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Autore: BlueBell9    18/07/2022    5 recensioni
«Mi stai chiedendo se sarei capace di uccidere? [...] Domi, in determinate situazioni, chiunque sarebbe in grado di farlo» osserva assennato.
«Non io» ribatte lei, svelta e implacabile. «Non potrei mai» decreta certa.
«Oh, davvero?» replica Lance, scettico, piegando il capo e fissandola con un’aria derisoria. «Se ti portassero via tuo fratello, non avresti la tentazione di farlo?» le fa notare crudo. «Se Louis venisse ferito a morte, dissanguandosi tra le tue braccia mentre ti supplica di aiutarlo, tu non vorresti vendetta? Non vorresti farla pagare a quel bastardo che te l'ha portato via?» insiste testardo.
Dominique deglutisce, cercando di scrollarsi di dosso quella paura agghiacciante.
«E quello che faresti all'assassino di Bohort?» chiede con un filo di voce. 
[...]
«Se qualcuno facesse del male a Louis, anch'io vorrei la sua testa» ammette con una certa riluttanza, perché non è facile venire a patti con quella parte di oscurità che sente dentro di sé. È molto più semplice fingere che non esista. «Ma…» si interrompe, incapace di proseguire.
«Non sai se saresti capace di andare fino in fondo?» le viene in soccorso lui, benevolo.
«Forse non voglio saperlo» biascica Dominique, angosciata.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Someone you loved '
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6 os

Attenzione: questa os fa parte della serie Someone you loved. Consiglio di leggervi prima quelle precedenti, altrimenti la compresione sarà difficile.
Non mi scuso nemmeno più per il papiro perché, ahimè, non ho il dono della sintesi. 










Quello di cui si ha bisogno









«Te lo devo dire» esordisce Lance, spassionato, nel momento in cui, voltando appena il capo, l’ha vista comparire all’interno dello spogliatoio di Quidditch. «Questa tua ossessione nei miei confronti sta raggiungendo la soglia dello stalking» ironizza, chiudendo la cerniera dei pantaloni della divisa scolastica.
Dominique sorride, senza preoccuparsi di celare il divertimento.
«Non mi sono svegliata all’alba per te» precisa leggera, avanzando nel locale e cercando di ignorare che l’altro sia a torso nudo e con la pelle e i capelli umidi di doccia. Sa che è andato a correre nel parco del Castello, un allenamento che avviene tre volte la settimana, per poi ritirarsi nello spogliatoio così da lavarsi, indossare abiti puliti e presentarsi in Sala Grande per la colazione. «Avevo un lavoro da fare di Pozioni» svela esasperata, storcendo il naso con disappunto al pensiero che è ancora in alto mare con quel progetto che la sta ossessionando. Se si escludono i sentimenti che provava per il Serpeverde che le è di fronte, ovviamente. Anche quelli occupano parecchio spazio nel suo cervello e le portano via il sonno. «Ho riflettuto sul tuo problema» proclama spiccia.
Lance inarca le sopracciglia, sbigottito.
«Il mio problema?» ripete beffardo ma con una punta di palese disorientamento, fermandosi dal recuperare la camicia candida dalla borsa di cuoio per poterla scrutare con due attenti e gelidi occhi azzurri.
Lei annuisce, diligente.
«Gli incubi» spiega coincisa, frugando nella tracolla che ha sulla spalla destra e ignorando la confusione balenata sul viso dell’altro. «Il fatto che tu non voglia assumere una Pozione Soporifera incasina tutto» precisa infastidita, rifilandogli uno sguardo malevolo. «Direi che la soluzione più rapida che ci resta è la Pozione Niente Sogni» termina pratica, tirando fuori diverse fiale contenenti un liquido verdastro.
Lance rimane un attimo perplesso, prima di corrugare la fronte.
«Ci?» sottolinea scettico.
Dominique annuisce, spazientita.
«Magari non te lo ricordi ma hai quasi rischiato di strozzarmi» ritorce risentita, serrando gli occhi azzurri e alzando il mento con arroganza. «E, se non ti spiace, io ci terrei ad arrivare ai G.U.F.O. viva» puntualizza inacidita, sistemandosi con stizza una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio.
«Avevo preso in considerazione l’alcol come ultima spiaggia» ammette lui, tranquillo, scrollando le spalle. «Almeno sarei stato sicuro di non svegliarmi di nott-»
«Bravo idiota» lo blocca lei, incollerita, scandendo con enfasi quelle due parole. «Poi ti voglio vedere alle lezioni della mattina» ironizza velenosa, alzando le iridi al soffitto con esasperazione e facendogli cenno di prendere quelle dannate provette.
Lance socchiude appena le palpebre. 
«Perché lo stai facendo?» domanda guardingo, senza smettere di fissarla con un tale sguardo che la sta seriamente mettendo in difficoltà.
Dominique aggrotta la fronte, confusa. 
«Forse perché devi riposare?» replica con naturalezza.
«Non è quello che intendevo» ribatte lui, risoluto, il viso indecifrabile. «Dovresti essere terrorizzata: ti ho messo le mani addosso» spiega eloquente.
Lei deglutisce, inquieta, perché ad un tratto sente di nuovo intorno al collo quella morsa ferrea dell’altra notte, capace di mozzarle il fiato e comprimerle la trachea. E la paura torna a scorrerle nelle vene, facendola tremare appena davanti a quelle iridi gelide. 
«Non eri in te» biascica a fatica, abbassando il capo. «E voglio aiutarti» sostiene impacciata.
«La domanda resta la stessa: perché?» chiede lui, circospetto.
Dominique prende un profondo respiro, incamerando aria nei polmoni così da calmarsi. 
«Perché forse hai ragione quando dici che non ti conosco» ammette controvoglia, con una punta di esitazione perché consapevole di muoversi su un terreno minato. «Ma penso di averti capito abbastanza per sapere quello che non sei» dichiara quando torna a incrociarne lo sguardo.
Lance arcua un sopracciglio, quasi con scherno. 
«E che cosa non sarei?» indaga distaccato, in attesa. 
«Un mostro» risponde lei, all'istante e senza ombra di dubbio. «McLaggen è un idiota» decreta implacabile, alludendo a tutte quelle stronzate che il compagno di Casa va in giro a blaterare e che le fanno venire voglia di lasciargli l’impronta di cinque dita su una guancia. 
Lo vede rimanere impassibile, poi, all’improvviso il suo viso si ingentilisce e sulle sue labbra spunta un sorriso quasi dolce. Le viene d’istinto ricambiare, sorridendo a sua volta, perché le piace da morire quando fa così.
«Onorato di sapere che mi preferisci a un Grifondoro» ironizza lui, accettando le fiale contenenti quella pozione che spera gli donerà un sonno sereno.
Sì, anche la sua versione stronza non è male ma quel sorriso, quando la guarda in quel modo, le provoca una fitta all’altezza dello stomaco e le gambe molli.
Trattiene il respiro, il volto improvvisamente rigido quando una strano formicolio le si genera sui polpastrelli, mettendola in guardia su quello che succederà tra un istante.



Il pavimento è composto da pietre piatte e lisce, coperto da uno spesso strato di polvere. La luce è fioca, proveniente dalle poche fiaccole presenti alle pareti.
L’aria sa di chiuso e di umidità, rendendola sgradevole e pesante.
Un uomo giace riverso a terra, sdraiato a pancia in giù. Non riesce a vederne il volto, dato che ha la testa china verso le pietre ma lo sente chiaramente piagnucolare.
«Ho commesso degli errori» singhiozza con la voce spezzata, scosso e terrorizzato. «Ma non sono più quella persona» assicura quasi con disperazione.
Si rende conto della presenza di altre due figure, in piedi a pochi passi da lui, ma sono una visione talmente sfuocata, immerse nell’oscurità di quel luogo, che non riesce proprio a metterle a fuoco.



È l’emicrania che la scaraventa di nuovo nel presente, nello spogliatoio di Quidditch.
Dominique si porta le mani alle tempie, chiudendo gli occhi e sentendo il cuore in gola per l’agitazione. 
Percepisce ancora la sensazione di terrore di quell’uomo strisciarle addosso, sulla pelle, quasi fosse la propria.
Scuote la testa e, dopo l’ennesimo respiro profondo, si decide a sollevare le palpebre.
Si ritrova davanti Lance, che probabilmente deve essersi avvicinato mentre la Vista le donava quelle immagini sgradite. Ha la fronte appena corrugata, gli occhi azzurri che la scrutano con attenzione ma senza il disgusto che si sarebbe aspettata.
«Sto bene» farfuglia brusca, anticipandolo, deglutendo saliva e amarezza. 
«Stai tremando» le fa notare lui, piatto. «Ti riducono sempre così?» indaga quasi premuroso.
Dominique aggrotta la fronte, nascondendo la vulnerabilità dietro la rabbia. 
«Che cosa?» chiede sgarbata. 
«Le visioni» risponde Lance, impietoso, provocandole una fitta di pura agitazione che le scuote le membra. «Sei una Veggente, no?»
«Ti sbagli» scatta irosa, in un guizzo repentino, il panico che la porta ad attaccare per difendersi. «Non lo sono» nega con l’aria di chi sta sfidando l’altro a contraddirla per darle giusto il pretesto per iniziare una guerra sanguinosa.
Stranamente Lance non ribatte, non solleva nemmeno un sopracciglio. Si limita a fissarla con un’espressione impenetrabile.
Dominique quasi sbarra gli occhi quando lo vede colmare quella distanza che li separa, portandosi esattamente davanti a lei. 
Nonostante gli strascichi d’angoscia appiccicata addosso e il respiro affannoso, fa forza su se stessa per aggrapparsi a tutto il suo coraggio per non abbassare lo sguardo, fronteggiandolo con un ardimento che qualcuno considererebbe folle e insensato.
Quando l’altro alza una mano per scostarle il colletto della divisa e le punta la bacchetta all’altezza della giugulare – lei nemmeno si è accorta che l’aveva tra le dita, forse l’ha presa quando aveva la vista inibita –, sente una brezza leggera e fresca contro la pelle.
«Non mi piace vedere dei lividi su di te» spiega lui, lapidario, riferendosi a quelle impronte violacee che le ha lasciato sul collo. Quando riabbassa la mano, tentenna un momento, indeciso. «Grazie. Per l’altra sera» puntualizza genuino, davanti al suo smarrimento.
Dominique sente l’imbarazzo infiammarle le guance.
«Non ho fatto nulla di che» si schernisce impacciata, perché ripensare a quell’abbraccio e a quello che ha dedotto sui suoi sentimenti, è qualcosa che fa ancora fatica ad accettare.
Lance piega le labbra in quel suo sorriso invitante.
«Finisco di vestirmi e ti riaccompagno al Castello» si offre, stranamente gentile, facendole annodare lo stomaco. «Hai bisogno di mangiare qualcosa: sei sul punto di svenire da un momento all’altro» deduce accorto e intransigente.


