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Autore: Nao Yoshikawa    20/07/2022    4 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo trentatré
 
Orihime stava bene. E questa era una cosa che non avrebbe più dato per scontato.
Era una bella giornata. C’era il sole, aveva da un lato Ulquiorra che dipingeva e da un lato Kiyoko che cercava tra i cespugli qualche fiore particolare da fotografare. Si davano le spalle e, nel vederli così, Orihime si rese conto di quanto fossero identici nell’aspetto e nel temperamento. E dire che aveva rischiato di rovinare tutto, mentre invece adesso si sentiva carica di una nuova energia. E non vedeva l’ora di accogliere in casa sua un bambino che aveva bisogno di affetto, di una famiglia. Stava bevendo qualcosa di dolce e mangiando una ciambella (aveva ripreso a sperimentare con i dolci, questo voleva dire che era davvero di buon umore), mentre parlava con Rukia, Tatsuki e Nel sul loro privato gruppo Whatsapp.
 
Da Tatsuki: Ieri ho comprato il vestito per il matrimonio. Ma mi sa che è inutile, metto su peso a vista d’occhio.
Da Neliel: ma che esagerazione, il matrimonio è tra meno di un mese. Non so a voi, ma a me i matrimoni piacciono proprio. Ve lo ricordate il mio?
Da Rukia: difficile da scordare, Grimmjow ha avuto una sbronza epocale. E dire che era il testimone. Adesso scusate, finisco di riordinare i miei appunti,
Da Tatsuki: e io vado a cercare del cibo. Hime, dovresti portarmi uno dei tuoi cupcake particolari, ne ho bisogno.
Orihime sorrise.
Certo, te ne porto quanti ne vuoi.
E poi si stiracchiò. Aveva avvertito una sensazione dolce-amara nell’apprendere della gravidanza di Tatsuki. Ora però si sentiva leggera. Malinconica, certo. Ma confidava che quella malinconia sfumasse con l’avvenire della bellezza della vita. Si alzò e si avvicinò a Ulquiorra. Lo vedeva usare colori quali il verde – come i suoi occhi e quelli di Kiyoko – il rosso, il giallo. Colori allegri e pieni di vita.
«Ti sei dato all’astrattismo?» domandò maliziosa. Ulquiorra fece spallucce.
«A volte ho solo bisogno di lasciare fluire quello che sento attraverso il pennello. Ti piace?» domandò. Orihime strinse il suo braccio e poi posò la testa sulla sua spalla. Era tenero che chiedesse la sua opinione anche dopo tutti quegli anni.
«Mi piace qualunque cosa tu faccia, mio artista» sussurrò. Lo baciò a tradimento e Ulquiorra sospirò nel suo bacio. Poi Kiyoko saltò fuori da un cespuglio, gridando.
«Questa è in assoluto la foto più bella che io abbia fatto. Voglio proprio fare questo lavoro da grande!»
Ulquiorra voltò appena il capo,
«Sono così orgoglioso di lei che potrei commuovermi.»
E lo disse in un modo così serio che Orihime scoppiò a ridere.
 
