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Autore: Nao Yoshikawa    19/07/2022    1 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo cinque: Il nome
 

- Intermezzo -

Tamago
 
 
 
Tamago cammina felice e tranquilla, perché sa che il luogo in cui vive è come una foresta incantato e niente di male può accaderle. Sa però che dovrebbe tornare indietro, perché è quasi buio e del resto lei ha solo cinque anni. Però è curiosa. Tamago ha una fattoria e conosce tutte le persone che vivono vicino a lei, che non sono poi molte. Ad un tratto il buio è più prepotente. Vede qualcosa, di alto e imponente. Le sembra un albero e poi invece si rende conto che è una persona. Dapprima si spaventa, ma non scappa.
«Eeeehi, signore! Ti senti bene, ti sei perso?»
Lui non risponde e la guarda. Pensava di farla scappare via terrorizzata. E sorprendentemente, non accade. O forse non dovrebbe sorprendersi così tanto. I bambini tendono sempre a girargli attorno.
«Non mi sono perso. Tu piuttosto, non dovresti essere qui, adesso.»
Tamago s’indispettisce.
«Antipatico» si lamenta. «Non ti ho mai visto da queste parti. Sei un po’ spaventoso. Tu come ti chiami? Io mi chiamo Tamago, che significa uovo. Ma non provare a prendermi in giro, altrimenti io… mi… mi arrabbio molto! Lo sai? Io so leggere i tarocchi, ho un mazzo proprio qui con me. Posso leggerti il futuro.»
«Non hai paura?» domanda lui.
«Io no. Anche se sei un po’ spaventoso. Ma non si giudicano le persone senza conoscerle, ecco!»
Tamago sente qualcuno che la chiama. Il buio è calato, deve tornare a casa.
«Ops. Mi chiamano. Devo tornare. Come ti chiami, signore?»
Lo vede a malapena, ora.
«Se te lo dico, deve essere un segreto.»
«I segreti mi piacciono così tanto. Allora, come ti chiami?»
Lui si china e le sussurra il suo nome. Garou.
 
      “Ho sentito dire che hai un potere straordinario
A me non piace, lo detesto. È terribile non sapere mai dove mi ritroverò.
Sei ancora una bambina ingenua. Pensa a cosa significhi poter modificare gli eventi a proprio piacimento.
Che vuol dire?
Niente. Non vuol dire niente.”
 
 
«E-ehi, Genos. Ma non puoi evitare di correre? Guarda che questa notte è stata stancante per me. Ma poi, si può sapere dove stai andando?!»
E dire che per fare stancare uno come Saitama ci voleva un grande sforzo. Oramai però era chiaro che Genos avesse su di lui un effetto particolare. E per quanto riguardava il cyborg (oramai semi-cyborg), nemmeno lui era piuttosto in sé. Quella scoperta sull’essere diventato un po’ più umano (un po’ più umano a pezzi), lo aveva destabilizzato parecchio. E anche se razionalmente sapeva che non poteva prendersela con nessuno… maledizione, quanto detestava quella cartomante! Tutto era andato in malora da quando l’aveva incontrata!
«Genos! Oh, finalmente ti sei fermato. Ma si può sapere cos’hai in testa?» Saitama finalmente era riuscito ad afferrare il suo braccio e a fermarlo.
«Quella donna ci ha lanciato una maledizione.»
«Che cosa? Ah, dai. Non crederai a queste cose.»
«Se non è questo, allora magari lei e quei mostri sono dalla stessa parte. Non so ancora in che modo né perché, ma per quanto mi riguarda è sospetta.»
Genos riuscì a staccarsi dalla sua presa e Saitama alzò gli occhi al cielo. Non potevano avere una giornata come qualunque altra? Avrebbero dovuto essere felici, insomma, avevano avuto la loro prima volta. E invece ora Genos si metteva a giocare alla caccia alla strega. Genos sapeva di non avere la certezza di ritrovarla, visto che quella donna spariva e riappariva come voleva (e questo in effetti era ancora più sospetto). Però quella volta fu fortunato: Maga Tamago dormiva vicino la sua bancarella. Si era seduta ed era crollata, aveva avuto una nottata molto movimentata anche lei, anche se per motivi diversi.
Genos si avvicinò a lei, scuotendola lievemente.
«Ehi! Sveglia! A che gioco stai giocando?»
Tamago aprì gli occhi, stordita.
«Eh?»
«Che cosa mi hai fatto? Non so ancora né come né perché, ma sono quasi certo che tu e quei mostri siate in combutta. Cosa sei, il loro capo? Li hai mandati tu? A che scopo? Parla.»
Non era da Genos perdere la calma, anzi. Ma non si sentiva più sé stesso, quindi al diavolo tutto. Tamago lo fissava, con quegli occhi grandi e scuri. E poi, dal nulla, iniziò a piangere come una bambina. Quella reazione colse Genos di sorpresa.
«Oh-oh. Hai fatto piangere una ragazza. Questo da te non me l’aspettavo» disse Saitama.
Sì, in effetti nemmeno lui se lo aspettava da sé stesso.
«E… non… dai, non piangere. Non volevo dire che…»
Saitama si chinò su Tamago e le circondò le spalle con le braccia.
«Sei stato duro, è solo una bambina.»
«Ma se avrà almeno vent’anni.»
«Sì, però è così… tenera e innocente» Saitama parlò e in parte si sorprese di sé stesso. Poi si rivolse a Tamago. «Scusalo, di solito è molto gentile. È che è successa una cosa, quindi ha un po’ perso la testa. Dai, non piangere. Se piangi, pioverà.»
Si bloccò di colpo. Ma perché aveva detto quella cosa?
 