*


«Ehi».
Lui si immobilizza, dopo che ha messo piede nella Sala Comune di Serpeverde e la parete di pietra si è chiusa alle sue spalle.
«Sei andato a correre?» domanda Egle, svagata, seduta composta su uno dei divani in pelle presenti nella stanza e con già la divisa scolastica addosso.
«Come mai già sveglia?» replica incolore, restando fermo dov’è.
«Volevo ricontrollare gli appunti prima delle lezioni» illustra lei, diligente. «E poi speravo di poterti parlare» confida benevola. «Ultimamente sei sfuggente» butta lì, fingendo casualità, spostandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio.
Lance scrolla le spalle con noncuranza. 
«Ho tante cose per la testa» liquida rapido. 
«È per questo che non riesci a dormire?»
«Te lo ha detto Jude?» domanda lui, guardingo, la voce e gli occhi improvvisamente gelidi. 
«Sì vede» risponde Egle, alludendo alle sue occhiaie. «Lance, dovremmo poterne parlare di quello che è successo a Hogsmeade» afferma, chiudendo il libro che ha tra le mani e infilandolo nella tracolla, prima di alzarsi dal divano e avvicinarsi. 
«Sto bene» sostiene asciutto. 
«No, non è vero» lo contraddice lei, piano, delicata quando gli è di fronte. «Che cosa è cambiato?» domanda stremata. «È da quest'estate che mi tieni a distanza» sottolinea desolata. «È per il fidanzamento? Tuo padre non è più dell'idea di proseguire?» tenta di capire, preoccupata. 
«No» assicura Lance, all'istante. «Questioni di famiglia» minimizza rapido. «Nulla di cui tu ti debba preoccupare».
Egle fa una smorfia, lasciandosi scappare anche un sorriso per nulla divertito.
«Un modo carino per dirmi di stare fuori» traduce amareggiata, con chiara delusione. «Non mi piace quello che stiamo diventando» lo mette in guardia, anche se non c’è reale minaccia a colorarle la voce.
Lui rimane impassibile, il volto indecifrabile. 
«Ovvero?» indaga distaccato, sulla difensiva. «Non farti scrupoli: dillo» la sfida tagliente. 
«Degli estranei» risponde lei, schietta, per nulla turbata dal tono dell’altro. «Una volta ti fidavi di me» ricorda afflitta, piegando le labbra verso il basso. 
«È ancora così» insiste Lance, cocciuto
«Vorrei crederci anch'io» sussurra Egle, amabile, facendogli una carezza leggera sulla guancia, prima di superarlo per recarsi a fare colazione.
Lui resta fermo, lì, nella Sala Comune. A malapena si rende conto  allo sciame di studenti che iniziano ad abbandonare i Dormitori per recarsi nella Sala Grande, perché dei pensieri foschi e delle sensazioni sgradevoli continuano ad ossessionarlo, facendogli temere i probabili risvolti di quel piano che insiste nel portar avanti. 
«Salazar, no!» esclama Jude, esasperato, provocandogli un lieve sobbalzo e riportandolo nei sotterranei del Castello. «La conosco quella faccia: sei sull’incazzante andante» sentenzia saputo, avvicinandosi e lasciandogli un’occhiata di sbieco. 
«Quello che dici non ha alcun senso» afferma Lance, quasi con disappunto, precedendolo fuori dalla Sala Comune, nel corridoio che porta al piano terra.
«Nel judervese significano che sei a tanto così dal fare una strage» spiega il cugino, acuto, alzando una mano e indicando una distanza tra pollice e indice di due centimetri scarsi. «Cerchi di trattenerti e accumuli rabbia finché non esplodi. E succede solo per un motivo» continua eloquente, simulando un’espressione di grande saggezza e pazienza. «Avanti, dimmelo: che le hai fatto?»
Lui lo fulmina con uno sguardo raggelante. 
«Perché dai per scontato che sia sempre colpa mia?» domanda indispettito a morte. 
«Perché lei è fantastica e tu uno stronzo» risponde l’altro, quieto, come se fosse qualcosa di universale. «E, se proprio vuoi saperlo, lo trovo ingiusto» si premura di aggiungere, facendo una smorfia scontenta e infantile. 
«Che cosa?»
«Che alle fighe piacciano quelli come te» illustra Jude, contrariato, aggrottando la fronte. «Forse dovresti dirle la verità» si lascia sfuggire titubante, a bassa voce. 
«No» decreta Lance, irremovibile, inchiodandolo con quelle iridi gelide che non ammettono obiezioni. «Egle ne deve star fuori» stabilisce ferreo, nel momento in cui stanno salendo le scale. 
«Anche a costo di perderla?»
Lance serra la mandibola, cercando di ignorare la realtà di quell’osservazione. 
«Non succederà» sibila tra i denti, sperando di convincere anche se stesso. 


*


«Mattiniera».
Dominique, a quella constatazione, incrocia le iridi altrettanto azzurre del cugino, in piedi dietro di lei.
«Non riuscivo a dormire» minimizza, sperando che l'altro non noti la sua pelle più pallida del solito e quel tremore che non le ha ancora abbandonato le dita.
«L'altra sera non sei tornata in Sala Comune» osserva quello, distratto, prendendo posto al suo fianco alla tavolata di Grifondoro. 
Lei scrolla le spalle, simulando serenità. 
«Avevo bisogno di silenzio per terminare i compiti» si giustifica vaga, accettando con un moto di gioia la tazza di tè che lui le offre e aggiungendoci due zollette di zucchero. «E sai quanto Scarlett possa essere fastidiosa quando si fissa con un ragazzo» scherza spensierata, arricciando il naso con un velo di fastidio, alludendo al periodo in cui l’amica si era follemente innamorata di lui.
Etienne annuisce, esibendo un sorriso gentile.
«Non li ha più» osserva lieve. 
«Che cosa?»
«I lividi sul collo» spiega suo cugino, con una delicatezza che stona con l’esplosione che le è detonata dentro, facendola sussultare e assumere un’espressione tesa e preoccupata. «È stato Rosier, vero?» indaga perspicace, continuando a fissarla con due occhi gelidi che le scavano dentro, con quel fare che sembra sapere già ogni cosa e che quindi spinge l'interlocutore a non mentire, onde evitare di fare la figura dell’idiota. 
«Non voleva» butta fuori, d’impeto, sentendo il bisogno di difenderlo e appoggiando sul tavolo la tazza che ha rischiato di scivolarle via dalle mani tremolanti. 
Etienne continua a esibire quel sorriso che rischia seriamente di metterla in crisi.
«È quello che ti ha detto?» chiede morbido, anche se c'è il ghiaccio dietro a quelle parole. «Che non voleva?» precisa scettico.
Dominique abbassa il capo, a disagio.
«Era spaventato a morte» si costringe a dire, articolando con fatica le parole. Si passa la lingua sulle labbra che sente secche, prendendo tempo. «Sta passando un brutto periodo» aggiunge, cercando di spiegarsi senza tradire quello che sa su Lance.
Non crede che gli farebbe piacere se venissero sbandierati in giro i suoi fatti privati.
Già immagina che non deve essere stato facile aprirsi per raccontarle di Bohort. Commettere un simile passo falso, tradire i suoi segreti, sarebbe il modo per giocarsi definitivamente quel minimo di fiducia che si è faticosamente conquistata. 
E il Serpeverde le sembra il tipo che porta rancore fino alla morte e che non dimentica un’offesa manco a pagarlo.
«Per via di quello che è successo a Burke?» indovina lui, sveglio, spezzando quel fiume di pensieri e riportandola alla confusione della Sala Grande, fatta di ciarle e via vai di gufi, alludendo a quello che è successo a Hogsmeade.
Lei annuisce, deglutendo ansia e saliva.
«Anche» risponde senza sbilanciarsi, sforzandosi di bere il suo tè per calmare i nervi. «Non posso dirti di più» si scusa, abbozzando un sorriso sincero.
«Lo capisco» assicura Etienne, amabile, le iridi che diventano più calde e radiose. «E apprezzo la tua lealtà ma non posso fare a meno di essere preoccupato» confessa con il viso che si incupisce per il tormento. «Ha stretto abbastanza da lasciarti i segni» spiega amaro, dando voce ai suoi pensieri.
Dominique fa un respiro pesante, annuendo.
«Lo so» bisbiglia con un filo di voce, ripensando di riflesso a quella sera, al volto stravolto di Lance e alla sua mano che si serrava con forza intorno alla sua gola. «Ma si è scusato» aggiunge mite, rivelando quello che è successo poco prima. 
L’altro annuisce, scostandole una ciocca di capelli ramata dalla faccia e accarezzandole la guancia con dolcezza. 
«Sta peggiorando, eh?» mormora affettuoso, con una punta di ironia, alludendo a quella cotta che ha per Lance e di cui gli ha parlato.
Lei si sente arrossire per l’imbarazzo, abbassando per un momento le ciglia con un guizzo di candore, perché confessarlo proprio a Etienne, tra tutti, non è facile.
«Si nota così tanto?» ritorce svagata.
Lui ridacchia, allontanando la mano per afferrare un paio di brioche fumanti dal piatto dorato che è appena salito dalle cucine per metterle nei loro.
«Parecchio» commenta diretto, rivolgendole un sorriso complice e malizioso.
Dominique addenta il dolce, masticandolo con lentezza così da assaporarlo meglio.
«Quindi?» chiede, infine, simulando indifferenza. «Non mi dici di lasciar perdere?» indaga bizzosa. 
«Sarebbe inutile» afferma Etienne, sicuro, sbalordendola. «Ti porterebbe a fissarti ancor di più su Rosier. Il pugno duro con gli adolescenti è controproducente, li spinge a ribellarsi per il puro gusto di farlo» spiega saputo, scrollando il capo con eloquenza. 
«Non darti troppe arie» lo blocca lei, fingendosi indignata anche se dentro è raggiante. «Ti ricordo che sei un adolescente anche tu» sottolinea risoluta, inarcando le sopracciglia.
Suo cugino annuisce, appoggiando la sua brioche sul piatto di fronte a sé così da bere un sorso di tè. 
«Ma sto quasi per entrare nell’età adulta e credimi» conviene accorto, per nulla rattristato che questi siano gli ultimi mesi che trascorrerà all’interno del Castello. A lei invece viene il magone perché non riesce a immaginare Hogwarts senza l’altro. Vuol dire niente più consigli, chiacchiere spensierate e risate che coinvolgono anche Louis, mettendo una certa distanza dal resto del mondo e creando un angolo di paradiso che nessuno può minacciare. «Da questa prospettiva hai un’altra visione delle cose» riprende altezzoso. Quando torna a voltare il capo nella sua direzione, si accorge all’istante che si è fatto serio. «Permettermi solo di darti un consiglio: non farti accecare dai sentimenti che provi. E ricordati che lui è fidanzato con un'altra e non la lascerà» sostiene perentorio, con una tale sicurezza che la spaventa, lanciandole uno sguardo azzurro e significativo. 
Non la lascerà per te, è quello che non ha detto ma che sottintende.
«Immagino di no» commenta Dominique, incolore, anche se si sente bruciare per la delusione che le provoca quell’ipotesi sensata. «Non è stupido. Insomma, chi non vorrebbe divertirsi con due ragazze invece che con una?» scherza briosa, cercando di suonare ironica.
Etienne abbozza un sorriso cortese.
«Domi, lo ha capito» la mette in guardia, acuto.
«Che cosa?»
«Che ti stai innamorando di lui».