Tatsuki posò il cellulare e si fiondò sulla vaschetta di gelato che l’aspettava. Non riusciva proprio a resistere al cibo dolce. Seduta al tavolo, sentì Uryu lamentarsi, mentre si chinava per raccogliere vestiti e giocattoli sparsi a terra.
«Lo sai che cosa avete in comune tu e tuo figlio? Il disordine e il fatto che non mettete niente al proprio posto.»
«Forse tu dovresti essere meno pignolo» rispose lei, senza scomporsi. Uryu sollevò lo sguardo, facendosi quasi scivolare gli occhiali sul pavimento. Se fossero stati quelli di un tempo, avrebbero trovato in quella sciocchezza un motivo per discutere. Ma adesso Uryu la guardava e non faceva altro che ripetersi quanto bella fosse e quanto l’amasse. Forse l’amore gli aveva davvero mandato in pappa il cervello. E si ritrovò a sorridere come un’idiota.
«Sì, in effetti io sono pignolo.»
Tatsuku arrossì.
«M-ma io stavo solo scherzando. E poi è vero, io non metto mai nulla al proprio posto. Lascia, ci penso io» aveva lasciato cadere il cucchiaino e si era alzata, ma Uryu le aveva fatto segno di stare lontana.
«No, tu sei incinta.»
«E allora?» domandò cercando di togliergli i vestiti dalle mani. «Non sono malata, sono in perfetta forma. Dai, non fare l’apprensivo come al tuo solito.»
«E tu non fare la testarda come al tuo solito»
Tatsuki sorrise indispettita e lo baciò all’improvviso, facendolo arrossire. Questo lo facevano spesso da adolescenti: lui che parlava e lei che gli rubava i baci. Quando tutto era leggero e facile. Ora erano adulti, ma forse la leggerezza che tanto bramavano non era andata del tutto persa. Era tornata. Yuichi si era fermato a guardarli e un po’ imbarazzo aveva tossito.
«Papà, ti aiuto io, okay? Mamma, tu sta ferma.»
Tatsuki sgranò gli occhi, stupita. Suo figlio e suo marito si erano coalizzati contro di lei, ma doveva ammettere che ricevere tutte quelle attenzioni non le dispiaceva, e si disse anche che avrebbe ringraziato Uryu a vita per avere avuto pazienza. Dentro lei e davanti a loro c’era una bellissima seconda possibilità.
 
Anche Neliel aveva gettato il telefono in un angolo ed era andata a molestare Nnoitra, il quale si era rimesso a lavorare con costanza sulle sue tavole. Ma quando l’aveva vista arrivare, Nnoitra aveva smesso di disegnare e le aveva detto oggi c’è una storia che voglio raccontare a Naoko.
Allora Neliel non aveva fatto domande, perché aveva già capito e perché quello per Nnoitra rappresentava l’ennesimo passo importante. Parlare con Naoko, che era una delle persone che più amava e di cui più temeva di perdere l’amore.
Naoko aveva la salopette sporca di colore e di colore aveva sporcato anche la coda del povero Aries, ora accucciato accanto a lei.
«Nao» la chiamò Nnoitra, prendendola in braccio. «Non tormentare quel povero martire.»
Naoko si lasciò andare ad un gridolino eccitato, perché ora si trovava a testa in giù e ora Nnoitra l’aveva adagiata sul divano. Poco dopo Neliel si era seduta accanto a lei e Nnoitra l’aveva raggiunta.
«Allora… vuoi sentire una storia?» domandò Nnoitra, che a raccontarle a voce non era proprio bravo. Ma voleva parlare a sua figlia di lui. Del migliore amico che aveva perso e che non aveva mai smesso di essere importante. Naoko si fece attenta, percependo l’importanza di quel momento.
«Sì! Una storia su cosa?»
«Non su cosa, ma su chi» sussurrò. «Si tratta del mio migliore amico. Lo sai, lui era molto diverso di me, ma siamo stati amici per tutta la vita.»
Quando Naoko lo sentì parlare al passato, capì. Era una persona che non c’era più. Guardò sua madre, cercando una conferma che trovò. Di questa persona suo padre non le aveva mai portato e il fatto che avesse deciso di farlo adesso, doveva significare di qualcosa d’importante.
«E come si chiamava?» domandò,
A Naoko, Nnoitra non voleva raccontare della tristezza legata alla morte di Tesla. Voleva parlare di tutto ciò di bello di cui ricordava. Dei momenti felici, anche se inevitabilmente lo facevano sentire triste. E andava bene così.
«Tesla. Lui era la mia ombra, io la sua. E sono sicuro che ti avrebbe adorata, mia piccola Naoko» disse, addolcendosi all’improvviso e sentiva quella sensazione familiare di dolcezza e amarezze al contempo. Neliel strinse la sua mano, molto commossa. Naoko sorrise e lo guardò negli occhi.
«Raccontami ancora.»
 
