano dalla reggia e i più cupi pensieri affollavano le loro menti. Parlavano di piani d’attacco, di strategie di retroguardia, di provviste, ma non di me. Ero diventato un discorso proibito, un pensiero rimandato. In fondo, io ero molto più al sicuro di quanto non lo fossero loro, a così tante leghe da Boscoverde. Anzi. Ero un motivo in più per combattere fino in fondo quel conflitto.

Mia madre era una grande guerriera. Maneggiava con eguale maestria l’arco e la sciabola, avendo imparato da bambina. Una passione, la sua, che l’aveva condotta fino a Thranduil. Proprio per questo motivo lui l’aveva notata in mezzo a tanti, durante un torneo al quale erano invitati solo i migliori cavalieri del Regno. Il padre di mia madre era fra quelli e viaggiava con la sua bellissima figlia al seguito. Pochi avevano capito quanto quella figlia avrebbe potuto essere anche letale, se sfidata a duello.

Mio padre la vide affaccendarsi dietro le armi che lei e il suo genitore si erano portati appresso. La vide tirare di spada, affilare le punte delle lame e scaricare la tensione facendo centro per ben tre volte, infilando un pugnale dietro l’altro nello stesso punto del bersaglio.

Stupito e ammirato di fronte a tanto talento, volle conoscerla di persona. Il resto è storia.

Si fidava di lei e del suo acume. Una volta giunti in Angmar, ve ne sarebbe stato un estremo bisogno.

I primi mesi pesarono come macigni sulle loro spalle: complici il lungo viaggio, l’angoscia annidata nei muscoli e nelle ossa, la costante apprensione per me, da solo alla reggia, e la sempre più fosca premonizione che quella battaglia avrebbe potuto anche essere l’ultima per uno dei due, spinsero i miei genitori a stringersi sempre di più l’uno all’altra. La notte non riuscivano a dormire: si alzavano a turno per controllare le mappe, per tracciare nuovi piani o semplicemente per montare la guardia assieme agli altri soldati. Ogni bisbiglio, ogni minimo particolare fuori posto scatenava le loro paure accumulate.

Sempre verso il mattino, poi, spesso si univano nella danza dell’amore, facendolo piano e in silenzio. Non c’era bisogno di parole. Lo facevano così, al meglio, sperando che il mattino seguente si potesse ancora rubare un momento dolce alla loro eterna vita. Forse cercavano un fratello per me, chissà.

L’avevano fatto anche quella maledetta mattina. Mio padre spergiura che non sapeva nulla del pericolo cui mia madre andava incontro. Ma vederla indossare l’elmo e la cotta di maglia più greve, invece che l’artiglieria leggera, l’aveva stupito. Prima che potesse chiederglielo, lei era già salita in groppa a un cavallo e un gruppo di tiratori scelti, la Guarda della Regina, era già pronta a partire, a sua insaputa. Lui non aveva dato l’ordine di allontanarsi.

- Che diavolo sta succedendo?!- gridò, ma in quella sentì lo stridio di una Bestia Alata squarciare le nubi, prima che ogni suono fosse inghiottito da un boato di voci atterrite.

Subito qualcuno l’aveva portato via da lì e gli aveva fatto indossare un elmo, sotto il quale l’odore di mia madre, rimasto impigliato tra i suoi capelli, sembrava ancora più forte.

La Bestia Alata era arrivata a mietere vittime con il suo fuoco sacro di orrore. I guerrieri di tutti gli eserciti lì schierati avevano schiamazzato per lo sgomento. Alcuni venivano azzannati, altri rapiti dai grossi artigli della bestia o disarcionati. Non sembrava esserci nessuno in grado di fronteggiare una creatura di tale portata.

Mio padre assunse direttamente il comando e si fiondò sul campo di battaglia, sbraitando ordini. Il pensiero di mia madre, nella sua mente, si affievolì poco a poco senza mai spegnersi del tutto. C’erano altre priorità.

Nel bailamme generale, non avrebbe comunque potuto scorgerla, nemmeno grazie alla sua vista acuta.

Non seppe mai che cosa successe esattamente. Mentre pareva che la battaglia volgesse al meglio per lui e gli alleati (qualcuno era riuscito persino ad abbattere la Bestia Alata con una catapulta), in mezzo al clangore delle armi, un suono fin troppo ben conosciuto gli giunse alle orecchie.

Dalle retrovie, da un punto che lui non era in grado di distinguere, aveva cantato il corno della Guardia Elfica: una richiesta di aiugo.