*


«Eri a Hogsmeade il giorno dell’attacco».
«Come molti altri studenti».
Ma gli altri non hanno alle spalle una famiglia con una storia così oscura, vorrebbe rispondere Ron, con spregio, la bile in bocca. Due Mangiamorte e chissà quanti altri seguaci di Voldemort, anche se non dichiarati. E lui non se ne vergogna neppure!
Tuttavia questi pensieri non gli sfuggono dalla lingua, nonostante premino per venir fuori. Deve ammettere che l’espressione irritante dell’altro – le labbra piegate quasi a deriderlo, gli occhi azzurri baluginanti di scherno –, stanno seriamente minando il suo autocontrollo.
Credeva di essere migliorato con l’età, invece nel momento in cui si è trovato davanti una copia di Malfoy – altrettanto Purosangue, altrettanto fastidiosa , è tornato a essere quel ragazzino irascibile a cui bastava un nonnulla per esplodere e arrossire di rabbia fin alle orecchie.
«Parliami di cosa è successo» ordina secco, senza la minima gentilezza.
Rosier, seduto dall’altra parte della scrivania nell’aula spoglia concessa dalla Preside per svolgere i colloqui – secondo Harry, definirli interrogatori sarebbe stato eccessivo e avrebbe scatenato polemiche da parte delle famiglie degli studenti –, non muta espressione, né tono di voce.
«Sono arrivati all’improvviso» racconta distaccato. «Hanno attivato delle barriere affinché chi si trovasse dentro gli edifici non potesse uscire a in strada a ostacolarli».
«E poi?» interviene Michael Corner, suo collega, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. «Che cosa hai fatto?» lo esorta analitico, affamato di dettagli.
«Ho cercato un riparo».
Ron lo fissa scettico.
«A me risulta che tu abbia affrontato un Purificatore» puntualizza con enfasi, storcendo il viso in una smorfia eloquente.
«Era sulla mia strada» precisa Rosier, piatto, per nulla allarmato e attenendosi alla sua storia. «E non l’ho affrontato» corregge lieve.
«No?» replica lui, ironico, inarcando entrambe le sopracciglia, con un tono che ha fatto innervosire molti sospettati. Invece il ragazzino rimane impassibile, come se fosse davvero innocente. Non ci crederò nemmeno tra dieci anni, sentenzia cocciuto. Quelli come lui hanno sempre qualcosa da nascondere. «So che l’hai messo fuori combattimento» sostiene secco, abbassando per un attimo gli occhi a rileggere la testimonianza di Jude Burke che ha redatto nel colloquio precedente, nero su bianco.
L’altro si lascia sfuggire un sorriso appena accennato.
«L’ho preso di sprovvista» sottolinea sarcastico, per nulla pentito di confessare quella strategia meschina. «Ci sarebbe riuscito anche uno del Quinto Anno» conviene modesto.
«Complimenti per il sangue freddo» commenta Ron, asciutto, il volto sempre più scuro. «Visto che poi sei anche uscito dal tuo rifugio» butta lì, studiando con attenzione la sua reazione. «Dominique ha detto che ti sei allontanato per una decina di minuti» dice, poi, rendendo più appetitosa l’esca, per vedere se si tradirà o meno.
Peccato che il ragazzo non vacilli nemmeno per un istante, mostrando un’espressione imperturbabile di chi crede davvero di non correre alcun rischio. 
«Stavo cercando aiuto» illustra stringato. «Mio cugino era ferito» precisa con una punta di sdegno, come se non si capacitasse che cosa ci sia di difficile nel comprendere qualcosa di così semplice.
Lui deve fare appello a tutto il suo autocontrollo per non sbroccare. 
«Lo sappiamo» ringhia tra i denti, la rabbia che fomenta per uscire. Non sopporta gli arroganti, non li ha mai digeriti! «Hai letto della morte di tre Purificatori?»
«Sì».
Eppure non batte ciglio quando li mette sotto il naso le foto di quei tre cadaveri che giacciono nelle viscere del San Mungo. Dalla ricostruzione investigativa, è stato scoperto che uno degli uomini è stato maledetto così da attaccare gli altri due prima di tagliarsi la gola con un Recido. Di quelli che ha colpito, solo uno è morto sul colpo, l’altro dopo una lenta agonia dalla quale i Guaritori non sono riusciti a salvarlo. 
Tre morti perché le barriere venissero annullate
, ha detto Harry, osservando con il volto storto in una smorfia pensierosa la lavagna dell’ufficio, dove hanno scritto i fatti salienti della giornata di sabato. Visto che non hanno catturato nessuno di quei terroristi, possono appigliarsi solo a mere congetture. Non è stato un caso, qualcuno ci ha aiutato dall’interno.
«Hai visto qualcosa mentre cercavi aiuto?» riprende Ron, fosco, per nulla contento di come la stampa e i genitori li stiano assillando da giorni, pretendendo risposte e rassicurazioni sull’incolumità dei ragazzi che frequentano la scuola.
Non può nemmeno biasimarli del tutto, anche lui è preoccupato. 
Rosier sbatte le ciglia un paio di volte, il viso sempre indecifrabile
«Fa prima a farmi la vera domanda» consiglia gelido, perdendo finalmente quell’aria sarcastica in favore di una più attenta.
A Ron quasi scappa un sorriso per quella piccola vittoria. 
«A Hogsmeade è stata praticata della Magia Oscura».
È da diverso tempo che non si ritrova tra le mani un caso nel quale è stato utilizzato l’Impero. Dopo la guerra e la cattura dei Mangiamorte fuggiaschi e di tutti coloro che avevano appoggiato il regime di Voldemort, non credeva che avrebbe affrontato di nuovo un caso così complesso.
Specie senza l’aiuto di Harry, dato che il suo ruolo da 
Capo Ufficio lo costringe a cercare di tranquillizzare l’opinione pubblica, assicurando tutti i cittadini inglesi che i colpevoli saranno presto assicurati alla giustizia. 
Non come l’ultima volta…
«È un’affermazione, non una domanda» sottolinea il ragazzo, incolore, strappandolo da quelle riflessioni deprimenti. 
«Ecco la tua domanda» scatta lui, imbufalito. «Sei stato tu?» pretende di sapere irato, sbattendogli sotto il naso l’immagine dell’uomo a cui è stata tagliata la gola e indicandogli la ferita con un dito
Rosier quasi si lascia sfuggire un sorriso, divertito.
«Ammesso che la conosca» ipotizza spassionato, socchiudendo appena gli occhi azzurri. «Perché avrei dovuto?» osserva razionale, inclinando la testa di lato.
«Tuo cugino era ferito e tu volevi aiutarlo» ricorda Ron, stizzito per quell’inversione repentina dei ruoli.
«Massacrando delle persone?»
«Non ti dispiace se ce ne accertiamo, vero?» interviene Michael, al suo fianco, esibendo un tono rassicurante. «La bacchetta» lo esorta benevolo, facendogli un cenno con il mento.
«No».
Lui strabuzza gli occhi chiari, sconcertato.
«Come?»
«Ho detto no» ripete quel piccolo stronzetto, fermo, piegando anche le labbra in una smorfia che sottolinea tutta la sua insofferenza per quell’interrogatorio che si sta tirando inutilmente per le lunghe. E ha ragione: non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. «A meno che non abbiate un mandato, e non credo, non la toccherete» decreta irremovibile.
«Razza d-»
«Ha ragione, è un suo diritto» conviene Michael, precipitoso, interrompendolo e evitandogli di scaricare addosso a quel Serpeverde insopportabile la sequela di insulti che si meriterebbe. Chi diavolo lo ha educato? «Ma tu vuoi aiutarci, vero?» continua dolce.
Il ragazzo lo fissa guardingo.
«Perché, sai, sarebbe più conveniente per te» riprende il suo collega, pratico, sorridendo cordiale. «È molto meglio essere esclusi subito dai sospettati» consiglia affabile.
«Ah sì?» sospira il Serpeverde, derisorio. «E cosa dovrei fare per convincervi che non c’entro nulla?» domanda attento, calcando con leggero spregio quell’unica parola.
Michael continua a sorridere mentre toglie da una tasca del mantello della divisa degli Auror una piccola ampolla di vetro. L’appoggia al centro del tavolo, facendo ondeggiare, a causa del movimento, il liquido trasparente che è contenuto all’interno.
«Veritaserum» deduce Rosier, all’istante, senza ombra di incertezza. Poi inclina il capo, guardingo. «Lo sa che questo lede i miei diritti, vero?» chiede sarcastico.
«Non se lo assumi di tua spontanea volontà» precisa Ron, furbo, intuendo la strategia dell’altro e desideroso di proseguire per quella strada. Piega le labbra in un sorriso di trionfo, pronto a gustarsi la vittoria. «E tu vuoi farlo, no?» butta lì, mettendolo alle strette.
Il ragazzo si trincera dietro un silenzio ostile e gelido. Non abbassa nemmeno per un istante gli occhi, continuando a trafiggerli con quelle iridi color ghiaccio.
«Come volete» concede, infine, distaccato, allungando una mano verso la boccetta.
Quella di Michael la blocca prima ancora che tocchi il vetro.
«Non è necessario» dichiara accorto, stupendoli entrambi e facendogli aggrottare la fronte per lo smarrimento. «È chiaro che ci hai detto la verità» sottolinea sveglio. «Puoi andare» lo liquida con un gesto della mano.
Rosier inarca le sopracciglia con quello che pare compatimento ma si guarda bene dal commentare quell’inversione di rotta. Si alza dalla sedia e sta per dirigersi verso la porta, le mani in tasca e la postura serena.
Ed è proprio quello che lo fa esplodere. 
«Solo una cosa» lo richiama belligerante, ignorando l’occhiata silenziosa del collega che lo invita a desistere dal suo proposito. «So che esci con mia nipote» afferma infastidito a morte.
L’altro, che si è voltato all’indietro per guardarlo, rimane impassibile.
«E?» lo sprona paziente.
«Non è un po’ troppo piccola per te?» osserva Ron, pungente, ad alta voce. «Lo sai che è minorenne?» attacca, assumendo un inquietante colorito violaceo.
Rosier sorride come il piccolo stronzetto che è, piegando le labbra in una linea che sottolinea tutto il suo divertimento. 
«Sono curioso di una cosa» inizia amabile, con un tono odioso fatto apposta per irritare. «È pratica comune per gli Auror trattenere qualcuno senza prove per oltre mezz'ora? Perché gli altri interrogatori sono durati quindici minuti scarsi» fa notare avveduto, guardando entrambi, uno alla volta. «Si potrebbe quasi insinuare che ci siano ancora dei pregiudizi» osserva leggero, quasi non ci sia una minaccia nelle sue parole.
Se lui non si sentisse afferrare per il gomito in una stretta ferrea, probabilmente non ci penserebbe due volte a alzarsi e dargli la raddrizzata che merita. È evidente che chi l’ha cresciuto non gli ha insegnato un minimo di rispetto ed educazione.
Invece deve costringersi a rimanere seduto e guardarlo uscire con quella sfumatura baluginante di compiacimento nelle iridi chiare.
«Dovevi fargli bere il Veritaserum» borbotta malevolo, rivolgendo al collega e amico uno sguardo risentito.
Michael scrolla la testa, scettico.
«Così da scatenarci addosso le ire dell'opinione pubblica?» commenta perspicace, facendo una smorfia. «Sai che suo padre è il Direttore dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale? E, credimi, Rosier senior non è uno che vorresti avere come nemico. Non si farebbe scrupoli a metterci davanti al Wizengamot, se scoprisse che abbiamo tentato di somministrare una pozione al figlio» riflette certo, appena esasperato. «Soprattutto perché avrebbe la legge e la ragione dalla sua parte. Nemmeno Hermione potrebbe salvarci, in quel caso» termina scontento, consapevole che anche il Ministro della Magia avrebbe le mani legate. «Per quanto non ti piaccia, Ron, non è stato lui. Dobbiamo ricominciare da capo» termina scoraggiato.


*


«Eravamo insieme» sbotta Dominique, esasperata, i capelli ramati scarmigliati. «Siamo sempre rimasti insieme» continua, mentendo senza problemi e continuando a scrutare malevola i due Auror. «Non avete di meglio da fare che farmi ripetere all'infinito la stessa cosa?» chiede caustica, stufa di quelle domande.
Zio Ron, le orecchie scarlatte, la fissa con rimprovero.
«Vogliamo solo essere sicuri di aver capito com'è andata» assicura infastidito.
«Bene, potete escludere Lance».
«Lance?»
Lei arrossisce e si morde la lingua, furiosa per aver commesso, a causa dell’impeto, quell'errore tanto grossolano.
«Ti frequenti con Rosier?» indaga lo zio, aggrottando la fronte con chiaro disappunto.
Dominique alza il mento, per nulla intimidita.
«Anche se fosse?» lo sfida bellicosa, sostenendo senza problemi lo sguardo carico di biasimo dell'altro. «Non vi riguarda» sentenzia brusca.
«Hai ragione» interviene Corner, conciliante, scoccando al suo collega un'occhiata di ammonimento. Quando torna a concentrarsi su di lei, esibisce un sorriso cortese e affabile che non le piace nemmeno un po’. «Quello che Ron voleva dirti è che ogni tua dichiarazione verrà messa a verbale, quindi abbiamo bisogno che tu sia il più precisa possibile» spiega pacato.
Sospetta che menta, deduce svelta, senza mutare la sua espressione altezzosa. Devo stare attenta. Non devo commettere passi falsi. 
«Dunque Rosier era con te» riprende l'Auror, posato, dopo un momento di pausa.
Lei annuisce, compunta.
«È così» conferma seccata. «Quindi non può essere stato lui a far fuori quei Purificator-»
«Per tutto il tempo?» la interrompe quello, placido, e, se possibile, quella tranquillità la preoccupa più del palese fastidio dello zio. 
Dominique si inumidisce le labbra, approfittando di quella manciata di secondi per elaborare una strategia. 
«Sì» scandisce sicura, senza abbassare gli occhi e mostrare un minimo di esitazione. «È uscito dieci prima che gli Auror arrivassero a Hogsmeade» aggiunge, scegliendo di rivelare quel piccolo dettaglio, consapevole che prima o poi verrà scoperto e dimezzando senza alcuna esitazione il tempo in cui sono stati separati.
Qualcuno di spaventosamente perspicace balugina negli occhi scuri di Corner, il quale annuisce per una manciata di istanti, prima di puntare lo sguardo in basso e fingere di rileggere i suoi appunti.
«E quando pensavi di dirlo?» interviene Ron, stizzito, storcendo il viso in un’espressione di rabbia.
«Sono stati solo dieci minuti» ripete lei, con veemenza. «Non poteva Smaterializzarsi all’interno di Hogsmeade. Non ha avuto il tempo materiale per arrivare dall’altra parte del villaggio» sottolinea velenosa, come se volesse insinuare che è un qualcosa che dovrebbero sapere.
«Questo fallo decidere a noi!»
«Come se sia o meno colpevole?» incalza Dominique, fomentata, senza badare al tono sgarbato della propria voce. «Tu vuoi che lo sia solo perché non ti piace» butta fuori arrogante.
Zio Ron freme, il viso che raggiunge un’inquietante sfumatura violacea.
«Noi ci atteniamo ai fatti» interviene Corner, accomodante, esibendo un sorriso rassicurante, evitando così di fare scoppiare una bomba in quell’aula. «Non abbiamo nessuna intenzione di incastrare qualcuno» dice benevolo, senza provocarle la benché minima fiducia. «Quindi non preoccuparti: se Rosier non ha fatto nulla, lo lasceremo in pace» promette gentile, appoggiando contro lo schienale della sedia. «Dici che è uscito solo per dieci minuti» riprende, meditabondo, serrando appena le palpebre in un’espressione raccolta. «A volte la paura gioca brutti scherzi, ti convince di cose che non esistono. Ad esempio, i testimoni quasi sempre hanno una diversa percezione del tempo quando sono traumatizzati. Sono convinti che qualcosa sia durato tanto quando invece non sono passati che pochi minuti dall’evento…» osserva, inarcando le sopracciglia con eloquenza.
Dominique sorride, senza mascherare lo scherno.
«Avevo l’orologio» rivela con malcelata soddisfazione, le iridi chiare illuminate dal trionfo. «Lance si è allontanato per dieci minuti» ripete ostinata, facendogli intuire che non cambierà versione. «Non è stato lui» stabilisce inflessibile, per l’ennesima volta.
«Ma ne sarebbe capace?»
Quella domanda, posta così a bruciapelo, le fa sbarrare gli occhi. Sbatte le ciglia più volte, prima di corrugare la fronte.
«Perché avrebbe dovuto?» replica perplessa.
«Non ti ho chiesto questo» puntualizza Corner, dolce, fissandola come se fosse qualcosa di estremamente interessante. Trema al pensiero di quello che quelle iridi acute potrebbero scoprire. «Ti ho solo chiesto se ne sarebbe capace» dice di nuovo sommesso. «Lo conosci, no?» insiste socievole.
Non bene quanto vorrei…
Dominique serra la mandibola, trincerandosi dietro una maschera fosca e odiosa.
«No, non ne sarebbe capace» scandisce, infine, acida.
Sì, è quello che il suo cervello risponde. Sa essere spietato quando vuole. 