Rukia finì di sistemate i suoi appunti e poi rimise a posto i libri. Avrebbe avuto un altro esame di lì a breve, ma a differenza della prima volta, la stava vivendo con molta meno ansia. Anche perché poteva contare sull’aiuto di Ichigo, che finalmente aveva lasciato da parte il panico.
Aprì la porta dello studio: nella sala da pranzo c’era la sua caotica, ma tanto meravigliosa famiglia. Kaien, Kohei e Masato che giocavano insieme, capitanati da Isshin. Kohei che andava d’accordo perfino con Kaien, gli aveva mostrato il suo adorato libro sulle aquile e il cugino si era mostrato interessato. E poi c’erano Yuzu e Karin che parlavano mentre preparavano da mangiare.
«Così le cose tra te e Chad vanno bene, eh? Quanto bene?» domandò Yuzu con un certo tono malizioso che mise in imbarazzo la gemella. Karin infatti era arrossita, ma nei suoi occhi c’era una luce tutta nuova, la luce di chi aveva ritrovato la direzione giusta.
«Yuzu, smettila di mettermi in imbarazzo» borbottò, ma poi il suo sguardo si addolcì. «Ad ogni modo sì, le cose vanno molto bene. Adesso abbiamo più tempo per noi, sembriamo… una coppietta appena sposata. E questo fa bene anche a Kohei. Guardalo, è decisamente più socievole del solito» disse indicando il figlio, che si trovava tra i suoi cugini. Forse era l’effetto dell’amore (o forse per il semplice fatto che si era lasciata andare), ma si sentiva insolitamente calma. Il mondo sarebbe stato sempre pieno di pericoli, ma lei voleva prendere esempio da Chad, sempre così calmo e col sangue freddo di affrontare le avversità. Yuzu l’abbraccio all’improvviso e per poco Karin non si tagliò un dito.
«Mi sembra naturale! Perché l’amore, mia cara sorellina, è ciò di cui tutti hanno bisogno. Non sai che bello sentirti dire certe cose. Ma a che ora arriva lui? Tu sei troppo misteriosa al contrario suo!»
Rukia rise e finalmente le due si accorsero di lei. Karin la implorò di liberarla dalle molestie di Yuzu. C’era caos. Ma quel caos che amava. Ichigo uscì di fretta, tenendo il camice in una mano e uno zaino nell’altra.
«Sono in ritardo, come al solito! Rukia, ci penso io ai bambini dopo.»
«Oh, Ichigo. Non strapazzarti troppo, oggi sono libera. Non devo studiare per forza in modo matto e disperato» lo rassicurò, poggiandosi con la schiena al muro. Nonostante fosse di fretta, Ichigo si fermò all’improvviso, si chinò su di lei e la baciò appassionatamente sulle labbra. Roba che Rukia avrebbe voluto non lasciarlo più andare, ma dovette farlo.