 
Tamago tendeva ad essere molto piagnucolona quando qualcosa non andava.
«Mi sono fatta così tanto maleeeee!»
«Tamago, è stato sei ore fa! Va bene, forse non dovevo permetterti di salire su quell’albero, ma tu mi avevi detto che avresti fatto attenzione. E poi, ti ho disinfettato il taglio, ti ho messo il cerotto con su disegnati i pulcini, che devo fare ancora?» domandò Saitama. Tamago gli si buttava addosso come un sacco di patate.
«Mi brucia ancora!»
«Va bene, ho capito. Avanti, tirati su» Saitama la prese in braccio e la mise seduta. «Dai, non piangere. Lo sai che se piangi, poi pioverà. E se piove non potrai giocare fuori.»
Tamago sgranò gli occhi, una lacrima le solcò una guancia.
«Quindi… quindi se sorrido sempre, ci sarà sempre il sole?»
«Ovviamente, è così che funziona. E ti prego: non farne parola con nessuno, soprattutto con una certa persona, che sei caduta e ti sei fatta male. Altrimenti sarò io quello che avrà motivo per piangere» disse Saitama rassegnato. E Tamago si mise a ridere.
«Non lo dico a nessuno.»
 
Genos si disse dannazione, ma cosa ti è preso? Non è da te reagire in questo modo. E soprattutto, fai piangere una ragazza, accusandola senza avere prove concrete.
Tamago aveva smesso di piangere, si era asciugata gli occhi. E Saitama si era erto su di lei come uno scudo, come a proteggerla. Nemmeno questo era da lui, eppure eccoli lì.
«Io non sono in combutta con loro, ma se non mi credete non posso biasimarvi» disse Tamago, ora più calma. Che sciocca, lasciarsi andare alle lacrime. In fondo era sempre stata una bambina piagnucolona e poi una ragazza piagnucolona. Un po’ troppo emotiva.
«Tranquilla, io ti credo» disse Saitama di getto. Non era certo un ingenuo, però Tamago sembrava così sincera. «Il fatto è che sei così misteriosa che puoi destare sospetti. Dove vivi? Non ce l’hai una famiglia?»
L’espressione di Tamago si contrasse di nuovo: stava per ricominciare a piangere. Senza rendersene conto, Saitama doveva aver toccato un tasto dolente.
«Eh? S-scusa, non avevo capito fossi orfana e senza una casa. Almeno credo che sia questo.»
«… Adesso però sei tu che l’hai fatta piangere» sospirò Genos. «Sono… desolato, d’accordo? Ma le cose sono iniziate a cambiare da quando ti ho incontraao. Le tue previsioni potrebbero starsi rivelando esatte.»
«È solo un caso, non crederai davvero a queste scemenze? Cioè, senza offesa. Ma io non ci credo.»
Quei due erano proprio divertenti nel loro discutere. Per un attimo Tamago si era sentita come se fosse a casa sua, come se avesse di nuovo cinque anni. Non è che fosse cambiata tanto da allora. Impaurita era, impaurita era rimasta.
«Tutto è davvero iniziato ad andaer male da quando mi avete incontrata, non avete idea di quanto. A volte vorrei tanto non esistere» sussurrò Tamago, in un certo senso teatrale, sollevando gli occhi verso il cielo. Affermazioni forti e anche piuttosto tristi.
Saitama non si sentiva nella posizione di fare discorsi motivazionali, lui stesso conosceva l’apatia e la voglia di non fare nulla, non andare avanti. Ma oramai le cose erano cambiate.
«Non so cos’hai passato, ma tutto andrà meglio. Su» disse dandole dei colpetti affettuosi sulla testa. Genos si stupì nel vederlo così affettuoso con qualcun altro e si sentì anche un po’ geloso. Ma Tamago parve trovare giovamento da quel contatto.
«Davvero? Oh, voi siete davvero una gioia per gli occhi. Non dovete lasciarvi mai!» esclamò ad un tratto. Saitama guardò Genos e poi guardò di nuovo Tamago, un po’ inquietato.
«Emh… noi non stiamo insieme… cioè, non proprio. Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?!»
Tamago sorrise e ad un tratto parve ritrovare la sua aura di mistero.
«Ti ricordo che sono io che leggo il futuro. I miei tarocchi non sbagliano mai.»
 