*


«Credevo ci avresti passato la notte là dentro» osserva Jude, spazientito, nel momento in cui varca la soglia del Dormitorio Maschile del Settimo Anno di Serpeverde.
Lance si ferma solo un momento, giusto per constatare la posa e i lineamenti rigidi dell’altro, appoggiato contro la colonna del suo letto, prima di avvicinarsi con un’espressione indecifrabile.
Nota un libro sul piumone e deduce che l’altro abbia cercato di distrarsi dedicandosi alla lettura, anche se i capelli castani sono arruffati come quelli di chi si è passato più volte le dita per il nervosismo.
«Ron Weasley sarebbe stato felice di arrestarmi» scherza sarcastico, togliendosi il mantello della divisa e appoggiandolo sopra il baule ai piedi del baldacchino. «Il suo collega ha cercato anche di rifilarmi il Veritaserum» rivela spiccio. «E il fatto che lo volessi fare, gli ha convinti che sia innocente. Idioti» commenta sprezzante, facendo un ghigno per la soddisfazione di quella vittoria che ha portato a casa. 
Un lampo di sorpresa illumina il volto del cugino, prima che un sorriso gli compaia sulle labbra.
«Fammi indovinare» inizia stranamente pimpante, come se quella notizia lo avesse rincuorato e spazzato via ogni sua paura. «Non sanno che sei un Occlumante?» chiede radioso. 
Lui scrolla le spalle, noncurante.
«Già» risponde posato, prima di lanciargli un’occhiata d’intesa. «Una vera sfortuna per loro, no?» ironizza morbido.
«La Weasley conosce questo piccolo particolare?»
«No».
«Appena lo zio lo scoprirà, si incazzerà come una biscia» riprende Jude, dopo un momento di pausa, ridacchiando malefico. 
«Non ho intenzione di dirglielo» sospira Lance, liberandosi anche del maglione scuro e allentando il nodo verde argento della cravatta.
L’altro rimane impalato a fissarlo, la bocca spalancata.
«Perfetto!» strepita con veemenza, alzando la voce con quella che pare isteria e corrugando le sopracciglia. «Facciamolo ancora più incazzare! Ti ricordo che sei già a rischio dopo Hogsmeade. Non ha preso bene la scoperta che gli avevi fregato la bacchetta di Evan» rincara esausto, lasciandosi mollemente cadere sul suo letto. «Ti avverto: posso pure appoggiare il tuo piano di far fuori quel bastardo ma io, contro lo zio, non mi ci metto!» lo mette in guardia, irremovibile.
Incrocia le braccia al petto, appoggiandosi alla colonna del letto a baldacchino. 
Se volesse davvero divertirsi, non esiterebbe a scrivere due righe da inviare a Rosier Castle, conscio dello scandalo che scoppierebbe verso l’Ufficio Auror, ma la soddisfazione che potrebbe suscitare quello scompiglio, stranamente, non lo tenta nemmeno.
Ha visto com’era scosso suo padre, quando si era precipitato a Hogwarts per assicurarsi che lui stessero e i suoi fratelli stessero bene e al sicuro. Ed è certo che quella paura gli abbia ricordato quello che è successo a Bohort.
Non ha alcuna intenzione di dargli un’altra preoccupazione. È in grado di cavarsela senza coinvolgere gli adulti.
«Devo recuperarla» stabilisce pratico, sovrappensiero, alludendo alla bacchetta del suo predecessore. 
Jude sbuffa scornato, prima di aiutarsi con le mani e portarsi seduto. 
«Capisco che non vuoi utilizzare la tua per non lasciare tracce ma non sei obbligato a servirti per forza di quella di Evan» consiglia ragionevole, guardandolo dritto in faccia. «Puoi ottenere più facilmente quella di Julian, Baldric, Vinda, Edric-»
«No» lo blocca Lance, brusco. «Deve essere quella di Evan» decreta intransigente.
«Perché?»
«Lui ha fatto una promessa a Julian, prima che lo zio morisse» illustra coinciso, vagamente enigmatico, appoggiando una spalla alla colonna in legno del baldacchino. «Intendo onorare quella promessa» assicura determinato, un lampo di feroce determinazione a brillargli gli occhi azzurri. Poi aggrotta la fronte quando un pensiero gli fa capolino nella mente, attirando tutta la sua attenzione. «È arrivata persino a mentire agli Auror» mormora assorto, distogliendo lo sguardo e fissando il vuoto.
«E questo ti sorprende?» ribatte l’altro, per nulla stupito, quando torna a rivolgergli la sua attenzione. Ha capito che si stava riferendo a Dominique e pare che avesse già calcolato quella possibilità. «Come ci sei riuscito?» chiede serio, accigliandosi. «Come hai fatto a guadagnarti la sua fiducia?» indaga con una punta di ammirazione.
Lui rimane per un momento in silenzio, impassibile.
«Bohort» dice solo, semplicemente.
Suo cugino strabuzza gli occhi, talmente tanto che per poco che non gli cadono dalle orbite. 
«Le hai parlato di tuo fratello?» si premura di capire, esterrefatto, giusto per assicurarsi di aver compreso bene.
Lance inarca le sopracciglia con fastidio.  
«Credevo fosse una buona strategia» si giustifica, appena a disagio, passandosi una mano tra i capelli scuri. «La persona che ama più al mondo è il suo gemello, quindi pensavo che si sarebbe aperta se le avessi detto di mause» afferma certo. Prende un respiro profondo, cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione di imbarazzo «Sai cosa stavo pensando mentre attendevo di essere interrogato? Perché i Purificatori sono riapparsi ora?» espone lentamente, il viso storto in una smorfia pensierosa. «Per anni sembravano scomparsi, i giornali avevano perfino ipotizzato che si fossero sciolti. In più hanno sempre attaccato posti in cui c’erano effettivamente dei discendenti dei Mangiamorte, quindi perché scegliere Hogsmeade? Sembra troppo insensato come obiettivo. Non potevano essere sicuri di chi avrebbe partecipato alla gita» continua oculato.
Jude scuote la testa, a corto di risposte. 
«Hanno già ucciso dei bambini» ipotizza esitante.
«Nah, credo che Bohort sia stato un danno collaterale» conviene lui, concreto, serrando appena la mandibola. «Non penso volesse ucciderlo ma… l’eccitazione, le grida della folla e la confusione, lo hanno portato a scagliare quella serie di incantesimi» deduce a bassa voce, cercando di appellarsi alla ragione per controllare l’odio che gli divampa nel petto. «Non voleva Bohort morto ma eravamo entrambi dei testimoni scomodi, quindi dovevamo essere eliminati» conclude inesorabile, senza la benché minima traccia di delicatezza o sentimento. 
L’altro è sempre più basito.
«E perché?» domanda disorientato. «Hai detto che non lo hai visto in faccia» sottolinea di getto.
«È così» assicura lui, distaccato, fissandolo dritto negli occhi e senza ombra di menzogna a colorargli la voce. «Ma ho visto la cicatrice sul suo polso destro e, credimi, saranno anche passati anni ma non l’ho mai dimenticata» scandisce piano, tra i denti, tornando con la mente a quel vicolo di Diagon Alley. E con quel piccolo ricordo, anche la rabbia che ha tentato invano di dominare per anni, freme, affamata di sangue e desiderosa di vendetta. «Tornando a noi… credo che Hogsmeade sia stato un avvertimento» sostiene pragmatico, cambiando repentinamente argomento.
«Non riesco a starti dietro» confessa suo cugino, suo malgrado. «Avvertimento?» ripete dubbioso, la fronte aggrottata per lo sforzo di seguire quel filo conduttore che gli sembra assurdo.
Lance annuisce, per nulla infastidito da tutte quelle interruzioni. 
«Qui ci sono i suoi figli» spiega leggero, piegando le labbra con avversione verso il basso. «Ed è facile far leva su un uomo minacciando quello che più ama» continua saputo, rievocando di riflesso a quello che Evan ha scritto sui suoi diari. 
Aveva ragione, riconoscere concorde. I sentimenti incasinano sempre tutto e lui lo sapeva fin troppo bene. 
«Non mi hai mai detto chi è» se ne esce di colpo Jude, grave, con i lineamenti del volto frementi dall’aspettativa.
Lui resta zitto per una manciata di secondi, prima di staccarsi dalla colonna in legno e avvicinarsi al baule ai piedi del letto. Alza il coperchio, abbassando il busto quanto basta per recuperare uno dei tanti diari con la copertina di cuoio scuro. Ne afferra uno, aprendolo e porgendogli il ritaglio di un articolo de la Gazzetta del Profeta di quell’agosto.
Suo cugino lo prende con esitazione, la mano appena tremante, prima di leggere con voracità quel nome. 
«Eccolo qui. In lizza per diventare Capo del Wizengamot, ex Grifondoro, imparentato con uno degli eroi della battaglia di Hogwarts, brillante Magiavvocato… il candidato perfetto, non trovi?» commenta Lance, monocorde, vedendo lo sgomento prendere piede negli occhi dell’altro. 
«Ma tra le sue idee ci sono quelle di ridurre alcune delle pene date ai Mangiamorte che si trovano ancora ad Azkaban» osserva Jude, raccolto, serrando appena le palpebre. Non nasconde l’inquietudine nel rendersi conto chi è l’obiettivo. 
«Il che gli permetterà di ingraziarsi metà delle famiglie Purosangue» sottolinea lui, quasi con beffa, un sorriso per nulla divertito che gli piega le labbra e tornando a incrociare le braccia al petto. «Tu come la prenderesti se fossi uno dei Purificatori e vedresti uno dei tuoi ex compari intento a scondinzolare appresso a quelli che aveva giurato di uccidere? Non saresti furioso?» domanda amabile. 
«Lo vorrei morto» stabilisce suo cugino, lapidario. «O gli ricorderei a chi deve la sua lealtà. Quindi è così, eh?» sbuffa, rendendosi che portare a termine quel compito sarà un’impresa quasi impossibile.
«Una corsa contro il tempo» concorda Lance, pungente, le iridi puntate a fissare ossessivamente la fotografia color seppia stampata sulla carta sottile. E lì, impressa in quel ritaglio, la cicatrice è visibile da sotto il polsino dell’uomo che saluta i lettori, con un sorriso scintillante e bonario. Sente la magia ribollirgli nelle vene e si costringe a serrare le dita nelle braccia, affondando i polpastrelli nella carne. «Vince chi arriva prima» proclama semplicemente, fissando quel bastardo con la sua peggior espressione omicida, conscio di avere un’unica possibilità
a disposizione per fargliela pagare. 