«D’accordo. A più tardi» le disse e poi sorrise, lasciando sua moglie lì, con le gambe tremanti e un batticuore degno di una ragazzina. Karin si trattenne dal ridere, mentre Yuzu si lamentava.
«Accidenti a voi due! Adesso anche io ho tanta voglia di innamorarmi!»
Mentre usciva, Ichigo salutò velocemente Renji, il quale era quel giorno venuto da Rukia per parlarle. Non per chiederle aiuto, ma per riferirle una lieta notizia. Era così felice che non riusciva a tenerselo per sé. Byakuya – più timido e riservato – lo avrebbe perdonato. Renji fu accolto calorosamente in quella casa che ora sarebbe stata anche un po’ sua, da quella famiglia che ora era anche un po’ sua.
«Renji! Ma tu guarda, non ti aspettavo» disse Rukia tutta contenta, guardando poi dietro di lui. «E mio fratello non c’è?»
«Amh, no. Lui è a lavoro e io ero venuto qui per… beh, in realtà non c’è un motivo in particolare» disse arrossendo e tirandosi per errore una ciocca di capelli. C’erano Yuzu e Karin che lo guardavano con una certa curiosità, come due pettegole.
«Volevo solo dirti che con Byakuya le cose vanno bene. E intendo… molto bene.»
Quando Rukia lo guardò negli occhi, capì che tra Renji e suo fratello doveva essere successo qualcosa d’importante. Che entrambi dovevano aver superato quel muro che ancora li divideva. E capì anche il resto. Sgranò gli occhi e si portò una mano davanti la bocca.
«Oh, mio… voi lo… lo avete fatto
Renji aveva sperato (un po’ stupidamente in realtà) che Rukia non lo dicesse davvero ad alta voce. E invece lo aveva detto! Adesso aveva Yuzu e Karin che gli giravano attorno curiose e con gli occhi che brillavano.
E poi Kaien saltò su, incuriosito da tutto quel trambusto e chiese a gran voce Chi ha fatto cosa?
Nessuno però si degnò di rispondere. Renji indietreggiò, sorridendo nervoso.
«Emh… è così sorprendente come notizia?» domandò, impaurito come se fosse una preda pronta ad essere divorata. Rukia soprattutto era euforica.
«Sono così felice! Mio fratello non sarà mai così diretto. RACCONTAMI TUTTO.»
E con raccontami tutto, Rukia intendeva racconta come ci siete arrivati, com’è successo e com’è stato, non tralasciare nessun dettaglio. Renji si sentì in imbarazzo. Ma Rukia c’era sempre stata, magari qualcosa poteva raccontargliela…
 