 
Saitama alla fine riuscì a far desistere Genos dal fare qualsiasi cosa e a riportarlo a casa. Per un attimo gli era venuta la voglia di prendere quella ragazza e portarla a casa con sé. Ma tanto per cominciare non c’era spazio, seconda cosa una ragazza non era certo un gatto, non poteva darle una ciotola e una lettiera e finirla lì. Terzo, in effetti non sapevano nulla di lei, anche se Saitama era convinto che Maga Tamago non fosse pericolosa. Ultimo, ma non meno importante, Genos era diffidente e di umore terribile, cosa a cui Saitama non era abituato.
Non riusciva proprio a darsi pace. Non era più abituato ad essere umano, a sentire la fame, a sentire il nervosismo come bile che gli faceva venire la nausea, a sentire il suo cuore che batteva, in modo calmo quando era tranquillo, più veloce quando si agitava.
«Posso dire una cosa?» tentò Saitama. Certo, lui la cosa la stava vivendo da esterno, ma voleva provare a non peggiorare la situazione.
«Certo, ma temo non cambierebbe molto» disse Genos. Si guardava allo specchio, si rimirava. Si toccava il viso, che era quello di sempre, si tirava i capelli, anche quelli uguali. Poi passava al suo petto e al suo addome che invece erano fatti di carne e nervi e sangue.
«A me così piace. Non dico certo che devi rimanere così per me. Dico solo che non è poi così male.»
Genos si voltò a guardarlo. E finalmente ebbe modo di ripensare alla notte che avevano passato, la notte e le sensazioni che credeva di aver sognato. Si ritrovò – con sua sorpresa – ad arrossire.
«Sono spiacente, mi sono comportato da pazzo dopo che siamo stati così bene.»
«Figurati, penso sarei impazzito allo stesso modo. Allora posso venire vicino a te? Non che io ti tema, ma se provi a farmi male, potrei fartene molto di più. E vorrei evitare, con te.»
Genos fece un cenno col capo e allora Saitama gli si avvicinò. Era giusto che parlassero di un certo argomento, visto che avevano fatto sesso e visto che di certo non potevano fare finta di niente.
«Quindi ora… cosa dovremmo essere? Tipo una coppia? Non sono sicuro di come funzioni, per me è la prima volta» ammise Saitama. Sembrava addirittura in imbarazzo. Genos fece spallucce. Nemmeno nei suoi sogni più reconditi aveva mai immaginato di arrivare a questo.
«A me… piacerebbe. Ma non siamo costretti. E poi… se non ti piaccio abbastanza…»
«Questo non l’ho mai detto.»
Genos abbassò lo sguardo. Non la maledetta gelosia, non era un sentimento che gli era mai piaciuto.
«Ho avuto l’impressione che a te piacesse lei.»
«Chi?»
«Q-quella donna, Maga Tamago. Non ti ho mai visto così affettuoso con nessuno.»
Già, Saiatama se ne rendeva conto e non se lo spiegava. Si grattò la testa, nervoso.
«Ah, no. Non mi piace in quel senso. Certo, Tamago è bella. Però mi ricorda un po’ troppo me.»
«Te?» domandò Genos sorpreso. E poi era la prima volta che sentiva Saitama definire qualcuno bello.
«Sì, non chiedermi perché, ma è così. Anche se in realtà mi ricorda un po’ te. Ma non mi piace in quel senso, la vedo più come una sorella o una cosa del genere.»
«Ti ricorda me? Non mi somiglia affatto» disse Genos, anche se in realtà non ci aveva mai fatto caso. Comunque era impossibile, non esisteva nessuno che gli somigliasse.