*


«E questo come me lo chiami se non stalking?» chiede Dominique, svagata, senza distogliere lo sguardo dalla pozione che sta ribollendo lentamente nel suo calderone di peltro. Sulle labbra, però, le è spuntato un sorriso lusingato che fatica davvero a trattenere.
Lance prende posto sullo sgabello al suo fianco, per nulla infastidito da quell’allusione palese.
«Un po’ per uno» commenta distaccato, riferendosi all’incontro di quella mattina. «Anche se stalking non è il termine esatto. Non ho bisogno di seguirti per immaginare che ti eri rintanata qua dentro» rivela con un pizzico di arroganza, indicando con un cenno del capo l’aula in cui si svolgono le attività del Club di Pozioni. «Perché ti stai ossessionando con questo intruglio?» domanda curioso, fissando le iridi chiare sul liquido verdino.
Lei scrolla le spalle, lasciandosi sfuggire anche un sospiro a metà tra l’esasperato e lo sconfitto.
«Volevo partecipare a un concorso per giovani pozionisti» confida scornata, scuotendo appena il capo e sistemandosi una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio. «Ma dubito di riuscire a combinare qualcosa entro la metà di dicembre. Inventare una nuova pozione è più difficile del previsto» ammette abbattuta, irritata a morte per la sua incapacità.
Lui la guarda senza dire una parola, prima di piegare le labbra in un sorriso invitante che le provoca il batticuore. 
«Apprezzo l’ambizione, la trovo intrigante» afferma schietto, facendola arrossire deliziata sulle guance. 
«Ma?» lo sprona lei, interessata di sapere anche il resto. «Credi sia troppo pretenziosa?» domanda appena pungente.
Lance scrolla la testa. 
«Perché mai?» replica morbido. «Sei brava in Pozioni» sottolinea ragionevole. 
Dominique ridacchia, prima di scribacchiare l’ingrediente che ha appena versato nel calderone sul taccuino che utilizza per segnarsi tutti i passaggi delle sue invenzioni, caso mai riuscisse a trovare una formula vincente. 
«Ma non mi illudo che tu sia venuto fin qui solo per adularmi» sostiene avveduta, guardandolo di sottecchi. «Allora?» chiede paziente, drizzando la schiena, in attesa. 
«Perché hai mentito agli Auror?» ribatte lui, a bruciapelo, esibendo un’espressione seria e perdendo di colpo quell’aria ilare. «Non ci siamo allontanati per pochi minuti» precisa, studiando con attenzione le sue reazioni e facendole intendere che ha già subito l’interrogatorio da parte dei funzionari del Ministero.
Dominique boccheggia, presa in contropiede.  
«Ho pensato che non fosse il caso di sovraccaricarti di stress» butta fuori, in difficoltà, il coltello d’argento che per poco non le sfugge dalle dita mentre sta cercando di tritare delle erbe. Infine, ricordando com’è andata la scorsa volta, decide saggiamente di riporre l’arma sul piano di lavoro in legno. «Insomma, già dormi poco e…»
«E?» la sprona Lance, incalzante, con due occhi azzurri che sembrano entrarle dentro, nel profondo. 
Si tende a proteggere quello che si ama…
«Non lo so» ammette, invece, cercando di scrollarsi di dosso quelle parole che le aleggiano nella mente. Non è ancora pronta a pronunciarle. «Credevo fosse la cosa giusta da fare» conclude sincera, mordendosi appena le labbra per la tensione.
Lui continua a fissarla, impassibile. 
«Non ti ho chiesto di mentire per me».
«Lo so».
«Se lo scoprono, finiamo nei guai».
«Fortuna che siamo dei bravi bugiardi» ironizza Dominique, leggera.
«Fai la seria» la rimprovera Lance, aspro. «Non è un gioco» afferma gelido. «Perché l'hai fatto?» insiste testardo. 
Lei sbuffa, esasperata.
«Sospettavano di te» sbotta con foga, voltandosi di colpo così da poterlo guardare in faccia per evitare di continuare a tenere la testa voltata a sinistra e far irrigidire i muscoli del collo. «Soprattutto dopo che zio Ron ha scoperto che ci conosciamo» ammette scocciata, facendo una smorfia indispettita.
«E tu gli credi?»
Dominique strabuzza gli occhi, allibita.
«Come?» articola a fatica, serrando appena le palpebre. 
Lance storce il naso, prima di scoccarle un’occhiata di pura esasperazione.
«Pensi che sia stato io a maledire quel Purificatore?» precisa diretto.
Lei sbatte più volte le ciglia, prima di storcere le labbra in una smorfia irritata.
«Questa domanda non ha senso» sentenzia velenosa. «Non puoi semplicemente essermi grato?» rinfaccia malevola.
«E tu non puoi fare uso del coraggio che tanto vanta la tua Casa per ammettere la verità?» ribatte lui, gelido. 
«Non mi importa se sei stato tu, contento?» confessa veemente, senza nemmeno accorgersi di aver alzato la voce, con un volto che non tradisce la benché minima traccia di esitazione. No, non può essere stato lui, stabilisce irremovibile, scacciando via ogni dubbio. «Anche perché, dopo quello che hanno fatto a Bohort, è del tutto legittimo che tu sia arrabbiato» dichiara impietosa, annuendo con il capo.
Un lampo di perspicacia balugina negli occhi chiari dell’altro, subito celata da quell’azzurro spietato.
«Hai fatto ricerche su di lui» deduce piatto, dimostrando una calma inaspettata. Si sarebbe aspettata furia e fastidio per aver ficcato il naso nella sua vita. «Cosa hai scoperto?» domanda remissivo. 
«Quando è morto e per mano di chi» risponde Dominique, vergognosa per quell’intromissione e titubante su come proseguire. Ha il terrore di vederlo scoppiare da un momento all’altro. «E credo che tu fossi con lui quando è successo» continua a fatica, sentendo un nodo alla gola. 
«Bastava chiedere» recrimina l'altro, distaccato.
«Mi avresti risposto?» replica eloquente.
Lance piega le labbra in un sorriso per nulla divertito.
«Lo confesso: ti avevo sottovalutata» rivela suadente, con lo stesso tono di chi sta ammettendo una sconfitta. «Non credevo che l’avresti scoperto in così poco tempo» continua scuotendo il capo e guardandola in faccia in un modo che non sa bene come interpretare.
Sembra lo stesso di sempre, azzurro e gelido, eppure a lei sembra quasi di scorgere una strana luce in quelle iridi. Come stesse rapidamente rivalutando le sue mosse e si chiedesse se avesse commesso un passo falso.
Dominique deglutisce, turbata, perché si rende conto che c’è davvero qualcosa di oscuro in tutta quella storia. La paura che ha visto divampare sul volto dell’altro quella notte, quando l’ha assalita, è svanita, è rimasta solo una luce di feroce determinazione che lo rende quasi una persona diversa.
Passandosi la lingua sulle labbra screpolata, si fa forza e allunga una mano per sfiorare quella dell'altro sul tavolo. Tocca quella pelle calda, sfiorandogli il dorso in una carezza leggera.
Vorrebbe davvero aggiungere qualcosa ma non ne ha il tempo.
Perché un’altra visione le esplode con forza davanti agli occhi.  



Nonostante l’oscurità, scorge le pietre che compongono il pavimento. Nota persino le macchie di sangue che le insozzano, che alla debole luce delle fiaccole appaiono nere invece che rosse.
Non riesce a vedere il volto dell’uomo che, sdraiato a terra, ce l’ha nascosto tra le mani mentre i suoi singhiozzi sono l’unico suono che sente. Prestandogli più attenzione, nota che ha i capelli castani luridi, arruffati in ciocche sudate e in alcuni punti, sembra quasi che se le sia strappate dato la carne rossastra e insanguinata che gli chiazza la nuca. 
Eppure percepisce chiaramente la sua paura e la certezza che non uscirà mai vivo da lì.