Subito Thranduil si era messo in allarme e aveva dato disposizioni per rinforzare le fila verso la sorgente di quel suono. Il suo cuore impazziva all’idea di sapere sua moglie in pericolo, ovunque lei fosse. Gridò con tutte le sue forze per farsi sentire, spinse i migliori soldati ad andare in quella direzione mentre lui, purtroppo, avrebbe dovuto attendere sul campo.

In quel momento, apparve il Drago.

Ardente e smisurato, sbucò da un cratere nel terreno, facendo riverberare l’alba di tutta la sua malvagità. Per un attimo, gli eserciti si bloccarono a fissare, allibiti e terrorizzati, quell’apparizione mefitica, il cui olezzo si poteva sentire a miglia di distanza.

Solo Thranduil non aveva occhi per il pericolo imminente. Tutta la sua persona era rivolta a Est dove, al di là di un muro di orchi e altre schifose bestie, si era avventurata la parte migliore di lui.

Gandalf lo raggiunse che se ne stava ancora come incantato di fronte a quella visione di distruzione. Non era capace di muoversi.

- Thranduil!- lo richiamò – Abbiamo bisogno del tuo aiuto! Devi venire con me!-

Una mano sulla spalla è tutto quello che mio padre ricorda prima che l’ombra del Drago si piantasse su di loro.

L’orribile essere sgusciò nell’aria, caricando un colpo contro le sue due vittime. Era maestoso e feroce, come qualsiasi creazione di Morgoth, o forse di più. Non sarebbe bastato tutto il coraggio di questo mondo ad abbatterlo.

Ciononostante, come un riflesso incondizionato, lo spirito fiero del re d’un tratto prevalse, spingendolo a difendersi da quell’attacco. Ma era troppo tardi.

Una delle vibrisse del Drago aveva schioccato sinistramente e l’attimo seguente era piombata con precisione assassina sul volto di mio padre, ustionandolo dall’occhio fino al collo, lì dove ancora oggi si nota una cicatrice che mai guarisce, anzi, peggiora quando il suo umore imbelle o cede a bieche visioni.

Il colpo, sebbene non mortale, fu determinante. Thranduil finì a terra, svenuto, sanguinante, con la spada perduta e volata lontano. Lo sguardo costernato di Gandalf seguì la parabola del corpo del re che rovinava a terra, sospinto dalla forza del Drago. Fu per vera fortuna che non terminò la sua vita infilzato in qualche picca.

Subito il mago si frappose fra mio padre e la creatura del Male, respingendola con la sua magia. Il re era ancora vivo, seppur incosciente. Alcuni soldati, che avevano assistito alla scena, accorsero in suo aiuto, sollevandolo dalla polvere e trasportandolo via. Rimase soltanto Gandalf contro il Drago: solo dopo incredibile fatica riuscì a metterlo in fuga, salvando l’intero esercito.

Mio padre si risvegliò il giorno dopo. Avvertiva un dolore fortissimo, in ogni parte del corpo, come se gli avessero rotto tutte le ossa contemporaneamente. Gli era difficile persino formulare un pensiero sensato.

Gli avevano bendato il volto e l’avevano lasciato alle cure e alla compagnia di Gandalf, che appena aveva potuto era saltato di nuovo al suo fianco.

Le sue prime parole furono per la Regina, il ricordo più vivido. Non rammentava assolutamente che cosa gli fosse successo, né quando. Ma il suono del corno della Guardia Elfica era una ferita aperta che nonostante le cure non era riuscita a chiudersi. Per questo ora Thranduil gridava dal dolore, un dolore che solo lui poteva capire.

Gandalf aveva tentato di spiegargli che in sua assenza era stato fatto il possibile. Avevano cercato di individuare il corno finché questo aveva continuato a suonare, travolgendo orchi su orchi e guadagnando pochi metri alla volta. Sembrava che quella marmaglia non dovesse finire mai. Avevano insistito, nonostante fosse richiesto il loro supporto sul fronte principale, finché le forze l'avevano permesso. Purtroppo, il suono del corno si era spento poco a poco, fino a cessare del tutto, parecchie ore prima del tramonto.

Gandalf sapeva dove andare a cercare la Regina. Lei gli aveva rivelato di aver scoperto un passaggio segreto scavato dai nemici per sorprendere gli alleati alle spalle: la sua intenzione era stata quella di sabotare il passaggio e chiuderlo il più in fretta possibile, prima di soffrire probabili conseguenze.