«Vabbé, comunque, adesso che sai che non mi piace: siamo una coppia sì o no?» domandò Saitama con una punta di impazienza. Ma Genos lo vedeva chiaramente: più che impazienza, il suo era imbarazzo. Quando Saitama era in imbarazzo, guardava da un’altra parte. La trovava una cosa molto tenera. E poi… loro una coppia? Sembrava assurdo, però gli piaceva.
«Mi piacerebbe.»
«Bene. Forte.»
«Quindi… tu sei il mio…?» domandò Genos, sperando che Saitama concludesse la frase. Altro che maestro e allievo, altro che amici e coinquilini, oramai erano andati troppo oltre.
Saitama lo fissò per qualche istante.
«Ragazzocompagnofidanzato?» domandò facendo spallucce. Lui non era mai stato il ragazzo, compagno o fidanzato di nessuno.
«Sì. E noi facciamo…»
«Ti imbarazza la parola sesso, Genos? Non mi sembravi molto imbarazzato la notte scorsa!» disse Saitama sorridendo. Già, proprio una bella nottata.
«È solo che mi fa strano. In teoria non sarebbe dovuto essere possibile. Non che mi dispiaccia!» ci tenne a precisare. «È che in questo corpo metà umano e metà meccanico non mi ci trovo affatto.»
Saitama si fece pensieroso.
«D’accordo. Io non credo a questo genere di cose, figurarsi. Ma forse era destino. Il fatto che tu abbia affrontato quei mostri e che loro ti abbiano cambiato. Tu mi sembravi credere alle parole di Maga Tamago.»
«Tu mi sembravi non crederci affatto» disse Genos, serio.
«E infatti non ci credo ancora. Senti, perché non facciamo un compromesso?»
Genos si fece più attento.
«Di che tipo?»
«Rimani così per un po’. Solo per un po’ e se poi proprio non ti piace, andrai da Kuseno e cercherai una soluzione. Magari scoprirai che così ti piace.»
A Genos non dispiaceva certo l’idea del sesso con Saitama. Anzi, ne voleva ancora, e l’eccitazione e il piacere erano belli da provare.
«Lo dici per questo o perché vuoi fare… sesso con me?» domandò.
«Io voglio fare sesso con te, molto. Lo ammetto» Saitama fece spallucce. «Ma magari ti piace davvero. La mia è solo un’idea. Ma corpo tuo, scelte tue.»
Ed era sincero e Genos lo sapeva. Dunque che fare? Temeva che quella sua nuova condizione potesse ostacolarlo nella sua carriera da supereroe. Ma la sua paura più grande era: e se non fosse più stato capace di fare a meno della sua umanità?
Però amava Saitama e amava come lo faceva sentire, fisicamente e non. Sulla pelle, dentro e fuori.
«E va bene. Non credo che perderò troppo se per un periodo rimarrò così.»
«Meno male. Allora posso fare questo.»
E così Saitama agì in modo inaspettato (perché dopotutto Genos non era l’unico a dover fare i conti con la propria umanità). Strinse le sue spalle e lo baciò, infilò la lingua tra le sue labbra. Genos socchiuse gli occhi e divenne istantaneamente incapace di pensare. Saitama agiva come uno che non voleva metterci troppa forza rischiando di fargli male (per davvero stavolta) ma agiva anche come uno di quelli che avrebbe voluto prenderlo in tutti i modi possibili. Genos glielo avrebbe fatto fare.
«Ma… oh… non pensavo avessi questo lato nascosto» ammise Genos, con un ansito.
«Già, nemmeno io. Una bella sorpresa, devo dire. Ora non ti chiederò scusa perché sto per zittirti.»
E non lo fece, però lo baciò in un modo tale che a Genos girò la testa. Una sensazione per nulla spiacevole. E poi pensò che magari non doveva essere per forza interpretabile come un trauma, quel cambiamento. Forse Maga Tamago aveva indovinato qualcosa, ma questo non voleva dire che avesse indovinato proprio tutto.
 