 
 
Ichigo arrivò al St. Luke e salutò Ishida e Hanataro. Quest’ultimo finalmente si stava ambientando e Kurostuchi aveva smesso di prendersela con lui in continuazione, limitandosi solo ad un aspro rimprovero una volta ogni tanto. In realtà sembrava che Kurotsuchi fosse cambiato. Ma chi non lo era lì dentro, dopotutto?
Perfino il primario Urahara sembrava tornato quello di sempre e, mentre beveva il suo caffè, raccontava della sua vita a Mayuri. Quest’ultimo ci teneva sempre a ribadirlo, loro non erano amici, nella maniera più assoluta. Però si erano aiutati a vicenda nel momento del bisogno e di sicuro il loro rapporto era cambiato.
«Lo sai, penso proprio che le cose me e la mia cara Yoruichi stiano iniziando ad andare meglio. Certo, è stato strano. Non il fatto che le piacciano anche le donne, figurati. Ma il fatto che le piacesse qualcuno che non sono io. Però la terapia va bene e noi parliamo molto di più. Ho temuto davvero che potesse lasciarmi, sai?»
«Ti prego. Vi ho individuati bene, voi siete di quelle coppie che per quanto possano litigare, non si lasceranno mai. E siete così sentimentali da essere fastidiosi» rispose Mayuri, scocciato. O almeno fingendo di esserlo. Ascoltarle le chiacchiere di Urahara non era poi così terribile. Ma questo ovviamente non gliel’avrebbe mai detto.
Kisuke sorrise e stava per ringraziarlo, quando sentì una voce a lui familiare. Era suo figlio che gli stava venendo incontro correndo.
«Ehi, ma cosa fai tu qui?» domandò Kisuke, abbracciandolo.
«Sono venuto con mamma. Mentre Yami è a lezione di danza, lei mi accompagna in fumetteria. Prima però siamo passati a salutare» poi abbassò la voce. «È stata una sua idea. Le mancavi molto, credo»
«Ma davvero? Lo sai che anche lei mi è mancata molto?» domandò Kisuke, complice. Yoruichi, qualche metro più addietro, inarcò un sopracciglio. Quei due! Potevano anche essere diversi, ma in quel momento non le erano mai sembrati così simili.
«Non confabulate voi due! Su, Hikaru, adesso andiamo. Kisuke noi… ci vediamo dopo?» domandò, un leggero rossore sulle guance. Kisuke sorrise, in imbarazzo.
«Ma… ma certo.»
Kurostuchi si era allontanato proprio per evitare di assistere a certi sentimentalismi. Lasciarsi quei due, ma per favore. Di amore pensava di capirne ancora poco, ma capiva che di sicuro quei due erano anime gemelle, qualsiasi diavolo di cosa volesse dire. Poco prima di andarsene, Hikaru chiese a sua madre di aspettarlo un attimo e poi si avvicinò proprio a Kurotuchi.
«Ehi, dottore!» esclamò. Lui abbassò lo sguardo su quel ragazzino. Di solito timido, ma che ora lo guardava dritto negli occhi.
«Sì, Urahara?» domandò, come se si stesse rivolgendo a Kisuke. Ma Hikaru non parve in soggezione, anzi gli sorrise.
«Niente. È che non l’ho ancora ringraziata per avermi aiutato quella volta. Quindi grazie!» rispose.
Kurotsuchi era sorpreso. Non capiva perché lo ringraziava. Lui non aveva fatto proprio niente.
«… Questo è… è il mio lavoro, non ringraziarmi» rispose infatti.
«Ah, e poi voglio che ringrazi anche Ai da parte mia. Lei mi ha aiutato, ha detto al posto mio quello che riuscivo a dire. Lo sa, io ad Ai voglio tanto bene. Lei gli somiglia. Cioè, forse è al contrario. Siete entrambe due persone che aiutano gli altri. Solo che lei, dottore, fa un po’ paura. Solo un po’.»
Accidenti alla lingua lunga dei bambini. Nemmeno lui sapeva come rispondere. Le parole di Hikaru lo avevano colpito. Nessuno gli aveva mai detto che Ai gli somigliasse caratterialmente, come persona. Doveva essere senso di orgoglio quello che sentiva lì nel petto.
«D’accordo, la ringrazierò da parte tua. E…» ci pensò un attimo prima di dire ciò che stava pensando. «Mi fa piacere che Ai abbia qualcuno che tenga a lei così tanto.»
Hikaru sorrise tutto contento e poi tornò da sua madre, mentre Kurostuchi lo seguiva con lo sguardo. Accidenti, doppio accidenti ai bambini. L’unica che gli piaceva era Ai. O almeno fino a quel momento.
Nemu quasi si scontrò con lui. E si allarmò quando lo vide con lo sguardo fisso nel vuoto.
«Ma che è successo?» domandò. Mayuri corrugò la fronte, facendo una smorfia.
«Hikaru, quel ragazzino. Credo di essermelo preso a cuore. Dannazione. Ma non dirlo mai a Urahara o sarà il mio tormento a vita» disse senza guardarla negli occhi, burbero. A Nemu venne da sorridere. Ma non era sorpresa, anzi.
 