Evidentemente, il piano non aveva funzionato. Gandalf era inconsolabile:

- Mi dispiace...- continuava a ripetere, come una litania, con le lacrime agli occhi – Mi dispiace...-

Thranduil aveva cacciato un urlo così profondo da superare persino il tuono di un sopraggiunto temporale.

Come se la sua voce si fosse del tutto consumata, rimase muto e immobile, come senza vita, per giorni. Non dormiva, non mangiava, non rispondeva. Gandalf credette di vederlo giacere morto da un momento all’altro. Con quelle bende intorno all’occhio e alle spalle, inoltre, sembrava già mezzo avvolto in un sudario, come se la sua fine fosse segnata.

Per lo stregone, vederlo in quello stato era un grande dolore. Non resisteva più così a lungo al suo fianco: ogni tanto aveva bisogno di aria, di obiettivi nuovi, per non sentirsi inutile.

Durante una di quelle pause, decise di andare fino in fondo alla questione della Regina, sperando di poterne riportare a Thranduil almeno un frammento. Da quando il re si era risvegliato, nessuno aveva osato andare fin laggiù, dove la Guardia Elfica aveva evidentemente perso la vita.

Con un manipolo di soldati, Gandalf si era recato all’imboccatura del passaggio menzionato dalla Regina, non trovando altro che cenere. Nemmeno le armi erano rimaste intatte su quel campo. Tutto era stato travolto, annichilito, ridotto a brandelli, fino a rendere ogni cosa irriconoscibile o fin troppo simile a un pugno di polvere.

Avevano scavato, a mani nude, con il cuore in gola, in quei mucchi di macerie, sperando in un segno. Che non era arrivato.

Dopo un giorno e una notte di ricerche vane, anche la buona volontà di Gandalf aveva dovuto arrendersi di fronte al destino ineluttabile.

Della Regina non vi era più traccia.

Sconfitto, il mago aveva fatto ritorno al campo, dove aveva trovato Thranduil nell’esatta posizione in cui l’aveva lasciato. Sempre più abbattuto, Gandalf si era seduto accanto a lui, con la testa tra le mani, senza dire nulla.

Il re non l’aveva degnato di uno sguardo.

In quel momento, nella mente dello stregone aveva fatto capolino il ricordo di me, Legolas, da solo alla reggia di Boscoverde. La guerra era ormai finita, la vittoria celebrata e i morti compianti. Era ora di fare ritorno a casa, dove ancora albergava una piccola speranza.

Gandalf aveva appoggiato una mano sul braccio freddo di Thranduil:

- Non tutto è perduto per te, mio sovrano.- aveva detto, risoluto – Lo spirito di tua moglie sopravvive in vostro figlio Legolas. Devi prendertene cura.-

Sotto le dita, Gandalf avvertì un fremito di vita.

Il mio nome aveva scosso i fragili nervi di Thranduil, che solo in quel momento trovò il coraggio di distogliere lo sguardo dal cupo orizzonte per riportarli, dopo diversi giorni, sul volto di una persona. Di uno dei suoi più grandi amici.

- Legolas...- sussurrò, con una voce che non era la sua.

Sulla sua guancia si arrampicava e pulsava senza sosta il fascino del Male, incarnato da quella cicatrice rossastra, che l’avrebbe accompagnato per il resto della vita. Il ricordo di me, suo figlio, tuttavia, fu di fondamentale importanza.

Thranduil si riscosse, i suoi occhi ricominciarono a dardeggiare come era loro abitudine; poi si alzò di scatto. Gandalf ebbe l’impressione che lo spirito del re fosse finalmente tornato nel loro mondo.

Anche lui si alzò:

- Sono ai vostri comandi, Re Thranduil.-

 

- Tornammo con quello che rimaneva del nostro esercito, attraversando la Terra-di-Mezzo a testa alta, orgogliosi di aver fatto la nostra parte. Non vedevo l’ora di rivederti: eri l’unica cosa che mi teneva ancora in vita. Non sapevo come ti avrei detto di tua madre, non sapevo se avresti capito. Se io ti sarei bastato. Non avevo niente di lei da poter conservare, da poterti recare in dono. Mi sentivo due volte colpevole per questo, per non averti portato indietro tua madre.-

Avevo le lacrime agli occhi. Mai, prima di allora, mio padre si era aperto così tanto nei miei confronti; mai una volta il suo scudo si era incrinato per lasciare trasparire questa storia.