Svanisce con la stessa velocità con la quale è comparsa, lasciandola stremata e con il fiato corto.
Con la testa che le ronza, Dominique cerca di sbattere gli occhi per focalizzare l’ambiente nel quale si trova, ma le immagini che vede sono qualcosa di tremante e sfuocato. La stanza del Club di Pozione continua a vorticarle, come se avesse bevuto parecchio alcol.
Quasi inciampa nei propri piedi quando cerca di aggrapparsi al tavolo, nella speranza di sorreggersi nel momento in cui le forze le vengono meno. Fortuna che, perdendo l'equilibrio e cascando all’indietro, finisce per sedersi sullo sgabello alle sue spalle.
Tuttavia il rischio di cadere, l’agita ancora di più. Nemmeno si rende conto di essere scoppiata a piangere e che i singhiozzi la fanno tremare violentemente. 
Un tocco al gomito sinistro le provoca un sussulto. Sbatte con furia le ciglia ma il viso di Lance compare comunque confuso, forse appannato anche per via delle lacrime.
«Domi, guardami» ordina perentorio, prendendole il volto tra le mani. «Guardami» ripete gelido quando lei, disubbidiente, abbassa le palpebre e scuote la testa con disperazione.
Non riesce a concentrarsi su nulla, si sente completamente travolta da quel maremoto di emozioni soffocanti che la rendono inerme e incapace di reagire. Il panico le scorre nel sangue, annebbiandole la mente e impedendole di fare o dire qualcosa. Cerca di aggrapparsi alla respirazione, il solito metodo che ha sempre sfruttato per calmarsi, ma non riesce a gestire il flusso di ossigeno e il battito cardiaco rimane alterato e affannoso.
In più, senza la vista, la paura si intensifica ma preferisce l’oscurità piuttosto che aprire gli occhi e correre il rischio di avere un’altra visione.
Non serve a niente, lo sa, le visioni a volte sono arrivate anche di notte. 
È un tocco lieve che la riscuote. Non è fisico, è come se qualcuno le avesse sfiorato la mente con gentilezza, infondendole un senso di pace e mettendo un freno a tutto, come se ogni altra emozione sgradevole fosse svanita al di là di un muro invisibile. 
Solleva le palpebre di riflesso, la curiosità che vince su ogni cosa.
«Meglio?» chiede Lance, sommesso, seduto di fronte a lei, inclinando il capo per poterla scrutare con più attenzione.
Dominique, il fiato corto, si ritrova a annuire più volte ma senza aprire bocca. Sa che probabilmente la sua voce suonerebbe incrinata e patetica, e ancora non si è capacita di quello che è appena successo. Quell’intensa sensazione di calma la porta a respirare più piano, facendole incamerare ossigeno che scaccia via, poco a poco, quel tremore che la tormenta. 
Lui continua a guardarla, le iridi di un azzurro luminoso, poi fa scivolare la mano destra giù, verso il suo fianco, così da sorreggerle la vita nel caso le forze dovessero abbandonarla e evitandole l’imbarazzo di stramazzare sul pavimento. Per farlo è costretto a sedersi sul bordo del suo sgabello. La sinistra, invece, si infila nella tasca del mantello e, con un rapido movimento del polso, raduna tutte le sue cose e fa scivolare nella borsa di cuoio che Dominique aveva precedentemente abbandonato contro una delle gambe massicce del tavolo.
«E così non sei una Veggente?» considera l’altro, spassionato, inarcando le sopracciglia quasi con pena. Eppure non vede disgusto, anche se lo temeva. «Te lo devo dire: come bugiarda non sei un granché, nonostante tu creda il contrario. Il che mi fa pensare che siamo nella merda con gli Auror» considera asciutto, quasi dispiaciuto da quella mancanza. «Ma è anche vero che le persone sono incapaci di apparire credibili quando gli viene toccato un nervo scoperto» osserva quasi tra sé, a bassa voce.
Dominique si schiarisce la voce, sperando così di raschiare via l’agitazione.
«Sto bene» dichiara devastata, cercando di tenere la schiena ben dritta e aggrappandosi a ogni briciola di energia che le è rimasta.
«Stai meglio» corregge Lance, lapidario, per nulla intenerito dalle sue condizioni. «Stare bene è tutta un’altra cosa» conviene ironico. Poi aggrotta la fronte, pensieroso. «Ce la fai ad alzarti?» domanda a bassa voce.
Lei serra la bocca, stizzita da se stessa, prima di scuotere la testa con desolazione.
Lui sospira pesantemente, alzando anche le sopracciglia con eloquenza, per poi allontanare le mani con lentezza, giusto per assicurarsi che resti seduta, e afferrare le due tracolle di cuoio  la sua e l’altra – e caricarsele sulla spalla destra.
«D’accordo» decreta pratico, quando torna a piegarsi verso di lei, facendole sbattere le ciglia per il disorientamento. «Circondami il collo con un braccio» le ordina autoritario.
Dominique rimane immobile, la bocca socchiusa.
«Come?» pigola confusa, giusto per assicurarsi di aver capito bene.
Lance solleva gli occhi al soffitto con esasperazione. Poi, senza perdere altro tempo o chiacchiere, la prende in braccio con una facilità davvero invidiabile, come se pesasse poco o nulla.
«Aggrappati a me» taglia corto, scoccandole un’occhiata veloce prima di cominciare a camminare e uscire dall’aula. 
Lei affonda il viso contro il maglione dell’altro, respirando a pieni polmoni il suo odore, le dita che stringono appena la lana. Si accorge quasi di sfuggita che sta tagliando per le scorciatoie nascoste dai ritratti, evitando così di incrociare qualche studente e scegliendo la strada più rapida per raggiungere l’ultimo piano, perché è attirata da quel suono sordo che avverte nel petto dell’altro.
Lance ha proprio un buon odore, pensa distratta. Non è dolce, eppure lo trova gradevole.
Durante tutto il tragitto, Dominique sistema meglio il capo così da essere più comoda. Sente la stanchezza crollarle addosso, cullata da quel respiro e sorretta da quelle braccia rassicuranti e solide. Le viene quasi da abbassare le palpebre e abbandonarsi al sonno che comincia a intorpidirle la mente.
È solo la luce delle fiaccole del settimo piano, più forte rispetto a quelle appese ai lati degli stretti passaggi segreti, la scuotono da quell’assopimento, costringendola a serrare gli occhi e aprirli per guardarsi intorno. 
Allora si accorge che c’è qualcosa di strano.
«La Sala Comune di Grifondoro è dall’altra parte» biascica fioca, smarrita.
«Lo so» assicura lui, basso.
La curiosità sembra avere la meglio sulla spossatezza, portandole a prestare attenzione a quello che succede.
Forse era prevedibile che Lance la portasse nella Stanza delle Necessità ma forse non così tanto il fatto che le chiedesse di assumere le fattezze della sua camera da letto.
Perché, nel guardarsi intorno, studiando l’ambiente, Dominique non ha dubbi che sia quella che lui ha a Rosier Castle.
È un locale rettangolare, spazioso e confortevole. Il pavimento è di un legno lucido e scuro, così come scuro è il mobilio mentre le pareti sono verdi.
Il grande camino si trova dall’altra parte della stanza rispetto alla porta, dove, a un dislivello creato da un gradino, si trovano anche un divano, una poltrona e un tavolino.
Contro la parete sinistra c’è il letto matrimoniale a baldacchino, affiancato da due comodini e armature d’acciaio di chissà quanti secoli fa.
Ma la vera sorpresa è a destra.
Ignorando un tavolo rotondo con sedie che probabilmente funge da scrivania – sul quale effettivamente c’è una lampada, un kit di piume, l'inchiostro e una serie di pergamene arrotolate –, posizionato quasi al centro della stanza, lo sguardo le scivola sulla collezione di Dvd che riempie una delle librerie contro il muro. 
Rimane sbigottita da quello sfoggio di passione Babbana in uno degli ambienti più Purosangue che abbia mai visto.
Tuttavia, quando lui si sposta verso la porta che compare a sinistra, vicino all’armatura, le impedisce di continuare a curiosare.
Si ritrova nel bagno e, con attenzione, si sente riappoggiare a terra. Le gambe, nonostante siano ancora molli, sembrano reggere il suo peso ma, per maggior scrupolo, decide saggiamente di sostenersi con le mani al lavandino di ceramica dietro di lei.
Lance, dopo aver lasciato le borse sulle mattonelle del pavimento, recupera la bacchetta e, con un movimento fluido del polso, gira con un incantesimo una delle manopole della vasca da bagno. Poi l’appoggia sul mobiletto al suo fianco e fa il gesto di toglierle il mantello dalle spalle.
«Domi, ti ho già vista nuda» le fa notare, eloquente, quando si sente bloccare i polsi di slancio, impossibilitato dal continuare. «E non mi eccita questa situazione» mette in chiaro, serio, guardandola con un’intensità che le fa salire la temperatura corporea.
«No, non è questo» rantola precipitosa, avvampando per l'imbarazzo e scuotendo più volte il capo. «È che non ho voglia di fare un bagno» butta lì, senza convinzione.
Lui alza gli occhi al soffitto, al limite della sopportazione.
«Sei stremata e sudata» le fa notare secco, inclinando appena il capo quando si accorge delle gambe che hanno iniziato a tremare. «Fai come ti dico» stabilisce dispotico, stroncando sul nascere ogni altra protesta. Non che ne avrebbe la forza. «Posso riprendere a spogliarti o vuoi farmi perdere altro tempo?» chiede spazientito.
In un’altra situazione, non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a mandarlo al diavolo e a stampargli con soddisfazione cinque dita sulla guancia. Ma in quel momento si sente così al limite, così priva di forze, che lo asseconda mansueta.
Con il fondoschiena appoggiato contro il bordo in ceramica del lavandino, Dominique percepisce il sangue affluirle nelle guance quando, tolto il mantello e il maglione scuro della divisa, Lance le allenta il nodo della cravatta, facendola scivolare via dal colletto e slacciandole i bottoni della camicia candida. 
Quella vicinanza la mette a disagio perché le fa tornare alla mente ricordi di quando lo ha avuto a un soffio di distanza. Tipo in Biblioteca, quando era andata ad affrontarlo in seguito alla scoperta del fidanzamento con la Greengrass, o alla capanna di Hagrid, quando le aveva afferrato il polso un momento prima di baciarla. 
Di riflesso, lo sguardo le saetta proprio lì, verso la parte inferiore del suo viso, e sente la gola secca. Godric che voglia ha di mordere quelle labbra…
Abbassa lo sguardo, imbarazzata a morte, ma ciò nonostante alza le braccia, assecondandolo quando le sfila via la canottiera. Restare in reggiseno non dovrebbe essere un problema, allora perché arrossisce come una stupida?
Eppure lui non dà segno di essersene accorto, né accenna a un sorriso beffardo. Al contrario, svolge in maniera impeccabile il compito che si è autoimposto. Persino quando si abbassa per toglierle scarpe e calzini, non dice nulla. 
Dopo che anche la gonna è finita sul pavimento del bagno, Dominique tossicchia a disagio.
«Finisco di spogliarmi da sola» tenta debolmente, cercando di evitare altro disagio.
«Come no» ribatte Lance, sarcastico, abbassandole anche gli slip, prima di rialzarsi da terra e portare le mani dietro la sua schiena, così da slacciarle anche il reggiseno. Nel momento in cui si ritrova nuda e con il corpo di lui quasi premuto addosso, Dominique non riesce a fare a meno piegare il capo, impacciata e con le guance rosse. «Ammetto che a volte davvero non ti capisco» si lascia sfuggire, meditabondo, prendendole il codino che porta al polso, così da raccoglierle i capelli ramati alla sommità del capo.
Dominique spalanca le palpebre, sbigottita.
«Perché?» biascica in un sussurro.
«Trovo assurdo tutto questo pudore dal momento che abbiamo già scopato» osserva lui, significativo, fissandola dritta negli occhi, prima di farle quello che dovrebbe essere uno chignon. 
«Sì, ma era sera» obietta lei, in un balbettio ragionevole. «C’era poca luce e-»
«E ti ho baciato quasi tutto il corpo mentre sospiravi e gemevi» la interrompe Lance, distaccato, appoggiando le mani sul bordo del lavandino. Ritrovarsi tra quelle braccia, le fa sentire le gambe molli come gelatina e il sangue bollente nelle vene. «Anche se non ho visto, ho sentito» conclude con noncuranza.
Dominique rimane per un momento impietrita, prima di corrugare la fronte in un piglio combattivo.
«Ammettilo: ti piace molto mettermi in imbarazzo» afferma infastidita, con una punta di veleno.
Lance piega le labbra in un sorriso gongolante, abbassando solo per un istante lo sguardo.
«Da morire» rivela morbido, prima di appoggiarle le mani sui fianchi. Sente lo stomaco annodarsi nel ventre nel momento in cui la pelle tocca altra pelle. «Vieni» la sprona quasi gentile, indirizzandola verso la vasca da bagno.
L’aiuta a scavalcare il bordo prima con un piede e poi con l’altro, prima di sorreggerla quando si piega per mettersi seduta sul fondo. Il contatto con l’acqua calda quasi la tenta dal chiudere le palpebre, dal lasciarsi andare per assaporare meglio quella sensazione piacevole. 
«Sei abituato a prenderti cura degli altri» riflette sovrappensiero quando appoggia la schiena contro la ceramica.
«Cosa te lo fa pensare?» domanda lui, interessato, chiudendo il rubinetto e sedendosi sul bordo della vasca.
Dominique scrolla le spalle, sentendosi più leggera, mentre la stanchezza inizia piano piano a prendere il sopravvento.
«Mi hai detto che tua madre ha sofferto di depressione» ricorda mite, accettando con un sorriso la spugna già intrisa di bagnoschiuma che le porge.
«Che ottima memoria!» la sbeffeggia Lance, sarcastico, appoggiando i gomiti sulle cosce. Però quel sorriso che gli piega le labbra è davvero irresistibile. «Posso lasciarti dieci minuti da sola o finirai per combinare casini?» indaga compassato, lanciandole un’occhiata valutativa.
«Non ho cinque anni» sottolinea lei, piccata, con un guizzo inaspettato di energia. «Lance!» lo rimprovera aspra, notandola sua espressione scettica.
«Non ho detto nulla».
«Ma l’hai pensato!»
«Adesso sarebbe una colpa avere un cervello?»
«No, ma è come lo usi, il problema» recrimina Dominique, acida, le sopracciglia corrugate e l’aria bellicosa.
Lui sospira, roteando gli occhi e rimettendosi in piedi.
«Torno presto» assicura morbido, recuperando la sua tracolla da terra. «Resta qui» raccomanda in un sussurro.
Rimasta sola, sprofonda ancor di più nella vasca fino quasi a sfiorare con il naso la schiuma che galleggia sulla superficie dell’acqua. La testa, stranamente, smette di pensare, desiderosa di staccare la spina e prendersi un momento di pausa dal mondo.
Perciò rimane lì, in ammollo, confortata dal tepore dell’acqua calda finché non sente i polpastrelli delle mani raggrinzirsi. Allora, incurante del consiglio ricevuto, appoggia le mani ai bordi della vasca e, facendo forza sui muscoli, si alza e fa attenzione a uscire senza scivolare. 
Appoggia i piedi sul tappettino soffice, recuperando al volo un accappatoio per allontanare i brividi di freddo. Si stringe nella stoffa verde, serrando gli avambracci per asciugarsi e scaldarsi. Nel farlo, involontariamente si trova ad annusare il profumo che l’indumento emana.
Le scappa un sorriso spontaneo che le illumina le iridi chiare, rendendole il viso più attraente che mai. 
Torna ad indossare la biancheria intima – che ha pulito con un colpo di bacchetta –, poi osserva la sua divisa appoggiata sul mobiletto del bagno. Tentenna una manciata di secondi, prima che un’idea folle le faccia capolino in testa.
Dando corda al suo istinto, appella una maglietta dalla stanza adiacente. Si rigira per un attimo il capo nero dove c’è un logo di un film di cui ha sentito parlare, prima di indossarlo. Sorride compiaciuta al suo riflesso, a quelle guance rosee e gli quegli occhi azzurri baluginanti di gioia, poi si scioglie lo chignon, liberando le ciocche ramate che le ricadono sulla schiena in onde mosse e umide. 
A piedi nudi, ignorando il freddo del pavimento, torna in camera. Scaccia quel pizzico di impaccio nel trovarsi in un luogo verso il quale non prova familiarità. 
Eppure quella collezione di Dvd le dà un senso di tranquillità, attirandola irresistibilmente finché non si trova lì di fronte. Passa un dito sulle custodie di plastica di quel hobby che di Purosangue non ha nulla, inclinando il capo per leggere meglio i titoli.
Sobbalza, spaventata a morte, voltandosi di scatto quando la porta della stanza si apre.
Lance ricambia il suo sguardo perplesso, prima che un sorriso lieve torna a piegargli le labbra
«Non ascolti mai, eh?» constata per nulla infastidito, facendo scomparire alle sue spalle l’unico accesso che li separa dal resto del Castello. 
«Iniziavo ad avere freddo» si giustifica lei, maldestra, inumidendosi le labbra. «Mi serviva qualcosa da indossare» aggiunge, poi, stropicciando il bordo della maglietta nera con dita nervose. 
«E guarda caso avevi sottomano una delle mie» osserva lui, spassionato, lanciandole un’occhiata che non cela il sarcasmo, appoggiando la borsa sul tavolo. Strano che non approfitti dell’occasione per ricordarle che poteva benissimo rimettere la divisa scolastica, una volta averla pulita. «Tranquilla, non me la prendo. Vieni a mangiare» la invita, tirando fuori qualcosa incartato da tovaglioli bianchi.
Mossa dalla fame, Dominique si avvicina al tavolo. Prende posto alla sedia, ocheggiando incuriosita quei panini – perché ovvio che siano panini –, rimanendo basita quando l’altro tira fuori dalla tracolla, resa più capiente dalla magia, una borraccia con tanto di due calici dorati, di quelli che sono soliti usare in Sala Grande.
«Non ci facciamo mancare nulla» commenta ironica, in un sospiro.
«Volevi bere l'acqua dal rubinetto?» replica Lance, con lo stesso tono, inarcando le sopracciglia con scetticismo. «Prendi quello che preferisci» concede magnanimo, alludendo al cibo, sedendosi a sua volta al tavolo.
Dopo aver scartato un tramezzino al burro e salmone affumicato e averle dato un morso affamata, sciogliendosi per la bontà che ha in bocca, il cervello riprende a far ruotare le rotelle.
«Hai corrotto qualche Elfo?» si informa noncurante, continuando a rimpinzarsi.
«Non dirlo come se fosse un’impresa così difficile» ribatte lui, modesto, scegliendosene uno ai gamberetti. «Ci riuscirebbe pure Par» considera sicuro, riferendosi al fratellino undicenne.
Dominique passa il tovagliolo sulle labbra, prima di bere un sorso di succo di zucca dal suo calice. 
«A cosa devo tanta gentilezza?» si informa spensierata, non senza una punta di sospetto.
«Io sono gentile» risponde Lance, sereno, come se fosse una verità indiscutibile.
Lei storce la bocca, lasciandosi sfuggire una smorfia per l’esasperazione.
«E dopo questa, direi che le ho sentite tutte» borbotta sottovoce, asciutta.
«Solo non mi piace esserlo troppo spesso» riprende l'altro, come se non l'avesse nemmeno sentita.
Dominique lo guarda storto.
«Con me non lo sei mai» gli fa notare risentita.
«Perché è troppo bello vederti sclerare» svela lui, sorridendo come un infame, una volta terminato il suo tramezzino. «Come mi diverto a litigare con te, con nessuno» confessa leggero, ignorando di averle provocato un fitta piacevole al petto.
Lei socchiude appena le palpebre, pensierosa.
«Quindi ora stai facendo il gentile perché hai pietà di me?» domanda scontenta, indecisa se riempirsi ancora lo stomaco o se è meglio non appesantirsi troppo. 
Lance ridacchia, scuotendo il capo.
«Nah, io e la pietà siamo su due mondi diversi» assicura lieve, scrollando le spalle. «L’ho fatto perché volevo» spiega genuino, allungandole un secondo panino. «Non dirmi che sei a dieta» ipotizza già scocciato, assumendo l’espressione di chi si prepara a sentire una cavolata di proporzioni epiche. 
«Sono piena».
«Dopo averne mangiato solo uno?»
«E quindi? Non puoi costringermi».
«Disse colei che mi ha fatto mangiare una di quelle robe disgustose».
Dominique sbuffa, suo malgrado svagata.
«I marshmallow sono deliziosi» si premura di dire, difendendo quei dolci che adora. «Lance, no!» esclama quasi in un strepito, quando l’altro le spinge un gamberetto tra i denti. Si costringe a masticarlo, onde evitare di parlare con la bocca piena. Eppure non prova nemmeno un briciolo di irritazione, anzi le viene da ridere deliziata. «Basta, dai!» supplica clemenza nel momento in cui vede che sta per prenderne un altro dal tramezzino che ha aperto e scomposto.
«Domi, non è il momento di pensare a quello che ti finirà sui fianchi» afferma lui, quasi amorevole, con la faccia di chi ha detto qualcosa di estremamente saggio.
«Che scemo che sei!» lo apostrofa lei, leggera, con un insulto che proprio le viene dal cuore. «E i miei fianchi stanno bene così» si affretta ad aggiungere, alzando il mento altera.
Lance annuisce, alzando le sopracciglia con eloquenza, mentre termina di bere.
«Concordo, quindi evitiamo i complessi» afferma inflessibile, lanciandole un’occhiata di intesa. Poi si fa serio, irrigidendo appena i lineamenti. «Ti capita spesso di avere degli attacchi di panico dopo le visioni?» chiede posato.
Dominique serra le labbra, guardinga. Improvvisamente non ha più voglia di ridere, prova solo un acuto senso di vergogna.
«A Louis non succede» dichiara a fatica, tetra, abbassando il capo e sforzandosi comunque di buttare fuori le parole. «Io, invece, non riesco a controllarmi» ammette con disappunto, facendo una smorfia sconfortata. «Eri a Diagon Alley quando i Purificatori l’hanno attaccata, vero?» domanda a bruciapelo, alzando le iridi dal legno del tavolo e voltando il viso nella sua direzione. «È lì che ti sei fatto quella cicatrice» continua tesa, alludendo a quel segno che l'altro ha tra il collo e la clavicola, preoccupata di voler sapere troppo.
Lui le fa un cenno d’assenso con il capo, affatto irritato. 
«Un Diffindo o qualcosa di simile» dichiara distaccato, gli occhi azzurri che sono tornati gelidi. «Qualche millimetro più alto e avrebbe tranciato la carotide» precisa imperturbabile, come se fosse un qualcosa che non lo riguarda affatto.
Dominique sente il panico impossessarsi delle membra mentre il viso si incupisce per il terrore all’idea di quella possibilità.