Yoruichi non avrebbe mai smesso di essere impegnata. E questo le piaceva molto. Aveva accompagnato Hikaru in fumetteria, poi lo aveva strapazzato di baci e infine era andata dalla sua terapista. La dottoressa Kotetsu aveva notato il suo cambiamento nel corso di quelle settimane e, anche se Yoruichi non poteva definirsi ancora realizzata, poteva dire di essere molto più serena. Oramai non aspettava nemmeno più che Kotestu le facesse delle domande: lei raccontava tutto, perfettamente a suo agio.
«Ed è andata così. Credo che io e mio marito stiamo imparando a ritrovarci. E per quanto riguarda la mia cotta, beh… l’ho semplicemente accettata. Così come ho accettato il fatto di essere attratta dalle donne. Giuro che non avrei mai pensato di potermi porre questo tipo di problemi… proprio io!» disse accasciandosi comodamente sulla poltrona. La dottoressa Kotetsu rise. Quella donna le stava proprio simpatica.
«Mi fa piacere che le cose vadano bene. E suo marito? Oggi dovevate venite insieme, se non sbaglio.»
«Ah, Kisuke sta arrivando. Credo sia stato trattenuto a lavoro. Tra l’altro» e dicendo ciò tirò su le gambe. «Non siamo ancora riusciti ad avere un rapporto sessuale completo, ma al pensiero non mi sento più a disagio. Non ho motivo. Ho esternato tutto quello che dovevo esternare.»
Era vero. Sapeva che la sua cotta per Soi Fon sarebbe passata. L’attrazione che sentiva era vera, ma era anche vero l’amore che provava per suo marito. Ed era sicura che anche a Soi Fon sarebbe passata, che avrebbe incontrato una ragazza di cui innamorarsi. Quelle erano cose che nella vita che potevano succedere.
«E mi dica, si sente felice adesso?»
Yoruichi ci pensò subito qualche attimo. Le cose andavano meglio, in amore, in famiglia, con i suoi figli. Ma che cos’era la vera felicità? Forse i momenti più semplici, più normali e addirittura banali. Non si sentiva perfetta, né infelice, né perfettamente felice.
Era perfettamente normale e di ciò ne era grata. Le ci sarebbe voluto un po’ per spiegarlo a parole, ma lo avrebbe fatto dopo, perché mentre parlavano arrivò finalmente Kisuke, tutto di corsa e visibilmente stanco.
«Ce l’ho fatta!» esclamò tutto contento. «Scusate il ritardo»
La seduta andò benissimo e quando uscirono, lo fecero con Kisuke che la stringeva forte a sé, camminando vicini come quando erano una coppietta.
«Siamo forti, vero Yoruichi cara?» chiese lui. «Cosa ti andrebbe di fare adesso? I bambini sono con Ai, noi siamo liberi.»
«Ma… tu non sei stanco?» domandò Yoruichi. Eccome se lo era, Kisuke le dava l’idea di poter crollare addormentato da un momento all’altro. Ma lui non ci diede importanza.
«Cosa vuoi che sia, il mio amore è più forte della stanchezza!»
Yoruichi arrossì, dandogli una gomitata. Aveva sempre l’abitudine di sorprenderla. E questo le piaceva da morire. Mormorò un come sei sciocco, mentre tirava fuori il cellulare. Aveva appena ricevuto una mail da parte di Soi Fon. E la lesse.
 
Prof Shihoin
Spero di poterglielo dire anche guardandolo negli occhi, ma prima ho trovato maggior coraggio agendo in questo modo. Volevo solo dirle che di sicuro la stimerò sempre e che è una donna molto coraggiosa. E anche se un po’ mi costa ammetterlo, lei e suo marito siete proprio una bellissima coppia, dove si vede che c’è l’amore. Questo è il tipo di amore che io vorrei per me, un giorno. Non so se ciò che sento mi passerà oppure no, ma in ogni caso sappia che sono felice di averla come insegnante. E che un giorno diventerò una scrittrice. Questo lo so, perché lei mi ha detto che posso riuscirci.
Allora ci vediamo a scuola, prof.
 
Yoruichi sentì gli occhi divenirle lucidi. Prima Kisuke, ora Soi Fon. Si asciugò velocemente gli occhi. Era contenta che Soi Fon avesse capito. Che fosse cresciuta. Anzi, erano cresciute entrambe. Le avrebbe risposto come si deve, ma dopo. Prima sentiva il bisogno impellente di fare altro.
«Kisuke» disse, mentre entrava in auto. «Andiamo a casa. Adesso, ho bisogno di te.»
«Hai bisogno di me?» domandò lui, che inizialmente non capì a cosa si riferisse. Poi lesse il desiderio e il bisogno nei suoi occhi. E capì. E provò un brivido.
«Mia cara… tutto quello che vuoi» sussurrò. Il desiderio era così palpabile da essere soffocante. Ma a nessuno dei due dispiacque.
 