Era un momento molto importante per entrambi noi.

- In verità, c’è una tomba.- riprese lui - Una piccola lapide simbolica che ho fatto piantare in mezzo al bosco. Ti permetterò di andare a vederla.-

Ero senza parole. Per tutto quel tempo avevo creduto che fosse impossibile per me avere pace, che i miei occhi avrebbero dovuto guardare il cielo senza mai sapere dove fermarsi…

Ora invece mi veniva confessato che c’era un modo per fermare il mondo che vorticava, c’era una pietra miliare sulla quale potevo sedermi e piangere.

Il mio viaggio era forse servito a farla comparire.

Non sapevo se essere contrariato o sollevato. Nel dubbio, preferii tacere e rimandare la sentenza a più tardi, quando mi sarei sentito di nuovo lucido. Ora come ora, erano troppi i sentimenti che mi si agitavano dentro, e non sapevo come fare a gestirli.

Dopo diversi minuti di silenzio, in cui si sentirono solo tintinnare i coltelli dei servitori che tagliavano la carne arrostita, riuscii a staccare il pensiero dal racconto di mio padre. Anche se ero ancora scosso, mi balenò per la mente un’altra questione che avevo lasciato in sospeso – la quale, in effetti, mi pareva molto più abbordabile rispetto alle recenti rivelazioni.

Ora avevo la possibilità di chiuderla per sempre.

- Dov’è Tauriel? Ho bisogno di parlarle.- chiesi.

In tutto quel tempo, stranamente, non avevo quasi mai pensato a lei. Anche adesso, mi veniva difficile. Non mi pareva vero di essere riuscito a segregarla in un angolino della mia mente, ma così era stato. Non l’avevo dimenticata, questo no, tutto il contrario: sapevo che prima o poi me la sarei ritrovata davanti e avremmo dovuto chiarirci. Ma mi sentivo pronto ad affrontarla, e questa era già una grande vittoria.

Mio padre fece una smorfia afflitta. Cercò di sfuggirmi, muovendosi nervosamente sulla seggiola, calamitando gli occhi a qualsiasi cosa non fossero i miei.

Poi finalmente si decise a dirmelo:

- Tauriel è morta.- biascicò piano, come se il dolore ancora gli avvolgesse la gola.

Cosa?!

- Cosa?!- ripetei.

- E’ morta, Legolas. Un po’ di tempo fa. Mi dispiace.-

Mi mancò il fiato. Una grossa goccia di sudore mi solcò il viso, confondendosi presto con le altre che già invadevano il mio collo, sotto i vestiti. Ogni dettaglio di quella scena mi è rimasto impresso, come amplificato, per molti anni di seguito. Soprattutto, la sensazione di stare soffocando.

Mollai di colpo la selvaggina che stavo mangiando e allontanai il piatto:

- Che cosa è successo?!- proruppi.

Thranduil sussultò. Poi sospirò eloquentemente. Descrisse i fatti con un’acutezza che ancora ricordo:

- Credo non fosse in grado di sopportare l’idea di aver perso il suo amore, il nano Kili. E anche, forse, di aver spezzato l’amicizia con te, il vostro fragile equilibrio. Suppongo.-

Non potevo crederci. Le sue parole lasciavano intendere che Tauriel avesse compiuto il più ignobile e codardo dei gesti, da sola, magari nella sua stessa camera. Non potevo credere a una simile versione dei fatti.

Tauriel era una vera guerriera, non riuscivo a capire come avesse potuto farsi sopraffare a quel modo.

- Lei...si è tolta la vita?- boccheggiai.

Mio padre il re scosse la testa:

- Che cosa importa ora?-

Mi infiammai all’istante:

- Me lo dici così, come se si trattasse di una qualsiasi altra cosa?!-

Un’antica rabbia si risvegliava. D’un tratto tornavo di nuovo con la mente al momento in cui mio padre si metteva contro Tauriel, la minacciava con la spada, incolpandola di tradimento. Le aveva mai veramente voluto bene? Se non ci fossi stato io a salvarla, non so come avrebbe potuto andare a finire.
Per questo faticavo a credere al suo dolore.

- Noi abbiamo avuto tutto il tempo per piangerla. Ora quel tempo è lontano.- tagliò corto il re.

- L’hai mai amata, padre?- lo provocai.