«Tua madre è caduta in depressione per quello che è successo a Bohort?» chiede, piano, esitante. 
Lance scuote il capo.
«Anche lei ha un dono, molto meno potente del tuo» risponde piatto, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Ha delle sensazioni, anche se a volte sono lievi» spiega sbrigativo.
«Le aveva anche quel giorno?» indaga interessata, sporgendosi appena sul tavolo verso l’altro.
Lui annuisce, per nulla turbato che stia curiosando nella sua vita. 
«Sì, ma pensava che fossero dovute alla gravidanza» riprende tranquillo. «Era incinta» illustra, irrigidendo la mandibola.
Dominique sbatte gli occhi, intrigata. Non ha mai conosciuto un’altra Veggente – la signora Rosier – che non sia Louis e il pensiero che qualcuno riesca a convivere con il suo dono come se fosse qualcosa di natura, come se fosse possibile, la rincuora. Forse suo fratello ha ragione quando cerca di rassicurarla dicendole che non è così limitante, che si può essere felice nonostante quella capacità imprevedibile.
«Parsifal, giusto?» tenta distratta, alludendo al più piccolo dei fratelli Rosier.
«No» corregge Lance, sferzante, facendole drizzare le orecchie per il gelo che è calato nella stanza. «Quel bambino non è mai nato» puntualizza mordace.
Si ritrova a boccheggiare, sconvolta, quando comprende davvero quello che significano quelle parole. 
Quel giorno hai perso due fratelli…
Sente il bisogno di bere altro succo di zucca, così da aver le mani occupate e fingere di non essere rimasta toccata.
«Perché i Purificatori vi odiano così tanto?» indaga a bassa voce, cambiando argomento e tornando a guardarlo in faccia.
Lance si lascia sfuggire un sospiro più pesante, alzando sopracciglia e spalle. 
«Ritengono che il Ministero sia stato troppo morbido dopo la guerra: estradizioni mai concesse perché qualche funzionario non ha insisto con i governi degli altri paesi, pene leggere, niente Dissennatori ad Azkaban» elenca laconico, anche se c’è una rabbia vibrante dietro a quelle parole. La sente chiaramente. «Immagino ci fosse bisogno di scaricare tutto il dolore verso qualcuno» conclude noncurante.
Lei scuote la testa, confusa. 
«Mi hai detto che tuo padre non era un Mangiamorte» ricorda con certezza, aggrottando la fronte per lo smarrimento. «Per cui… perché prendere di mira la tua famiglia?»
«Lo è stato Evan» replica lui, lieve, in un mormorio. «E Julian. E loro due, insieme, hanno provocato più morti di quante tu ne possa immaginare» conviene accorto, spiando apertamente la sua reazione. Forse si aspettava di spaventarla o di vedere del disagio sul suo viso ma lei è consapevole che invece mostra solo un vorace desiderio di capire. «Evita di compatirmi: a me non dispiace essere odiato» taglia corto, infastidito da quel lieve dispiacere che le affiora spontaneamente sui lineamenti. 
«Perché sei fuori di testa» ritorce Dominique, più aspra di quanto vorrebbe. Abbassa lo sguardo sul tavolo, perdendosi per un momento in quella ipotesi che le vortica nella mente e che la rende stranamente triste. «Non era una bella persona, vero? Evan» precisa con un filo di voce, amara.
Non sa perché si sente quasi spaventata nello scoprire la risposta. Prova anche una fitta di delusione perché aveva pensato di non aver capito nulla, di essersi sbagliata a giudicarlo.
Emme lo ha amato, si è ripetuta più volte, come se fosse un mantra per darle fiducia. Non poteva essere davvero cattivo
«Ha fatto quello che riteneva giusto» è la risposta di Lance, piatta, che le fa sollevare gli occhi nella sua direzione. 
«E lo faresti anche tu?» sussurra debole, con una pena che non riesce a nasconderle. Nemmeno ci prova, ad essere oneste. 
Le fotografie di quei tre Purificatori morti le tornano alla mente, facendole scendere un brivido di terrore lungo la spina vertebrale. Quei tre sono solo alcune delle vittime il cui sangue bagna l’Inghilterra, una terra in cui più vite sono state strappate durante una guerra che credeva fosse finita da tempo. 
«Mi stai chiedendo se sarei capace di uccidere?» la riscuote lui, monocorde, con un’espressione chiara e significativa. Si sforza di sostenere quelle iridi gelide, per nulla intenzionata a tirarsi indietro. «Domi, in determinate situazioni, chiunque sarebbe in grado di farlo» osserva assennato, piegando le labbra in una smorfia meditabonda.
«Non io» ribatte lei, svelta e implacabile. «Non potrei mai» decreta certa.
«Oh, davvero?» replica Lance, scettico, piegando il capo e fissandola con un’aria derisoria. «Se ti portassero via tuo fratello, non avresti la tentazione di farlo?» le fa notare crudo. «Se Louis venisse ferito a morte, dissanguandosi tra le tue braccia mentre ti supplica di aiutarlo, tu non vorresti vendetta? Non vorresti farla pagare a quel bastardo che te l'ha portato via?» insiste testardo.
Dominique deglutisce, cercando di scrollarsi di dosso quella paura agghiacciante.
«E quello che faresti all'assassino di Bohort?» chiede con un filo di voce. 
«Fortunatamente per lui, non conosco la sua identità» ammette lui, a denti stretti, infastidito a morte.
Nel silenzio che segue, lei si mette meglio seduta. Esita una manciata di secondi prima di allungare una mano fino a sfiorare il palmo di quella dell’altro, appoggiata sopra il tavolo rotondo.
«Se qualcuno facesse del male a Louis, anch'io vorrei la sua testa» ammette con una certa riluttanza, perché non è facile venire a patti con quella parte di oscurità che sente dentro di sé. È molto più semplice fingere che non esista. «Ma…» si interrompe, incapace di proseguire.
«Non sai se saresti capace di andare fino in fondo?» le viene in soccorso lui, benevolo.
«Forse non voglio saperlo» biascica Dominique, angosciata. 
«Non penso accadrà mai» la rassicura Lance, stranamente dolce, strappandole persino un abbozzo di sorriso di pura gratitudine. «Stai dalla parte dei buoni» sottolinea con sarcasmo.
«Anche tu» ritorce lei, mansueta e genuina. «Non sei cattivo o non ti saresti preso cura di me» osserva schietta, senza alcuna ombra di esitazione.
«Ho solo ricambiato il favore» si schernisce lui, innervosito, tirando indietro la mano e spezzando quel contatto.
«Ma la pianti?» sbotta Dominique, con veemenza, fissandolo truce e con un’energia che ha dell’incredibile se si pensa che fino a un momento fa sembrava la persona più mite di questo mondo. «Ogni volta che cerco di farti un complimento, dici sempre qualcosa per giustificarti, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi» attesta esasperata, sentendo la rabbia montare anche a causa dell’espressione di lui che sembra dire che ha davanti una che è appena uscita fuori di testa.
«Lo fai anche tu» sottolinea Lance, logico.
«Non in maniera così irritante! Io non nego di essere…»
«Essere?»
«Godric, sei insopportabile!» esclama lei, con foga, esasperata fino al midollo, afflosciandosi con disperazione contro lo schienale della sedia. «Non sei cattivo, né un mostro: sei solo irrimediabilmente stronzo!» sbotta stressata.
Lo vede rimane di sasso per qualche istante, immobile in quel silenzio assordante che calato tra loro, prima di scoppiarle a ridere in faccia.
«Sei completamente uscita di senno» dichiara tra le risate, raggiante di divertimento come se avesse sentito qualcosa di estremamente esilarante. Si piega leggermente in avanti, portandosi una mano davanti agli occhi. «Giuro che sei fantastica» assicura dal cuore, con voce tremante.
Vorrebbe davvero dirgliene quattro, così almeno eviterebbe di annegare nell’imbarazzo ma non ci riesce. 
Sente lo stomaco annodarsi ed è costretta ad abbassare il capo, sperando di mascherare il rossore.
Approfittando della pausa bagno per recuperare la tracolla che aveva lasciato sulle mattonelle del pavimento, Dominique prende lo Specchio Gemello. Come prevedibile, sulla superficie fredda del vetro, ci sono un paio di messaggi del fratello che chiede spiegazioni sulla sua assenza a cena ed essere certo che stia bene.
Dopo averlo rassicurato, rimette al suo posto l’oggetto in una tasca della borsa e apre la manovella del lavandino. Si lava il viso e le mani con l’acqua fresca, prima di asciugarsi e prendere un momento per osservarsi allo specchio.
Le sembra di essere quanto di più lontano ci sia rispetto alla ragazza stremata che qualche ora prima è stata portata lì dentro.
Gli strascichi dell’attacco di panico non sono più visibili anche se ha ancora la pelle pallida e una strana luce di irrequietezza nello sguardo. Ma c’è anche una sorta di tranquilla malinconia che sembra emanare, come di chi si sta preparando a rimettere insieme i pezzi di quello che è rimasto per poi rimettersi in piedi e ripartire.
L’hai già fatto innumerevoli volte, le ricorda una vocina al suo orecchio. Siamo brave a fingere di non avere problemi. 
Sospira, cercando di respingere quella strana sensazione che sente ancora serpeggiare addosso
  strano come le paure si ripresentino quando siamo sole e più vulnerabili –, per poi afferrare la sua tracolla e caricarsela sulla spalla.
Quando torna in camera, spera che il suo viso non esprima il suo tormento interiore ma un patteggiamento di quello che è e di quello che vorrebbe tornerà ad essere. 
Individua all’istante Lance che, tolta la parte superiore della divisa si sta infilando la maglietta del pigiama, è in piedi accanto al letto.  
Ignorando la tentazione di continuare a fissare quegli addominali, perché i suoi ormoni stanno seriamente andando in crisi, Dominique si avvicina al tavolo che funge da scrivania – che è stato ripulito dai tovaglioli, calici e panini avanzati – e ci appoggia sopra una manciata di fiale sottili che ha tirato fuori dalla sua borsa.
«Ho approfittato di un paio di ore libere nel pomeriggio per fare altre scorte della Pozione Niente Sogni. Dovrebbero bastarti per un po’» borbotta stranamente cordiale, senza guardarlo. «Sarà meglio che vada» aggiunge in un sussurro, portando la tracolla sul tavolo e anche la divisa che si è portata dietro dal bagno. 
Visto che non ha tanta voglia di cambiarsi, infilerà solo la gonna e il mantello sperando che la scarsa illuminazione dei corridoi e l’ora tarda non faccia vedere a nessun studente
  se mai dovesse incontrarlo, cosa che dubita visto che il coprifuoco è saltato – che ha addosso una maglietta che chiaramente non è sua.
«Perché?» domanda lui, distaccato, facendola sobbalzare. Dominique si volta di scatto, sorpresa di trovarselo alle spalle. «La mia camera ti intimidisce così tanto?» continua con un ghigno provocatorio.
«Figurati» si difende lei, fomentata, dopo essersi ripresa dallo stupore. «È solo che ho abusato della tua disponibilità e-»
«Sul serio?» la interrompe Lance, scettico, corrugando le sopracciglia in un modo che esprime tutta la sua perplessità. «Abusato? Da quando ti fai questi scrupoli?» continua come fosse qualcosa di folle. «Che hai?» indaga, poi, assorto, perdendo ogni traccia di buonumore.
Dominique si trincera dietro un’espressione truce.
«Dirai in giro che sono una Veggente?» indaga a bruciapelo, già sul piede di guerra.
Lui inclina appena il capo, confuso. 
«Perché dovrei?» ritorce, sincero, a bassa voce. «E, soprattutto, perché sembri così spaventata da questa eventualità?» chiede acuto.
«So che non viste di buon occhio» tenta lei, debolmente, deglutendo ansiosa.
«Non è questa la ragione» la contraddice Lance, sicuro, non bevendosi nemmeno per un istante quella bugia traballante. «Ti vergogni di quello che sei?» ipotizza assorto, serrando le palpebre con il chiaro intento di capirla prima che un lampo di consapevolezza gli balugini negli occhi. «Hai paura di quello che sei» si corregge quasi incredulo, con il tono di chi sta facendo un'affermazione e non una domanda. Rimane a scrutarla in un modo che Dominique non può fare a meno di avvampare per il disagio, le labbra piegate verso il basso con disappunto. «Sei sciocca» decreta, infine, brutale.
Strabuzza gli occhi, presa in contropiede. 
«Come?»
«Non puoi negare di avere la Vista» sostiene lui, laconico, cercando di essere il più paziente possibile. «E nasconderla al mondo non la farà sparire» osserva concreto.
«Ma mi fa sembrare normale» ribatte lei, cocciuta, tra i denti. 
«E uguale a tutti gli altri» termina Lance, asciutto. «E quello che vuoi?» domanda quasi con compatimento. 
«Quello che vorrei è non avere il terrore di essere così inquietante».
«Inquietante?»
«Di avere qualcosa che non posso controllare e che non farà altro che perseguitarmi con immagini che non voglio vedere» spiega Dominique, tagliente. 
«È questo che ti hanno detto?» deduce lui, sarcastico, inarcando le sopracciglia con pena. «Io, il tuo potere, lo trovo affascinante» confessa ammirato, con le labbra che si arcuano verso l’alto.
«Lo dici solo perché non ce l’hai tu» scatta lei, velenosa, fissandolo con tutto l’odio dovuto a quella sofferenza. La prova da così tanto tempo che non riesce nemmeno a ricordare com’era prima.
Probabilmente c’è stato un periodo in cui le visioni non la perseguitavano ma ora non ne ha più memoria. 
«Può darsi» concede Lance, indulgente, scrollando il capo con noncuranza. «Ma ho sempre trovato la normalità noiosa» dichiara spassionato, facendo una smorfia lieve. «Mandali da me» si offre disponibile, all’improvviso.
Dominique sbatte le ciglia, perplessa, la bocca socchiusa. 
«Chi?»
«Quelli che ti fanno sentire sbagliata» spiega lui, gentile. «Punire è la mia specialità» aggiunge vanitoso, come se fosse un motivo d’orgoglio.
Rimane in silenzio, il cuore che batte furioso nella gabbia toracica. Non riesce a identificare quella sensazione che sta provando  affetto, gratitudine, fiducia , sa solo che non si è mai sentita travolta da qualcosa di simile.
Perché quando abbiamo un disagio e cerchiamo di nasconderlo agli occhi del mondo – convinte che in qualche modo sia la soluzione migliore, anche se sappiamo che scappare, rifiutare di crederlo reale, è una soluzione momentanea che non lo farà svanire –, si ha paura di confessarlo a qualcuno perché sembra quasi rendere la sofferenza più vera e potente.
In una parola: invincibile. 
Peccato che fingere che vada tutto bene sia inutile perché questa torna sempre, più crudele e acuta di prima. 
Almeno finché non troviamo chi ci accetta per come siamo davvero e non per quello che vorremmo essere. E non ci consola per un legame di sangue o altro, come farebbe un fratello e un cugino, ma per una sua scelta. 
Una sua, libera, scelta.
Forse a causa di quella scintilla di speranza che è in grado di farle provare – anche se dolorosa, perché la speranza porta con sé la possibilità del fallimento –, che non può fare altro che respirare ossigeno e fiducia, rendendo le tinte che colorano il mondo meno cupe e desolanti.
Quell’accettazione è esattamente quello che aveva bisogno di sentire, in quel momento.
Ed è ironico che sia venuta proprio dall’ultima persona che immaginava.
Le labbra le si stendono per riflesso in un sorriso radioso, che le illumina il volto e gli occhi chiari, facendoli baluginare di una felicità così selvaggia da renderli splendidi.
Lance, che l’ha osservata per tutto il tempo con i lineamenti distesi, non riesce a fare a meno di ricambiare quel sorriso, anche se il suo è più lieve e trattenuto.
«Resti con me, stanotte?» domanda amabile e, quando fa così davvero, lo giura, fa quasi male a guardarlo.
«Sì» risponde lei, sommessa, in un sussurro. «Ma a una condizione» precisa con enfasi.
Lui inarca un sopracciglio, paziente.
«Sentiamo» la sprona magnanimo.
«La maglietta me la tengo» decreta Dominique, ebbra di gioia, con un piglio che vorrebbe essere irremovibile ma che risulta solo terribilmente deliziato.