 
Rin si era nascosta sotto il letto. Era immobile e in silenzio. E rimase immobile e in silenzio anche quando entrò qualcuno. Avvertì dei passi e si irrigidì. Poi Gin si chinò all’improvviso, scovandola.
«Trovata!» gridò. Rin si lasciò andare ad un gridolino entusiasta. Nascondino era proprio un gioco divertente, doveva giocarci più spesso
«Aspetta! Papà, sono incastrata!» esclamò poi, ridendo e mentendo spudoratamente.
«Ah, è così? Allora ci vuole un pronto intervento. Avanti, vieni qui» dicendo ciò Gin l’afferrò, trascinandola fuori. «Non eri poi così incastrata, eh?»
«Anche se mi hai trovata, ho vinto lo stesso io» disse battendo le mani. Era una vita che Gin non giocava con Rin. Che non si rilassava. E cosa si era perso! Quelli erano momenti dolci e speciali. Importanti per lui quanto per Rin.
«E va bene, non discuto. Piuttosto» e dicendo ciò le sussurrò qualcosa all’orecchio. «Cogliamo alla sprovvista la mamma.»
 
Un compito di un’amica era anche quello di ascoltare gli scleri via telefono del proprio amico prossimo al matrimonio. Il termine giusto per Yumichika era esaurito. Ma poteva capirlo, organizzare un matrimonio sapeva essere stressante. Per non parlare poi dei dubbi e delle paure.
«Rangiku, sono terrorizzato. E se va qualcosa storto? Non credo potrò sopportarlo. Ikkaku è tranquillo! Certo, a lui cosa importa? Sono io quello stressato»
«Ehi, guarda che sono stressato anche io!» Rangiku sentì la voce di Ikkaku. «Però, vedi, non sono scappato. Devo amarti veramente tanto!»
Rangiku scosse la testa e si trattenne dal ridere. Ah, quei due. Ci sarebbe stato davvero da ridere.
«Oh, avanti Yumichika. Oramai ci siamo quasi. Andrà tutto bene, niente può andare male.»
A parte l’apocalisse, un terremoto, un incendio, un attacco alieno o semplicemente un amante di Ikkaku che sbucava all’improvviso, aggiunse dopo Yumichika. Rangiku sentì all’improvviso qualcosa caderle addosso. Quel qualcosa era niente meno che sua figlia, che le era saltata addosso per attirare la sua attenzione. E Gin l’aveva seguita a ruota.
«Ahi! Ehi, piano. Yumichika scusa, sono sotto attacco, a dopo!» gridò. «Vi siete coalizzati contro di me, non è vero?»
Rin rideva. Ed era un suono adorabile, una risata vera. Gin era più sereno, come se avesse lasciato andare tutta la tensione. E ora la baciava e mentre lo faceva non aveva niente da nascondere, né intenti né paure. Rin tirò i capelli di Gin.
«Nessuno bacia me, mi sento esclusa!»
E allora la baciarono entrambi.
Toshiro uscì dalla sua camera e arrossì quando li vide. Gin, Rangiku e Rin avevano trovato la loro serenità. Erano una famiglia, era anche la sua famiglia. Ma la sua famiglia ora era anche Momo, o almeno lo sarebbe stata.
«Oh, Toshi» lo chiamò Rangiku, ancora abbracciata a Rin. Era un po’ preoccupata per le sorti dell’amico, di certo non lo avrebbe voluto in mano ai paparazzi. «Vai… da Momo?»
«Sì, io… vado da lei. So che dovremmo evitare, ma oramai sanno tutti di noi, quindi… pazienza» disse facendo spallucce. Gin si alzò.
«Ti accompagno io. Nessuno si avvicinerà se ci sono io, so essere molto persuasivo»
Toshiro accettò volentieri il suo aiuto. Si poteva dire che oramai fossero amici. Incredibile, ma vero.
«Ehi, Toshi» disse Rangiku. «Questo passerà. Lo sai che ti sosterrò. Io sostengo sempre l’amore»
Il ragazzo arrossì. Era e sarebbe sempre stato grato a Rangiku, per tutto.
«Lo so e ti ringrazio per questo» disse soltanto. Rin si staccò dalle braccia di sua madre e si avvicinò a Toshiro, con la fronte aggrottata e a braccia conserte. D’accordo, si era detta, forse non lo avrebbe mai sposato. Però sarebbe sempre stato il suo fratello-zio più grande.
«Toshi» disse seria. «Volevo dirti che sì, sono un po’ offesa con te, perché io sono tanto bella e tu non hai voluto aspettarmi. Però va bene così, ti piacciono le donne più grandi. E poi Momo è simpatica, anche se non quanto me. Quindi va bene, possiamo tornare ad essere amici.»
Toshiro sgranò gli occhi e poi si inginocchiò per abbracciarla. Benedetta Rin. Non avrebbe sopportato la sua rabbia.
«Grazie, Rin. Sei una brava bambina» sussurrò, baciandole la fronte. Rin arrossì e poi sorrise. Oh, aveva ottenuto un bacio da lui, questa sì che era una grande vittoria.
 