Thranduil si inalberò:

- Me lo chiedi dopo 600 anni che l’ho nutrita e protetta? Dopo averla celebrata con tutti gli onori e aver appeso drappi neri alla reggia per lei? Dopo aver pianto notti insonni per lei? Manca anche a me, che cosa credi?-

Mi sentii in colpa. Forse l’avevo giudicato troppo duramente; pretendevo troppo, come mi ricordava Aragorn qualche volta. Avrei dovuto essere più indulgente, verso me stesso come verso gli altri. Compreso mio padre.

Il discorso mi aveva fatto passare tutta la fame, non ancora del tutto soddisfatta. Anzi, mi sentivo scombussolato, come se il cibo dovesse tornare indietro, fuori dalla mia bocca.

- Non riesco a cenare.- mugugnai.

- Suvvia, Legolas. Mangiare e bere sono i primi passi per risolvere questo genere di problemi. L’autodisciplina, Legolas, è ciò che torna più utile in questi momenti. Mangia, ora.-

Lo fissai, esterrefatto. Davvero non capivo come fosse capace di restare così distaccato, non lasciar trapelare il benchè minimo subbuglio. Il suo, doveva esser stato un allenamento duro, negli anni, costantemente contrapposto alla sofferenza continua, senza mai lasciarsi attraversare, ma combattendola come un valoroso paladino fa, magari sapendo di non poter vincere, ma continuando a provarci fino alla morte.

Lui era già stato al mio posto. Aveva già provato un tormento simile per la sua Regina. Si era costretto a mangiare, a bere, a badare a me, per non pensare. Per non perdere la testa. Per non perdere il controllo e il favore dei sudditi. Perchè se lui fosse crollato, il regno stesso sarebbe crollato. Era uno strazio che non aveva potuto permettersi.

Non aveva lasciato il tempo di decantare neanche il ricordo di mia madre.

Era tutto così disumano.

- A volte vorrei essere come te: tu riesci a distinguere così bene le questioni veramente importanti e ad affrontarle senza vacillare.- abbaiai con la precisa intenzione di colpirlo, per un attimo di nuovo rabbioso.

Ma me ne pentii quasi subito.

Potevo solo immaginare quante volte rischiava di finire nel baratro.

Thranduil mascherò la sua ombrosità dietro a un pezzo di carne:

- Ho imparato anch’io, con tutto ciò che ne deriva. Questa è stata la tua prima esperienza e spero non sarà l’ultima. Solo così potrai crescere.-

Ci fu un silenzio pesantissimo, che mi lasciò impietrito. Mio padre continuava a mangiare e tracannare sidro, spiandomi di tanto in tanto, ma senza più obbligarmi ad imitarlo. Mi sembrava di vivere in un’altra dimensione, come se fra noi si fosse improvvisamente aperto uno spazio, un vuoto incolmabile. Un altro.

Mi sentivo terrorizzato al solo pensiero di trovarmi di nuovo solo contro un destino ostile. Avevo bisogno di allungare una mano, sapere che qualcuno era con me, in quel momento: il più vicino era proprio re Thranduil.

Soppesai attentamente le sue parole. Solo attraversando il dolore, la crescita poteva essere possibile. Occorreva quindi cominciare da qualche parte e chissà, forse a suo modo mi stava tendendo una mano.

Fissai il mio piatto ancora mezzo pieno. Il solo pensiero di cenare mi dava il voltastomaco, ma qualcosa mi disse che dovevo farlo. Quindi riavvicinai la pietanza e mi sforzai di mangiare, senza dire una parola.

Vidi che Thranduil se ne compiaceva.

- Parlami del Dùnadan.- cambiò discorso.

Non sapevo da che parte iniziare. Inoltre, parlargliene adesso sembrava terribilmente fuori luogo. Immaginai che l’avesse fatto apposta per distrarmi dal vero problema.

Come era nel suo stile.

Ma anche io avevo bisogno di quella distrazione, quindi accettai la sua proposta.

Gli raccontai delle avventure insieme a Aragorn, omettendo dovutamente qualche particolare. Ad esempio, non gli raccontai della mia ferita causata dalla freccia avvelenata, né di essere quasi morto. Sono certo ne fosse già a conoscenza, in un qualche modo, ma non osò chiedere lumi o dettagli. Forse sarebbe stato troppo anche per lui.

Gli snocciolai tutta la confidenza che mi aveva fatto Aragorn sull’antica stirpe di Nùmenor, la sua infanzia e la sua conoscenza di Re Elrond di Gran Burrone. A quel punto notai che a mio padre era scappato un sorrisetto sotto i baffi.