 
Tamago non poteva credere di essersi lasciata andare alle lacrime. Ma cosa poteva farci se era umana anche lei? Seduta su un muretto e con le gambe accavallate, guardava i tarocchi, se li passava di mano in mano.
«Se qualcuno dovesse predire a me il futuro, vedrebbe soltanto qualcosa di infausto e terribile. O forse quello vale per il passato. Non lo so, è tutto terribile adesso, così terribile che mi fa stare malissimo. A volte vorrei proprio non sentire nulla.»
Tamago parlava tra sé e sé e allora le certe le caddero, finendo ai piedi di una ragazzina che si era avvicinata incuriosita alla sua bancarella.
«Nee-chan! Non è un problema se ti chiamo così, vero?» domandò Zenko con le mani poggiate sui fianchi. Tamago strabuzzò gli occhi e si raccolse a raccogliere le carte.
«No. Non è un problema. Stai bene? E tuo fratello…?»
Zenko fece spallucce.
«Sta… così. Comunque i suoi amici eroi sono venuti a trovarlo. Lo sai, penso che tu dovresti venire con me.»
«Io non credo sia una buona idea, non sono gradita e…»
«Ho detto che dovresti venire con me» insistette Zenko, aggrappandosi al suo braccio. E sebbene fosse più piccola di lei (anche se Tamago l’avrebbe percepita sempre come più grande di lei), era davvero impossibile dirle di no.
«Va bene, magari posso venire solo per cinque min-»
Zenko la tirò via con sé, iniziando a chiacchierare sul fatto che dovessero sbrigarsi e che suo fratello fosse stato scortese a cacciarla la volta scorsa (ma lei gliene aveva dette quattro, questo ci aveva tenuto a specificarlo). Così Tamago si lasciò trascinare da lei. Non si era molto soffermata a pensare quando Zenko aveva accennato agli amici eroi di Metal Bat, e in effetti fu sciocco da parte sua.
Prima che potesse metabolizzare il pensiero che stesse per incontrare persone che non vedeva da anni, si ritrovò lì. Zenko che le teneva la mano e si annunciava a gran voce e tutti che si voltavano a guardarla. Persino Metal Bat aveva puntato lo sguardo verso di lei.
«Ancora tu?!»
«Chi è lei?» domandò Fubuki.
«È una mia amica. E nii-san, tu sei veramente maleducato, comportati bene!» lo rimproverò Zenko. «Comunque lei è Tamago.»
Quest’ultima si guardò intorno. C’era King che giocava ad un videogame con la testa bassa, come se si trovasse a disagio. C’era Child Emperor, i fratelli Bang e Bomb e le sorelle Fubuki e Tatsumaki. Ed ecco che le veniva di nuovo da piangere, ma come non avrebbe potuto? Quella era la sua famiglia!
«Oh, non sono mai stata così felice di vedervi» disse commossa. Metal Bat fece una smorfia.
«È un po’ stran-volevo dire, una tipo originale!» si corresse quando vide Zenko guardalo male.
«Però mi piace il suo stile» ammise Fubuki. Tamago le andò incontro, abbracciandola.
«Oh!» esclamò arrossendo. «M-ma cosa…?»
«Ehi, non è educato questo contatto fisico non richiesto» borbottò Tatsumaki infastidita.
Tamago le sorrise.
«Zietta Tatsumaki, ora sono più alta di te!» esclamò.
COSA?
In una sola frase era quasi riuscita a scatenare tutta l’ira di quella donna, e se si trattenne fu solo grazie alla sorella. Poi si rivolse a Child Emperor.
«Ciao. Come sei piccolo qui. Adorabile, davvero. Mi verrebbe quasi voglia di strizzarti le guance!»
Child Emperor arrossì, sconvolto. Ma chi era quella e perché gli si rivolgeva come se lo conoscesse?
«N-non sono un bambino! Cioè sì, però… un po’ di rispetto!» Ma Tamago stava già prestando a King le sue attenzioni.
«King, sono così felice di vederti! Una vera gioia.»
«… Ci conosciamo?» domandò, confuso. In realtà erano un po’ tutti confusi. Bomb e Bang erano rimasti in silenzio ad osservare la nuova arrivata, fin quando Bang non prese parola.
«Ragazza, sei un’eroina?»
Tamago si mise subito dritta, ma era sorridente.
«Un’eroina io? No, direi di no.»
«Allora fai parte dei cattivi. Spero tanto di sì» borbottò Tatsumaki, ancora offesa per prima.
«No, ma che cattiva. Io non… emh… non sono niente, ancora»
Poi calò il silenzio. Metal Bat era inquieto, stare accanto a lei gli faceva vedere e sentire cose strane, ma questo evitò di dirlo, come mai lo avrebbe spiegato?
«Niente, eh? Mi ricordi qualcosa» osservò Bang.
«Sì, in realtà anche a me» ammise Fubuki. Tatsumaki borbottò dicendo che non le ricordava nessuno di particolare e Zenko poi le disse che poteva restare, se le faceva piacere. A Tamago faceva moltissimo piacere.  Era un po’ come tornare a casa. Anche senza esserci, ancora.
 
   
 
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