Gin gli aveva detto di stare su col morale e di non preoccuparsi, che tutto si sarebbe risolto. Con Aizen poco propenso a guerre e battaglie a causa dei suoi problemi d’amore, avrebbe dovuto lasciare che fosse il tempo a sistemare tutto. E Toshiro voleva crederci, per davvero, ma era comunque un po’ giù di morale. Una delle cose che più lo terrorizzava era avere a che fare con il figlio di Momo. Più che di terrore si trattava di un sincero disagio. Fino a quel momento era stato bravo a non beccarlo ogni volta che si trovava a casa di Momo, ma non quel pomeriggio. Quel pomeriggio scorse Hayato che, da che era seduto al piano forte accanto a sua madre, lo osservò con gli occhi storti. Perché Momo non gli aveva detto di evitare?
«Ah. Emh… forse dovrei tornare più tardi…» disse in imbarazzo. Momo però si alzò e lo prese per mano. Gli sembrava inutile tutta quella scena, Toshiro e Hayato già si conoscevano.
«Sta tranquillo. Hai incontrato giornalisti, mentre venivi qui?»
«Eh? Ah, no. Nessuno» era un po’ distratto dallo sguardo di Hayato. Sembrava volerlo analizzare, sembrava guardarlo come un estraneo. Cosa che di fatto era, era l’altro, l’uomo che sua madre amava. Entrambi i suoi genitori amavano qualcun altro. Hayato era sicuro che questo non accadesse a tutti, ma in fin dei conti la cosa la stava metabolizzando abbastanza bene: suo padre e sua madre non avevano mai dato l’idea di amarsi come facevano tutti. Se fosse stato quello di un tempo, probabilmente avrebbe insultato quel tipo. Ora, Toshiro continuava a non piacergli e non gli piaceva l’idea che stesse con sua madre, ma c’era qualcosa che lo portava a comportarsi in maniera diversa.
Così lo indicò con il dito.
«Tu non mi piaci.»
Toshiro arrossì e guardò Momo. Quest’ultima aveva sperato che suo figlio se ne stesse buono.
«Sì, lo so che non ti piaccio» rispose, calmo. Lui era l’adulto, lui doveva comportarsi in maniera matura. Anche perché, alla fine, ad Hayato lo capiva.
«…Però se devi stare qui, stacci. Basta che non mi parli troppo» borbottò. Momo sospirò. Per molti poteva essere niente di che, ma il fatto che Hayato accettasse quanto meno la presenza di Toshiro in casa sua, era già un grande passo in avanti. E Toshiro dal canto suo non ebbe nulla da obiettare. Ci sarebbe stato tempo per spiegarli che lui a sua madre ci teneva davvero, che l’amava, che voleva costruirsi un futuro con lei. Che avrebbe imparato a volere bene anche a lui, perché era suo figlio.
Momo sorrise e poi si sedette al piano, con Hayato seduto accanto a lei e Toshiro che l’ammirava.

Nota dell'autrice
Altri chiarimenti e meno tre capitoli alla conclusione della storia. Nel prossimo capitolo, finalmente il tanto atteso matrimonio... un matrimonio ricco di sorprese, vi consiglio di esserci ;)

Nao
   
 
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