- Sapevo che vi sareste trovati d’accordo.- mormorò.

La sua considerazione mi colse del tutto impreparato.

- Tu lo conoscevi già?-

Il suo sorriso si fece più ampio.

- Ho avuto il piacere di conoscerlo a Gran Burrone, durante una visita a re Elrond, tempo fa. Molto tempo fa. I giorni erano ancora chiari. Mi piaceva viaggiare, una volta, anche se ho cavalcato sempre più raramente. Elrond mi raccontò tutto della sua famiglia. Ora i tempi sono maturi e lui deve prendersi la sua parte di storia. L’impero degli Uomini rinascerà presto con lui, nel Sud.-

Pausa.

- C’eri anche tu.- aggiunse poi.

Rimasi di stucco. Non solo per il fatto che mi avesse fatto compiere quel viaggio sapendo in parte le risposte alle nostre incertezze, ma anche perché mi stava dicendo che io e Aragorn avevamo già percorso un pezzo di strada assieme.

- Non lo ricordo.- mormorai.

- Lo ricordo io.-

Ripensai a tutte le volte che avevo avuto l’impressione di condividere con Aragorn molto più di quello che era concesso vedere con gli occhi.

- Quindi io e lui ci siamo già incontrati?- indagai.

Stentavo a crederci.

Mio padre scosse la testa:

- No, non vi siete incontrati. Tu eri troppo interessato a tutto e lui stava sempre a studiare con i suoi lettori. L’ho visto perché è entrato nella stanza mentre parlavo con re Elrond. Tu eri stanco, eri andato a riposare.-

Quell’inattesa rivelazione aveva rimescolato tutto il mio sangue. Non solo per via di Aragorn, ma anche e soprattutto per il fatto di essermi reso conto che una volta la mia famiglia era stata molto diversa.

- Non abbiamo viaggiato spesso al di fuori di Bosco Atro.- appuntai.

- Io sto bene qui.- spiegò Thranduil - Non ho bisogno di fare le moine ad altri sovrani. Né ho bisogno che loro ne facciano a me. Quella è stata una visita dettata dal buonsenso, non dalla mondanità.-

- Di cosa si trattava?- volli sapere.

- Di cose da adulti. I tuoi occhi erano ancora vergini di tante cose.-

- Ma ora non lo sono più, padre.-

Thranduil sorrise mestamente, osservandomi con una strana dolcezza:

- E’ vero - disse – ma secondo me non sei ancora pronto ad affrontare certe battaglie.-

- Mi stai sottovalutando?-

- Al contrario. Ma ogni cosa ha il suo tempo. Le regole sono regole.-

Mi stava deliberatamente provocando? Ma perché? Si divertiva cosi tanto?

Aveva fatto così tutta la vita. Aveva forgiato il mio carattere con queste frasi, questi doppi sensi. E anche se mi aveva insegnato tutto il resto - a stare dritto sulle gambe, a tirare con l’arco - ciò non cancellava il profondo disgusto che provavo quando si comportava da perfetto sconosciuto.

- Per una volta, non potresti fare un'eccezione?- chiesi.

- No – rispose secco - Quando sarà il tuo momento, quando sarai re, farai valere la tua legge. Ora vige la mia.-

Di nuovo, ero rimasto senza parole. Il re non si mosse, non si sconfinferò minimamente. Continuò a mangiare senza guardarmi, come se si trattasse di una cosa qualunque. Probabilmente, per lui lo era.

Ma non per me.

Mi alzai e gli andai vicino, all’altro capo della tavola. Potrei giurare che per un momento si fosse chiesto che cosa mi spingesse a quella familiarità: un lampo nei suoi occhi gli aveva colorato per un attimo il viso. Non era pronto. Non era mai stato pronto, da quando mi ero fatto ormai adulto.

Gli poggiai una mano sulla spalla:

- Mi dispiace.- gli dissi, prima di scivolare via.

Avvertii le sue dita sfiorarmi prima di perdermi ancora una volta.











***N.d.a***
Ciaooo! Spero vi sia piaciuto questo lungo capitolone! L'ho scritto proprio con amore, cercando di non dimenticarmi niente, al contrario, renderlo indimenticabile! Qualche nodo qui finalmente si scioglie, e spero di avervi sorpreso con qualche colpo di scena! Non è finita qui: ancora un po' è rimasto da dire, ma verrà svelato nei prossimi capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate grazieeeee
Buona estate e spero in compagnia dei miei racconti :)))

 

  
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