“... e in quel momento, io l’ho amato.
Non volevo. Questa cosa mi terrorizzava ma…

 per quel momento, io l’ho amato.”
The Vampire Diaries










Lo devo ammettere: ho perso il controllo.
Così tante pagine per una singola os sono troppe anche per me (e mi sono trattenuta dall'inserire altre scene, perché altrimenti impazzivo).
Allora, in tutta onestà, non ho idea di quante os manchino alla fine. Se mi va bene, la serie dovrebbe essere composta da una quindicina (lo so, è una previsione davvero troppo ottimista). Quello che so con assoluta certezza è che, prima di continuare con questa serie, devo terminare Condannati, altrimenti Lance rischia di farmi spoiler (mannaggia a me il giorno in cui ho inventato questa trama!).
Quindi temo che ci vedremo dopo l'estate, per quanto riguarda questa storia.
Ma questo non significa che io non abbia già iniziato a scrivere la settima os…
Stavolta il titolo mi ha fatto sudare. Non ricordo quale fosse l’altra opzione ma so di averla scartata quasi subito perché non era altrettanto eloquente. 
Quello di cui si ha bisogno mi è sembrato un ottimo riassunto di quello che volevo comunicare. Da una parte abbiamo Lance che sente di dover vendicare il fratello, dall’altra Domi che trova, suo malgrado, nel Serpeverde quello che aveva sempre sperato.
Mi auguro che la lettura sia stata divertente e scorrevole.
A presto,
Blue


Pozione Niente Sogni: intruglio di mia invenzione. 


   
 
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